Autore: Francesco Facchini

  • Il mobile journalism nel 2021 diventerà grande

    Il mobile journalism nel 2021 diventerà grande

    Il giornalismo in mobilità, o mobile journalism, entra in un anno davvero rivoluzionario.

    Probabilmente quello che abbiamo appena iniziato a vivere sarà un anno di forte discontinuità rispetto al passato di questa nuova cultura del fare giornalismo con smartphone e tablet. Il mobile journalism, infatti, si appresta a vivere due rivoluzioni in un anno e a cambiare pelle definitivamente. È probabile, oltretutto, che grazie a questi due cambiamenti in arrivo, il mobile journalism diventi semplicemente journalism. Già, il giornalismo. Un giornalismo finalmente moderno.

    Nel mobile journalism entra il personal computer

    Ho divulgato il mobile journalism in molti ambiti. Università, corsi, scuole, aziende. Ho sempre separato il linguaggio giornalistico e il flusso di lavoro che creano smartphone e tablet rispetto ad altri macchinari come il personal computer. Ho sempre detto che il linguaggio creato dai telefonini e dalle loro immagini, ma anche dall’esperienza di montaggio sui device portatili era un linguaggio diverso rispetto a quello che si sperimenta montando un video in una situazione statica, davanti a un pc potente e a un grande display.

    Tuttavia, alla fine del 2020, è successa una cosa che cambia per sempre gli equilibri di questa materia.

    Ecco di cosa si tratta: la Apple ha presentato la prima linea di Mac portatili con il processore M1, prodotto internamente dalla casa di Cupertino. Per essere chiari ha progettato un cuore dei suoi pc, mettendolo nei primi tre esemplari della linea, il quale ha una architettura simile e una filosofia di costruzione praticamente identica ai processori che vengono montati su iPhone e iPad. Questo significa una cosa molto importante per il mobile journalism: per la prima volta, sui Mac portatili con quel processore, si possono utilizzare le app che si usano per smartphone e tablet della Mela Morsicata, anche sul personal computer portatile.

    Un accessorio mobile in più ed ecco perché lo dico ora

    Quei nuovi Mac portatili, quindi, sono da annoverare fra gli accessori del mobile journalism moderno. Da oggi. Il motivo è legato al sistema operativo che parla la lingua dei portatili, ma non solo. L’altra cosa sconvolgente di questo passaggio a nuovi processori dei personal computer è legata al rapporto tra questi nuovi pc, il loro processore la batteria. Ecco, i pc della Apple con questo nuovo processore, dalle prime indicazioni che ho ricevuto, riescono a durare senza carica per circa 20 ore continuate. Questo il secondo motivo determinante per l’entrata a pieno titolo dei portatili negli oggetti e negli accessori del mobile journalism. Un collega, sviluppatore di una grande app, mi ha parlato di 24 ore di uso continuato. Certo, ti prometto che testerò in prima persona la cosa, svenandomi con l’acquisto di uno di questi pezzi. Però il salto è un salto quantico.

    L’iPhone è diventato un mostro

    Il mercato degli smartphone è variegato e dominato dagli Android, ma il mobile journalism è sempre più legato agli iPhone. L’ultimo iPhone, il 12, è diventato un mostro in quanto a velocità di calcolo e capacità di produzione del contenuto visuale. Il processore A14 bionic e le sue 11 mila miliardi di operazioni al secondo, sono un salto in avanti nella realizzazione del contenuto video che è giusto fare per chi si occupa di produzione visuale. Poi ci sono le cose piccole e determinanti che cambiano il lavoro del giornalista. Finalmente può produrre immagini in PAL e ha il Dolby Vision. È l’unico al mondo ad averlo.

    L’iPhone e il sistema PAL, ecco le novità dal mio canale YouTube.

    Se il mobile journalism mangia il mondo dei personal computer

    Insomma, il mobile journalism del 2021 vivrà l’ingresso dei computer portatili nel suo mondo. Ti dico una cosa che ti tieni per te, anche perché per ora ho una fonte, ma ho bisogno di altre verifiche. Sembra che, visto questo cambiamento per il quale il linguaggio dei device mobili entra nel mondo dei computer Apple, la cosa non sia passata inosservata a Microsoft. Già, hai letto bene. Ho una fonte che parla di un possibile avvicinamento tra Microsoft e Google per far girare le app che girano su Android anche sui computer dell’azienda di Gates. Insomma, i computer si stanno unendo ai device mobili… con il linguaggio e i software di questi ultimi. Non il contrario. Una rivoluzione.

