Media innovation. Questa espressione mi frulla in testa da quando sono tornato da Parigi.
La crescita della community e della cultura del mobile journalism e della mobile content creation deve passare da una nuova dimensione. La dimensione della media innovation. La materia sulla quale mi sono messo a lavorare è viva ed è il sangue che corre nelle vene dell’innovazione nel mondo dei media. L’interazione tra i media e i lettori, o gli spettatori, è cambiata e se cerchi bene l’oggetto che l’ha fatta cambiare, scopri facilmente che è lo smartphone. E quindi? Quindi la mobile content creation è il linguaggio con cui si creano i contenuti per il nuovo ecosistema dei media con il quale facciamo i conti tutti i giorni. Il mojo, per farla breve, è quel settore del giornalismo e della produzione che sta rinnovando il mondo dei media. Per questo la nostra, la mia, la tua dimensione mojo deve essere aumentata fino ad assumere un’altra fisionomia. Insomma, è il momento di fare media innovation.
Stiamo guidando verso il futuro o stiamo guidando il futuro?
Allora, telefono in mano, stiamo reinventando il futuro del giornalismo e dei media e stiamo solo aspettando che l’era della televisione dia gli ultimi colpi di coda. Il mojo, la mobile content creation, sono gli elementi che guidano il futuro dello sviluppo del mondo dei media. Con un telefonino in mano si può creare un intero modello di business profittevole e scalabile di un medium di nuova generazione. Sto studiando ormai da tempo le dinamiche di sviluppo della carriera grazie allo smartphone e alle tecniche della mobile content creation. La produzione di contenuti mojo libera interazioni con piattaforme sociali, marketplace, servizi di creazione di media e quanto altro è necessario per sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi nel mondo della comunicazione. E nuovi media.
Il faro Yusuf: il miglior giornalista del mondo.
Faccio solo un paio di considerazioni su questo ragionamento a rafforzamento del concetto che il mobile journalism è la casa del rinnovamento dei media in generale. Sto seguendo da un paio di settimane il corso gratuito di mobile journalism tenuto da Yusuf Omar, il media innovator che rappresenta un punto di riferimento nel panorama dei nuovi linguaggi mondiali della produzione di format innovativi (e anche di business, sebbene ci sia un distinguo da fare). Nel corso che tiene in questo momento online e che puoi trovare qui, per il Knight Center della University of Texas, sta mostrando coi fatti di essere il giornalista che, in questo momento, detta i tempi e i temi del futuro. Non ci credi? Libero di farlo. Io però una guardata la darei.
Spiego il motivo per cui ho sparato questa sentenza. Le modalità di ricerca, sviluppo, creatività, produzione, post-produzione e pubblicazione del suo format, Hashtag our Stories, sono completamente diverse da qualsiasi linguaggio passato. La sua penetrazione nei confronti dei nuovi settori del pubblico (quelli che non leggono il giornale e quelli che non hanno la tv) è sorprendente. Il rispetto dei canoni irrinunciabili del giornalismo, però, è totale.
Resta da costruire la profittabilità del business.
Il distinguo di cui ti ho parlato poco sopra, per l’iniziativa dell’amico Yusuf, è la scalabilità del business e la distribuzione della ricchezza creata dal valore aggiunto del suo incredibile format liquido che è in uno, nessuno, centomila luoghi. Da quello che ho potuto comprendere HOS è sostenuto da dinamiche indirette (Yusuf si finanzia coi corsi) o da istituzioni che donano. Però, se ci pensi, comincia ad indicare una via per il rinnovamento del mercato dei media che è una strada maestra se si vuole avere un futuro. Hai qualche idea di cosa si tratti? Si tratta di questo: il giornalismo è una conversazione. Qualcosa si fa più chiaro? Vado ancora più nello specifico perchè forse è il caso di dirti proprio in modo esplicito su cosa si sta costruendo una nuova maniera di fare il giornalismo e i media. Una cosetta da niente, una cosetta della quale i media italiani non sanno niente.
Il valore economico della conversazione.
Ora, purtoppo, viviamo in un mondo che continua a buttare sul mercato media replicanti il modello, visto, rivisto e stravisto, di una produzione offerta, al massimo customizzabile, di un medium creato in un luogo di realizzazione, una redazione, e consegnato al mercato su varie piattaforme. In questi giorni, invece, ho conosciuto modelli di media che stanno sviluppando due concetti che sono facilmente realizzabili con lo smartphone. Come prima cosa creano una community con l’obiettivo di servirla. Il secondo obiettivo, invece, è di creare una specie di generazione controllata dagli utenti degli argomenti dei quali si vuole che il nuovo medium parli o approfondisca.
Il caso Tortoise
Un esempio su tutti? Lo sconvolgente caso di Tortoise, la newsroom inglese che ha inventato un modo nuovo di fare informazione. Questo mezzo di comunicazione è un ponte che fa conversare lettori e produttori delle notizie in un flusso continuo di informazione, stravolgendo completamente il ruolo, sommariamente passivo, dei lettori-spettatori dei media conosciuti fino a questo momento. Viene chiara, quindi, l’idea che nel nuovo mondo dei media si vuole dare valore economico alla conversazione. Ed evidentemente ci si riesce. Chi non vorrebbe leggere un giornale che parla delle cose che gli stanno veramente a cuore? Ultima nota: Tortoise ha rallentato il ritmo delle notizie per darle verificate, approfondite, scritte bene. Solo per questo sono dei geni, ma anche per molto molto altro. Cominciamo a fare media innovation imparando? Sarà il caso.
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