Autore: Francesco Facchini

  • Il proverbio dell’Elefante

    Il proverbio dell’Elefante

    C’è un proverbio che mi sorregge in periodi come questo.

    Un proverbiò africano, almeno stando a quello che so. Fa può o meno così: “Come si mangia un elefante? Si mangia un pezzetto alla volta“. Si tratta di un aforisma cui mi attacco molto spesso, specialmente in periodi come questo. Mi riferisco a periodi in cui alle necessità e alle problematiche della vita di tutti i giorni, si sommano quelle del lavoro e delle iniziative che porti avanti.

    Spacchettare un problema

    Ci sono tanti, troppi tavoli sui quali dobbiamo giocare quello che siamo e quello che vogliamo ottenere. Posso riassumerli così: il primo è quello della comprensione della realtà, il secondo quello della sua interpretazione, il terzo quello dell’azione. Spesso si alternano sulla tua strada momenti in cui questi piani arrivano a toccarti tutti insieme con momenti in cui tutto sembra lontano e il tuo passo rallenta.

    Quando tutto sembra arrivare allo stesso momento inizia la confusione. Allora diventa prioritario spacchettare i problemi, dividerli in pezzi, in passaggi, in step. Chiamali come vuoi tu. Insomma, se devi mangiare un elefante, fallo a pezzi.

    Ritrovare la calma

    Se i problemi non vengono guardati nell’insieme, ma sezionati, probabilmente ti accorgerai che diminuisce l’ansia rispetto alla loro risoluzione. Un artificio difficile da realizzare, ma dagli effetti benefici incontrovertibili. Insomma, pensa a un viaggio. Spero quando prepari un viaggio i timori prima della partenza ci sono. Poi inizia la strada e hai due metodi: o guardi alla destinazione, o guardi al viaggio. Se ti godi il secondo, di solito, provi piacere a ogni fermata del treno, a ogni ristoro in autogrill, a ogni fermata. I

    Il proverbio africano che ti ho girato ha lo stesso senso. Pensare a qualche tonnellata di elefante davanti a te, da mangiare, è un pensiero inquietante. La prima cosa che pensi è che non ce la farai. Se ti incastri a pensare alla destinazione, non ti godrai il viaggio. Se i tuoi problemi, invece, vengono divisi per passi, non ti mancherà l’idea che l’affanno diminuisce e la concentrazione aumenta.

    Un ultimo piccolo suggerimento

    Mi resta da darti un ultimo suggerimento. Quando adotti il proverbio africano dell’elefante non ti dimenticare di porre l’attenzione sui passi avanti che fai, dimenticandoti praticamente di quello che hai davanti. Insomma, pezzetto dopo pezzetto, ricordati di pensare sempre quanto del problema-elefante sei riuscito a mangiare. Non quanto ti resta da mangiare.

  • Learning by doing, imparare facendo

    Learning by doing, imparare facendo

    Learning by doing, un concetto interessante.

    Sono alcuni giorni che ci penso su e voglio parlartene. Quando lavoro e incontro clienti e studenti ricevo tutte le volte dei segnali chiari: non manca solo la cultura digitale della quale abbiamo bisogno come il pane, manca anche l’atteggiamento mentale. Il learning by doing è il segreto per cambiarlo.

    La risposta allo smarrimento: learning by doing

    Quante volte ti sei trovato davanti un app nuova o un software da imparare per svolgere quel progetto che ti ha dato il capo o il professore oppure per arrivare al risultato che ti sei prefisso? Probabilmente molte. In momenti come quello la tentazione è di cedere allo smarrimento perché non sai come fare o perché è troppo difficile farlo, almeno a prima vista. Magari hai anche una certa età e sei stufo di fare cose nuove. Lo capisco. Ecco la prima cosa che devi combattere è la resistenza al cambiamento, la seconda che devi… imparare a imparare facendo.

    Il grande “risponditore” di tutte le domande

    Si dice risponditore? Ho controllato su Google e ho trovato la risposta: si! Allora il primo elemento che hai per entrare nel mondo del learning by doing è che non sei solo e che hai a disposizione il grande risponditore di tutte le domande. Già, parlo proprio di Google o dei motori di ricerca cui puoi fare le domande che ti assillano o cui puoi chiedere come si fanno le cose che devi fare. Sì, anche come si usa una app che non sai usare.

