Autore: Francesco Facchini

  • Social network e il momento del valore

    Social network e il momento del valore

    Sui social network, in questo periodo, stanno succedendo molte cose.

    La mutazione di questi strumenti di connessione tra le persone, i social network, appare evidente. Si è manifestata tra risvolti politici, problemi di mercato, attacco delle istituzioni che non ne accettano più la pervasività e modificazione dell’esperienza (come succede su Clubhouse che a mio avviso non è un social network). Se ne sono accorti in molti, ma non si è ancora riflettuto abbastanza su come cambiarne l’interpretazione. Abbiamo bisogno di un nuovo modo di stare sui social network. Un modo che abbia valore. Toccabile.

    I social sono parte della tua catena del valore

    Sui social si è capito che cominciano a contare meno i numeri. Stanno scomparendo i like, si stanno modificando le notifiche, stanno cambiando i rapporti con i fan. In più modi le varie Facebook e compagnia stanno valutando evoluzioni che cambino, lentamente e inesorabilmente, il loro business. Ne parla anche Repubblica qui. Proprio in questo momento, quindi, serve un nuovo modo per interpretarli, per renderli utili a quello che stai facendo. Questi strumenti non sono più mezzi pubblicitari, possono essere leve per aumentare il tuo valore o per creare format di prodotti e servizi immateriali che creino ulteriore ricchezza per te. Come? Beh, con l’esperienza, con il contenuto, con la condivisione della conoscenza verso il tuo pubblico. Perfino con la conversazione con il tuo cliente per sapere come sta e cosa desidera davvero da te: ecco come le reti sociali possono essere parte della tua catena del valore.

    Adesso ti conviene lavorarci

    I social cominciano a essere una piattaforma su cui lavorare. A questo proposito sto pensando, assieme ad alcuni colleghi, di creare un team di professionisti che aiuti non solo la presenza online e onsocial dei clienti, ma anche la creazione di valore grazie a questi strumenti. Come Smartphone Evolution crea consapevolezza nell’uso dello smartphone, così i miei prossimi studi e progetti dovranno creare capacità nel cliente di sfruttare i social network per creare nuove opportunità di arricchire (realmente) il suo percorso digitale.

  • Marketing e smartphone: c’è un ponte da attraversare

    Marketing e smartphone: c’è un ponte da attraversare

    Marketing, marketing, marketing: hai vinto tu.

    Non sono un esperto di marketing, ma un esperto di progettazione, consulenza e produzione di contenuti con device mobili. Se vuoi sapere cosa faccio esattamente, per chi lo faccio e come lo faccio vai qui. In questi giorni sto scoprendo molte cose nuove e mi sto arrendendo allo studio del marketing, per potenziare al massimo le possibilità di incontro tra la mia professionalità e il pubblico (piccolo o grande) che ne ha bisogno. Ecco alcune indicazioni utili per coniugare la parola marketing con la parola smartphone.

    Marketing e creazione di relazioni via telefonino

    Di marketing so poco, ma sto studiando i giganti. Come Seth Godin. Quello che mi arriva dai libri riguarda dei concetti che fanno ben poca rima con numeri, quantità, massa. La strada per interpretarlo al meglio è capirsi, capire a chi stai parlando, creare relazioni basate sul contenuto, sul valore, sulla condivisione, sulla fiducia. Il tutto per prepararsi a essere la risposta alle domande che le persone ti fanno. Il marketing di questi mesi è in netto cambiamento e si sta spogliando dei suoi meccanismi di distrazione di massa. Lo smartphone è lo strumento con cui si tesse la relazione. Una specie di ponte da attraversare per interagire proficuamente con chi ti sta cercando, con chi ha bisogno della tua unicità.

