Sta arrivando il nuovo anno: il mobile journalism deve ancora crescere.
Ultime ore del 2018, è tempo di bilanci. L’anno appena passato è stato quello del consolidamento, anche in Italia, del mobile journalism come una cultura completa della mia professione. Con l’aiuto di tante componenti sono riuscito a far approdare, assieme al collega Nico Piro, il mojo nelle scuole di giornalismo e negli atenei. Era la cosa più importante da fare, affinché il mondo della professione giornalistica italiano non continuasse a considerare la creazione di contenuti con device mobili come un giochino o come qualcosa di amatoriale. In tanti, eventi, corsi, workshop, in tante lezioni, con tanti studenti, ho potuto mostrare che il mojo è una cultura completa delle professioni visuali della comunicazione. Da quest’anno nessuno, in Italia, può sottostimarla più. Però il mobile journalism deve ancora crescere e deve diventare popolare come forma di cultura, per poter dire che la missione è completa. Quindi, dai, c’è ancora molta strada da fare. Andiamo che ti racconto cosa succederà nel 2019.
I video a 360°: non siamo pronti, ma…
Nel 2019 non vedremo fiorire i video a 360°, anche se in molti scommettono ogni anno su questo tipo di contenuto che è molto… mobile. Prendo questo tipo di contenuti come simbolo di un problema che avviene in più di un settore del mobile journalism e della mobile content creation. I video immersivi sono di difficile realizzazione e hanno un linguaggio nel quale il nostro occhio non è ancora entrato. Tuttavia sono impattanti, choccanti, emozionanti: attirano, insomma. Per questo si è mosso molto il mercato dell’hardware regalandoci degli strumenti come le telecamere Insta 360 che sono tanto performanti quanto pericolose. Il motivo? La tecnologica che contengono è elevatissima, ma se ti capita di rompere una lente sono guai. Per questo e altri motivi dico che la tecnologia che serve per produrre questi contenuti è ancora a costi altissimi e la tecnologia per vederli (i visori come Oculus) non è popolare (ed è costosa pure lei).
La tecnologia mojo costa ancora troppo: il caso Osmo Pocket
Continuo su questo binario: la tecnologia costa ancora troppo ed è troppo votata a stupire. Metto in piazza il caso della Osmo Pocket, microcamera stabilizzata della Dji Global. Fa fare, a mano nuda, video meravigliosi come quello qui sotto.
Questo oggetto evoca molte potenzialità, ma ha dei difetti enormi. Non ha una batteria sostituibile (ma come è possibile???) e l’interfaccia con strumenti di acquisizione audio e tutt’altro che scontata. Poi qualsiasi accessorio è molto costoso e porta la piena potenzialità di questa macchina sopra i 500 euro, senza la possibilità di cambiarne il cuore se si ferma… Non va bene. Spero che i brand che realizzano hardware che il giornalismo mobile usa la smettano di fare finta che il mojo non c’è e che ci sono solo consumatori “drogabili” e YouTuber dal facile montaggio lineare. Più in su del consumatore, più in su dello YouTuber e poco più in giù del videomaker o giornalista classico, ci sono migliaia di mobile journalist che lavorano ogni giorno in organizzazioni media e avrebbero bisogno di questi strumenti con alcuni piccoli, ma fondamentali aggiustamenti. Spero che la community continui a bussare alle porte di queste aziende chiedendo l’attenzione che merita. In fondo le aziende ci guadagnerebbero…
Lo smartphone si piega (e sta morendo)
Quando ho visto l’ultimo Samsung con quattro camere me lo sono chiesto subito. Cosa diavolo servono 4 camere su uno smartphone?
Nel 2019 andrò in giro chiedendomi perché il cellulare deve diventare pieghevole. Sono convinto che presto lo smartphone morirà, ma spero si trasformi molto presto in qualcosa di wearable, non in qualcosa davanti al quale essere costretti alla stessa posizione ferma e rannicchiata cui ci sta costringendo in questo periodo. Se si allargano gli schermi, magari con la scusa che si possono piegare, sarà molto difficile veder migliorare l’hardware di ripresa e veder cambiare i linguaggi del mobile journalism in un modo definitivamente lontano dalla tv.
