Autore: Francesco Facchini

  • Come diventare giornalista? Sperimentando

    Come diventare giornalista? Sperimentando

    Una domanda che mi fanno spesso e che non ha risposte giuste

    Se cerchi sul web “come diventare giornalista” le risposte che trovi sono figlie di un altro tempo. Sono vecchie, hanno modelli professionali che non esistono più. Il mondo dei media e la professione del giornalista hanno fondamenti che non reggono più alla velocità del cambiamento. Come diventare giornalista è una domanda che non ha risposte adeguate. Ho deciso di mettere qui la mia, proprio poco prima delle vacanze di Natale e poco prima di alcuni fondamentali cambiamenti nella mia professione di giornalista.

    Come diventare giornalista? Vivendo delle esperienze sulla propria pelle

    Sono un giornalista. Resterò un giornalista. Invece di rispondere alla domanda “come diventare giornalista” ho dovuto rispondere, pochi anni fa, alla domanda “come restare un giornalista”. La risposta che mi sono dato è: vivendo esperienze nuove. Ho studiato il mobile journalism, l’ho fatto mio. Ho cambiato strumenti lavorando solo con lo smartphone. Nel mio percorso ho conosciuto molte persone e cambiato il bacino dei miei clienti. Ho sperimentato talmente tante cose e fatto talmente tanti errori che non riesco nemmeno a contarli.

    Vivendo i cambiamenti e deragliando costantemente dai binari sui quali avevo messo il trenino della mia carriera nei 25 anni precedenti, ho trovato la strada giusta. Ho trovato nuove piattaforme, nuovi clienti, nuovi prodotti, nuovi servizi. L’ho fatto solo sperimentando, vivendo esperienze sulla mia pelle. Mi sono tagliato, mi sono sporcato le mani, sono sceso da tutti i piedistalli sui quali ero. Ho divulgato il giornalismo in un modo nuovo, ho spaccato luoghi comuni. Ho aiutato professionisti, aziende, attività a rilanciarsi. Con uno smartphone.

    Il giornalista che sono diventato

    Se devo rispondere alla domanda “come diventare giornalista” potrei dire, “diventando uno sperimentatore, un produttore di contenuti, un costruttore di relazioni tra i media e il pubblico, un mediatore sociale”. Sono diventato così. Faccio esperimenti con cadenza quasi giornaliera. Produco contenuti con il criterio e la deontologia del giornalista per chiunque. E ovunque. Creo connessioni, processi nuovi di lavoro, mediazioni della realtà. Non smetto di essere giornalista nemmeno sui social network. Non sparo opinioni, diffondo cose utili: per capire la realtà, per interpretare il futuro.

    Come diventare giornalista? Con Algoritmo Umano e col coraggio

    Nel 2020 ho scritto un libro di cui fra poco saprai. Nel 2020 ho creato Algoritmo Umano. Cos’è? La mia interfaccia digitale con il pubblico, la casa sul web del mio lavoro. Se mi vuoi leggere, passi da lì. Se mi vuoi ingaggiare passi da lì. Quello è il posto del mio lavoro e segue il progetto di una completa digitalizzazione della mia figura professionale. Ho avuto il coraggio di cambiare il limite della mia professione di giornalista e ho fatto cose che possono tranquillamente essere considerate oltraggiose dai più.

    Lo dico, mi autodenuncio e rispondo a tutti quelli che chiedono “come diventare giornalista” al web. Si diventa giornalisti sperimentando, anche cose come queste. Se clicchi su questo link troverai il mio shop di Facebook. L’ho fatto anche su Instagram. Si tratta di sperimentazione e sono ben sicuro che non venderò la mia professionalità sui social di Menlo Park dall’oggi al domani. Però è conoscenza, è novità, è interazione. Si tratta di una sperimentazione che non può non esserci nel mio lavoro di produttore di contenuti e sviluppatore di messaggi di comunicazione. Il 2021 del mio essere giornalista si presenta molto bene. Sappi che scriverò tutto quello che succede.

    Leggi anche – Il giornalista?Non conosce il suo business.