    La forza dei legami deboli

    Qualche giorno fa ho scritto un pezzo su questo nuovo social network (che tutti chiamano social, ma social non è) chiamato Clubhouse. Se vuoi leggerlo lo trovi qui. Grazie a questo nuovo ambiente virtuale ho ritrovato un concetto di cui avevo già parlato un paio di anni fa: la forza dei legami deboli. Clubhouse li porta al massimo livello, li fa diventare arte dell’incontro e della relazione virtuosa. Il primo legame debole, ma professionalmente virtuoso, per me, è arrivato a poche ore dall’entrata su Clubhouse. L’ho raccontato qui:

    Si tratta di Marina Corrente, aka Momò Social Media Marketing, una splendida professionista del social media marketing (di contenuto) con la quale svilupperò un nuovo format di consulenza. Questo è un esempio di quel ponte da attraversare che lo smartphone crea e che bisogna assecondare. Si tratta della già citata forza dei legami deboli teorizzata da Mark Granovetter, fondatore della sociologia economica.

    Un ponte che non è molto trafficato

    Il marketing, nel suo complesso, non ha ancora attraversato questo ponte di comunicazione e di interazione rappresentato dallo smartphone. Osservo con attenzione molti guru (veri o presunti) di questa disciplina e li trovo spesso a smazzare contenuti che sono “one fits for all”, uno buono per tutti. Concetto da ribaltare… completamente. Il marketing via smartphone deve lasciare a terra numeri, quantità, verità precotte e modelli buoni per tutto. Lo smartphone è un ponte di comunicazione che sviluppa relazioni “uno a uno” o “uno a pochi”, almeno nella sua nuova versione. Lì, caro lettore, cliente, professionista, comunicatore, marketer, c’è la chimica del cambiamento. E ci sono i risultati che aspetti. Non nella quantità, non nella massa…

    Marketing: forse sta succedendo qualcosa di speciale

    Clubhouse e tante altre app simili, nate per l’interazione virtuale e di valore, stanno spingendo un movimento di liberazione degli internauti. Quale? Quello che ci sta per liberare, per sempre, dai like, dai fan, dai follower, dai numeri. Il ponte non è stato attraversato, ma stiamo incominciando a farlo e questa è una ottima notizia.

  • Clubhouse: il bello di un social che non è un social

    Clubhouse: il bello di un social che non è un social

    Clubhouse: il mondo dei social è stato squassato da una nuova entrata

    Gli smartphone di tutto il mondo sono attraversati da una scarica elettrica: si chiama Clubhouse. È uno strumento social, una app che funziona solo per invito e ha un elemento caratterizzante: la voce. La struttura è di un’innovatività disarmante e riporta al centro l’interazione diretta e sincrona. È basato su stanze di conversazione che possono essere private o pubbliche, come veri e propri eventi online o come interazioni dirette. Molto interessanti anche le cose che non ci sono, ma ora andiamo con ordine.

    In Clubhouse non ci sono timeline

    Clubhouse ci libera dalla prevasività delle timeline. Se vuoi seguire quello che succede devi entrare nelle varie “room” e ascoltare, oppure iniziare una conversazione, sia essa tematica o generalista. Le stanze riproducono un ambiente virtuale nel quale un moderatore elegge a speaker determinate persone che possono essere funzionali al tema di cui si sta parlando.

    Non restare fuori a guardare dal buco della serratura, ma doverci mettere la voce è spiazzante, ma toglie il sentimento di emulazione e di clonazione cui invita un social network normale. Entri, ascolti, alzi la mano, attendi, partecipi (se ti fanno partecipare). Lì devi essere te stesso. Non ti puoi limitare a guardare, non puoi fare il leone da tastiera, non puoi sparare cavolate.

    In Clubhouse c’è la virtualizzazione dell’incontro

    Solleva vedere che Clubhouse non è schiavo dei numeri, non è figlio della quantità e dei follower. Si tratta di un luogo dove interagire, allacciare contatti, conoscere e togliere passaggi al palcoscenico dei media. Sto scrivendo questo pezzetto e da un’ora sono nella stanza di @insopportabile a sentire una bella chiacchierata su come i politici potrebbero usare questo medium.

