Razzismo digitale: dobbiamo parlarne

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Il razzismo sta assumendo nuove forme e sta dilagando in nuovi luoghi. Come questo.

Si, parlo di questo qui… parlo del web. Specialmente in questo periodo, specialmente in Italia, di razzismo dobbiamo parlare e dobbiamo farlo senza remore. Il contesto nel quale viviamo è diventato molto più “violento” e aggressivo contro chi si esprime fuori dalla logica dominante e ha anche aperto le porte alla creazione di differenze sociali sempre più ampie e sempre più evidenti, soprattutto in ambito digitale. Differenze di partenza, differenze che creano nuovi tipi di razzismo.

Per questo motivo, guardando cosa il Governo e il Parlamento stanno facendo alle libertà di questo paese e comprendendo bene che siamo in una situazione di allarme, ho deciso di alzarmi in piedi e dirti che dobbiamo parlare di tutte quelle situazioni delle quali quasi nemmeno ci accorgiamo e che stiamo lasciando andare in modo inconsapevole. Si tratta di fatti, accadimenti, ma anche di omissioni o silenzi che stanno sezionando in maniera chirurgica la società a seconda delle possibilità di accesso e di uso di internet, della tecnologia, del digitale, del web, dei social e, ultima ma forse più importante di tutto, dell’Intelligenza Artificiale.

Le differenze che creano razzismo

In questa riflessione ti parlo di razzismo digitale, ma lo faccio senza riferirmi a episodi singoli che lo evidenziano. Il problema della società iperconnessa che si sta creando non lo dobbiamo solo vedere quando guardiamo il fatto singolo di matrice razzista. Dobbiamo imparare a considerare le differenze di partenza tra le persone che creano distanze che non sono solo dettate dal diverso potere economico di un umano rispetto a un altro. Dobbiamo capire ora che ci sono disfunzioni genetiche della nostra società e della nostra economia che creano umani che hanno una differente possibilità di esprimersi e di evolvere attraverso la tecnologia e lo fanno… di partenza. Per questo si creano esclusioni, per questo si crea diversità, per questo si crea razzismo.

Le infrastrutture e il luogo che ti frega per la vita

Nel nostro paese c’è una situazione di gravi differenze per quanto riguarda l’accesso a Internet. Uno che nasce a Pila, in Val Sesia, provincia di Vercelli, per esempio, non ha anche oggi, nel 2023, la stessa rete, la stessa velocità di dati in “upload”, in caricamento, di uno che vive in centro a Milano. Quindi significa che è più lento nell’accesso ai servizi, all’amministrazione, al lavoro, allo scambio di dati e alle possibilità tecnologiche che sono, invece, a portata di mano di un milanese.

Un tempo erano le differenze economiche e politiche, insomma, a creare umani di “razze” diverse e di dignità diverse. Adesso ci sono anche le differenze digitali.

A scuola, in tutte le scuole d’Italia, abbiamo visto con chiarezza le differenze di approccio al collegamento web quando i nostri ragazzi-bambini facevano la DAD, la mitica Didattica a Distanza. Per motivi di reddito, di costi, di opportunità, un’intera parte della società italiana non aveva al tempo del covid e ancora oggi non possiede dotazioni tecniche in casa che permettano di avere un approccio corretto e sufficientemente veloce al web. Per studiare, per conoscere, per acquistare, per avere servizi, per lavorare, per evolvere.

Il silenzio è razzista

Il tutto si svolge nell’ambito di un mercato delle linee internet e delle connessioni che è un cartello, che ha prezzi simili e alti e che beneficia dei voucher come cerotto buono per guarire uno sbudellato. Se la fibra non c’è, se le infrastrutture sono in mano a un monopolista, se la velocità è “x” a Pila e “10 volte x” a Milano, se le istituzioni non si prendono carico della necessità di parificare l’approccio alla rete e di garantirlo a tutti come un più che giusto diritto costituzionale, beh, allora dico che il silenzio del Governo attuale e di quelli precedenti è razzista. Perché? Perché esclude e crea diversità, in partenza, solo perché nasci in una valle montana, anziché nella pianura Padana (e non voglio allargare il discorso).