    Il secondo storico cambiamento

    Sono entrato da qualche tempo nel mondo della connessione cellulare di quinta generazione. Ne ho parlato qui. Si è trattato di un inizio un po’ surreale a causa dei primi approssimativi collegamenti e a causa del fatto che noi produttori di contenuti possiamo giovarci del 5G solo de l’upload diventerà più fluido e molto più performante di quello che è ora. Resta, tuttavia, l’idea netta che nel mobile journalism del 2021 il 5G possa essere un game changer. Ti spiego il motivo per cui lo penso, anzi i due motivi per cui lo penso. Il primo è che il miglioramento così netto della connessione porterà cambiamenti nel sistema dell’industria dei contenuti. Con una maggiore velocità di dati disponibile nel download aumenterà la voglia di contenuti dell’industria dei media e le opportunità di lavorare per farli. Se poi, secondo motivo, dovesse migliorare anche l’upload, allora la possibilità di lavorare meglio, più velocemente e di essere più efficienti e quindi più produttivi potrebbe alzarsi di molto. Con lei anche i margini operativi.

    Il mobile journalism del 2021 diventerà journalism

    Pandemia permettendo, il 2021 del mobile journalism potrebbe rivedere gli eventi internazionali come Mojofest. Quello che sembra chiaro è che, specialmente dopo il 2020 nel quale molti processi di creazione del contenuto video sono diventati mobile anche in grandi catene tv, dovrebbe continuare la fusione tra il mobile journalism e la produzione giornalistica multimediale moderna. Viene da pensare che l’espressione mobile journalism sia pronta nel 2021 a diventare solo journalism. Giornalismo moderno. Su questo blog ne parlerò molto nell’anno che è appena iniziato. Con la prospettiva di aiutare soprattutto la platea dei giornalisti liberi professionisti a trovare un miglioramento della condizione professionale e delle loro prospettive.

    Leggi ancheIl giornalista? Non conosce il suo business

  • Buone Notizie: nome mansueto, progetto ambizioso

    Buone Notizie: nome mansueto, progetto ambizioso

    Buone Notizie è un progetto che sto coltivando da qualche mese.

    Nel 2021 farò di tutto perché diventi più grande, più alto, più ampio. Andiamo con ordine: da qualche mese collaboro con il triplice ruolo di consulente, docente e produttore di contenuti multimediali, con l’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo. Si tratta di un sodalizio che ha una storia quasi ventennale e che ha come missione quella di portare il giornalismo di costruzione, propositivo, analitico e positivo agli occhi dei lettori e del pubblico italiano. Buone Notizie è la testata di riferimento di questa associazione, dell’editore Silvio Malvolti. Beh per chi fa per lavoro il modificatore della parola giornalista non poteva che essere Buone Notizie il giusto progetto per tornare nel mondo dei media.

    Il mio lavoro a Buone Notizie

    Buone Notizie è un laboratorio che sta mettendo in pratica una nuova via per fare giornalismo. Una vita non semplice, una via che cambia la prospettiva con la quale si fanno contenuti editoriali. Una via che, a dispetto del nome mansueto, ha mire ambiziose. Quali? Beh, vogliamo cambiare la prospettiva con la quale si vedono le cose, la monotonia del fiume di notizie, l’atteggiamento per il quale una cattiva notizia è una buona notizia. Serve tempo, servono risorse, serve un cambiamento culturale, ma ce la faremo. Il mio lavoro a Buone Notizie è tanta macchina: correggo pezzi, aiuto, guido, suggerisco. Collaboro anche alla produzione dei corsi multimediali di preparazione per coloro che entrano nel percorso per diventare pubblicisti avviato dall’associazione. Infine insegno giornalismo mobile. Ah, si: qualche volta scriverò.

    https://www.buonenotizie.it/editoriali/2020/12/28/vaccino-covid-a-chi-giova-questo-reality-della-fialetta/facchini/
    Il mio primo editoriale su www.buonenotizie.it

    Il ritorno nel mondo dei media

    Penso che chi vuole cambiare le cose debba farlo dall’interno. Per questo sono tornato nel mondo del giornalismo con Buone Notizie. Il ritorno nel mondo dei media è un doveroso atto d’amore nei confronti del lavoro che amo e che amerò per tutta la vita. Un passo per poter andare fino alla fine della mia carriera senza avere rimpianti: per non averci provato, per non aver fatto tutto il possibile.

    Il mio ritorno diretto nel giornalismo è anche un ritorno che desidero utilizzare per dare ai colleghi alcune indicazioni su come scrivere un futuro diverso in questo campo professionale. I giornalisti italiani possono ritornare al centro della scena: sperimentando o riflettendo bene sul loro futuro. Devono anche sapere bene come si fa crescere il business del loro lavoro e come affrontare la paura del cambiamento.

