On field: sette consigli mojo utili (più uno)

on field

1. Mobile Journalism: stare on field è una goduria.

Ti ho parlato di immagini, ti ho parlato di kit, adesso andiamo sul campo. Che ne dici? Con la strumentazione adatta e una applicazione per la produzione di immagini che rivoluziona qualsiasi telefono (Filmic Pro, come raccontato qui), si può partire senza problemi per la prima fase del lavoro mojo: il filming on field. Sono tanti i campi su cui ti può capitare di andare, molti i posti (grandi o piccoli) nei quali puoi anche essere catapultato, anche in pochi minuti, da una telefonata del tuo capo in redazione.

Visto che ti prepari in un quarto del tempo rispetto a chiunque e che ti muovi più leggero rispetto a chiunque, sono molte le cose che puoi fare in più rispetto a tanti altri colleghi video giornalisti classici quando sei sul posto. Ecco qualche dritta utile per rendere ancora più efficiente il tuo tempo di permanenza sul luogo dove nasce, si sviluppa, cresce una notizia o una storia. Stare sul campo così è una goduria.

2. Quando arrivi sul posto, prenditi tempo per guardare.

Arrivato sul luogo della notizia, dato che non devi poi metter giù chissà quale strumentazione per essere operativo, avrai più tempo per guardare. Metti la tua attrezzatura in un angolo sicuro e gira per il locale, per la stanza, per la piazza, per il posto in cui sei. A cosa serve? A trovare l’inquadratura di partenza per un’intervista? A scovare tre particolari curiosi? A capire qual è il flusso delle persone? A trovare tre close up di particolari per le coperture? Questi sono solo alcuni dei perché possibili, ma ce n’è molti altri.

3. Audio buono e audio ambiente.

Se sei a un evento programmato guarda subito dov’è la sorgente audio e attaccati. Se, tuttavia, la tua è una storia, durante il tuo giretto iniziale, oltre ad annotarti le inquadrature, ascolta l’audio ambiente.  Alcuni di quei suoni possono servirti per il pezzo. Oppure potresti decidere che tutto il pezzo, magari in un luogo movimentato e ad alta tensione, può essere registrato in audio ambiente. Certamente se devi fare una storia su un pronto soccorso, le interviste tipo National Geografic rendono molto male la vita che si vive in quel posto.

4. Fai l’aggressivo (senza se e senza ma)

Quando sei sul campo a fare una storia, ricordati di essere aggressivo (in guanto di velluto). Fai in modo che i protagonisti intervistati seguano le tue indicazioni soprattutto quando imposti un’inquadratura. Più molli il colpo, peggio verrà l’inquadratura e, di conseguenza, l’intervista. Se le frasi dell’intervistato scivolano via, interrompi. Fai economia di parole nella domanda, come chi risponde deve farlo nella risposta.

Se sei nelle news e finisci in mezzo a una tonnara, ricordati che hai un apparecchio piccolissimo da gestire e, quindi, esita per pochi secondi quando l’intervistato esce allo scoperto. Quando la massa di telecamere si acquieta, puoi inserire il braccio con il cellulare in un anfratto impossibile a qualsiasi handy e tirar fuori il primo piano giusto.

5. Calmati e filma soltanto se è perfetto.

Miseriaccia la fretta. Certo quando sei sulle news c’è poco da fare i filosofi e magari ti fa male il costato per qualche gomito di troppo preso tentando di farsi largo e di recuperare un posto per prendere la maledetta voce, magari attesa per ore (qualche volta vanamente). La fretta di filmare, però, fa rima con la più che possibile distruzione del lavoro. Quindi sulle news lavora in economia (prendi la voce, cinque coperture del luogo e scappa), ma sulla storia cerca di respirare a fondo e prendere quella inquadratura. Si, sto parlando di quella che ti serve, non un frame di più, ma neanche uno in meno.

6. Check in e check out

Quando arrivi fai il check di quello che ti sei portato e quando vai via fai il check di quello che ti riporti a casa. Lavori più velocemente degli altri perché, probabilmente, sei arrivato prima sul posto e vai via prima dal posto, ma proprio per questo la possibilità di perderti dei pezzi (che sono tutti mediamente piccoli) è molto alta. Sembra una cazzata, ma alla fine fan centinaia di euro annui di cose lasciate in giro.

7. Two is megl che uan

Due è meglio di uno. Era una reclame di un gelato di tanto tempo fa, ma il concetto è interessante. Se sei sul campo a filmare una storia che non puoi sbagliare e che non puoi andare a riprendere un’altra volta, un consiglio saggio è portarti dietro anche il cellulare personale, quello che usi per chiamare mamma, per fare in modo di avere una macchina di backup.

7+1. Fai personal branding: sempre!

Se sei un mojo on field devi lavorare anche per te, proprio nel medesimo tempo in cui lavori per il committente oppure nel tempo in cui produci una storia che può interessare quel committente. Come fai? La paurona, grossa, specialmente in Italia, paese per antonomasia di “fregatori” di idee, è scoprirsi troppo, rivelare troppo della notizia che si sta seguendo, in modo da ingolosire testate o colleghi concorrenti.

Su questo sono obbligato a fare una parentesi e a dire che nell’epoca in cui viviamo è, a mio personale avviso, assurdo pensare di vivere questa ansia individualista. Ormai sono ben pochi i margini per fare uno scoop ed è chiaro che se ti trovi proprio in quella situazione è il caso che tu stia in modalità “silenziosa”. Le storie, tuttavia, sono infinite e se tu twitti qualcosa su una tua storia mentre la stai facendo è perché la preda l’hai già azzannata. Oltretutto la tua capacità di rendere quella storia resta unica quindi altri non la faranno come la fai tu.

E’ molto più importante, tuttavia, che tu crei comunità attorno a te e che tu lo faccia anche con del materiale trasferito dal campo ai tuoi follower, in modo che sappiano su quale ottima storia stai lavorando. Le testate, poi, sono come le persone: ce ne sono di corrette e di scorrette. Quindi chi è corretto ti chiamerà per chiederti della storia, chi è scorretto, in ogni caso, cercherà di derubarti. ma tu avrai sempre una traccia e una data per screditare chi ti ruba il materiale.

La tua pubblicità è molto importante

In ogni caso il campo è sempre un modo di attirare l’attenzione e di fare personal branding, cercando di raccontare quello che stai facendo con due obiettivi alternati. Il primo: alzare la curiosità senza svelare. Esempio: intervisti un calciatore che ti rivela pratiche di doping? Certamente non twitti “Pincoballo bomber si dopava!”, ma “Intervista a Pincopallo, dichiarazioni choc. #staytuned”.

Il secondo è quello di raccontare come stai facendo il tuo lavoro. Inquadrature, nuovi modi, creatività, anche soltanto un racconto di quello che fai, sono un ottimo manifesto di quello che sei. Sono la tua pubblicità a costo zero (o meglio al solo costo del tuo lavoro di progettazione coerente del tuo modo di raccontarti e della produzione dei content che userai per farlo). Otterrai due obiettivi: una comunità comincerà a seguirti e chi vuole comprarti saprà bene con quale professionalità avrai fatto il tuo lavoro. E dovrà comprare anche quella. Altrimenti c’è sempre il suo vicino di url…


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