Il Mobile Journalism, centro della rivoluzione.

Definire il mojo, o mobile journalism, pensavo fosse facile. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché è il fulcro di una rivoluzione digitale che si consuma minuto dopo minuto nel mondo del giornalismo e dell’editoria,  ma non ha confini chiaramente definiti. Per farmi chiarezza nella testa e farla anche a te (spero) ho deciso di raggruppare in un post alcune linee concettuali che definiscono questa materia che studio da anni e che non smette mai di cambiarmi sotto le mani. Mi aiuteranno i maestri come Ivo Burum che nel suo “MOJO: The Mobile Journalism Handbook” ha iniziato a precisare l’essenza del mojo definendo prima due categorie, gli User Generated Content e le User Generated Stories.

Mobile Journalism: quante volte abbiamo fatto questo gesto?
Pixabay

I primi sono quello che più o meno tutti conoscono come Citize Journalism perché si tratta di contenuti non editati e pubblicati dai testimoni di un fatto. Già, parliamo dei video su Youtube o su Facebook o su qualche altro social, caratterizzati dal non avere il filtro della professionalità giornalistica (o di altro genere) atto a costruire una storia. Jay Rosen, uno degli accademici più importanti della materia, definisce il CJ in questo modo: “Citizen journalism è quando la gente, in altri tempi detta pubblico, usa gli strumenti della stampa che sono in suo possesso per informarsi l’uno con l’altro”. Le UGS, invece, sono contenuti editati, costruiti e pubblicati in forma di storia e presuppongono una conoscenza e un uso degli strumenti di editing.  Il mobile journalism resta al centro di queste due categorie perché può essere utile per mettere insieme gli UGC oppure può essere il modo per far salire a valore alto di pubblicabilità le UGS.

Elementi di una definizione di mobile journalism

Cerco di sintetizzarti qui una definizione di mobile journalism che arriva da tutte le pubblicazioni lette sulla materia, ma anche da tutto il flusso di commenti, blog, letture, post, update che leggo quotidianamente da anni. Ecco i punti attraverso i quali è possibile riconoscere il mobile journalism e cominiciare a comprenderne i confini:

  1. Il Mojo è prodotto interamente con device mobili. Questo, secondo Ivo Burum, costituisce elemento distintivo per un nuovo modo di raccontare un evento ed è una modalità produttiva del contenuto che impone un nuovo tipo di racconto per immagini e audio.
  2. Questo tipo di giornalismo è anche quello che racconta attraverso le piattaforme sociali lo sviluppo di un evento in forma di storia. Eccone un brillante esempio della redazione online di Der Spiegel.
  3. Il mobile journalism è anche quella disciplina che, attraverso la conoscenza dell’hardware e del software necessario, codifica e realizza modelli di contenuti live formattati e diffusi per mezzo delle più diverse piattaforme. Sono considerati mobile i collegamenti live attraverso servizi di streaming televisivo, ma anche video in diretta di Facebook, Periscope, Youtube e altre tipologie di piattaforme di diffusione sociale.
  4. E’ mobile journalism tutto l’insieme di regole, modalità, azioni, operazioni che permettono di creare un contenuto multimediale dal campo sul quale avviene una notizia.
  5. Sono due gli orientamenti della post-produzione per la costruzione di una User Generated Story che abbia gli elementi del Mobile Journalism: il montaggio con le device mobili stesse, attraverso app di editing che hanno raggiunto livelli eccellenti in questi ultimi giorni, oppure il passaggio del materiale prodotto dall’apparecchio mobile sul computer.
  6. Il mobile journalism è crossing in quanto a sistemi operativi. Il lavoro, può essere svolto sia da apparecchi Android, sia da iOS. Il secondo sistema operativo è semplicemente più utilizzato e più popolato di soluzioni professionali per l’editing e per la produzione di contenuti rispetto al primo.
  7. Una delle finalità principali del mobile journalism è sveltire i tempi di realizzazione dei contenuti e snellirne i costi, per recuperare il valore della prestazione professionale del giornalista e per favorire il flusso dell’informazione nell’era di internet.
  8. Il mobile journalism è anche una filosofia professionale che intende far diventare, nell’epoca di internet, i giornalisti singoli fonti credibili di notizie grazie all’interazione diretta con il proprio pubblico e alla disintermediazione del ruolo dell’editorie dei contenuti del professionista stesso.
  9. Il mojo può essere  interpretato con qualsiasi apparecchio mobile facilmente accessibile a qualsiasi consumatore: dagli smartphone ai tablet, dalle handycam alle sportcam.
  10. Il mojo è quella disciplina che sta guidando la rivoluzione della comunicazione mobile per due aspetti principali: la connettività e la produzione mobile oriented dei contenuti che dallo scorso ottobre, sul web, vengono guardati più da apparecchi portatili che da computer statici.

Mojo è “fai con quel che hai”

Quello che più rappresenta la potenzialità innovativa del mobile journalism per gli operatori dell’informazione è, tuttavia, la sua facilità d’accesso per quanto riguarda gli strumenti. Mojo sei con quel che hai, si ostinano a ripetere i guru di questa nuova filosofia. Personalmente io sono un integralista e tutti i miei studi personali si stanno orientando a un mobile journalism start to end, senza mai passare al computer. Per questo motivo ciò che ho scritto al punto nove è, per me, quasi blasfemo: il mojo io lo faccio con il telefonino e il tablet senza mai passare dal pc. Tuttavia le forme spurie sono comunque un fattore di arricchimento della professionalità di ogni mojo il quale deve trovare i suoi strumenti operativi per raccontare il mondo con il suo modo di essere mojo. Questo contribuirà indubbiamente a costruire una personalità giornalistica peculiare che si distinguerà meglio nell’indistinto mare del mercato del lavoro giornalistico, dove prevale l’omologazione sia nei contenuti che nei modi.

Ti lascio con un piccolo regalo per il 2017, vale a dire la playlist della BBC Academy sulla produzione di video con gli smartphone. Buona visione.


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