Autore: Francesco Facchini

  • Social media: come riempire un silenzio

    Social media: come riempire un silenzio

    Social media e formazione: ecco cosa significa per me

    Sto tenendo dei corsi sulla produzione del contenuto sui social media e sul social media marketing preso dalla parte del contenuto. Un’esperienza nella quale ricevo senza dubbi molto più di quel che do e che mi mette costantemente in discussione. Già, perché io sono un produttore di contenuti e dal contenuto parti per ragionare su come le persone, i professionisti, le aziende, le istituzioni possono ottenere valore. Ecco cosa significano per me i social media ed ecco come imposto la mia formazione.

    Imparo ogni giorno

    La bellezza di questo percorso è che imparo ogni giorno. Oggi, per esempio, mi sono portato a casa un ragionamento che ti metto su queste colonne perché penso che possa esserti utile. Sai che il mio lavoro è, principalmente, sulla piattaforma di Algoritmo Umano. E forse sai anche che qui ti riservo delle considerazioni più personali su quello che faccio, magari tralasciando gli aspetti auto-referenziali e cercando di girarti cose che ti siano utili. Le cose che imparo.

    Mentre le dico le apprendo

    Il lavoro che faccio sui social media è ancora troppo istintivo e oggi mi è capitato di parlarne. Mi è capitato di parlare dei momenti in cui ti ritrovi a dover pensare a come riempire un silenzio, a come riannodare un filo che, magari, a causa di vicende tue hai interrotto nella pubblicazione sui social media.

    Avevo davanti una splendida classe di corsisti, uomini e donne dotati di esperienza e professionalità da vendere. Un gruppo fantastico come spesso mi è capitato di incontrare nella mia collaborazione con Afolmet. Ebbene, abbiamo parlato di come riempire un silenzio sui social e mi sono ritrovato a rifare e precisare un ragionamento che avevo già fatto. Il fatto di farlo assieme ai miei corsisti mi ha aiutato a rimandare a memoria i passaggi e ad apprenderlo meglio.

    L’ho rifatto mio.

    Sono fatto male

    Già, son fatto male, perché nel mondo dei social media penso che conti il valore e che non contino i numeri. Penso anche che i social media siano luoghi dove vivi tanto quanto un ufficio, un’aula, una casa, una strada, un bar, un ristorante. Penso che la nostra vita digitale sia la nostra vita reale e che i social siano un mezzo di relazione, più che di vendita.

    Ogni nostro account social è un pezzo della nostra vita e la nostra vita è un costante cambiamento.

    E allora perché i social devono sempre essere precisi e impeccabili e sottostare a un perfetto codice di apparenza?

    Di conseguenza ci sono anche i momenti in cui ti allontani, in cui stai in silenzio, in cui non ci riesci. Per questo motivo arrivano i silenzi, arrivano i vuoti negli account. In questo mese io li ho avuti. Me ne sono dispiaciuto fino a quando, oggi, ho spiegato come si spiega un silenzio sui social.

    Il silenzio si spiega riempiendolo, anche sui social media e sul web. Si spiega raccontandolo, si spiegano gli impegni, si raccontano i giorni. Si riempie di contenuto e non ci si deve vergognare di farlo. Anche nella vita fisica ci sono giorni nei quali non stiamo bene, siamo stanchi, preoccupati, affranti, disperati. Giorni in cui stiamo in silenzio. Perché nella nostra realtà digitale, ormai parte integrante della nostra vita, dovrebbe essere diverso?

  • Il Metaverso e i lavori nel 2030

    Il Metaverso e i lavori nel 2030

    Sono tempi difficili, ma pensare al futuro è l’unica cosa che dà sollievo.

    Almeno così accade a me: Finché respiro, finché respiri, c’è un futuro da giocare. Sono tempi nei quali la guerra che stiamo vivendo in Ucraina (già, perché è anche mia e tua), toglie la voglia di comunicare. Lo sconforto mi sta rendendo zitto. Faccio più fatica del solito a tornare sui miei siti, ma stamani mi sono sforzato di pensare a qualcosa di bello. Se penso a qualcosa di bello penso al futuro: a chi potremo essere in futuro, a cosa faremo, a dove saremo, a come saremo.

    Cambiare il verso e cambiare il metaverso

    Non voglio aggiungermi alla schiera di pensatori e analisti che, in questi giorni, ci racconta le mille verità di quello che sta succedendo. Preferisco limitarmi a dire che io e te, per cambiare il verso della storia, dovremmo solo pensare a costruire la pace attorno a noi. Anche con il telefonino in mano: essendo pace, ascoltando, lavorando per bene, rispondendo ai messaggi con garbo, testimoniando. Se vogliamo cambiare il metaverso della storia, invece, dovremmo conoscerlo. Dovresti conoscerlo.