    Io ho iniziato da lì. E ho iniziato dalla lettura. Di libri, articoli, post (di fonti autorevoli o esperti veri) che sapevano fare le cose che mi serviva saper fare. Poi ho scremato le opportunità. Mi spiego: quando hai davanti un applicativo di qualsiasi genere per fare una cosa (app o software che sia) ricordati di capire, anche segnando banalmente il numero di passaggi che ti fa fare per operare, se ti facilita o ti complica la vita. Se è la seconda butta via, subito. Non hai tempo da perdere.

    L’insegnamento del learning by doing

    L’insegnamento dell’ imparare facendo (scusa ‘sto gioco di parole) è formidabile. Ti insegna a cambiare idea. Lo fa quando, come ho detto prima, ti fa cambiare applicativo se quello che hai davanti non risponde alle tue esigenze. Lo fa anche quando, anche se usi una app da tempo con buoni risultati, coltivando la tua curiosità ne trovi una migliore.

    Il learning by doing è anche un allenamento per imparare a spacchettare i problemi. Uno dei miei proverbi preferiti è un aforisma che dice “Sai come si mangia un elefante? A pezzettini”. Ecco, quando devi imparare a fare qualcosa con una app nuova o con un software che non conosci, inizia a utilizzarlo partendo dalle prime operazioni semplici. Poi cerca di mettere un indice di complessità maggiore a ogni operazione che fai in più.

    Logica contro tecnologia

    Ecco, a me non piace usare Excel. Io con i numeri non ci ho mai pigliato. Il problema è che proprio Excel mi ha insegnato che non devi sapere di numeri per usarlo, ma capirne la logica. Insomma, il learning by doing ti fa comprendere molto bene che non devi sapere di tecnologia o di codici per imparare a fare qualcosa. Devi semplicemente imparare il modo in cui ti costringono a ragionare la macchina e il software che hai di fronte.

    Se una cosa non ti viene

    Se ti blocchi in mezzo a un’operazione ti consiglio subito una cosa, anzi due. Ti consiglio di mollare, alzarti dalla scrivania e andare a fare un giro. Torni dopo mezz’ora e di solito cominci perlomeno a capire cosa hai sbagliato e dove. La seconda cosa è un cambiamento delle variabili: Se un software fa fatica a girare o a farti fare le cose, sappi che ci sono tre variabili in campo. Sempre. Sto parlando del software stesso, dell’hardware e di te stesso. Per questo motivo se qualcosa si inceppa devi sempre pensare: sono stato io, è stato il software o è stato l’hardware?

    Stai sempre sul preoccupato…

    Il motore del learning by doing è la preoccupazione. No, dai sto scherzando. Il motore dell’ imparare facendo è assolutamente la curiosità. Voglio dire che se sei arrivato alla fine dell’apprendimento di qualcosa di nuovo non devi fermarti un’altra volta. Devi pensare a un continuo movimento per cercare di capire se quella stessa cosa imparata con quella app può essere fatta meglio con altre app. Oppure se puoi fare ulteriori operazioni con nuovi applicativi.

    Ecco, sono arrivato alla fine del ragionamento. Spero ti sia stato utile. Con questo modo di fare ho ribaltato la mia vita e continuo a costruirla. Con la teoria del learning by doing che ha solide basi nella filosofia dell’americano John Dewey, ma anche di Kenneth Arrow che da Stanford, nel 1962, mandava al mondo una ricerca (la trovi qui) che provava l’importanza dell’apprendimento esperienziale in economia.

  • web: Io e te ci dobbiamo parlare

    web: Io e te ci dobbiamo parlare

    L’audio sarà il mezzo principale con il quale comunicherò nel 2022.

    Ma andiamo con ordine. Intanto ti auguro un ottimo 2022, nonostante tutte le difficoltà che stiamo attraversando. Poi ti racconto una cosa. Sarà l’audio, la mia voce, il mezzo principale della mia presenza sul web e dell’interazione con te in nome di un concetto sul quale sto lavorando da mesi e sto ripensando le mie cose e i miei contenuti. Ti porto dentro il mio ragionamento sperando possa avere una certa utilità per te e per i tuoi affari.

    Il concetto del luogo digitale

    Il web lo abbiamo più subito che utilizzato. E’ molto tempo che rifletto su questo. Ci hanno fatto credere che il web sia un luogo dove stare “Zitti e Buoni” a sorbirci i contenuti che ci propinano. Non è vero. Il web è un posto dove stare insieme. Adesso ti spiego come.