    Beh, dovrebbero fare attenzione. Tanta, perché qui si rischia l’uno contro tutti se quello che dici non ha valore. Sono dentro la stanza è assieme a me ci sono Francesco Di Gesù (in arte Frankie Hi-nrg MC) e Saturnino Celani, due clamorosi artisti. Essere a chiacchierare con loro e sentire la loro voce, strumento con il quale entreremo nella nuova era di Internet, come ho già scritto, è emozionante. Una vera virtualizzazione dell’incontro che viene vissuta lì per lì e che dai server di Clubhouse non viene registrata (forse…). Per cui è il “qui e adesso” che conta. C’è anche la disintermediazione, i gradi di separazione tra me e le persone famose sono meno di sei…

    Dobbiamo imparare dai pischelli

    Clubhouse è anche il luogo della democratizzazione dell’interazione virtuale. Posso arrivare a un mio mito, se voglio. Con le dinamiche giuste. Già, perché è solo su invito e chi è invitato reca sul suo profilo il nome di chi lo ha invitato. Per sempre. Un garante. Una scusa per comportarsi bene, se no sputtani anche chi ti ha fatto entrare. Dobbiamo imparare dai ragazzini (nel senso dei giovani 16-25) che, nel 2020 caratterizzato dalla pandemia, hanno iniziato a vivere autentiche amicizie virtuali grazie a questi non-luoghi come Houseparty. Stiamo entrando in una mutazione dei social sostanziosa e sostanziale e Clubhouse, il quale ci ha tolto lo scroll, i fan, i like, i follower e le paranoie annesse, è il primo social della nuova generazione. Un social che non è un social per come abbiamo imparato a conoscerlo.

    Una clamorosa opportunità per comunicatori e aziende

    Clubhouse è un posto pazzesco per chi produce contenuti e per chi vuole cambiare finalmente il modo di raccontare un’azienda, un’attività, un progetto. È una stanza nella quale tutti possono entrare e sentire il valore di quello che stai dicendo, ma anche il rumore di quello che stai facendo. Con Clubhouse l’apertura per il ruolo di un comunicatore si alza di tono. Un giornalista può e deve diventare un progettista del prodotto editoriale a 360 gradi e arrivare fino al ruolo di coach dello speaker o del personaggio pubblico che ha intenzione di aprire un account e delle stanze di interazione con il pubblico. Ah… a proposito, qui non ci sono gli influencer e i loro diavolo di post sponsorizzati. Non ci sono filtri delle foto. Non ci sono foto, non ci sono scritti, non ci sono cose che restano.

    Clubhouse: posto di esperienze

    Clubhouse è un luogo dell’esperienza e della conoscenza condivisa, nel quale polarizzare la discussione diventerà estremamente difficile. Perché? Beh, per la selezione all’ingresso, per la natura sincrona dell’interazione (se vuoi parlare ci devi stare), per l’uso della voce, per il fatto che tutto avviene in quel momento e di quel momento non resta traccia. Per questo ritengo che sia un ottimo strumento per le aziende, per avere un filo diretto con il loro pubblico, per sentire parlare i loro clienti.

    Il ruolo del moderatore

    Sono le primissime ore per me su Clubhouse e, per adesso, ascolto molto e parlo poco. Sono stato invitato dal giornalista Rai, responsabile dell’area web, Diego Antonelli che ringrazio. Però già sto pensando ai contenuti e alle stanze che potrò aprire, naturalmente per Smartphone Evolution e per Algoritmo Umano. Stanze di vita e di incontro virtuale. Credo sia utile spiegare il ruolo del moderatore, per quello che ho capito. La persona che vuol creare una stanza, improvvisata o ricorrente, diventa il moderatore. Un ruolo centrale anche per il controllo di quello che può succedere. Può nominare speaker e togliere il microfono, far entrare (se è una room chiusa) e far uscire. Se il modello di business evolverà rapidamente, come credo, vedo una grande opportunità anche in questo compito, in questa nuova professione. Già, proprio quella del moderatore di luoghi virtuali.

    Quello che non va in Clubhouse

    Devo dirlo, sono stupito in positivo da Clubhouse, ma anche inquietato da alcune sue caratteristiche. Prima di tutto è a invito e questo crea divisioni nella sopcietà virtuale. No buono. Evolverà per forza. Poi, per ora, è solo per iPhone e quindi ce lo possono avere solo le persone che hanno un telefonino di quel tipo. Altra connotazione elitaria. Poi potrebbe aumentare le bubble room, quelle stanze virtuali che fanno rimbombare le proprie opinioni.

