Mojofest 2018: la lezione di Glen Mulcahy e il futuro del nostro mestiere

Mojofest

Sono tornato in Italia dopo il Mojofest 2018.

Ho portato a casa una profonda lezione su questa professione e un nuovo percorso. Avrai presto notizie, ma mi permetto di iniziare da qualche appunto utile per tutti e da qualche provocazione

La community vale sempre di più.

La grande lezione del Mojofest e di Glen Mulcahy, il suo fondatore, è legata al valore della comunità. Quello che è successo a Mojofest, infatti, è per me una conferma. Vuoi sapere a cosa penso? Penso alla quantità di scambi, di consigli, di insegnamenti dati e ricevuti, che si sono sviluppati in quell’evento, con persone di tutto il mondo,  in quella città, in quelle sale, con quei magnifici esponenti della community mojo di tutto il mondo.

Una quantità enorme che mi ha fatto tornare a casa con un tale tesoro di nozioni e informazioni che mi basterà per un anno intero, aumenterà la mia ricchezza personale ed economica, amplierà la mia rete di contatti e le opzioni per far crescere il mobile journalism in Italia. Provo un sincero dispiacere per chi non c’era. Provo un sincero dispiacere anche per chi, nei gruppi che frequento, sta a guardare senza agire, prende senza dare. Io so dove sto andando e vedo anche dove va il giornalismo italiano. Probabilmente, almeno per ora, abbiamo due direzioni diverse.

Pensavo fosse paura

Cavolaccio, pensavo che la community di Mojofest si parlasse addosso un po’ troppo e avevo paura. Lo confesso, ho pensato che fossimo una bolla dalla quale dovevamo uscire, dobbiamo uscire. Lo penso ancora per quanto riguarda la necessità di aprire il dialogo sulla mobile content creation ad attori che non erano presenti alla conferenza. Non vedendo media company, non vedendo dirigenti di compagnie telefoniche, non vedendo studiosi e accademici, andavo in giro ripetendomi “Manca qualcuno qui..”. Per un certo verso è vero e spero che Glen Mulcahy apra tavoli di discussione con le media company, con tv, siti e giornali di tutto il mondo per espandere la comunità e creare un nuovo mondo dei media.

Invece è altro.

Però da questa intervista di Glen Mulcahy alla nostra Giulia Bassanese di Italian Mojo ho capito che la mia paura è altro. Prima di scriverti quello che penso ti estraggo la frase chiave:

Abbiamo incontrato molti giornalisti mojoer, ma quasi nessuno lavora per i principali player dell’informazione. Una questione di snobismo o i grandi editori continuano a non voler sentire parlare di mobile journalism?

Domanda interessante. Certamente le tecniche e la filosofia mojo contageranno anche i grandi player dell’informazione in futuro, ma è un percorso lungo. Non credo vedremo molti rappresentanti dei media mainstream neppure alla prossima edizione. Anche per questo motivo ho intenzione di includere ancora più sessioni indirizzate ai business, magari introducendo una giornata dedicata esclusivamente alle imprese. La sfida per me è riuscire a creare dei panel quanto più diversificati possibile, senza tagliare quella fetta di mercato come i content creator, che hanno formato il nucleo storico di Mojofest.

Le aziende sono media company.

Capito l’antifona? Io mi sbagliavo e pensavo ai media che non c’erano. Lui ha già guardato in questa edizione e nella prossima guarderà ancora di più alle aziende. Ha ragione lui. I media non guardano da questa parte per paura. Loro sì hanno paura, io avevo paura perché guardavo la cosa dallo stesso punto di vista rimanendo smarrito davanti all’assenza delle aziende editoriali a Mojofest. Mi sbagliavo. I media sono assenti perché temono questo cambiamento. Quando il 5g spazzerà via tutto, vedremo cosa rimane. In quel momento le aziende ne avranno già approfittato e i media forse saranno meno utili di prima. Non so se è un bello scenario, ma è lo scenario.

Cerco una scuola di giornalismo.

Sono tornato in Italia e sono pronto a operare alcuni cambiamenti. A partire da questo blog, a partire dal linguaggio e dalle operazioni che ruotano attorno a me e all’associazione Italian Mojo. Il primo passo è la ricerca di una scuola di giornalismo o di comunicazione, un’accademia, insomma, che mi dia modo di espandere la tipologia di corso di mobile journalism che ho improntato finora e che ho intenzione di cambiare, puntando a una netta evoluzione.

In questo senso registro che le istituzioni dell’Ordine Lombardo, sebbene io mi faccia sentire spesso, non danno risposte e seguito a quanto più volte accennato. Non c’è problema, si va avanti. Punto a raffinare ulteriori contatti avuti in questo periodo e sono disponibile a parlare con chiunque voglia approntare una casa accademica del mobile journalism assieme a me. Non ho tempo di aspettare. Devo trovare un posto dove costruire il futuro di una professione che è morta in Italia. Altrimenti ho già pronte altre vie.

Il mio incontro con Nico Piro.

Ho passato l’esperienza di Mojofest con Nico Piro, giornalista di Rai Tre che condivide con me l’esperienza di essere leader di questa materia in Italia. Ho dato molto a Nico e Nico ha dato molto a me e stiamo lavorando già per unificare il più possibile la comunità italiana del mobile journalism e della mobile content creation. Ci saranno indubbiamente delle novità, ma per ora mi limito a condividere un pensiero.

Nei nostri due gruppi, nel lavoro di Nico e mio, nelle mie relazioni internazionali, nella sua conoscenza della materia e nella cultura che stiamo diffondendo c’è molto del rinnovamento della professione giornalistica in Italia. Penso fermamente che sia il caso che Ordine, scuole, università e accademie di ogni tipo, lo sappiano e lo sfruttino. Prima che sia troppo tardi. E’ proprio il caso di smettere di preparare i nuovi giornalisti con le apparecchiature del broadcasting televisivo che impongono un modo di fare la professione che sta per morire. Gli atenei che mi hanno accolto (e che ringrazio) lo hanno capito, ma ora è il momento di prendere la nostra conoscenza, quella mia e di Nico, per sparpagliarla in ogni dannato corso di giornalismo. Prima che sia troppo tardi. Per te.[:]


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