Visual Journalism, data journalism e il vuoto italiano

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VISUAL JOURNALISM, QUESTO SCONOSCIUTO. Io non sono un guru, sono solo uno che fa un lavoro che gli piace e sul quale non ha mai smesso di studiare. Con colpevole ritardo ho fatto entrare le parole visual journalism e data journalism nel mio vocabolario professionale: ho scoperto molte cose interessanti. E una che conoscevo: il sostanziale vuoto italiano sull’argomento, anche se vanno fatte le dovute precisazioni.

COMINCIAMO CON LE PRESENTAZIONI. Il Visual Journalism ha apparentemente una definizione banale, ma molte forme evolute. Sarebbe, in sostanza, la tecnica, il metodo, con cui, tramite la combinazione di testi, video, immagini e grafiche bi o tridimensionali, si creano prodotti giornalistici. Se vai su questo link, caro il mio lettore-cronista-cercatore di stimoli, vedrai che alla BBC (mica a Telebalengo) hanno preso la definizione e ne hanno fatto una rivisitazione tutta personale. Ecco, in sostanza, è il fare giornalismo di inchiesta con gli strumenti più avanzati della tecnologia per offrire un prodotto, soprattutto al lettore del web, che offra una user experience di altissima qualità. Ragionando a mente fredda, visto che internet specialmente in Italia, offre uno spettacolo poverissimo di qualità salvo poche eccezioni, quando ho cominciato a frequentare questi siti e a farmi un’idea su questo fenomeno, ho pensato serenamente che questo sia un campo su cui investire sforzi di aggiornamento e di apprendimento per creare contenuti che abbiano un diverso respiro. Il Data Journalism (o giornalismo di precisione) è fratello maggiore del Visual, per rendere l’idea, perché è il modo scientifico con base statistica e sociologica, con cui di creano gli argomenti del prodotto giornalistico (oppure si trovano addirittura le notizie). Chi vuole fare un prodotto di Visual journalism, quindi, deve partire dal Data (sempre se non ho capito male). Anche qui un ragionamento mi assale: chi ha fatto e fa il giornalista con coscienza i dati, il metodo, la sociologia e la statistica li ha sempre usati. Però, forse, il ragionamento non è scontato…

LE RADICI DEL VISUAL JOURNALISM. Magari questo post non sarà accademico o enciclopedico, ma il motivo è semplice: ho usato la capacità di ricerca del giornalista, non gli strumenti del ricercatore. Il motivo è semplice: volevo cominciare a parlarne, essendo la concezione della professione giornalistica che farò legata a questi due campi del giornalismo oltre che al mojo, come da anni accade. Le radici del Visual Journalism vanno indietro di qualche anno per quanto riguarda il suo sviluppo sul web. Inutile dire che i principali quotidiani internazionali hanno bande di VJ attrezzate per stupire il mondo. Per esempio cosi (cliccaci sopra):

bolt

 

Oppure così:

latimes

 

Certo qui siamo sulla Virtual Reality, ma anche questa è un ingrediente possibile del VJ. Non c’è che dire, impatto sicuro e reader experience grandissima.

Le radici del VJ, si diceva. Nel 2012-2013 già se ne parlava come qualcosa di assodato, in chiave internet, ma la discussione sul Design delle News è più vecchia. E ha profeti italiani. Ecco un’altra cosa: abbiamo professionisti in grado di insegnare giornalismo a chiunque… e non sappiamo manco chi siano. Ecco, comunque, chi è uno dei guru del digital design delle news: Francesco Franchi. Il suo Designing News è un riferimento per chi visualizza le news e, naturalmente (!) è editato da tedeschi. Però c’è un ricercatore sull’argomento che si sta battendo come un leone per fare in modo che il VJ entri nella cultura del giornalismo italiano senza restare appannaggio dei designer. Si tratta di Matteo Moretti, ricercatore della Libera Università di Bolzano che ho conosciuto perché ho letto questo suo pezzo qui. Gli faccio un disperato appello: lavorerei per te anche gratis, sebbene non me lo possa permettere. Comunque Moretti è uno che ha vinto un premio con questo progetto (cliccaci sopra).

bolzano

 

Questo lavoro (che sconfessa un assunto dei bolzanini sull’invadenza della comunità cinese nella loro realtà sociale) è stato premiato ai Data Journalism Awards del 2015. Basta guardare qui per sapere di cosa si parla. Moretti è un ricecatore puro, ma è trasversale e ha tali conoscenze da far impallidire anche Einstein. Ecco un suo concetto molto interessante:

Secondo questo approccio, serve quindi stabilire una dieta, ri-educare la nostra mente, nutrendola di contenuti magari meno appetitosi ma che siano davvero nutrienti, basati su informazioni bilanciate che portino alla ribalta la complessità del fenomeno trattato, anziché la sua “ghiotta” semplificazione. Proprio da queste basi parte la mia ricerca sul visual journalism, un lavoro a cavallo tra data journalism e visual storytelling, in cui cerco di mettere a frutto tutti gli strumenti di cui sono in possesso per informare un pubblico più ampio su tematiche complesse, in maniera visiva e coinvolgente, affinché i lettori siano stimolati nella lettura. Parlo di divulgazione, ma non solo.

Quello a cui ambisco è stimolare il dubbio nei lettori, mostrare lo scollamento tra la realtà raccontata da alcuni mezzi di informazione e quella di tutti i giorni, ridimensionare cliché spesso alimentati dai media stessi, aprire un dibattito pubblico, riflettere su quanto una certa informazione odierna sia spesso approssimativa ed eccessivamente semplificata e su quanto vada soppesata, piuttosto che digerita indistintamente. Esattamente quello che Clay A. Johnson definisce come junk information.

IL VUOTO ITALIANO. Per la mia esperienza e per la mia conoscenza, ma forse faccio difetto perché poi non sono intelligentissimo e onnisciente, su questo argomento, che sta rivoluzionando il web internazionale, siamo in presenza di un vuoto italiano. Lo conferma una ricerca banale, una banale googolata (mamma santa che parola pessima). Non c’è molto spazio per il visual journalism nelle newsroom italiane, anche se la recente mossa di Repubblica di prendersi Francesco Franchi nel suo staff fa sperare nel contrario. La ricerca online, infatti, mette al primo posto i ricercatori e gli esempi didascalici e gl articoli tecnici. Anche se c’è un’eccezione gradevolissima. Si tratta della Visual Agency di Milano che, seguendo l’ispirazione del talentuoso Tommaso Guadagni, ha creato il magazine Visualeyed che potete trovare qui. E’ un esperimento di newsroom interessantissimo e un sito che rimanda anche a splendidi pezzi di Visual Journalism che ci sono in giro per il mondo. Spero abbia grande fortuna.

Ecco, quindi, il primo approccio che ho fatto al Visual Journalism e al Data Journalism sperando che ti sia risultato utile. Certamente nelle redazioni italiane dell’online non c’è il tempo, almeno a quanto sembra guardando le pubblicazioni da fuori, per pensare con calma a prodotti visual, ma questo è il futuro. Un futuro che faccia sopravvivere e, finalmente, pagare il buon giornalismo su internet. Che ne pensi?

 

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