    Giornalismo: riflessioni sul futuro

  • Smart working: ecco qual è il segreto

    Smart working: ecco qual è il segreto

    Smart working e cellulare: un binomio strettissimo

    Lo smartphone è una macchina totale. Perfino il nome andrebbe cambiato. In effetti quello che hai tra le mani è un potente computer che ormai ti fa telefonare ben poco. Potremmo chiamarlo, l’ho suggerito in questo articolo, il tuo personal device. Oppure smart device, nel senso che è lo strumento più importante per il lavoro da remoto. Senza se e senza ma. Ormai il mio lavoro si rivolge a tutta la divulgazione, la formazione, i prodotti e i servizi che possono essere svolti proficuamente con il telefono. Insomma, all’uso dello smartphone come macchina totale. Mi sembra arrivato il momento di dirti come usare il telefonino per fare smart working in modo performante, positivo e felice. C’è un segreto, ma va fatta una premessa.

    L’arma di distrazione di massa

    Il cellulare e lo smart working hanno un rapporto strettissimo, ma il telefonino è un arma di distrazione di massa. Questo maledetto scatolotto è stato concepito in modo neutro, ma le applicazioni di social network e di messaggistica istantanea lo hanno resto una trappola mortale per la nostra concentrazione. Trilla e strepita a ogni minuto. La tua attenzione viene sconfitta da un qualsiasi trillo del telefonino, il tuo lavoro ne riceve un colpo, tutto sommato, forte. Togli l’attenzione da quello che stavi facendo e accorri a mettere le mani sull’aggeggio. Da quel momento in poi ogni messaggio del telefono cattura la tua attenzione mandando in tilt il sistema di priorità che avevi fino a qualche secondo prima. Da lì è un attimo a finire su Facebook e a non ricordarsi il motivo per cui avevi preso in mano il cellulare o la notifica che ti aveva attirato. Anzi, spesso metti giù il telefonino e non ti ricordi perché lo avevi preso in mano.

    A tutto questo c’è rimedio.

    Le maledette notifiche, nemiche dello smart working

    Alla base di tutto questo c’è il sistema delle notifiche. Ecco il segreto: per essere un vero smart worker le notifiche le devi spegnere. Tutte. Niente paura, non perderai alcunché del tuo lavoro o della tua vita. I messaggi che ricevi saranno lì ad aspettarti. La grande, incommensurabile, differenza è che sarai tu a scegliere il momento in cui prendere in mano l’oggetto per leggere tutti gli avvisi arrivati. Nel momento giusto e con il giusto ordine di priorità. Lavorare in remoto è una dimensione nuova. Il fatto di essere lontani dall’ambiente di lavoro consueto, frequentato magari per anni, disorienta. Ecco che lo smartphone diventa una porta spalancata dalla quale entrano le cose importanti unite alle distrazioni. Fare bene lo smart working vuol dire anche saper chiudere la porta, mentre si sta compiendo un’operazione per poi aprirla quando l’operazione è terminata.

    Il flusso delle notizie preso dalla parte giusta

    Spegnere le notifiche cambierà il flusso delle notizie, sia personali sia di lavoro.Lo prenderai per la prima volta dalla parte giusta, dalla parte che comincia da te con la decisione del momento in cui puoi e vuoi vedere quali sono i messaggi che ti arrivano e rispondere. Con i tuoi tempi, con i tuoi modi. Così lo smart working potrà diventare efficiente e la fase di concentrazione che devi avere quando esegui un compito di lavoro non sarà più attraversata da continue interruzioni.

    Disponibile con tutti, a disposizione di nessuno

    Sono ormai 30 giorni che ho spento tutte le notifiche. Tutte. Prima tenevo aperto solo twitter per sapere al volo le notizie del mondo dello smartphone e della mobile content creation. Tirando le prime somme è aumentata la produttività, la concentrazione e anche la possibilità di prendere dei momenti per me. E’ salito il silenzio, è salita la serenità e la capacità di vedere ad ampio raggio i progetti che sto sviluppando come Algoritmo Umano. Come ripete da tempo Rudy Bandiera, sono disponibile con tutti e a disposizione di nessuno. Ormai è una scelta, una scelta che dovresti fare anche tu se vuoi che il tuo smart working si trasformi da inferno senza orari a una bella esperienza.