  • Come diventare giornalista? Sperimentando

    Come diventare giornalista? Sperimentando

    Una domanda che mi fanno spesso e che non ha risposte giuste

    Se cerchi sul web “come diventare giornalista” le risposte che trovi sono figlie di un altro tempo. Sono vecchie, hanno modelli professionali che non esistono più. Il mondo dei media e la professione del giornalista hanno fondamenti che non reggono più alla velocità del cambiamento. Come diventare giornalista è una domanda che non ha risposte adeguate. Ho deciso di mettere qui la mia, proprio poco prima delle vacanze di Natale e poco prima di alcuni fondamentali cambiamenti nella mia professione di giornalista.

    Come diventare giornalista? Vivendo delle esperienze sulla propria pelle

    Sono un giornalista. Resterò un giornalista. Invece di rispondere alla domanda “come diventare giornalista” ho dovuto rispondere, pochi anni fa, alla domanda “come restare un giornalista”. La risposta che mi sono dato è: vivendo esperienze nuove. Ho studiato il mobile journalism, l’ho fatto mio. Ho cambiato strumenti lavorando solo con lo smartphone. Nel mio percorso ho conosciuto molte persone e cambiato il bacino dei miei clienti. Ho sperimentato talmente tante cose e fatto talmente tanti errori che non riesco nemmeno a contarli.

    Vivendo i cambiamenti e deragliando costantemente dai binari sui quali avevo messo il trenino della mia carriera nei 25 anni precedenti, ho trovato la strada giusta. Ho trovato nuove piattaforme, nuovi clienti, nuovi prodotti, nuovi servizi. L’ho fatto solo sperimentando, vivendo esperienze sulla mia pelle. Mi sono tagliato, mi sono sporcato le mani, sono sceso da tutti i piedistalli sui quali ero. Ho divulgato il giornalismo in un modo nuovo, ho spaccato luoghi comuni. Ho aiutato professionisti, aziende, attività a rilanciarsi. Con uno smartphone.

    Il giornalista che sono diventato

    Se devo rispondere alla domanda “come diventare giornalista” potrei dire, “diventando uno sperimentatore, un produttore di contenuti, un costruttore di relazioni tra i media e il pubblico, un mediatore sociale”. Sono diventato così. Faccio esperimenti con cadenza quasi giornaliera. Produco contenuti con il criterio e la deontologia del giornalista per chiunque. E ovunque. Creo connessioni, processi nuovi di lavoro, mediazioni della realtà. Non smetto di essere giornalista nemmeno sui social network. Non sparo opinioni, diffondo cose utili: per capire la realtà, per interpretare il futuro.

    Come diventare giornalista? Con Algoritmo Umano e col coraggio

    Nel 2020 ho scritto un libro di cui fra poco saprai. Nel 2020 ho creato Algoritmo Umano. Cos’è? La mia interfaccia digitale con il pubblico, la casa sul web del mio lavoro. Se mi vuoi leggere, passi da lì. Se mi vuoi ingaggiare passi da lì. Quello è il posto del mio lavoro e segue il progetto di una completa digitalizzazione della mia figura professionale. Ho avuto il coraggio di cambiare il limite della mia professione di giornalista e ho fatto cose che possono tranquillamente essere considerate oltraggiose dai più.

    Lo dico, mi autodenuncio e rispondo a tutti quelli che chiedono “come diventare giornalista” al web. Si diventa giornalisti sperimentando, anche cose come queste. Se clicchi su questo link troverai il mio shop di Facebook. L’ho fatto anche su Instagram. Si tratta di sperimentazione e sono ben sicuro che non venderò la mia professionalità sui social di Menlo Park dall’oggi al domani. Però è conoscenza, è novità, è interazione. Si tratta di una sperimentazione che non può non esserci nel mio lavoro di produttore di contenuti e sviluppatore di messaggi di comunicazione. Il 2021 del mio essere giornalista si presenta molto bene. Sappi che scriverò tutto quello che succede.

    Leggi anche – Il giornalista?Non conosce il suo business.