I social son per ricchi

I social network sono luoghi digitali che stanno cambiando con grande rapidità e che ci hanno fatto vivere una distorsione della realtà durata più o meno una ventina d’anni. Ora sono diventati posti virtuali molto diversi dal passato, ma non te ne sei nemmeno accorto, ci scommetto. Terminata la fase d’oro del furto continuo dei dati a nostro danno per fornirci la più stronza e invasiva forma di pubblicità della storia umana, ora le reti di connessione sociale sono servizi che devi pagare se vuoi continuare a usare in modo completo, ma la cosa non si ferma qui.

Tanto per parlare di differenze che creano razzismo, se paghi il servizio (il Twitter Blue o il Meta Verified) hai maggiori possibilità di vedere quello che vuoi, di avere più contenuti, di non vedere più la pubblicità, di avere un supporto dedicato. Si, hai capito bene, se ci paghi ti assistiamo, se non ci paghi no…

Traggo un altro esempio per farti comprendere come anche i social network stanno facendo differenze di razza. Se paghi Twitter Blue puoi vedere fino a qualche migliaio di Tweet al giorno. Se non lo paghi ne vedi 600.

Dobbiamo cambiare punto di vista sui social

Dobbiamo cercare di comprendere alcune cose che ritengo importanti per cambiare approccio ai social network, ma bisogna anche riflettere sul fatto che queste gigantesche reti di connessione tra umani hanno completamente trasceso la logica di un semplice prodotto (insomma Facebook non è una maglietta della Adidas che compri al negozio) e sono diventati strumenti di grande impatto sociale.

Pensare a soluzioni per ottemperare a una giustizia sociale e per salvare le leggi di mercato che vogliono le aziende orientate al profitto non è il mio mestiere, ma quello di chi governa. Io sto solo indicando il problema con il dito: ora, sui social, ci sono i ricchi che pagano e hanno in cambio visibilità, contenuti, servizi. Poi ci sono i poveri che guardano dentro le vetrate del bel mondo e fanno l’alone di alito sul vetro.

Concetti sparsi che concimano il razzismo

Metto in fila alcune cose. Hai notato che, quando parlavo della rete, parlavo di velocità di upload e non di download? Ti spiego perché tutti parlano di download, ma è l’upload l’unico valore importante per l’utente. Il download o scaricamento dei dati è necessario se tu vuoi fruire di un contenuto, quindi se hai un approccio passivo al web e a quello che c’è dentro: guardi, ascolti, leggi, senti (e paghi). Il caricamento di dati è importante, invece, per te: se sei un lavoratore digitale e fai un video da un giga, beh, è determinante per te poter mandare quel giga di video in pochi secondi anziché in 10 minuti. Se devi lavorare col web devi avere potenza del segnale di rete quanto carichi dati, non quando scarichi…

Ecco: e perché nessuno ne parla e lo mette come priorità nei suoi servizi?

Le bolle che creano razzismo

Seconda cosetta sparsa: se i social network sono diventati il posto che ho descritto nel paragrafo precedente, sai cosa succede? Succede che vedi sempre meno contatti, amici e li vedi sempre più simili a te e ai tuoi interessi. Per essere chiari: le bolle, le camere social nelle quali siamo chiusi sono una delle maggiori cause delle manifestazioni del razzismo digitale. Se il fascista o il razzista è contornato dai suoi simili che gonfiano ulteriormente il suo ego, sarà ancora più facile che questo crei testi, video, foto che contengono messaggi fascisti o razzisti visto che attorno a lui ci sarà sempre di più gentaglia che risponde solo ai suoi modi di vedere il mondo.

Terza constatazione: negli ultimi tempi c’è stato un caso che ha creato, diciamo, una divisione netta tra “chi può e chi non può” ed è quello di Threads, nuova applicazione di Meta lanciata un po’ dappertutto, ma non nei paesi europei (e per certi versi mi viene da dire per fortuna). Ecco la questione riassunta in un video del canale YouTube di Algoritmo Umano.

Il video sulla questione Threads sul mio canale YouTube.

