Mobile journalism: il kit pronto per l’uso (con filosofia)

Mobile journalism

Il Mobile journalism ci deve stare addosso.

Vedo crescere anche attorno a me l’interesse per il mobile journalism, allora comincio con questo post a entrare nello specifico. Vuoi sapere qual è il kit perfetto per il mobile journalist? Ecco alcune informazioni necessarie a orientarsi nel  mobile partendo dai “ferri del mestiere”.

Mobile journalism: ecco il pezzo determinante, l'iphone
Mobile journalism: ecco il pezzo determinante, l'iphone Mobile journalism: ecco il pezzo determinante, l’iphone

Faccio una premessa: ognuno ha il suo kit, ognuno ha la sua maniera di essere mojo. Per “salvarmi” dalla partigianeria, per lasciare aperta ogni strada, passo l’incombenza di darti le dritte necessarie all’allestimento del miglior kit possibile per il mobile journalism al mio “filosofo” di riferimento. Sto parlando del giornalista australiano Ivo Burum, di cui ho già parlato in questo articolo qui e che rappresenta per me il massimo della sintesi accademica del mojo.

E’ un trainer e un produttore multimediale di Brisbane che ha realizzato documentari con la sola forza delle device mobili, ma è anche colui che ha messo su carta nella maniera migliore l’intera filosofia di questo orientamento professionale che, a livello internazionale, sta godendo di crescente successo.

Alcune cose su Ivo le puoi trovare qui, mentre il suo Kit 101 lo puoi vedere svelato nel video qui sotto.

Il punto di partenza? Ognuno ha il suo

Questo è un punto di partenza ed è piuttosto datato, ma quello che ti consiglio è crearti un modo di stare informato e capire, sviluppando anche un budget di investimento di partenza, quale sia il tuo vero obiettivo da mojo. Se vendi news, magari hai bisogno di ottimi microfoni e te ne freghi del treppiede, hai bisogno di un gimbal (qui nel video non c’è) ma potresti fare a meno delle lenti aggiuntive. Ogni mojo ha il suo kit vuol dire questo: non esiste un manuale delle Giovani Marmotte su come si debba allestire la perfetta borsa degli strumenti. Tutto dipende da chi sei, che lavoro fai, cosa vendi per campare da mojo freelance.

Burum, infatti,  nei suoi scritti, parla di filosofia raccontando i segreti del mobile journalism. Certo, se lo può permettere, essendo un innovatore di livello mondiale, ma indica una strada che è chiarissima per arrivare al risultato cui vuoi arrivare tu: camparci. Già, perché in molti sparano stronzate sul mojo, ma in pochi ti dicono come camparci. Qualche volta mi stupisco di come colleghi mi vengano vicino a chiedermi cosa uso per interviste doppie, quale microfono mezzo fucile  ho comprato o come faccio editing dei miei pezzi. Beh: è tutto sul web. Segui questo blog e ti dirò tutto, senza freni e senza remore.

La differenza sta nel pensiero

La differenza è nel pensiero e Burum, in questo video, ti dà alcuni consigli che fanno capire quasi tutto. Se sei un mojo non c’entra il cellulare che hai in mano, c’entra come pensi il pezzo che devi fare per restare, proprio grazie al cellulare, quattro passi avanti agli altri che stanno accendendo le telecamere quando tu hai finito. Ecco le domande che fa Burum e, quindi, quelle che ti devi fare tu.

Non ti basta? Ti aggiungo un altro elemento video di valutazione, mettendoti a disposizione una chiacchierata sull’argomento di Glen Mulcahy, specialista di livello mondiale della materia e fondatore di Mojocon. L’ex RTE parla di attitudine e ha ragione da vendere. Credevi di venire su questo post a fare la lista delle cose da comprare per diventare un mojo? Beh, sbagliato. Sei tu che devi dirti, prima di tutto, voglio essere un mojo e poi farlo con qualsiasi cosa. In Italia siamo a uno stato di disperazione tale, sull’argomento, che non ho più nemmeno le lacrime per piangere. Su argomenti come le tools, i modi di lavorare, le dirette facebook, eccetera, ci sono discreti interpreti e alcune buone voci, ma non ne ho ancora trovata una che ti dica “come camparci” in un panorama che vede i mojo come fumo negli occhi.

Glen Mulcahy, the king of mojo.

Progetti didattici e nuove frontiere.

Ho ricevuto nei giorni scorsi i primi contatti da colleghi interessati all’argomento e le prime provocazioni sulla possibilità di fare corsi in Italia sul mojo. Ho subito risposto in modo affermativo, ma ti anticipo che ho anche iniziato a percorrere una via accademica per lo sviluppo di questa cultura. Il mojo dovrebbe andare dritto nelle scuole di giornalismo, per esempio per questa ragione che si può leggere in questo articolo di glen. Il 2021 è dietro l’angolo, volevo dirtelo dopo che hai letto questo pezzo. Ebbene, le risposte delle istituzioni giornalistiche sono state tutt’altro che lusinghiere (mi riferisco all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia che non ha ancora risposto alle mie sollecitazioni datate settembre). Diverso l’atteggiamento avuto da un istituto universitario molto all’avanguardia. Per adesso non ti rivelo di cosa si tratta.

Nel frattempo ho deciso di muovermi da solo e sviluppare  un progetto didattico che porterò all’attenzione degli attori che lo possano far fruttare. Voglio, però, coinvolgerti. Vorresti un corso avanzato, specifico, multimediale, sul mobile journalism, sui suoi tools sì, ma anche e soprattutto sui suoi linguaggi produttivi, sul brand personale, sulla creazione di un pubblico e sui suoi modi di essere venduto per creare ricchezza? Se la risposta è si, fatti sentire: contattami, scrivimi, chiedimi l’amicizia. Il mio primo passo è creare un gruppo sull’Italian way of mojo. Vediamo dove arriva questo viaggio.


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