    Il pericolo dello stare tra simili

    Ci si incontra solo con gente simile, perché si entra nelle stanze che si interessano. Invece bisogna confrontarsi con il mondo, aprirsi al diverso. Poi c’è tutta la questione delle registrazioni di quello che succede: Clubhouse dice che non conserva il registrato, ma lo detiene soltanto poco tempo dopo la fine della stanza solo per eventuali segnalazioni del pubblico su qualcosa di negativo che sia accaduto nell’incontro. Sarà vero? Poco sotto, infatti, dice che conserva dati e metadati per un tempo indefinito. Ecco, bisognerà chiarire. Questo, però, è un momento di vera Smartphone Evolution. Anzi di Social Evolution.

    Ps. La foto è mia ed è la foto dell’iPhone aperto su Clubhouse e della sua posizione rispetto a quello che stavo facendo. Sentivo la chiacchierata e scrivevo. Ho cercato di intervenire, ma non sono stato abilitato a farlo. Ho sentito persone interessanti parlare, tenermi compagnia, mentre pigiavo sui tasti o bevevo il caffé. Una splendida sensazione di compagnia, di nuova relazione virtuale. Composta ed educata, mai urlata, la discussione mi ha rallegrato il sabato pomeriggio. Un buon inizio.

    Leggi anche:

    Voce e internet: rivoluzione controversa

  • Podcast mobile: un altro mondo da esplorare

    Podcast mobile: un altro mondo da esplorare

    Podcast mobile: come cambiare il senso delle cose

    Sono alle prime esplorazioni del mondo del podcasting mobile, ma devo dire che o già percepito il senso di un mondo nuovo che mi si para davanti. Quello dei podcast è un fenomeno in netta ascesa, dentro l’universo del mercato dei prodotti editoriali. Stanno investendo nella voce i grandi giornali, i grandi gruppi dello streaming musicale, le grandi aziende. Unire questa tipologia di contenuti alla filosofia mobile potrebbe trasformare il senso di ogni incontro, di ogni registrazione, di ogni progetto editoriale audio.

    Il kit per il podcasting mobile: che leggerezza

    Per fare un podcast mobile cambia la strumentazione. La mia è quella che vedi nella foto.

    L’attrezzatura per podcasting mobile su cui sto lavorando

    Il mio iPhone 12, il mio iPad pro, uno splendido mixer Zoom P4 (grazie a Mogar Music per avermelo mandato in uso), un radio microfono Samson e il gioco è fatto. Anzi no, c’è di più. Già, c’è la splendida applicazione gratuita di montaggio e diffusione dei podcast Anchor che rappresenta l’interfaccia ideale per costruire gli episodi con disarmante facilità.

    Lo smartphone è il mio ponte verso l’esterno

    Quello che mi ha stupito, nella mia prima vera registrazione di un podcast con attrezzatura completamente mobile, è duplice. La prima sorpresa l’ho ricevuta dalla versatilità d’uso e dalla capacità di dialogo con i vari strumenti del mixer P4. Un hardware grande come una mano, in grado di rapportarsi in modo praticamente perfetto con lo smartphone quale terminale di suono (si può ospitare una telefonata da fuori in un baleno) e con l’iPad nella gestione del montaggio. La seconda sorpresa l’ho avuta dallo smartphone che ha gestito con velocità l’ingresso di alcune testimonianze esterne arrivate via Whatsapp e girate al cloud di Anchor in due colpi di dita. Lo smartphone, quindi, può essere un ponte verso l’esterno sia per le telefonate che per la gestione di file audio provenienti da qualsiasi altra app che gestisca questa tipologia di file.

    Podcast: un’opportunità per le aziende

    Sperimpenterò sul campo questa nuova modalità di fare podcasting in mobilità. La sperimenterò e la insegnerò subito al mio prossimo cliente. Si tratta della Fondazione Edulife che con il suo 311 Verona mi ha chiesto di fare un corso laboratorio sul podcast mobile per un gruppo di giovani con il fine di presentare un vero podcast a un vero cliente. Il mese prossimo, anzi, nei mesi prossimi ho una nuova missione: scardinare anche il mondo del podcasting facendolo… muovere. Un’opportunità che spero le aziende vogliano cogliere.