    I siti, i media, le aziende, le persone (sì, anche io) sono tutte impegnate a pubblicare contenuti che noi sorbiamo. Clicchiamo per un “si, propinami la tua sbobba”, scrolliamo se non ci va. La cosa ha iniziato a piacermi sempre meno perché ho cominciato a pensare, ormai da tempo, che Internet è una strada a due sensi di marcia. Da te a me, da me a te. L’ho scritto tempo fa anche qui. Parlavo di formazione perché ho sperimentato personalmente l’interazione bidirezionale con i miei studenti, ma la cosa può allargarsi a qualunque campo.

    Il web è un luogo dove ci possiamo scambiare moltissimi differenti tipi di cose. Messaggi, progetti, lavori, beni, servizi, conoscenza, sentimenti, affetti. Il web è un insieme di luoghi digitali e dovremmo cominciare a considerarlo come tale. Di conseguenza chiunque abbia un sito dovrebbe pensare, facendolo e creando contenuti, che quell’indirizzo del web che gli appartiene è il suo luogo digitale.

    La costruzione di un ufficio digitale

    Ho costruito la casa digitale del mio lavoro, lo sai, si chiama Algoritmo Umano, con questo preciso concetto in testa, quello del luogo digitale. In questi mesi ho provato molte belle sensazioni pensando e agendo con questa idea ben ficcata nella testa. Ho creato contenuti che i membri della mia community hanno letto, studiato, utilizzato. Ho creato interazioni, eventi, laboratori, corsi.

    Ho assistito a lezioni di straordinari interpreti del mondo digitale che hanno lasciato a bocca aperta me e chi era lì con me. Ho prodotto un concerto musicale, ho risolto problemi, ho parlato con le persone, ho dato e ricevuto aiuto.

    La strada da te a me

    Il mio lavoro, i miei siti, però, prevedono anche una nuova e semplicissima strada che va da te a me. Si chiama Space ed è lo spazio audio dell’Algoritmo Umano. Lo trovi sul sito di Algoritmo Umano e sul mio sito personale in basso a sinistra. E’ un semplicissimo bottone con un’icona che raffigura un microfono che ha alcuni tipi di servizi audio con i quali puoi comunicare sempre con me.

    Il bottone dello spazio audio privato dell’Algoritmo Umano.

    Come si fa

    Ci sono tre modi per trovarmi:

    • Puoi lasciarmi un messaggio audio se non sono in linea
    • Puoi iniziare una chat audio dal vivo se sono in linea
    • Possiamo organizzare uno spazio audio a inviti per riunire nella stessa stanza virtuale audio più interlocutori.

    One more thing

    Anche questa newsletter è un punto di incontro, un luogo di dialogo. Nelle prossime ore ti racconterò come utilizzarla come strumento di conversazione, ma per ora mi limito a dirti che desidero che questo posto digitale sia sempre più orientato a soddisfare le curiosità, le domande e i bisogni, all’interno delle mie materie, di coloro che la leggono.

    L’altro modo di incontrarsi sul web

    Il web, quindi, è una strada a due sensi. Io parlo con te e tu con me. Via audio oppure via newsletter. Già, via newsletter. Ne ho costruita una dell’Algoritmo Umano che è un modo per dialogare su questi temi e sul mio mondo e voglio sia un modo per interagire. Ti dico come. Per coloro che acquistano la membership alla newsletter (te la metto qui), la mia risposta è che darà pieno accesso, su base mensile, ai contenuti e agli eventi di Algoritmo Umano.

    Tuttavia farò di più. Orienterò gli argomenti della newsletter e i suoi approfondimenti per i members con l’idea che rispondano a precise domande che mi verranno poste.

    Già, perché io e te, per affrontare bene il 2022 e gli anni che verranno, ci dobbiamo parlare. Ci stai? Cominciamo subito a dialogare? Rispondi qui…

  • Giornali sostenibili? Senza dubbio si può

    Giornali sostenibili? Senza dubbio si può

    I giornali (italiani e non) sono al collasso in questo fine 2021.

    Già i dati di settembre delle vendite di giornali in edicola facevano spavento. La situazione è anche peggiorata. Negli Stati Uniti i fondi ci speculano sopra, in Italia i principali quotidiani brancolano nel buio senza sapere dove andare, altrove non va meglio. Una tragedia che sembra non avere fine. Nel giorno della conferenza stampa di fine anno del Premier Mario Draghi organizzata dall’Ordine dei Giornalisti, desidero mettere in fila alcuni ragionamenti sui giornali per farti capire che questi strumenti così importanti per la comprensione della realtà possono tenersi economicamente in piedi senza dubbio. E guadagnare soldi sufficienti per essere indipendenti.