    Il lavoro nel metaverso

    In questa settimana, per me, ricomincia il bellissimo lavoro di docenza di mobile content creation per Afolmet e per due gruppi (addirittura) di professionisti e lavoratori in cerca di un nuovo futuro. Un lavoro bellissimo.

    Ecco, il lavoro. Si tratta di un mondo che continua a cambiare a una velocità folle. Un mondo nel quale, presto, molto presto, entrerà la connessione tridimensionale e quindi il metaverso. Questo pezzetto qui della rivista Social Media Today è interessante per capire che cos’è il metaverso. Un mondo parallelo generato dal computer.

    Scrivanie vicinissime, colleghi lontanissimi

    Per anni ho ripetuto, a chi mi chiedeva del futuro dei nostri figli, che dovevamo stare attenti perché avrebbero vissuto una vita di lavoro indossando dei visori oculari e stanno a contatto di scrivania con colleghi lontanissimi fisicamente. Poi è arrivato il metaverso, facendo diventare realtà le mie parole.

    Cosa vuol dire questo per il futuro del lavoro?

    Vuol dire che cambierà la vita del lavoratore, il suo luogo, il suo orario. Cambieranno i suoi risultati, i suoi dati, le sue performance. Il metaverso, per ora, è una specie di bluff che serve a Zuckerberg per sperare di non essere travolto dalla storia, ma presto diventerà toccabile da tutti e toccherà molti. Per ora è il mondo social che si rifà il trucco, ma domani mattina sarà una nuova economia.

    Metaverso e i lavori nel 2030

    Di conseguenza bisognerà costruirlo bene questo metaverso. Magari cominciando dai suoi abitanti e dai loro dati. Ecco come ne parla the next web. Poi pensando alle nuove tipologie di lavoro che sorgeranno proprio grazie al metaverso. A questo proposito mi ha incuriosito un articolo che ti metto qui della rivista per sviluppatori .cult il quale parla di nuovi lavori che nasceranno entro il 2030.

    Naturalmente questa rivista parla di ruoli tecnici, ma c’è un punto, al numero sei, che mi ha letteralmente entusiasmato: il Metaverse Storyteller. Lo trovo fantastico, perché è la conferma che l’uomo potrà costruire mille mondi paralleli, ma avrà sempre bisogno di storie. E di persone capaci di raccontarle e professionalmente preparate per questo. Come i giornalisti…

    Il consiglio che ti dò è quello di studiare. Studiare come il tuo lavoro, qualunque sia, potrà adattarsi a questo nuovo mondo. Per non essere impreparato, domani mattina, quando questo mondo arriverà.

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    Perché un giornalista è un consulente

  • Il senso dei social network nel 2022

    Il senso dei social network nel 2022

    Social network: che ne dobbiamo fare?

    I social network stanno cambiando. Con il mio Algoritmo Umano ci studio e ci lavoro tutti i giorni, ma è ancora molto fluida la situazione per poter capire veramente dove stanno andando e cosa dobbiamo farne noi. Ti racconto, però un piccolo episodio personale per farti capire cosa i social network rappresentano per me. Tutto è nato da un post dell’amico Matthew Feinberg, CEO di Alight Creative, società creatrice della bellissima app di editing e di grafica animata Aligth Motion.

    L’importanza di un contatto

    Ho visto dalla mia timeline di Facebook che si spostava dalla sua Seoul verso Milano. Ho subito pensato che fosse solo uno scalo per tornare nei suoi Stati Uniti o per andare altrove. Nonostante questo gli ho scritto un commento chiedendogli, se fosse rimasto in città, la possibilità di vedersi. Da quel contatto ho scoperto che veniva qui per restare. Ha affari proprio in città. Il senso dei social network per me si stava materializzando. L’importanza di un contatto ha rivelato subito il suo valore.

    Un incontro meraviglioso

    Attraverso i social network abbiamo iniziato a programmare un incontro. Parole affettuose sul piacere inaspettato di potersi vedere, due indicazioni e via, ci siamo visti. Io e Matt, due vite a 8 mila miglia di distanza, che si incrociano grazie a un social network.