    Foto da Pexels

  • Il giornalista? Non conosce il suo business

    Il giornalista? Non conosce il suo business

    Essere un giornalista oggi in Italia è molto difficile

    Si tratta di una professione devastata da una crisi senza fine e minata da alcune mancanze molto gravi all’interno del sistema. Il giornalista italiano oggi guadagna molto poco, lavorando un numero di ore abnorme, in un’industria che sta completamente fallendo il rinnovamento e il cambiamento dei modelli con cui si propongono nuovi media. I motivi della crisi sono molti: culturali, finanziari, politici, tecnici. Concentrando l’attenzione sulla preparazione del giornalista, però, continua a saltarmi agli occhi un pensiero. Si tratta di una specie di bug, di falla nel sistema di preparazione e formazione dei professionisti di questo mestiere.

    Il giornalista è in una situazione grave

    I percorsi attraverso i quali si diventa giornalista sono caratterizzati dalla completa assenza di possibilità di imparare l’economia, il management, la gestione di un business e tutti quegli elementi che possono far migliorare la condizione professionale. Ne ho già parlato in questo articolo e in uno precedente. Si tratta di un tema che ritorna perché è uno dei modi in cui, personalmente, ho abbattuto e ricostruito completamente la mia figura di giornalista. Sapere di business, di gestione delle risorse, di marketing, di vendita e di controllo di gestione è determinante per cambiare il proprio modello di lavoro e renderlo redditizio. Il giornalista italiano di oggi, però, non riesce a tirarsi fuori dal gorgo delle routine cui he abituato da decenni e non ha alcuno strumento per formarsi.

    Le scuole vecchie, le redazioni che ti stritolano

    Per il giornalista sapere di business vuol dire avere la possibilità di calare le sue dinamiche di lavoro e di produzione del contenuto nella realtà nuova dell’ecosistema dei media. Invece è ancora stritolato dalle redazioni e dai capi che telefonano dicendo: “Fammi 30 righe”. Se un giovane vuol fare una scuola di giornalismo, appena apre la porta di quelle aule si accorge che qualcosa non torna. Quello che trova, infatti, è una formazione accademica da quotidiano degli anni ’90 o da radio-televisione modello infotainement. Niente sul freelancing, niente sull’auto imprenditorialità del giornalista, niente sulla vendita del contenuto. Il vuoto sul personal branding, sulla proposizione della propria professionalità al mercato, sulla creazione di nuovi prodotti. Niente: il giornalista è quello che fa il pezzo, poi un altro, poi un altro, poi un altro. Una specie di cottimista della parola o dell’immagine.

    La formazione inutile

    Se vado sulla piattaforma Sigef, quella della formazione professionale del mio mestiere, rimango spesso basito. Mi basta digitare parole come “business” “freelance” “autoimprenditorialità” per restare di pietra. Fra i corsi dell’Ordine dei giornalisti i risultati sono “0” in tutti e tre i casi. C’è qualcosina sul business, interpretato come cultura aziendale e non del professionista, a pagamento. La formazione che abbiamo a disposizione è raramente utile alla vita e allo sviluppo della carriera del giornalista. Va detto.

    Me lo ha fatto capire l’iPhone

    Qualche giorno fa ho fatto questa diretta streaming su una notizia che, a mio avviso, cambierà per sempre il mondo del giornalismo e della produzione televisiva.

    La diretta dal mio canale Youtube

    Il prossimo aggiornamento del sistema operativo dell’iPhone farà in modo che questo possa produrre video con il sistema PAL, quello di tutte le televisioni europee. A me è venuto subito da pensare alla possibilità di ricominciare a vendere contenuti alle tv italiane. Ho subito pensato alla possibilità di sviluppare ancora il mio business. Preciso una cosa: i video con gli smartphone li faccio da anni per ogni tipo di tv. La differenza sostanziale è che potendoli fare in PAL dalla camera nativa (24,97 frame per secondo) i prossimi saranno più facili da gestire tecnicamente per qualsiasi televisione. Meno passaggi tecnici, più possibilità di vendita.