    L’ispirazione è il Nieman Lab

    Il Nieman Lab, luogo digitale determinante per il futuro dei media retto dalla fondazione Nieman di Harward, ha iniziato a pubblicare le previsioni per il 2022 del mondo del giornalismo. E’ da sempre un sito dove guardare per sapere dove va il mondo dei media. Prendo da lì le prime indicazioni, perché gli esperti chiamati da Nieman vanno diretti al punto, al punto della sostenibilità. Di cosa parlo? Parlo del fatto che i giornali devono guadagnare soldi come tutte le altre intraprese.

    Il problema non è il business model, ma…

    Il problema, indica Nieman con l’analisi predittiva di Paul Cheung, mom è il modello di business, ma l’infrastruttura del business. Si parte dal fatto che ogni esperienza nel mondo dei giornali deve guadagnare, per molti motivi. Il primo è che la ricchezza di un’impresa media è anche un salvacondotto per la sua indipendenza dal potere.

    “Nel 2022 – dice Cheung – le organizzazioni che creano giornali (inteso in senso lato, naturalmente, non parliamo solo di carta, ndr) non devono pensare al modello con cui fanno soldi, ma all’infrastruttura con cui producono i loro contenuti. Per supportare prodotti giornalistici per i quali il pubblico voglia pagare, la concentrazione deve essere tutta sulle operazioni con le quali questi prodotti vengono creati”. Cheong dice che bisogna concentrarsi su tre aree.

    Le tre aree di intervento per far soldi

    • I prodotti devono essere diversi. Naturalmente i giornali devono essere hub informativi in grado di diversificare l’offerta in modo davvero ampio. Siti, video, audio, comunità, long form, approfondimenti, eventi virtuali, contenuti sui social. Tutti i giornali che vogliono guadagnare devono saper intercettare nuove comunità di pubblico dove il pubblico si trova.
    • Il giornalismo deve essere strumento di eguaglianza e di cura della diversità. Molti giornali sono ancora “bianchi” nel modo di pensare. Maggiore diversità vuol dire maggiore pubblico e più possibilità di raccogliere Revenue.
    • Bisogna creare nuove strutture che supportino lo sviluppo del business anche nella sua capacità di venderlo meglio e di dare a quello che i giornali creano, maggiori possibilità di trovare mercati. Bisogna immettere nelle strutture dei giornali la tecnologia più avanzata per creare produzioni innovative e, nello stesso tempo, meno pesanti sotto il profilo dei costi.

    Il giornalismo delle comunità

    Di Nieman ti raccomando di leggere tutte le predizioni. Tutte. Sono una specie di mappa di quello che devi fare se vuoi creare un giornale che guadagni soldi. A questo aggiungo un paio di riflessioni. I giornali di massa sono finiti, i media di massa sono morti. Sta salendo prepotentemente il giornalismo delle comunità. Vuoi un esempio? Eccolo, te lo regalo. Io ci sto pensando da tempo.

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    Milano è una città di livello internazionale. Se osservi bene i media meneghini sono di impostazione nazionale. Uno in particolare ha una tradizione locale, Il Giorno, ma versa in crisi. La città è in crescita e va verso le Olimpiadi del 2026. Non credi che sarebbe una straordinaria comunità sulla quale creare un medium iperlocale di riferimento? Se ti va ti parlarne ho un piano. Contattami.

    Bisogna quindi, per creare giornali che portano frutto, pensare al giornalismo delle comunità. Non provare vergogna mentre fai questo ragionamento: devi trovare una comunità da servire per creare un prodotto tale per cui la comunità che scegli voglia pagare per esserci, per averlo, per poter far sentire la propria voce.

    Il giornalismo “di conversazione”

    La definizione di giornalismo che ripeto più spesso è dell’amico professor Anthony Adornato: “Journalism is a Conversation“. Segui questo concetto e pensa che il web e i social sono il luogo nel quale il contenuto deve e può essere basato sulla conversazione. Incontri virtuali, eventi virtuali, interazioni con il pubblico sono contenuti che devono entrare nel mirino dei giornali che vogliano guadagnare. Semplice il motivo: se vuoi creare giornali che contano devi parlare con i tuoi lettori. Su questo l’esempio di Tortoise detta la linea e indica la strada.