    Due ore a parlare, a raccontarsi la vita e il lavoro. Due ore a guardarsi negli occhi, a ridere e a scherzare. Ore nelle quali ringraziavo l’esistenza dei social network senza i quali non avrei mai potuto conoscere uno dei più grandi mobile creator della terra.

    Una sensazione vera

    Ti dico il senso dei social network per me, un senso che si materializza nella forza dei legami deboli di Granovetter di cui ti ho parlato qui. I social sono uno strumento per coltivare relazioni di valore che iniziano virtualmente, ma si sostanziano fisicamente. Così come penso sia il web: un posto in cui stiamo in contatto e creiamo un contatto che inizia qui, ma finisce quasi sempre in un incontro fisico, in una collaborazione vera, in uno scambio di valore. Mi ha colpito davvero provare sensazioni vere per una persona che è nella mia vita virtuale da anni, ma è stata nella mia vita reale per un numero di giorni che si contano sulle dita di una mano.

  • Il proverbio dell’Elefante

    Il proverbio dell’Elefante

    C’è un proverbio che mi sorregge in periodi come questo.

    Un proverbiò africano, almeno stando a quello che so. Fa può o meno così: “Come si mangia un elefante? Si mangia un pezzetto alla volta“. Si tratta di un aforisma cui mi attacco molto spesso, specialmente in periodi come questo. Mi riferisco a periodi in cui alle necessità e alle problematiche della vita di tutti i giorni, si sommano quelle del lavoro e delle iniziative che porti avanti.

    Spacchettare un problema

    Ci sono tanti, troppi tavoli sui quali dobbiamo giocare quello che siamo e quello che vogliamo ottenere. Posso riassumerli così: il primo è quello della comprensione della realtà, il secondo quello della sua interpretazione, il terzo quello dell’azione. Spesso si alternano sulla tua strada momenti in cui questi piani arrivano a toccarti tutti insieme con momenti in cui tutto sembra lontano e il tuo passo rallenta.

    Quando tutto sembra arrivare allo stesso momento inizia la confusione. Allora diventa prioritario spacchettare i problemi, dividerli in pezzi, in passaggi, in step. Chiamali come vuoi tu. Insomma, se devi mangiare un elefante, fallo a pezzi.

    Ritrovare la calma

    Se i problemi non vengono guardati nell’insieme, ma sezionati, probabilmente ti accorgerai che diminuisce l’ansia rispetto alla loro risoluzione. Un artificio difficile da realizzare, ma dagli effetti benefici incontrovertibili. Insomma, pensa a un viaggio. Spero quando prepari un viaggio i timori prima della partenza ci sono. Poi inizia la strada e hai due metodi: o guardi alla destinazione, o guardi al viaggio. Se ti godi il secondo, di solito, provi piacere a ogni fermata del treno, a ogni ristoro in autogrill, a ogni fermata. I

    Il proverbio africano che ti ho girato ha lo stesso senso. Pensare a qualche tonnellata di elefante davanti a te, da mangiare, è un pensiero inquietante. La prima cosa che pensi è che non ce la farai. Se ti incastri a pensare alla destinazione, non ti godrai il viaggio. Se i tuoi problemi, invece, vengono divisi per passi, non ti mancherà l’idea che l’affanno diminuisce e la concentrazione aumenta.

    Un ultimo piccolo suggerimento

    Mi resta da darti un ultimo suggerimento. Quando adotti il proverbio africano dell’elefante non ti dimenticare di porre l’attenzione sui passi avanti che fai, dimenticandoti praticamente di quello che hai davanti. Insomma, pezzetto dopo pezzetto, ricordati di pensare sempre quanto del problema-elefante sei riuscito a mangiare. Non quanto ti resta da mangiare.

  • Learning by doing, imparare facendo

    Learning by doing, imparare facendo

    Learning by doing, un concetto interessante.

    Sono alcuni giorni che ci penso su e voglio parlartene. Quando lavoro e incontro clienti e studenti ricevo tutte le volte dei segnali chiari: non manca solo la cultura digitale della quale abbiamo bisogno come il pane, manca anche l’atteggiamento mentale. Il learning by doing è il segreto per cambiarlo.

    La risposta allo smarrimento: learning by doing

    Quante volte ti sei trovato davanti un app nuova o un software da imparare per svolgere quel progetto che ti ha dato il capo o il professore oppure per arrivare al risultato che ti sei prefisso? Probabilmente molte. In momenti come quello la tentazione è di cedere allo smarrimento perché non sai come fare o perché è troppo difficile farlo, almeno a prima vista. Magari hai anche una certa età e sei stufo di fare cose nuove. Lo capisco. Ecco la prima cosa che devi combattere è la resistenza al cambiamento, la seconda che devi… imparare a imparare facendo.