  • Osmo Pocket 2: dallo smartphone al cinema

    Osmo Pocket 2: dallo smartphone al cinema

    Ho provato la Osmo Pocket 2, nuova versione della microcamera stabilizzata di Dji.

    Il micro strumento della famosa marca cinese specializzata in droni non mi aveva convinto nella sua prima versione. Con la numero due è cambiato tutto… o quasi. La Osmo Pocket 2, infatti, è uno strumento indispensabile per portare ancora più in alto la qualità delle immagini che produci con lo smartphone.

    Osmo Pocket, i problemi della prima versione

    Alcune cose della prima release della Osmo Pocket non mi convincevano. Sembrava un giocattolo poco professionale, almeno visto con gli occhi di chi produce un contenuto. Ottima per la stabilizzazione, pessima, per esempio, per l’audio. Non si capiva bene se questa camera fosse una semplice sport-cam, come la Go Pro, per intenderci, o volesse essere qualcosa di più. Come sai non parlo di tecnica, ma di utilizzo dell’aggeggio: ebbene, la Osmo Pocket, col tempo, mi ha contraddetto sul campo. La seconda versione ha fatto ancora di più.

    Le prime esperienze con la due

    Filmati in 4k a 60 fps, fotocamera da 64 mega, stabilizzazione a tre assi, active track (ti segue se ti muovi davanti a lei, per intenderci). La nuova creatura di Dji ha delle caratteristiche che la rendono molto potente sotto il profilo tecnico, ma è notevolmente migliorata anche nella sua esperienza di uso. Ecco le prime foto e i primi video stabilizzati che ho realizzato passeggiando per Milano il 16 gennaio 2021.

    Perché comprare la Osmo Pocket 2

    La microcamera ha sconfitto completamente i problemi dell’audio, equipaggiandosi di quattro microfoni che creano l’audio direzionale il quale si modula a seconda dei tuoi spostamenti davanti a lei. Oltretutto è stata dotata di una basetta e di un microfono wifi che può permettere di creare splendidi “piece to camera” anche in pieno movimento e da lontano. Insomma, con i suoi accessori, può essere uno strumento con il quale lavori in modo autonomo, usando lo smartphone solo per scaricare i pezzi e montarli. La Osmo Pocket 2, però, è necessaria quando fai le immagini di copertura che, con la sua spettacolare stabilizzazione, portano i tuoi video a una qualità cinematografica.

    Perché non comprare la Osmo Pocket 2

    Grandi motivi non ce ne sono, ma è davvero respingente la maniera di affrontare i clienti della Dji. La base, infatti, costa 359 euro, ma è completamente sfornita di accessori che sono determinanti per l’uso completo di questa microcamera, la quale non è una semplice sport-cam, ma uno strumento che vale le più costose camere cinematografiche, almeno in movimento. Per questo sei comunque obbligato ad acquistare gli accessori se vuoi, per esempio, usarla come seconda camera wifi controllata da un secondo telefonino (altra cosa che faccio spesso nelle interviste). Anche il microfono dedicato è a parte. Ecco, piccolo problema, se vuoi acquistare gli accessori a parte non si trovano…

    Il motivo? Semplice. Vogliono farti acquistare la versione combo, con tutti gli accessori compresi. Lì il prezzo sale a 519 euro. Non va bene, ci vorrebbe più chiarezza. Comunque se vuoi portare al livello più alto possibile le tue immagini, lei è la risposta.

    Leggi anche – Nel 2021 il mobile journalism diventerà grande

  • Concerti in streaming e il ruolo di un comunicatore

    Concerti in streaming e il ruolo di un comunicatore

    Concerti in streaming, eventi, convention, riunioni, lezioni.