Sarà l’anno dell’audio
Instamic, Memory Mic e Mikme, l’ultimo arrivato in casa mia. Poi le Ambeo Smart Headset e magari altri prodotti che non conosco. Il 2019 sarà, indubbiamente l’anno in cui i microfoni wireless e i set per l’acquisizione spaziale dell’audio cambieranno il modo di “prendere” il suono e di inserirlo in un racconto. Sono strumenti che danno una libertà assoluta al videomaker quando opera, sono strumenti che trasformano le interviste rendendo importante quello che l’intervistato dice quando risponde a domande, ma anche quello che dice liberamente mentre il microfono è aperto. Sono strumenti che possono cambiare la narrativa, far sentire cose che si potevano solo far vedere fino a questo momento. Anche il semplice test che ho caricato su Facebook con le Ambeo è un “manifesto” di potenzialità enormi su quello che l’audio, grazie a questi strumenti, potrà fare con il video.
Sarà l’anno di Android (grazie a Adobe Premiere Rush)
Nel 2019 ci saranno importanti cambiamenti nel mondo del montaggio su smartphone e tablet. Mi riferisco al fatto che la Adobe lancerà la versione per Android del suo Premiere Rush e abbatterà per prima i confini di qualsiasi barriera. Voglio dire che, da quel momento in poi, con un programma di editing che va molto migliorato (anche qui la company americana spero segua meno le bizze degli YouTuber e ascolti di più i mojoer), sarà possibile lavorare su un pc, continuare su un iPhone, rifinire su un iPad e concludere su un cellulare Android il lavoro su un video. Credo di non passare per matto se ci vedo una svolta storica e una grande possibilità che il mobile journalism, visto questo programma che “unifica” i diversi mondi (pc-Mac, Android-iOS), diventi finalmente appetibile al pubblico degli editori che potrebbero, grazie a questa novità, cambiare i flussi di lavoro delle loro redazioni. Sono, peraltro, sicuro che Apple si inventerà qualcosa (il Final Cut per iPad e iPhone), che Luma Fusion uscirà per Android e che Alight Motion uscirà per iOS. Un circo che i regalerà nuove esperienze e molti vantaggi nel lavoro.
Diamo il mojo in mano agli editori
La sfida del 2019 è far capire agli editori italiani che il mobile journalism non è “fai le cose col telefonino”, ma è una vera cultura. La quale potrebbe creare nuovi media e non solo siti online come Open che di mobile hanno solo la possibilità di scegliere come leggere le notizie e non certo un modello di business sostenibile. Se comprendessero i signori editori che questo è un linguaggio, un modo di lavorare che può produrre nuovi format e perfino nuovi modi di guadagnare soldi, beh, forse cambierebbe qualcosa nell’esanime mondo dei media, specialmente italiani. Il compito mio è quello di cominciare a far capire a chi edita giornali e siti quali siano i vantaggi (anche di costi) dell’impostare il lavoro con le tecniche del mobile journalism, sperando di trovare interlocutori. Io ci provo e ci proverò in un modo nuovo, raccontando anche tramite le immagini tutte le caratteristiche del mojo che possono interessare gli editori
Il mobile journalism anche tra la gente
Non contento lo farò anche per la gente. Già, “più mojo per tutti” è una missione che voglio portare a termine. Lo farò completando finalmente il mio libro (che l’editore Dario Flaccovio aspetta da tempo e con il quale mi scuso pubblicamente) e creando una serie di contenuti ad Hoc, specialmente sulla piattaforma Patreon di MojoDays, i quali spero raggiungano l’obiettivo della popolarizzazione del mobile journalism. Il mojo, infatti, può cambiare la vita e la carriera di tutti. Anche la tua.
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