World wide web: 30 anni quasi sprecati

Il World wide web compie oggi 30 anni. Nacque il 12 marzo del 1989 quando un ricercatore di nome Tim Berners Lee presentò al Cern di Ginevra un progetto di ricerca destinato a cambiare il mondo. Si trattava di un documento denominato “Information Management, a proposal” il quale si proponeva come obiettivo quello di creare un software per la condivisione di documenti tra i diversi reparti dell’istituto di ricerca elvetico. Con il collega Robert Calliau il nostro Tim sviluppò il progetto che, nel dicembre 1990 lo portò a creare il primo server e il primo sito che vide la luce il 6 agosto 1991. Era questo qui.

Tutto ha cominciato ad andare veloce. Troppo.

Da quel giorno sembrano passati secoli, ma in tutte le fasi evolutive del world wide web è sembrato evidente che il progetto di connessione del mondo (l’espressione world wide web significa letteralmente rete di grandezza mondiale) sia rimasto una grande scusa, un grande equivoco, un grande sogno mai realizzato. Il world wide web è ancora lontano dall’abbracciare tutta la popolazione mondiale, ma ciò che fa più impressione è il potere di enorme valore che hanno 10, al massimo 20 amministratori delegati di aziende tecnologiche che, spostando un comando o pigiando un bottone, potrebbero spazzare via intere nazioni.

Da quel giorno, quindi, tutto è andato troppo velocemente e l’umanità non è stata capace di gestire una crescita coerente e democratica della rete. Ci pensi che se Larry Page o Sergey Brin decidessero che l’Italia gli sta sul cacchio e la togliessero dalle indicizzazioni di Google, la nostra nazione sparirebbe dalla faccia della terra?

Non va bene. Non ci avevo pensato. Mi ci ha fatto riflettere questo video di Marco Montemagno che è uno molto più fico di me. Ha fatto alcune riflessioni interessanti sul potere nel web l’8 marzo 2019 al Politecnico di Milano. Eccole qui.

Il telefonino, un’arma spuntata.

Diciamo che per la cultura della mobile content creation, nata dentro il world wide web, il periodo di tempo e di storia si divide a metà. Le prime cose, i primi esperimenti sono iniziati nel 2007. In 12 anni abbiamo visto i nostri telefoni diventare smartphone e i nostri smartphone diventare potenti come i computer più evoluti. Un iPhone X, per dirne una, ha più potenza di calcolo della missione Apollo 13 che portò l’uomo sulla Luna.

I nostri aggeggi, poi, sono diventati macchine da presa e da montaggio professionali, ma noi abbiamo continuato a sprecare le oppportunità che ci danno. Ancora oggi continuiamo a comprarli sempre più nuovi e sempre più potenti, ma continuiamo anche a restare vittime del collegamento continuo dei telefoni con il world wide web che ci rende tutti schedabili, schedati, profilati, scoperti, violentati da quei 10-20 amministratori delegati di cui ti parlavo prima. Loro sanno tutto di noi e della nostra vita, grazie al world wide web e al telefonino.

La mobile revolution: ribellarsi è possibile.

Ribellarsi è una cosa possibile ed è anche relativamente facile da fare. Bisogna prendere in mano il telefono e partire da quell’oggetto per rendersi soggetti attivi e non passivi. Se fai il comunicatore, poi, devi solo diventare attivo nell’esecuzione dei tuoi contenuti con lo smartphone per cominciare a invertire la tendenza che il world wide web ti rubi i contenuti e i dati senza che tu faccia nulla per evitarlo. Se tu produci, tu racconti, tu governi il flusso dei dati molto più di quanto il flusso dei dati che ti viene preso dal world wide web.

La cosa che sto osservando in modo chiaro è che il mobile journalism sta cercando una sua dimensione e non la trova. Provo a rivelarti come vedo il futuro prossimo della mia disciplina. Deve staccarsi, dobbiamo staccarla dal tecnicismo, dall’hardware, dall’atteggiamento da stupiti quando vediamo la tecnica fare meraviglie.

Bisogna concentrarsi sul contenuto e mettere la tecnologia al servizio dello stesso, aprendo l’era dell’economica del content. Di cosa parlo? Parlo del fatto che la mobile content creation è lo strumento con il quale creare nuovi prodotti che vadano nel campo dell’esperienza condivisa perché il world wide web è diventato proprio quel tipo di mondo a parte. Un mondo nel quale gli abitanti cominciano a voler pagare se le esperienze, i contenuti proposti, sono impattanti. Per questo motivo il contenuto comanda e comanderà sempre di più, anche se la tecnologia cercherà di renderlo sempre figlio minore.

Gli smartphone con la blockchain: il prossimo passo.

C’è altro. C’è l’orizzonte con il quale si deve pensare a democratizzare la rete come strumento posseduto da tutti e non dai pochi. Vi introduco soltanto a un argomento sul quale mi preparo a fare ricerche di un certo livello. Si tratta degli smartphone blockchain enabled. Si sta muovendo la HTC, si è mossa Samsung, è qui tra noi Finney, il primo smartphone basato sulla tecnologia blockchain che può tenere un nodo della catena distribuita di questo nuovo tipo di internet.

Non so se lo sai, ma sulla blockchain il contenuto diventerà re perché potrà essere scritto soltanto una volta e poi non potrà più essere corretto. Ecco il futuro. Il mobile journalism rischia di far rima con il passato di questi primi trenta anni di web e di lasciare il posto alla mobile revolution e alla mobile content economy. Io vado, venite? Intanto auguri world wide web. E grazie di tutto. Speriamo che i prossimi trenta anni non siano quasi sprecati.


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