Autore: Francesco Facchini

  • Giornali sostenibili? Senza dubbio si può

    Giornali sostenibili? Senza dubbio si può

    I giornali (italiani e non) sono al collasso in questo fine 2021.

    Già i dati di settembre delle vendite di giornali in edicola facevano spavento. La situazione è anche peggiorata. Negli Stati Uniti i fondi ci speculano sopra, in Italia i principali quotidiani brancolano nel buio senza sapere dove andare, altrove non va meglio. Una tragedia che sembra non avere fine. Nel giorno della conferenza stampa di fine anno del Premier Mario Draghi organizzata dall’Ordine dei Giornalisti, desidero mettere in fila alcuni ragionamenti sui giornali per farti capire che questi strumenti così importanti per la comprensione della realtà possono tenersi economicamente in piedi senza dubbio. E guadagnare soldi sufficienti per essere indipendenti.

    L’ispirazione è il Nieman Lab

    Il Nieman Lab, luogo digitale determinante per il futuro dei media retto dalla fondazione Nieman di Harward, ha iniziato a pubblicare le previsioni per il 2022 del mondo del giornalismo. E’ da sempre un sito dove guardare per sapere dove va il mondo dei media. Prendo da lì le prime indicazioni, perché gli esperti chiamati da Nieman vanno diretti al punto, al punto della sostenibilità. Di cosa parlo? Parlo del fatto che i giornali devono guadagnare soldi come tutte le altre intraprese.

    Il problema non è il business model, ma…

    Il problema, indica Nieman con l’analisi predittiva di Paul Cheung, mom è il modello di business, ma l’infrastruttura del business. Si parte dal fatto che ogni esperienza nel mondo dei giornali deve guadagnare, per molti motivi. Il primo è che la ricchezza di un’impresa media è anche un salvacondotto per la sua indipendenza dal potere.

    “Nel 2022 – dice Cheung – le organizzazioni che creano giornali (inteso in senso lato, naturalmente, non parliamo solo di carta, ndr) non devono pensare al modello con cui fanno soldi, ma all’infrastruttura con cui producono i loro contenuti. Per supportare prodotti giornalistici per i quali il pubblico voglia pagare, la concentrazione deve essere tutta sulle operazioni con le quali questi prodotti vengono creati”. Cheong dice che bisogna concentrarsi su tre aree.

    Le tre aree di intervento per far soldi

    • I prodotti devono essere diversi. Naturalmente i giornali devono essere hub informativi in grado di diversificare l’offerta in modo davvero ampio. Siti, video, audio, comunità, long form, approfondimenti, eventi virtuali, contenuti sui social. Tutti i giornali che vogliono guadagnare devono saper intercettare nuove comunità di pubblico dove il pubblico si trova.
    • Il giornalismo deve essere strumento di eguaglianza e di cura della diversità. Molti giornali sono ancora “bianchi” nel modo di pensare. Maggiore diversità vuol dire maggiore pubblico e più possibilità di raccogliere Revenue.
    • Bisogna creare nuove strutture che supportino lo sviluppo del business anche nella sua capacità di venderlo meglio e di dare a quello che i giornali creano, maggiori possibilità di trovare mercati. Bisogna immettere nelle strutture dei giornali la tecnologia più avanzata per creare produzioni innovative e, nello stesso tempo, meno pesanti sotto il profilo dei costi.

    Il giornalismo delle comunità

    Di Nieman ti raccomando di leggere tutte le predizioni. Tutte. Sono una specie di mappa di quello che devi fare se vuoi creare un giornale che guadagni soldi. A questo aggiungo un paio di riflessioni. I giornali di massa sono finiti, i media di massa sono morti. Sta salendo prepotentemente il giornalismo delle comunità. Vuoi un esempio? Eccolo, te lo regalo. Io ci sto pensando da tempo.

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    Milano è una città di livello internazionale. Se osservi bene i media meneghini sono di impostazione nazionale. Uno in particolare ha una tradizione locale, Il Giorno, ma versa in crisi. La città è in crescita e va verso le Olimpiadi del 2026. Non credi che sarebbe una straordinaria comunità sulla quale creare un medium iperlocale di riferimento? Se ti va ti parlarne ho un piano. Contattami.

    Bisogna quindi, per creare giornali che portano frutto, pensare al giornalismo delle comunità. Non provare vergogna mentre fai questo ragionamento: devi trovare una comunità da servire per creare un prodotto tale per cui la comunità che scegli voglia pagare per esserci, per averlo, per poter far sentire la propria voce.

