Mobile journalism è anche questione di pubblico.
Una volta il giornalista, di qualsiasi medium, scriveva una notizia e aveva risolto. Se era un buon lavoro, se aveva i giusti criteri, il nostro era a posto. Bastava così. Oggi no. Il producer di contenuti, se vuole avere più peso quando vende, in un mercato devastato come quello del giornalismo, deve coltivarsi un pubblico, sia personale, sia sul prodotto che vuole vendere.
Apro una parentesi e racconto subito un caso. E’ quello del collega Goffredo D’Onofrio, giornalista che ha un’agenzia che puoi trovare qui e che, all’inizio di gennaio, ha tenuto una lezione per un corso di formazione professionale sulla creazione di comunità e di pubblico, quindi di interesse, attorno a un prodotto visivo realizzato da lui. Prima di raccontarne i concetti, gentilmente concessi dallo stesso Goffredo a questo blog, preciso che quando ha parlato della necessità di seguire i prodotti realizzati con un lavoro via social di creazione del pubblico è stato subissato di critiche dagli astanti.
Della difesa non c’era bisogno
A colpi di deontologia e di puritanesimo, Goffredo è stato criticato in pubblico, al culmine di una sua prolusione che ho considerato come uno dei momenti in cui ho imparato di più sul futuro di questa professione negli ultimi tempi. Ho guardato, basito, la scena, evitando di difenderlo perché non ne aveva assoluto bisogno: le sue argomentazioni e la sua professionalità erano talmente chiare….
Eppure i paludati giornalisti che erano lì, indignati dalla possibilità di doversi sbattere a cercare un consenso e un pubblico, hanno berciato sacre motivazioni recitando la parte dei puri di cuore, di quelli che non si sporcano le mani. Forse seduti sul comodo scranno di un contratto, hanno proprio rappresentato davanti a me la categoria che balla nella sala delle feste del Titanic, mentre la barca va dritta verso l’iceberg. Quella scena mi ha dato la motivazione di scrivere questo post e di fare questo video che vedi qui sotto, incentrato proprio sul caso vissuto e raccontato da D’Onofrio.
Sul caso del documentario “Una storia Semplice”, del quale puoi vedere il trailer qui, D’Onofrio, prima di essere interrotto dai dinosauri, ha tenuto una lezione cui ho partecipato e che raccontava il lavoro di community management che aveva svolto, con i colleghi, per creare interesse attorno al lavoro che stava facendo.
Un lavoro complicato e verticale, che è andato a intercettare, concetto per concetto, le comunità che potevano essere interessate al lavoro, aumentando di fatto l’autorevolezza dello stesso e creando una curiosità tale, attorno al fenomeno, da risultare di interesse per molti mezzi di comunicazione. Non conosco la fine di questo prodotto sotto il profilo economico, ma sono assolutamente convinto che l’agenzia di Goffredo abbia tratto cospicui e meritati vantaggi economici diretti e indiretti dal lavoro di creazione del pubblico. Pensando di farti cosa gradita ti metto qui il link della presentazione di Goffredo, invitandoti a studiarla e a leggere anche questo link dal sito della sua agenzia.
[012017] Odg_pdf [012017] Odg_pdf
Un documento da studiare per il quale ringrazio il collega. La creazione di un pubblico per un prodotto è un must per chi voglia aumentare l’autorevolezza e l’appeal economico del proprio lavoro. Una volta creato il coinvolgimento, infatti, sarà possibile, per il producer, vantare due possibili imputazioni di pagamento per il proprio lavoro. Potrà essere venduto, infatti, il proprio sforzo realizzativo, ma anche il proprio pubblico. Un pubblico che, tranquillamente, si può creare lavorando con lo smartphone. E’ il mojo, bellezza.
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