Facebook: il social di Menlo Park sta rovinando la società civile.

La soluzione? Sei tu (e te ne accorgerai alla fine del pezzo). Se leggi le colonne di questo blog significa che ti interessi di mobile content creation, di comunicazione e di innovazione nel mondo dei media. Ho discusso e diffuso per anni la cultura del mobile journalism e di tutto quello che sta cambiando nel mio mondo. Ho parlato di mezzi, di strumenti, di software, di hardware e, naturalmente, di social network e di piattaforme sulle quali il nostro lavoro di comunicatori, in questo momento di grande cambiamento, sta evolvendo. Con questo scritto ho deciso di analizzare la situazione del principale social, Facebook, per fare suonare un allarme che non ho visto comparire sui media italiani. Un allarme rosso. Un allarme che mi preoccupa anche come papà, come Sharingdaddy.

Facebook: l’articolo di Chris Hughes (passato sotto silenzio in Italia).

L’articolo di Chris Hughes (passato sotto silenzio in Italia) è stato un cazzotto in faccia. L’ho letto e riletto e, dopo lo choc iniziale, ho visto bene la fotografia fatta a Mark Zuckerberg dal suo compagno di università e di stanza ad Harvard con il quale ha fondato Facebook, lavorandoci per un po’ e guadagnandoci bei soldini (tanti da non avere più problemi). Ti faccio leggere il pezzo, che spero tu legga fino in fondo per poi tornare qui.

Opinion | It’s Time to Break Up Facebook

Credit Credit Jessica Chou for The New York Times (Zuckerberg); Damon Winter/The New York Times (Hughes) The last time I saw Mark Zuckerberg was in the summer of 2017, several months before the Cambridge Analytica scandal broke. We met at Facebook’s Menlo Park, Calif., office and drove to his house, in a quiet, leafy neighborhood.

Non sembra proprio una ripicca

L’analisi di Hughes non sembra proprio avere motivazioni personali, visto che il buon Chris ha tanti di quei soldi da far spavento. Mi sembra, invece, un analisi lucida sull’uomo più potente del mondo. Già, perché Mark Zuckerberg è l’uomo più potente del mondo e condivide questo potere con pochi altri boss delle tech companies che, a un solo tasto di invio, potrebbero annullare intere nazioni. Sto parlando, per esempio di un Jeff Bezos o di un Sundar Pichai.

Troppo potere per uno

Ecco pensa a quest’ultimo: se l’amministratore delegato di Google decidesse di far sparire tutto quello che è italiano da big G il nostro paese subirebbe un tracollo del sistema economico. Si sposterebbero punti di pil in pochi minuti. Oppure pensate se Amazon vietasse a tutte le aziende italiane di vendere sul suo store online. Non è tollerabile. Non è tollerabile che Marchino sia lo zar della nostra privacy, il padrone dei nostri desideri. Non è possibile che un uomo solo, il quale ha potere di decisione sugli algoritmi del suo social network, abbia la facoltà di controllare la comunicazione dell’80% dell’umanità connessa a un social network o a un instant messenger (ti ricordo che anche Instagram e Whatsapp sono suoi). Non è possibile che possa condizionare l’elezione di un Presidente (e i più pensano che voglia candidarsi… a esserlo). Per questo vanno riscritte le regole del web e Tortoise ha anche cercato di far capire come. Ecco qui l’articolo, grazie al quale ho scoperto l’analisi di Hughes che si auspica di rompere Facebook per diminuire l’enorme potere acquisito.

Si parla di Domination…

Proprio nell’anno peggiore del Social, il 2018, Hughes osserva che la company ha avuto i guadagni migliori da tempo a questa parte. Strano, vero? Neanche tanto, visto che i casi della storia hanno mostrato che la visione di Facebook (“Essere internet per connettere”) si sta dimostrando vera. Non trasparente, non democratica. Il tutto sotto i nostri occhi rincoglioniti dai meme e dai gattini… o dai Salvini. Non ci stiamo accorgendo che la strategia di Domination del mercato è riuscita con il silenzio assenso delle società americane e di quelle europee che non hanno saputo far fronte alla marea di Faccialibro. La concentrazione di potere nelle mani di poche persone sta destabilizzando l’ordine sociale e non lo dico io, ma Hughes stesso e molti altri. Anche Marco Montemagno.

Facebook domina, ma non risponde.

Il nostro caro Zuck, quindi, domina, ma non risponde. Nessuno si permette di pressare oltre il lecito questo mostro tentacolare che sta diventando strumento con cui il populismo digitale sta prendendo possesso del nostro ordine sociale. Noi utenti continuiamo imperterriti a usarlo come Facebook vuole che noi lo si usi. Luogo dell’interazione reale e della condivisione di valore? No. Discarica della frustrazione e mezzo per lo sdoganamento di qualsiasi opinione o di qualsiasi percezione della realtà? Sì. Nel momento in cui, però, Facebook si rende correo della manipolazione del consenso, non rende conto alle autorità del suo operato. Ne ho avuto prova quando ho scritto questo articolo per il mio blog personale Sharingdaddy e quando ho letto il discorso della giornalista Carol Cadvalladr al Ted Vancouver sull’influenza di Facebook sul referendum della Brexit. Eccolo.

Parola per parola, il formidabile discorso della giornalista che ha inchiodato Facebook

Al TED di Vancouver Carole Cadwalladr, la cronista dell’Observer che ha scoperchiato lo scandalo di Cambridge Analityca (e che è stata bannata a vita da Facebook per questo), ha spiegato come i social hanno influito sulla Brexit. E come stanno facendo del male alle democrazie di tutto il mondo

Non ci resta che fare mobile journalism su Facebook

Sono convinto che il ruolo dei social network nella cultura della mobile content creation e della media economy sia determinante. I social e il mojo sono come due facce della stessa medaglia, come dicono Bradshaw e Hill nel loro “Mobile First Journalism“, vera bibbia del giornalismo in mobilità. Sono altresì convinto che questa situazione tragica nella quale ci sta facendo precipitare Facebook, il cadere in una domination di chi possiede tutti i nostri dati, ma non vede altri leggi che quella di un sempre più sorprendente profitto (a nostre spese, visto che i prodotti venduti siamo noi, non sia una cosa di cui ci siamo resi conto.

Che arma ho in mano per ribaltare questa tragica discesa nel paese del controllo e del consenso pilotati? Il mio telefono, il coltellino svizzero multimediale con il quale posso invertire la direzione dei messaggi dal mondo a me in senso contrario. Per esempio producendo del vero giornalismo sui social, mezzo nel quale i miei colleghi si distinguono in una cosa soltanto: nello sparare la loro opinione.

Il virus per l’algoritmo.

Fare giornalismo sulla piattaforma di Menlo Park, smettendo di considerarla un driver di traffico e basta, potrebbe essere un virus per l’algoritmo in grado di far rivedere a Zuckerberg questo suo comportamento che, prima o poi, avrà una fine. Di due tipi: o il suo piano riuscirà o qualcuno lo porterà in galera. Se il suo piano riuscisse, io, tu e i nostri figli avremmo problemi molto seri.

Però la provocazione di alzare il tasso di qualità dei post e degli articoli che vedi scorrere sulla tua bacheca è uno dei modi più efficaci di corrompere il bias di Facebook e per ampliare le tue cerchie e quindi i tuoi confini social. Il giornalismo che potresti fare tu sul tuo account o sulla tua fanpage è una delle poche cose che potrebbe ribaltare la situazione e far uscire allo scoperto le magagne, specialmente se corroborate da una connivenza dell’infrastruttura americana. Pensaci, prima che sia troppo tarti.


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