    Questo è solo un esempio per far capire come ogni innovazione può nascondere un’opportunità professionale. Ogni app, ogni nuovo modo di proporre un servizio vecchio, ogni nuova piattaforma, ogni nuovo format, ogni nuovo hardware con il quale produciamo un contenuto può essere una strada da percorrere per un giornalista. Una strada che migliora il presente e costruisce un futuro diverso, mio caro giornalista.

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  • Vita a 5G: la partenza è… surreale

    Vita a 5G: la partenza è… surreale

    Da qualche giorno ho la connessione 5G nel mio nuovo iPhone 12.

    Ho cambiato la mia tecnologia cellulare per fare un salto in avanti dentro quell’eldorado che aziende e commentatori dipingono come un nuovo futuro che cambierà tutto. Come divulgatore della mobile content creation e dell’uso consapevole dello smartphone credo di fare un buon servizio se mi addentro nei nuovi modi di vivere il rapporto con la tecnologia mobile all’interno dei giorni normali di vita. Ebbene, la partenza è stata surreale, una specie di presa di coscienza, con tanto di prove, che il tanto decantato 5G non esiste. Lo avevo già scritto su Algoritmo Umano, ma ora ho le prove per poterlo dire.

    Il primo aggancio al 5g

    Ecco i miei primi test di connessione sulla linea di Tim

    Ricorderò per un po’ la data del 14 novembre 2020 come una data importante. Ho comprato un iPhone 12, il primo iPhone 5G, il quale mi ha dato fin dal primo aggancio alla rete un segnale di quinta generazione. Elettrizzato, ho subito tentato uno speed test, ricevendone un’indicazione imbarazzante, ma commettendo anche un errore. L’errore è che l’ho fatto dentro casa mia. Dovevo ricordarmi che il 5G viene rallentato di molto dal cemento. Quando sono uscito di casa la cosa è leggermente cambiata. Preciso che il test di cui parlo è quello in fondo e i successivi sono a salire. Il secondo è un test del Wi-Fi si casa mia e quello successivo è un altro test in casa. Facciamo così diciamo che non valgono date le condizioni in cui ho svolto le prime prove di questa connessione. Poi, però, sono uscito.

    La passeggiata lunare

    Durante una camminata il giorno successivo mi sono fermato a fare altri test dopo un primo approccio decente al 5G avuto il 14 novembre alle 20.37. Domenica 15 novembre 2020 ho testato la connessione fermandomi in un punto in cui avevo 5 tacche e 5G segnato sul telefono e ho scoperto solo dopo che era un 4G. Lo si vede dai test delle 12.05 e delle 12.06. Questo è successo perché l’iPhone è settato su “5G Auto” e non su ”5G on”. Cosa vuol dire? Semplice: vuol dire che ha una funzione che dà al telefono las possibilità di usare il 5G solo quando questo non consuma troppo la batteria (la Auto, appunto). Ok, va bene. Quindi il 5G c’è, ma la tua batteria viene ciucciata al volo, tanto che la Apple ferma la cosa dandoti una funzione “usala pure, ma con cura”. L’operatore telefonico in questione, poi, maschera il segnale 4G mettendoti il simbolino 5G, anche quando non c’è.

    5G e il valore aggiunto che non c’è

    Alla fine è arrivato, in via Imbriani a Milano, il primo assaggio di 5G. Ultimo test per 200 mega e spiccioli in download, 30 in upload. Se compari, dalla foto, il primo test della lista, quello di cui parlo, con quello precedente (quindi il secondo della lista), capirai che il valore aggiunto non c’è. Il 5G massimo che ho trovato si è rivelato uguale al 4G che già pago al mio operatore. Dico subito che la mia vita a 5G è appena iniziata e che per mesi ne parlerò in articoli, video e pezzi sul sito. Farò anche altri test in altri posti della città.