    Il giornalismo delle esperienze

    Su Algoritmo Umano ti ho spiegato che cos’è il Metaverso. I giornali che vogliono guadagnare devono essere rafforzati da un’iniezione potentissima di tecnologia, specialmente mobile. Per produrre contenuti, per pubblicare contenuti, per fruire dei contenuti.

    Tuttavia bisogna concentrarsi sul concetto del web come luogo digitale delle esperienze e sull’orientamento al metaverso che hanno imposto i cambiamenti dei social media. Più si studieranno contenuti da offrire al pubblico che sono vere esperienze, più il pubblico vorrà pagare, essere membro di queste comunità create dai giornali. Comunità che devono essere coltivate e fatte crescere, ma anche educate a guardare fuori delle proprie bolle, interpretando la complessa realtà che ci circonda.

  • Formazione: sono diventato un sarto

    Formazione: sono diventato un sarto

    La formazione è uno dei campi in cui ho lavorato di più nel 2021.

    La formazione è un territorio che io esploro tutti i giorni presto, la mattina. Studio, osservo, testo, verifico, guardo il mondo che mi circonda e assumo costantemente delle competenze. Poi prendo il tutto e vado su Algoritmo Umano a metterlo in pratica. Oppure sui miei social.

    La formazione è, ormai, una necessità costante perché le scuole in cui cerchiamo di diventare un determinato tipo di lavoratore o professionista, sono troppo lente per stare al passo con i cambiamenti della società. Nell’ultimo anno e mezzo, con la pandemia, l’abbiamo vissuta prima come un’opportunità poi come una costrizione.

    Già, ai primi corsi che abbiamo scelto per riempire il vuoto dei lockdown o della lontananza dall’ufficio eravamo felici. Negli ultimi mesi non vediamo l’ora di fare a meno di qualsiasi genere di incontro virtuale, formativo o operativo, che l’azienda, scuola, accademia o istituzione di cui facciamo parte ci propone.

    L’errore di chi fa formazione

    Chi crea la formazione e chi la fa, commette un errore. Anche nell’ambito virtuale la formazione è figlia del modo di insegnare agli altri che abbiamo vissuto, da studenti o professori, a scuola. Per questo è lenta, frontale, poco multimediale, poco interattiva. In questi mesi mi sono spaccato la schiena stando seduto alla scrivania per tentare di cambiare la mia formazione secondo alcune direttive. Vuoi sapere quali?

    Ho dato al mio insegnamento alcune direttive.

    Primo: ascolti chi ti sta di fronte e capisci quello di cui ha bisogno.

    Secondo: ho cambiato strumento didattico e ho scelto Genially. Veloce, interattivo, multimediale, profondo, simpatico, pieno di trucchi. Quando faccio un learning object mi sembra di essere un sarto.

    Terzo: ho mostrato sempre di più lo schermo dei miei device ai miei studenti e ho chiesto a chi mi stava di fronte di mostrarmi il loro.

    Quarto: Ho usato il sito di Algoritmo Umano come un luogo digitale dove creare laboratori dal vivo.

    Quinto: Ho tenuto lo smartphone al centro come strumento di connessione con tutti coloro che interagivano con me. Per dare un consiglio, una piccola consulenza, un piccolo ripasso.

    Cosa devo migliorare

    Nella mia formazione vorrei che si facesse largo sempre di più il concetto dell’esperienza virtuale. Ma c’è di più: devo migliorare il confronto con te per sapere in modo ancora più profondo quello che ti serve veramente. Possiamo stabilire questo dialogo? Per me sarebbe molto importante e ti spiego perché. La mia attività di formatore e la mia professionalità di giornalista si fondono nel momento in cui faccio ricerca di fonti e documenti per venire da te a darti la formazione migliore possibile tagliata sulle tue esigenze.

    Per questo motivo, più tu mi racconti quello che ti serve, più io rispondo meglio alle tue esigenze di formazione. Sono un sarto che cerca di conoscerti, capisce quello che pensi, poi va a cercare la stoffa giusta e ti fa il vestito su misura.

    Se ti va testiamo la cosa al mio prossimo corso che trovi qui sotto. A proposito, se ti iscrivi alla mia newsletter troverai degli sconti pazzeschi. Anche la newsletter la trovi qui sotto… a presto.

    https://www.algoritmoumano.it/event/laboratorio-brand-journalism-con-lo-smartphone/
    Clicca qui per sapere il contenuto del corso di mobile brand journalism.