    Giornalismo: riflessioni sul futuro

  • Smart working: ecco qual è il segreto

    Smart working: ecco qual è il segreto

    Smart working e cellulare: un binomio strettissimo

    Lo smartphone è una macchina totale. Perfino il nome andrebbe cambiato. In effetti quello che hai tra le mani è un potente computer che ormai ti fa telefonare ben poco. Potremmo chiamarlo, l’ho suggerito in questo articolo, il tuo personal device. Oppure smart device, nel senso che è lo strumento più importante per il lavoro da remoto. Senza se e senza ma. Ormai il mio lavoro si rivolge a tutta la divulgazione, la formazione, i prodotti e i servizi che possono essere svolti proficuamente con il telefono. Insomma, all’uso dello smartphone come macchina totale. Mi sembra arrivato il momento di dirti come usare il telefonino per fare smart working in modo performante, positivo e felice. C’è un segreto, ma va fatta una premessa.

    L’arma di distrazione di massa

    Il cellulare e lo smart working hanno un rapporto strettissimo, ma il telefonino è un arma di distrazione di massa. Questo maledetto scatolotto è stato concepito in modo neutro, ma le applicazioni di social network e di messaggistica istantanea lo hanno resto una trappola mortale per la nostra concentrazione. Trilla e strepita a ogni minuto. La tua attenzione viene sconfitta da un qualsiasi trillo del telefonino, il tuo lavoro ne riceve un colpo, tutto sommato, forte. Togli l’attenzione da quello che stavi facendo e accorri a mettere le mani sull’aggeggio. Da quel momento in poi ogni messaggio del telefono cattura la tua attenzione mandando in tilt il sistema di priorità che avevi fino a qualche secondo prima. Da lì è un attimo a finire su Facebook e a non ricordarsi il motivo per cui avevi preso in mano il cellulare o la notifica che ti aveva attirato. Anzi, spesso metti giù il telefonino e non ti ricordi perché lo avevi preso in mano.

    A tutto questo c’è rimedio.

    Le maledette notifiche, nemiche dello smart working

    Alla base di tutto questo c’è il sistema delle notifiche. Ecco il segreto: per essere un vero smart worker le notifiche le devi spegnere. Tutte. Niente paura, non perderai alcunché del tuo lavoro o della tua vita. I messaggi che ricevi saranno lì ad aspettarti. La grande, incommensurabile, differenza è che sarai tu a scegliere il momento in cui prendere in mano l’oggetto per leggere tutti gli avvisi arrivati. Nel momento giusto e con il giusto ordine di priorità. Lavorare in remoto è una dimensione nuova. Il fatto di essere lontani dall’ambiente di lavoro consueto, frequentato magari per anni, disorienta. Ecco che lo smartphone diventa una porta spalancata dalla quale entrano le cose importanti unite alle distrazioni. Fare bene lo smart working vuol dire anche saper chiudere la porta, mentre si sta compiendo un’operazione per poi aprirla quando l’operazione è terminata.

    Il flusso delle notizie preso dalla parte giusta

    Spegnere le notifiche cambierà il flusso delle notizie, sia personali sia di lavoro.Lo prenderai per la prima volta dalla parte giusta, dalla parte che comincia da te con la decisione del momento in cui puoi e vuoi vedere quali sono i messaggi che ti arrivano e rispondere. Con i tuoi tempi, con i tuoi modi. Così lo smart working potrà diventare efficiente e la fase di concentrazione che devi avere quando esegui un compito di lavoro non sarà più attraversata da continue interruzioni.

    Disponibile con tutti, a disposizione di nessuno

    Sono ormai 30 giorni che ho spento tutte le notifiche. Tutte. Prima tenevo aperto solo twitter per sapere al volo le notizie del mondo dello smartphone e della mobile content creation. Tirando le prime somme è aumentata la produttività, la concentrazione e anche la possibilità di prendere dei momenti per me. E’ salito il silenzio, è salita la serenità e la capacità di vedere ad ampio raggio i progetti che sto sviluppando come Algoritmo Umano. Come ripete da tempo Rudy Bandiera, sono disponibile con tutti e a disposizione di nessuno. Ormai è una scelta, una scelta che dovresti fare anche tu se vuoi che il tuo smart working si trasformi da inferno senza orari a una bella esperienza.

    Foto da Pexels

  • Il giornalista? Non conosce il suo business

    Il giornalista? Non conosce il suo business

    Essere un giornalista oggi in Italia è molto difficile

    Si tratta di una professione devastata da una crisi senza fine e minata da alcune mancanze molto gravi all’interno del sistema. Il giornalista italiano oggi guadagna molto poco, lavorando un numero di ore abnorme, in un’industria che sta completamente fallendo il rinnovamento e il cambiamento dei modelli con cui si propongono nuovi media. I motivi della crisi sono molti: culturali, finanziari, politici, tecnici. Concentrando l’attenzione sulla preparazione del giornalista, però, continua a saltarmi agli occhi un pensiero. Si tratta di una specie di bug, di falla nel sistema di preparazione e formazione dei professionisti di questo mestiere.