    Tuttavia va chiarito subito che c’è una specie di tradimento nei confronti dei clienti che viene perpetrato dai telefonici e dai produttori di smartphone. Come ho spiegato nell’articolo di Algoritmo Umano in Italia non ci sono antenne stand alone (cioè basate solo sulla tecnologia 5G), ma solo antenne miste tra 4G e 5G. In Italia i telefonini che ci sono non hanno modem interni 5G, ma misti. Il tradimento di cui parlo, quindi, è legato al fatto che il simbolino 5G che compare nasconde una linea 4G nella gran parte delle volte. Questo i consumatori dovrebbero saperlo.

    Ci vorrebbe più chiarezza

    Il centro del problema è questo: la chiarezza. La rete di connessione a 5G è una promessa non mantenuta e questo si dovrebbe sapere. La verità è che le telefoniche stanno costruendo la rete con spese enormi in tutto il mondo. Per questo cercano di vendere il servizio accelerando le reti 4G, ma senza dirlo apertamente. Hanno bisogno di soldi per continuare a far crescere la copertura prima che questa raggiunga i livelli da 1 giga in download che sono i livelli reclamizzati (ma non garantiti dai contratti telefonici). Quei soldi glieli dai tu se ti attacchi al 5G adesso.

    Il download è utile ai ricchi, l’upload ai poveri

    C’è un altro punto. Il download è utile ai grandi gruppi tecnologici, ai giganti dello streaming, alle mega aziende dei social e dell’intrattenimento. L’upload, invece sarebbe utile a noi poveretti. Perchè? Esempio pratico. Con il download veloce e stabile posso al massimo guardare un video in 4k o ricevere un contenuto. Si tratta della missione di chi ci dà cose da guardare tutto il giorno…

    Con l’upload, invece, potrei mandare i miei video al mio cliente in tempo reale. Potrei mandare il documento importante al mio collega, mandare la foto importante alla mamma di mio figlio. Potrei giovarmi io della velocità della rete per trasferire contenuti e file alle persone in relazione con me. Ecco: perché è così lento? Perché, anche cercando sul web non si trovano dati certi sul l’upload a 5G?

    Un altro modo per farci restare passivi

    Il 5G, quindi, si presenta, almeno per ora, come un altro modo per restare passivi. Già, perché quello che promette (e per ora non mantiene) è legato alla possibilità di fruire contenuti come ricevitori, non a trasmettere contenuti come produttori. Per questo motivo è comparso oggi un articolo su “La Repubblica” che dice che, secondo uno studio, le aziende italiane snobbano il 5G. Semplice, perché non possono usarlo a loro vantaggio. Per convincerti guarda la foto dei miei test sotto la voce “Upload”. Sono nettamente inferiori a quelli della fibra ottica. Per questo non sono utili. La mia vita a 5G è appena cominciata e per ora è surreale: una promessa non mantenuta e un plus inutile. Col tempo ti racconterò i cambiamenti, ma se hai esperienze e vuoi dirmi la tua, ne sarei felice. Basta un commento qui sotto.

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  • Switcher Studio: il tuo mondo in diretta

    Switcher Studio: il tuo mondo in diretta

    Passa il tempo, ma Switcher Studio resta la numero uno

    Sto parlando del mondo delle app per realizzare dirette sui social network principali o per emettere un segnale che, via web, può anche essere immesso in una regia televisiva.Si tratta di una app americana, di cui ho già parlato in passato (per esempio in questo articolo), un vero software per iPhone e iPad che, nel tempo, ha raggiunto livelli di eccellenza. Con Switcher Studio non ci sono limiti alla realizzazione di dirette sulle reti sociali di carattere professionale con elementi grafici, contributi, inserti video, audio, slide, foto ed effetti. Il tutto nel tuo smartphone.

    Tutte le possibilità di Switcher Studio

    L’app americana (questo il sito ufficiale) ha dietro di sè almeno quattro anni di sviluppo, ma in questo periodo è arrivata a livelli di eccellenza davvero notevoli. Gli ultimi aggiornamenti hanno arricchito le possibilità della diretta: sottotitoli, grafiche, multiviews (cioè la possibilità di mandare in linea più telecamere contemporaneamente), collegamenti da remoto, un cloud per tenersi elementi e contributi sempre a disposizione e molto altro. Un mondo che trasforma qualsiasi diretta con lo smartphone in un format professionale.