    Il giornalismo “di conversazione”

    La definizione di giornalismo che ripeto più spesso è dell’amico professor Anthony Adornato: “Journalism is a Conversation“. Segui questo concetto e pensa che il web e i social sono il luogo nel quale il contenuto deve e può essere basato sulla conversazione. Incontri virtuali, eventi virtuali, interazioni con il pubblico sono contenuti che devono entrare nel mirino dei giornali che vogliano guadagnare. Semplice il motivo: se vuoi creare giornali che contano devi parlare con i tuoi lettori. Su questo l’esempio di Tortoise detta la linea e indica la strada.

    Il giornalismo delle esperienze

    Su Algoritmo Umano ti ho spiegato che cos’è il Metaverso. I giornali che vogliono guadagnare devono essere rafforzati da un’iniezione potentissima di tecnologia, specialmente mobile. Per produrre contenuti, per pubblicare contenuti, per fruire dei contenuti.

    Tuttavia bisogna concentrarsi sul concetto del web come luogo digitale delle esperienze e sull’orientamento al metaverso che hanno imposto i cambiamenti dei social media. Più si studieranno contenuti da offrire al pubblico che sono vere esperienze, più il pubblico vorrà pagare, essere membro di queste comunità create dai giornali. Comunità che devono essere coltivate e fatte crescere, ma anche educate a guardare fuori delle proprie bolle, interpretando la complessa realtà che ci circonda.

  • Formazione: sono diventato un sarto

    Formazione: sono diventato un sarto

    La formazione è uno dei campi in cui ho lavorato di più nel 2021.

    La formazione è un territorio che io esploro tutti i giorni presto, la mattina. Studio, osservo, testo, verifico, guardo il mondo che mi circonda e assumo costantemente delle competenze. Poi prendo il tutto e vado su Algoritmo Umano a metterlo in pratica. Oppure sui miei social.

    La formazione è, ormai, una necessità costante perché le scuole in cui cerchiamo di diventare un determinato tipo di lavoratore o professionista, sono troppo lente per stare al passo con i cambiamenti della società. Nell’ultimo anno e mezzo, con la pandemia, l’abbiamo vissuta prima come un’opportunità poi come una costrizione.

    Già, ai primi corsi che abbiamo scelto per riempire il vuoto dei lockdown o della lontananza dall’ufficio eravamo felici. Negli ultimi mesi non vediamo l’ora di fare a meno di qualsiasi genere di incontro virtuale, formativo o operativo, che l’azienda, scuola, accademia o istituzione di cui facciamo parte ci propone.

    L’errore di chi fa formazione

    Chi crea la formazione e chi la fa, commette un errore. Anche nell’ambito virtuale la formazione è figlia del modo di insegnare agli altri che abbiamo vissuto, da studenti o professori, a scuola. Per questo è lenta, frontale, poco multimediale, poco interattiva. In questi mesi mi sono spaccato la schiena stando seduto alla scrivania per tentare di cambiare la mia formazione secondo alcune direttive. Vuoi sapere quali?

    Ho dato al mio insegnamento alcune direttive.

    Primo: ascolti chi ti sta di fronte e capisci quello di cui ha bisogno.

    Secondo: ho cambiato strumento didattico e ho scelto Genially. Veloce, interattivo, multimediale, profondo, simpatico, pieno di trucchi. Quando faccio un learning object mi sembra di essere un sarto.

    Terzo: ho mostrato sempre di più lo schermo dei miei device ai miei studenti e ho chiesto a chi mi stava di fronte di mostrarmi il loro.

    Quarto: Ho usato il sito di Algoritmo Umano come un luogo digitale dove creare laboratori dal vivo.

    Quinto: Ho tenuto lo smartphone al centro come strumento di connessione con tutti coloro che interagivano con me. Per dare un consiglio, una piccola consulenza, un piccolo ripasso.

    Cosa devo migliorare

    Nella mia formazione vorrei che si facesse largo sempre di più il concetto dell’esperienza virtuale. Ma c’è di più: devo migliorare il confronto con te per sapere in modo ancora più profondo quello che ti serve veramente. Possiamo stabilire questo dialogo? Per me sarebbe molto importante e ti spiego perché. La mia attività di formatore e la mia professionalità di giornalista si fondono nel momento in cui faccio ricerca di fonti e documenti per venire da te a darti la formazione migliore possibile tagliata sulle tue esigenze.