Social network: ora l’America ci evita

Con il caso Threads è successo qualcosa che non era mai successo prima. Per la prima volta una app non è stata nemmeno rilasciata in un’area del mondo e la decisione è stata presa a priori. Ok, a causa delle leggi europee sulla protezione dei dati personali (e questa è una grande cosa, te lo assicuro), ma ha comunque creato una deliberata distinzione tra paesi che potevano toccare con mano la novità tecnologica e paesi che non lo potevano fare.

Questa americanocentricità della tecnologia è davvero inquietante per tutto l’approccio al web, ai social, alle innovazioni. Per non parlare del monopolio mondiale della ricerca sul web di un’azienda sola che, se volesse, potrebbe cancellare interi paesi dalla faccia della terra in un’istante. Si parlo di un giorno ipotetico nel quale un capoccia di Google si sveglia e dice: cancelliamo l’Italia dai nostri server. Cosa succederebbe?

Il mondo dell’intelligenza artificiale e il razzismo digitale

Anche il mondo della AI ha vissuto la stessa cosa, almeno per quanto riguarda l’Italia, successa con i social network quando è uscito Threads. Per molti mesi Bard, il Large Language Model di Google, non era utilizzabile nel nostro paese. Decisione anche in questo caso presa a priori da Google per il problemi di rapporto tra queste piattaforme (che gestiscono assai allegramente i dati) e le nostre ottime legge sulla privacy. Ora si presenta così:

Quello che devo notare, dopo averti raccontato questo caso, è che stiamo assistendo ad alcuni processi, nel mondo della AI, che creano i presupposti per delle importanti conseguenze di tipo razzista. Non mettere il mondo connesso alla pari facendo accedere contemporaneamente tutti gli umani internauti a un innovazione avrà anche i suoi giustificati motivi, ma crea differenze. Le quali si aggiungono alle differenze sociali ed economiche che ci sono già e che spingono da molto tempo lontano dal mondo digitale che stiamo creano un umano che ha la sola colpa di nascere a Ouagadougou e non a Milano.

Il mondo delle aziende AI, il peggio del peggio

Oltretutto il mondo dell’AI, o meglio delle aziende AI, è quanto di peggio possa esprimere la tecnologia per quanto riguarda la creazione dei presupposti del razzismo digitale. Lo dico chiaro: le varie fondazioni o aziende che hanno iniziato la corsa modello Far West alle nuove ricchezze derivanti da questa tecnologia non hanno fatto capire praticamente nulla agli internauti e agli utenti.

Ci hanno solo resi fruitori passivi di queste tecnologie e utenti paganti. Insomma ci hanno messo subito le mani nel portafoglio promettendoci grandi cose o impaurendoci con potenti pericoli, ma senza costruire cultura, dare un approccio, fornire indicazioni non solo operative, ma anche etiche. Il prodromo più classico del razzismo.

Come se non bastasse, poi, gli LLM come Chat Gpt o Bard si riforniscono con scarsa attenzione quando ti generano i contenuti attingendo ad algoritmi predittivi e probabilistici (quindi non intelligenti). Sto parlando del fatto che violentano il materiale altrui protetto dai diritti d’autore e si alimentano con testi e fonti che sono ancora piede d’odio, come afferma Wired in questo pezzo di qualche tempo fa.

Il razzismo tecnologico esiste e va fermato

Magari questa lunga riflessione sul razzismo tecnologico e digitale ti potrà essere sembrata incoerente. Tuttavia queste considerazioni cominciano a fare un quadro sempre più chiaro di quello che sta succedendo e di quello che stiamo subendo senza accorgerci di nulla, beatamente ignoranti. Fino a quando non protesteremo per l’infrastruttura di rete che in Italia non va ed è presa di un cartello di aziende che orientano il mercato a piacimento, fino a quando abboccheremo a stupidaggini come il 5G (ancora oggi il 5G è un bluff e un miraggio che viene pagato dagli utenti), fino a quando non rifletteremo il da farsi sul mondo dei social e della tecnologia, fino a quando non faremo chiarezza e cultura sulla AI e sul suo corretto uso, allora saremo preda del razzismo digitale e delle disuguaglianze che crea. E te lo dico: saranno benzina sul fuoco delle disuguaglianze sociali che già esistono.

Io il mio l’ho detto, ora è il tuo turno. Che fai, agisci?

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