    Il grande “risponditore” di tutte le domande

    Si dice risponditore? Ho controllato su Google e ho trovato la risposta: si! Allora il primo elemento che hai per entrare nel mondo del learning by doing è che non sei solo e che hai a disposizione il grande risponditore di tutte le domande. Già, parlo proprio di Google o dei motori di ricerca cui puoi fare le domande che ti assillano o cui puoi chiedere come si fanno le cose che devi fare. Sì, anche come si usa una app che non sai usare.

    Io ho iniziato da lì. E ho iniziato dalla lettura. Di libri, articoli, post (di fonti autorevoli o esperti veri) che sapevano fare le cose che mi serviva saper fare. Poi ho scremato le opportunità. Mi spiego: quando hai davanti un applicativo di qualsiasi genere per fare una cosa (app o software che sia) ricordati di capire, anche segnando banalmente il numero di passaggi che ti fa fare per operare, se ti facilita o ti complica la vita. Se è la seconda butta via, subito. Non hai tempo da perdere.

    L’insegnamento del learning by doing

    L’insegnamento dell’ imparare facendo (scusa ‘sto gioco di parole) è formidabile. Ti insegna a cambiare idea. Lo fa quando, come ho detto prima, ti fa cambiare applicativo se quello che hai davanti non risponde alle tue esigenze. Lo fa anche quando, anche se usi una app da tempo con buoni risultati, coltivando la tua curiosità ne trovi una migliore.

    Il learning by doing è anche un allenamento per imparare a spacchettare i problemi. Uno dei miei proverbi preferiti è un aforisma che dice “Sai come si mangia un elefante? A pezzettini”. Ecco, quando devi imparare a fare qualcosa con una app nuova o con un software che non conosci, inizia a utilizzarlo partendo dalle prime operazioni semplici. Poi cerca di mettere un indice di complessità maggiore a ogni operazione che fai in più.

    Logica contro tecnologia

    Ecco, a me non piace usare Excel. Io con i numeri non ci ho mai pigliato. Il problema è che proprio Excel mi ha insegnato che non devi sapere di numeri per usarlo, ma capirne la logica. Insomma, il learning by doing ti fa comprendere molto bene che non devi sapere di tecnologia o di codici per imparare a fare qualcosa. Devi semplicemente imparare il modo in cui ti costringono a ragionare la macchina e il software che hai di fronte.

    Se una cosa non ti viene

    Se ti blocchi in mezzo a un’operazione ti consiglio subito una cosa, anzi due. Ti consiglio di mollare, alzarti dalla scrivania e andare a fare un giro. Torni dopo mezz’ora e di solito cominci perlomeno a capire cosa hai sbagliato e dove. La seconda cosa è un cambiamento delle variabili: Se un software fa fatica a girare o a farti fare le cose, sappi che ci sono tre variabili in campo. Sempre. Sto parlando del software stesso, dell’hardware e di te stesso. Per questo motivo se qualcosa si inceppa devi sempre pensare: sono stato io, è stato il software o è stato l’hardware?

    Stai sempre sul preoccupato…

    Il motore del learning by doing è la preoccupazione. No, dai sto scherzando. Il motore dell’ imparare facendo è assolutamente la curiosità. Voglio dire che se sei arrivato alla fine dell’apprendimento di qualcosa di nuovo non devi fermarti un’altra volta. Devi pensare a un continuo movimento per cercare di capire se quella stessa cosa imparata con quella app può essere fatta meglio con altre app. Oppure se puoi fare ulteriori operazioni con nuovi applicativi.

    Ecco, sono arrivato alla fine del ragionamento. Spero ti sia stato utile. Con questo modo di fare ho ribaltato la mia vita e continuo a costruirla. Con la teoria del learning by doing che ha solide basi nella filosofia dell’americano John Dewey, ma anche di Kenneth Arrow che da Stanford, nel 1962, mandava al mondo una ricerca (la trovi qui) che provava l’importanza dell’apprendimento esperienziale in economia.

  • web: Io e te ci dobbiamo parlare

    web: Io e te ci dobbiamo parlare

    L’audio sarà il mezzo principale con il quale comunicherò nel 2022.