    Per questo motivo, più tu mi racconti quello che ti serve, più io rispondo meglio alle tue esigenze di formazione. Sono un sarto che cerca di conoscerti, capisce quello che pensi, poi va a cercare la stoffa giusta e ti fa il vestito su misura.

    Se ti va testiamo la cosa al mio prossimo corso che trovi qui sotto. A proposito, se ti iscrivi alla mia newsletter troverai degli sconti pazzeschi. Anche la newsletter la trovi qui sotto… a presto.

    https://www.algoritmoumano.it/event/laboratorio-brand-journalism-con-lo-smartphone/
    Clicca qui per sapere il contenuto del corso di mobile brand journalism.

    Ed ecco la mia newsletter. La trovi su Twitter… il social network che ho eletto a centro della mia vita digitale.

    Leggi anche

    Formazione, il web è una strada a due sensi

  • Perché un giornalista è un consulente

    Perché un giornalista è un consulente

    La professione giornalistica va rivista.

    Io la cambio tutti i giorni, pur rimanendo fedele ai valori che deve avere. Questo giro voglio raccontarti alcuni motivi per i quali, per la tua azienda o per la tua attività, dovresti considerare il giornalista come un consulente molto utile.

    Giornalista uguale consulente, un’equazione non facile per un motivo solo. Allora ti caccio via dalla testa subito questo retaggio del passato per farti capire un concetto chiaro. La professione giornalistica va rivista, ma il primo che deve fare questa revisione sei tu, mio caro cliente.

    Il secondo che la deve fare, invece, è il cliente che ti sta aspettando e che non ha ancora capito che ha bisogno di te. Della tua professionalità e delle tue idee

    I pregiudizi sul giornalista

    Il giornalista, nell’immaginario di tutti, in primis dei giornalisti stessi, è quello che realizza contenuti per l’informazione sui media, di qualunque genere e tipo. Trova le notizie, le seleziona secondo dei criteri, le sviluppa, le verifica e le allestisce per la pubblicazione. Quando ha pubblicato il suo lavoro ha anche terminato il suo compito.

    I potenziali clienti di un giornalista, quindi, sono solo quegli apparati aziendali che lavorano nel mondo dei media e quelle imprese, istituzioni, enti, fonti informative che hanno bisogno di comunicare ai media qualcosa.

    Niente di più sbagliato, almeno a vedere bene l’epoca che stiamo attraversando. Ecco, questo è la categorizzazione di un giornalista che devi iniziare a levarti dalla testa. Rapidamente, perché i tempi stanno cambiando.

    Il giornalista nel nuovo mondo della comunicazione e dei media

    Il giornalista, ora, è un produttore di contenuto per l’informazione, su qualsiasi piattaforma e per qualsiasi committente. C’è di più, il giornalista è uno specialista del linguaggio e del messaggio e può servire a un’azienda per mandare messaggi e per usare linguaggi coerenti con i propri valori, i propri obiettivi, la propria mission e la propria vision.

    Per questo motivo il giornalista ti può essere utile, caro cliente che stai aspettando, nella produzione del contenuto, ma anche nella strategia e nella progettazione dell’azienda stessa. E’ chiaro, infatti, che uno degli asset più importanti di un’impresa è il modo in cui comunica. Per esaminarlo, aggiustarlo, progettarlo o farlo crescere, non c’è professionista migliore di un giornalista. Può aiutarti a scegliere la voce aziendale e il suo tono, la qualità e la coerenza dei contenuti che l’azienda pubblica, la sua pertinenza con il suo mondo e la sua comunità, le parole, le immagini, la policy giusta con cui un’impresa si esprime.

    Produrre, mediare, pensare

    Il giornalista-consulente non produce soltanto, ma può dirti cosa è giusto produrre e comunicare e cosa non lo è. Il giornalista è il miglior mediatore possibile quando si tratta di gestire una comunità di persone che si interessano a quello che la tua azienda fa. Il giornalista è poi il miglior professionista in grado di pensare a come un’impresa deve comunicare correttamente il suo lavoro, i suoi progetti, la sua strada, le sue innovazioni, i suoi percorsi.

    Il giornalista non ti aiuterà nella pubblicità, non si rivelerà il tuo influencer a portata di mano. Non orienterà la vendita, non produrrà contenuti sui tuoi prodotti, magnificandone le caratteristiche. Il tuo giornalista consulente sarà la migliore figurati possibile per regolare il flusso dei messaggi azienda-clienti e viceversa.