    Ed ecco la mia newsletter. La trovi su Twitter… il social network che ho eletto a centro della mia vita digitale.

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    Formazione, il web è una strada a due sensi

  • Perché un giornalista è un consulente

    Perché un giornalista è un consulente

    La professione giornalistica va rivista.

    Io la cambio tutti i giorni, pur rimanendo fedele ai valori che deve avere. Questo giro voglio raccontarti alcuni motivi per i quali, per la tua azienda o per la tua attività, dovresti considerare il giornalista come un consulente molto utile.

    Giornalista uguale consulente, un’equazione non facile per un motivo solo. Allora ti caccio via dalla testa subito questo retaggio del passato per farti capire un concetto chiaro. La professione giornalistica va rivista, ma il primo che deve fare questa revisione sei tu, mio caro cliente.

    Il secondo che la deve fare, invece, è il cliente che ti sta aspettando e che non ha ancora capito che ha bisogno di te. Della tua professionalità e delle tue idee

    I pregiudizi sul giornalista

    Il giornalista, nell’immaginario di tutti, in primis dei giornalisti stessi, è quello che realizza contenuti per l’informazione sui media, di qualunque genere e tipo. Trova le notizie, le seleziona secondo dei criteri, le sviluppa, le verifica e le allestisce per la pubblicazione. Quando ha pubblicato il suo lavoro ha anche terminato il suo compito.

    I potenziali clienti di un giornalista, quindi, sono solo quegli apparati aziendali che lavorano nel mondo dei media e quelle imprese, istituzioni, enti, fonti informative che hanno bisogno di comunicare ai media qualcosa.

    Niente di più sbagliato, almeno a vedere bene l’epoca che stiamo attraversando. Ecco, questo è la categorizzazione di un giornalista che devi iniziare a levarti dalla testa. Rapidamente, perché i tempi stanno cambiando.

    Il giornalista nel nuovo mondo della comunicazione e dei media

    Il giornalista, ora, è un produttore di contenuto per l’informazione, su qualsiasi piattaforma e per qualsiasi committente. C’è di più, il giornalista è uno specialista del linguaggio e del messaggio e può servire a un’azienda per mandare messaggi e per usare linguaggi coerenti con i propri valori, i propri obiettivi, la propria mission e la propria vision.

    Per questo motivo il giornalista ti può essere utile, caro cliente che stai aspettando, nella produzione del contenuto, ma anche nella strategia e nella progettazione dell’azienda stessa. E’ chiaro, infatti, che uno degli asset più importanti di un’impresa è il modo in cui comunica. Per esaminarlo, aggiustarlo, progettarlo o farlo crescere, non c’è professionista migliore di un giornalista. Può aiutarti a scegliere la voce aziendale e il suo tono, la qualità e la coerenza dei contenuti che l’azienda pubblica, la sua pertinenza con il suo mondo e la sua comunità, le parole, le immagini, la policy giusta con cui un’impresa si esprime.

    Produrre, mediare, pensare

    Il giornalista-consulente non produce soltanto, ma può dirti cosa è giusto produrre e comunicare e cosa non lo è. Il giornalista è il miglior mediatore possibile quando si tratta di gestire una comunità di persone che si interessano a quello che la tua azienda fa. Il giornalista è poi il miglior professionista in grado di pensare a come un’impresa deve comunicare correttamente il suo lavoro, i suoi progetti, la sua strada, le sue innovazioni, i suoi percorsi.

    Il giornalista non ti aiuterà nella pubblicità, non si rivelerà il tuo influencer a portata di mano. Non orienterà la vendita, non produrrà contenuti sui tuoi prodotti, magnificandone le caratteristiche. Il tuo giornalista consulente sarà la migliore figurati possibile per regolare il flusso dei messaggi azienda-clienti e viceversa.

    Cominci a capire che il giornalista non è solo chi scrive su un giornale?

    Questo mio modo di pensare la mia professionalità e quella dei miei colleghi è uno dei motivi per cui mi interesso molto al giornalismo d’impresa e con la mia socia Marialetizia Mele sto lavorando a un nuovo corso di mobile brand journalism. Lo puoi trovare qui sotto.

    https://www.algoritmoumano.it/event/laboratorio-brand-journalism-con-lo-smartphone/
    La pagina del corso dell’11 dicembre 2021.