    Ma andiamo con ordine. Intanto ti auguro un ottimo 2022, nonostante tutte le difficoltà che stiamo attraversando. Poi ti racconto una cosa. Sarà l’audio, la mia voce, il mezzo principale della mia presenza sul web e dell’interazione con te in nome di un concetto sul quale sto lavorando da mesi e sto ripensando le mie cose e i miei contenuti. Ti porto dentro il mio ragionamento sperando possa avere una certa utilità per te e per i tuoi affari.

    Il concetto del luogo digitale

    Il web lo abbiamo più subito che utilizzato. E’ molto tempo che rifletto su questo. Ci hanno fatto credere che il web sia un luogo dove stare “Zitti e Buoni” a sorbirci i contenuti che ci propinano. Non è vero. Il web è un posto dove stare insieme. Adesso ti spiego come.

    I siti, i media, le aziende, le persone (sì, anche io) sono tutte impegnate a pubblicare contenuti che noi sorbiamo. Clicchiamo per un “si, propinami la tua sbobba”, scrolliamo se non ci va. La cosa ha iniziato a piacermi sempre meno perché ho cominciato a pensare, ormai da tempo, che Internet è una strada a due sensi di marcia. Da te a me, da me a te. L’ho scritto tempo fa anche qui. Parlavo di formazione perché ho sperimentato personalmente l’interazione bidirezionale con i miei studenti, ma la cosa può allargarsi a qualunque campo.

    Il web è un luogo dove ci possiamo scambiare moltissimi differenti tipi di cose. Messaggi, progetti, lavori, beni, servizi, conoscenza, sentimenti, affetti. Il web è un insieme di luoghi digitali e dovremmo cominciare a considerarlo come tale. Di conseguenza chiunque abbia un sito dovrebbe pensare, facendolo e creando contenuti, che quell’indirizzo del web che gli appartiene è il suo luogo digitale.

    La costruzione di un ufficio digitale

    Ho costruito la casa digitale del mio lavoro, lo sai, si chiama Algoritmo Umano, con questo preciso concetto in testa, quello del luogo digitale. In questi mesi ho provato molte belle sensazioni pensando e agendo con questa idea ben ficcata nella testa. Ho creato contenuti che i membri della mia community hanno letto, studiato, utilizzato. Ho creato interazioni, eventi, laboratori, corsi.

    Ho assistito a lezioni di straordinari interpreti del mondo digitale che hanno lasciato a bocca aperta me e chi era lì con me. Ho prodotto un concerto musicale, ho risolto problemi, ho parlato con le persone, ho dato e ricevuto aiuto.

    La strada da te a me

    Il mio lavoro, i miei siti, però, prevedono anche una nuova e semplicissima strada che va da te a me. Si chiama Space ed è lo spazio audio dell’Algoritmo Umano. Lo trovi sul sito di Algoritmo Umano e sul mio sito personale in basso a sinistra. E’ un semplicissimo bottone con un’icona che raffigura un microfono che ha alcuni tipi di servizi audio con i quali puoi comunicare sempre con me.

    Il bottone dello spazio audio privato dell’Algoritmo Umano.

    Come si fa

    Ci sono tre modi per trovarmi:

    • Puoi lasciarmi un messaggio audio se non sono in linea
    • Puoi iniziare una chat audio dal vivo se sono in linea
    • Possiamo organizzare uno spazio audio a inviti per riunire nella stessa stanza virtuale audio più interlocutori.

    One more thing

    Anche questa newsletter è un punto di incontro, un luogo di dialogo. Nelle prossime ore ti racconterò come utilizzarla come strumento di conversazione, ma per ora mi limito a dirti che desidero che questo posto digitale sia sempre più orientato a soddisfare le curiosità, le domande e i bisogni, all’interno delle mie materie, di coloro che la leggono.

    L’altro modo di incontrarsi sul web

    Il web, quindi, è una strada a due sensi. Io parlo con te e tu con me. Via audio oppure via newsletter. Già, via newsletter. Ne ho costruita una dell’Algoritmo Umano che è un modo per dialogare su questi temi e sul mio mondo e voglio sia un modo per interagire. Ti dico come. Per coloro che acquistano la membership alla newsletter (te la metto qui), la mia risposta è che darà pieno accesso, su base mensile, ai contenuti e agli eventi di Algoritmo Umano.

    Tuttavia farò di più. Orienterò gli argomenti della newsletter e i suoi approfondimenti per i members con l’idea che rispondano a precise domande che mi verranno poste.

    Già, perché io e te, per affrontare bene il 2022 e gli anni che verranno, ci dobbiamo parlare. Ci stai? Cominciamo subito a dialogare? Rispondi qui…

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