    Cominci a capire che il giornalista non è solo chi scrive su un giornale?

    Questo mio modo di pensare la mia professionalità e quella dei miei colleghi è uno dei motivi per cui mi interesso molto al giornalismo d’impresa e con la mia socia Marialetizia Mele sto lavorando a un nuovo corso di mobile brand journalism. Lo puoi trovare qui sotto.

    https://www.algoritmoumano.it/event/laboratorio-brand-journalism-con-lo-smartphone/
    La pagina del corso dell’11 dicembre 2021.
  • Lo smartphone e un’azienda da raccontare

    Lo smartphone e un’azienda da raccontare

    Fare un video con uno smartphone è diverso rispetto a farlo con una telecamera.

    E fino qui siamo nel campo delle ovvietà. Me lo avrai sentito dire o lo avrai visto mille volte su questo blog. Oggi però desidero raccontarti cosa succede quando entri in un’azienda con un telefonino e devi raccontare una storia. Si tratta davvero di un’esperienza interessante che crea un’interazione diversa con i protagonisti del racconto e un’invasione dolce in quel piccolo mondo di persone che lavorano per un obiettivo comune.

    Il progetto Granda Tradizioni

    Qualche mese fa ho realizzato un video aziendale per Granda Tradizioni, un’azienda di Borgo San Dalmazzo che crea meravigliose eccellenze alimentari nella Provincia Granda di Cuneo. Prima te lo faccio vedere.

    Dal canale YouTube di Granda Tradizioni

    Uno smartphone, le mani, gli occhi

    L’obiettivo era comunicare i valori dell’azienda ai buyer e agli stakeholder. Con uno smartphone e le dovute procedure sanitarie, sono entrato nello stabilimento e ho cercato di confondermi tra le persone. Ho osservato i flussi di lavoro, capito il senso, la tradizione, le idee, la passione, le innovazioni, la tecnologia. Il tutto senza che i lavoratori si accorgessero di quello che stavo facendo, diretto dai responsabili dell’azienda fino al cuore della loro impresa. Con lo smartphone ho raccontato molte mani, molti occhi, molte storie in una.

    Quello che fa la differenza

    Ecco i punti che fanno la differenza quando fai un video con lo smartphone in un’azienda:

    • Il lavoro dell’azienda non viene interrotto
    • Il vissuto dell’azienda viene catturato con naturalezza
    • I protagonisti della storia parlano in modo più naturale
    • La cattura delle immagini avviene più velocemente
    • La versatilità del mezzo di permette di catturare immagini e situazioni che non avevi previsto di poter raffigurare
    • La velocità del mezzo dimezza i tempi di lavorazione
    • La particolarià del linguaggio avvicina il video con lo smartphone allo spettatore

    L’ecosistema dello smartphone

    La relazione fra la mobile content creation e le aziende è una relazione che rafforza l’ecosistema dell’informazione anche per quanto riguarda i clienti. Fare un video con lo smartphone, infatti, regala quel linguaggio particolare della vita di tutti i giorni che i clienti cercano sempre di più per capire di che pasta sono fatte le aziende.

    Far nascere un messaggio da uno smartphone per inviarlo agli smartphone dei clienti è il modo più naturale per creare un contatto visivo tra un’azienda e chi la segue. E’ un modo per catturare il mondo della tua impresa e metterlo davanti agli occhi di chi la osserva dall’esterno.

  • I giornali? Morti. E adesso?

    I giornali? Morti. E adesso?

    I giornali sono morti, un horror tutto italiano

    Meno 191 mila copie in un mese per un totale che dà un numero poco lontano dal 1.300.000 copie in tutto. Con il Corriere della Sera  sotto le 192 mila copie e Repubblica attorno a 141 mila. Un horror per i giornali italiani nelle vendite a settembre 2021 comunicate qualche ora fa.

    E adesso? Tutti a spacciare la loro verità. Al netto del covid19, al netto della crisi, al netto degli aiuti di stato, però, il panorama dei quotidiani italiani è afflitto da qualcosa di più profondo e più grave di una recessione economica.

    Fra i mandanti dell’omicidio anche i giornalisti

    I giornali italiani sono morti per mano degli editori che li hanno ridotti a foglietti pubblicitari, ma io preferisco puntare il dito contro la mia categoria. Siamo noi #giornalisti ad aver officiato il funerale. Con una terrificante mancanza di cultura digitale, con il mantenimento delle posizioni e degli orticelli, con le definizioni travolte dal tempo e con i “ma noi abbiamo sempre fatto così”. La verità è che siamo dei morti che camminano se non guardiamo dalla parte giusta.