    Ormai online viviamo ogni genere di esperienza. Anche importante, anche dolorosa, anche emozionante. Il settore dei concerti in streaming sta crescendo in modo veloce, perché è diventato l’unico canale possibile, per gli artisti della musica, di raggiungere il pubblico. Dietro c’è molto altro. C’è un mondo nel quale si possono pensare formati e programmi online che siano davvero fondati sul muovo modo di essere del web. Quale? Beh, quello del ponte, del mezzo di connessione, del mezzo di interazione e del mezzo di esperienza.

    Concerti in streaming, l’esperimento di Algoritmo Umano

    Con la piattaforma Algoritmo Umano sto lavorando, in piena autonomia, a un esperimento. Si tratta della produzione di un concerto in streaming della giovane cantautrice Joan Quille che andrà in scena il 15 gennaio 2021 alle 21.30. Puoi trovare tutto a questo link. Si tratta di un laboratorio. Partire dai concerti in streaming, operazione per la quale ringrazio Joan per il coraggio e la collaborazione, è un primo passo per cominciare a formattare produzioni in diretta multicamera per creare eventi che possano salire al rango di un’esperienza. Da proporre al pubblico, ai clienti, alle persone che fanno parte di una community che segue un’azienda, un’istituzione, un medium di qualsiasi genere.

    Per questi format ci vuole un giornalista

    Inizio il mio percorso da questo settore dei concerti in streaming, ma voglio precisare la strada che ho intrapreso. Voglio cercare di definire su di me la professionalità del progettista di eventi in streaming multicamera. Alla mia carriera di giornalista ho aggiunto tutta la conoscenza della mobile content creation, dei social media e del web mastering in WordPress: una combinazione giusta per creare tutte le fasi tecniche della preparazione di un evento.

    La questione più importante, però, è il ruolo che un giornalista deve avere nella creazione di questi format. Un ruolo centrale. Solo chi sa di diretta, di conduzione, di interazione con il pubblico e di creazione del coinvolgimento tramite lo storytelling, infatti, è capace di fare il punto focale di progettazione di un evento live come un concerto in streaming o una presentazione o uno spettacolo teatrale. Per essere narratore e palcoscenico assieme, in questo nuovo mondo nel quale il web non è solo fruizione del contenuto. Comincia a essere esperienza.

    Creare una nuova cultura sarà difficile

    Gli eventi come i concerti in streaming mobile avranno un problema. Già, un problema culturale. Potrebbero essere giudicati dal settore come dei prodotti di serie B, dei rimedi in assenza dell’evento fisico o delle grandi e pulitissime produzioni televisive. Ecco, se si vuole creare un nuovo rapporto con il pubblico e una nuova espressione artistica o di comunicazione, bisogna pensare che questi eventi, più grezzi e più veritieri, sono un linguaggio diverso. Non dobbiamo giudicare un concerto in streaming dalla purezza del suono, ma dall’emozione che crea, figlia della vicinanza dell’artista con me. Creare una nuova cultura sarà difficile, ma non mi tiro indietro.

    Il primo evento e tante altre storie

    https://www.algoritmoumano.it/event/joan-quille-in-concerto-emozioni-in-musica/
    La pagina del concerto di Joan Quille

    Questa è la pagina del concerto, un concerto che ha vissuto il 9 gennaio 2021 il suo sound check che puoi vedere cliccando qui. Per questo tipo di eventi, quindi, il mio laboratorio è pronto. Se vuoi organizzarne uno puoi prenotare un appuntamento qui.

    La mia agenda elettronica è qui

    Una volta stabilito e scritto il progetto, puoi andare sulla pagina delle produzioni multimediali per acquistare la produzione. Questa è la pagina per l’acquisizione dei possibili servizi per la creazione di concerti in streaming e altri eventi. Il primo, chiamato “AU produzione di dirette social”, è una produzione in diretta multicamera. Il secondo, denominato “AU produzioni video mobile (da remoto)” è la produzione di una registrazione in presa diretta che può avere anche una fase di post produzione e un montaggio successivo. Entrambe le produzioni possono essere realizzate in presenza e da remoto con apparecchi e device mobili.

    https://www.algoritmoumano.it/algoritmo-umano-produzioni-multimediali/