    Poi c’è un altro mondo. Il mondo del mobile journalism live e registrato. Fra le caratteristiche importanti di Switcher c’è, infatti, quella di poter considerare lo sviluppo del format live come un’esecuzione a blocchi di un pezzo giornalistico o di un contenuto per la propria comunicazione riutilizzabile. Alla fine della diretta, infatti, Switcher Studio dà la possibilità di scaricare quanto si è realizzato per poterlo rilavorare. Il tutto in Full hd.

    La filosofia dei blocchi

    Questa app ti permette di lavorare a blocchi, sia per costruire una diretta, sia per registrare un pezzo in locale. Già, perché Switcher Studio fa anche registrare il contributo creato direttamente nel tuo iPad. La conseguenza è che si libera di colpo la possibilità del montaggio live. Basta scrivere bene la successione degli elementi che si vogliono mettere nel video e il gioco è fatto.

    Switcher Studio crea dei prodotti nuovi

    Il mio laboratorio è specializzato in registrazioni da remoto (le puoi acquistare qui) proprio con questa app. Sto producendo corsi, speech, webinar, interviste e quanto altro viene proposto dai miei clienti. Ma c’è di più. Con la redazione di Verona Network sto formando una serie di giovani giornalisti all’uso di questa suite e ai flussi di lavoro necessari a realizzare dirette sui social e contenuti montati al momento. Stiamo costruendo un percorso per passare dal mobile journalism al mobile journalism live. Un’avventura meravigliosa.

  • Google Keep: la app che cattura le idee

    Google Keep: la app che cattura le idee

    L’applicazione Google Keep è un vero must have

    Google Keep è una delle tantissime applicazioni di note, liste e registrazioni appunti che ci sono negli App Store di Apple e Android (qui il suo sito). In questi anni di forte uso dello smartphone avrai già trovato la tua app migliore, quella che ti è famigliare, ma solo Keep ha una caratteristica che potrebbe risultare determinante. Ecco di cosa si tratta e perché Google Keep è così importante.

    Sembra una app come tante

    Sembra una app come tante, ma c’è una caratteristica che la rende diversa da tutte le altre. In Google Keep si trova la possibilità di fare liste dei to-do, di scrivere note, di dividerle per tag e progetti. Si trova anche la splendida opportunità di registrare le note vocali. Annotare con la voce è il mezzo più dinamico per catturare un’idea che ti viene. Magari mentre stai camminando sul marciapiede di una via o sei in attesa dal macellaio. Ma c’è di più

    L’idea viene collocata nel tempo

    Google Keep, quindi, ti può far aprire una nota e te la può far registrare con la voce, la quale viene trasformata in un testo con grande accuratezza. Nella videata di lavoro c’è un’altra interessante possibilità. Di cosa parlo? Del bottone in alto a destra che può mettermi un promemoria collocato nel tempo per far viaggiare l’idea che mi è venuta fino al punto giusto. Mi riferisco proprio al fatto che questa nota, registrata con la voce e trasformata in testo, viene collocata nel calendario alla data e all’ora che vuoi tu.

    Sincronizzazione tra Google Keep e Calendar

    Il mondo delle applicazioni di Google è vario e interessante. Quella più conosciuta è Calendar. Grazie alla sincronizzazione dell’account Google, la nota di Keep compare in pochi secondi nel nostro calendario uscendo col suo promemoria proprio al momento giusto. L’uso di Google Keep come cattura idee è di fondamentale importanza nello sviluppo del lavoro. Lo è per organizzare le proprie giornate, le proprie liste di cose da fare, ma si rivela fondamentale per allestire un calendario editoriale di pubblicazione dei contenuti.

    Le idee per i contenuti, infatti, vengono spesso mentre siamo operativi su altri fronti, mentre stiamo viaggiando, mentre stiamo facendo altro o semplicemente camminando. Momenti in cui fermarsi e prendere nota risulta difficile. Aprire Keep, dettare una cosa al volo, mettere un titolino e fissare il promemoria nel tempo è un’operazione più facile e veloce. Un’operazione che, spesso, salva preziosi pensieri.

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