    Dall’unica parte possibile, quella del cambiamento. Della definizione di giornalista, delle competenze, dei clienti, delle scuole, dei corsi, dei modelli di business, dei luoghi digitali.

    C’è bisogno di giornalisti 

    Il bisogno di giornalisti è più alto che mai. Nelle aziende, nelle istituzioni, nei più svariati campi e nei più svariati modi. Servono giornalisti sui social, sui siti, sui blog, dentro i video, dentro le esperienze virtuali, dentro il metaverso. 

    Serve cambiare tutto, tranne due cose: il ruolo di mediazione sociale e quello della produzione del contenuto. 

    I giornali sono morti. I giornalisti no. Almeno non ancora. Basta guardare dalla parte giusta. La storia sta travolgendo i media di massa, ma non travolgerà le comunità che hanno bisogno di giornalisti come se fosse aria. 

  • Mi riprendo la parola Giornalista

    Mi riprendo la parola Giornalista

    Giornalista, sono un giornalista.

    Oggi è un giorno speciale perché è il giorno in cui mi riprendo una parola. Anzi, mi riprendo la parola. Mi riprendo la qualifica, la vita, il senso, i progetti, i linguaggi ispirati dalla parola giornalista. L’esperienza delle elezioni vissuta assieme alla squadra di Rinnoviamo l’Ordine, di cui ti ho raccontato anche qui, come sui miei social, ha concluso un lungo viaggio che ho fatto ai confini della mia professionalità. Da ore, forse da qualche giorno mi vengono in mente le facce, gli occhi, i messaggi di coloro che mi hanno sostenuto. Mi vengono in mente anche i 369 voti che mi hanno dato. Senza una redazione, dopo anni di lontananza fisica dagli ambienti del mestiere del giornalista, aver preso tutti quei voti è stata un’impresa.

    Il giornalista di domani, oggi

    Sono un giornalista e resterò un giornalista. Sono un giornalista di domani, oggi. Un produttore di contenuti per l’informazione, un progettista di comunicazione consistente, obiettiva, di valore. Per chiunque me la chieda. Sono un giornalista che rispetta i valori della professione, la sua etica, il suo senso. Sono, però, anche un giornalista che è giornalista in altri posti, in altri modi. Un giornalista che si è creato una figura totalmente digitale e che studia l’innovazione dei media, i loro processi produttivi, i loro business model. Sono un giornalista che fa formazione multimediale, che è cultore della comunicazione interna ed esterna in tutti i suoi ambiti e in tutte le sue declinazioni.

    Sempre con il senso del contenuto per l’informazione o la formazione.

    L’evoluzione delle mie materie

    Ero un giornalista. Mi sono allontanato da quel mondo, ma con la convinzione, coltivata ogni giorno, che sarei tornato per cambiarlo. Con il nuovo, dal profondo, per sempre. La proposta di candidatura è stata per me il segnale che stavo tornando. Ho provocato, ispirato, aiutato il cambiamento della prima fase di questo mio reingresso: la campagna elettorale. E’ andata male, di poco, ma male.

    Poi ho pensato a quello che mi ha lasciato l’esperienza elettorale ed è un patrimonio enorme. Ho fatto paura a chi, per anni, ha marciato su questa professione. Ho aiutato il vento del cambiamento. Ho fatto comprendere che il cambiamento non è poi così male. Deve essere soltanto interpretato a dovere.

    Allora adesso non posso tirarmi indietro e ricomincio dal mio posto. Dal mio blog che divulgherà il futuro del giornalismo e il suo presente attraverso la mia esperienza di giornalista declinata in modi nuovi in questi anni. Non posso tirarmi indietro. Per questo motivo ho riscritto sui miei social la parola giornalista. Me la sono ripresa del tutto. Su Facebook, su Twitter, su Linkedin. Qui.

    Non è mobile journalism, è giornalismo

    Da adesso si cambia registro. Non è Mobile journalism, è giornalismo. Non è social media journalism, è giornalismo. E io sono e rimango un giornalista. Da oggi qui ci troverai meno distinzioni, meno sottocategorie, meno leziosità. Il giornalismo che faccio io, tutti i giorni, è e resta giornalismo.