    Il giornalista è in una situazione grave

    I percorsi attraverso i quali si diventa giornalista sono caratterizzati dalla completa assenza di possibilità di imparare l’economia, il management, la gestione di un business e tutti quegli elementi che possono far migliorare la condizione professionale. Ne ho già parlato in questo articolo e in uno precedente. Si tratta di un tema che ritorna perché è uno dei modi in cui, personalmente, ho abbattuto e ricostruito completamente la mia figura di giornalista. Sapere di business, di gestione delle risorse, di marketing, di vendita e di controllo di gestione è determinante per cambiare il proprio modello di lavoro e renderlo redditizio. Il giornalista italiano di oggi, però, non riesce a tirarsi fuori dal gorgo delle routine cui he abituato da decenni e non ha alcuno strumento per formarsi.

    Le scuole vecchie, le redazioni che ti stritolano

    Per il giornalista sapere di business vuol dire avere la possibilità di calare le sue dinamiche di lavoro e di produzione del contenuto nella realtà nuova dell’ecosistema dei media. Invece è ancora stritolato dalle redazioni e dai capi che telefonano dicendo: “Fammi 30 righe”. Se un giovane vuol fare una scuola di giornalismo, appena apre la porta di quelle aule si accorge che qualcosa non torna. Quello che trova, infatti, è una formazione accademica da quotidiano degli anni ’90 o da radio-televisione modello infotainement. Niente sul freelancing, niente sull’auto imprenditorialità del giornalista, niente sulla vendita del contenuto. Il vuoto sul personal branding, sulla proposizione della propria professionalità al mercato, sulla creazione di nuovi prodotti. Niente: il giornalista è quello che fa il pezzo, poi un altro, poi un altro, poi un altro. Una specie di cottimista della parola o dell’immagine.

    La formazione inutile

    Se vado sulla piattaforma Sigef, quella della formazione professionale del mio mestiere, rimango spesso basito. Mi basta digitare parole come “business” “freelance” “autoimprenditorialità” per restare di pietra. Fra i corsi dell’Ordine dei giornalisti i risultati sono “0” in tutti e tre i casi. C’è qualcosina sul business, interpretato come cultura aziendale e non del professionista, a pagamento. La formazione che abbiamo a disposizione è raramente utile alla vita e allo sviluppo della carriera del giornalista. Va detto.

    Me lo ha fatto capire l’iPhone

    Qualche giorno fa ho fatto questa diretta streaming su una notizia che, a mio avviso, cambierà per sempre il mondo del giornalismo e della produzione televisiva.

    La diretta dal mio canale Youtube

    Il prossimo aggiornamento del sistema operativo dell’iPhone farà in modo che questo possa produrre video con il sistema PAL, quello di tutte le televisioni europee. A me è venuto subito da pensare alla possibilità di ricominciare a vendere contenuti alle tv italiane. Ho subito pensato alla possibilità di sviluppare ancora il mio business. Preciso una cosa: i video con gli smartphone li faccio da anni per ogni tipo di tv. La differenza sostanziale è che potendoli fare in PAL dalla camera nativa (24,97 frame per secondo) i prossimi saranno più facili da gestire tecnicamente per qualsiasi televisione. Meno passaggi tecnici, più possibilità di vendita.

    Questo è solo un esempio per far capire come ogni innovazione può nascondere un’opportunità professionale. Ogni app, ogni nuovo modo di proporre un servizio vecchio, ogni nuova piattaforma, ogni nuovo format, ogni nuovo hardware con il quale produciamo un contenuto può essere una strada da percorrere per un giornalista. Una strada che migliora il presente e costruisce un futuro diverso, mio caro giornalista.

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  • Vita a 5G: la partenza è… surreale

    Vita a 5G: la partenza è… surreale

    Da qualche giorno ho la connessione 5G nel mio nuovo iPhone 12.

    Ho cambiato la mia tecnologia cellulare per fare un salto in avanti dentro quell’eldorado che aziende e commentatori dipingono come un nuovo futuro che cambierà tutto. Come divulgatore della mobile content creation e dell’uso consapevole dello smartphone credo di fare un buon servizio se mi addentro nei nuovi modi di vivere il rapporto con la tecnologia mobile all’interno dei giorni normali di vita. Ebbene, la partenza è stata surreale, una specie di presa di coscienza, con tanto di prove, che il tanto decantato 5G non esiste. Lo avevo già scritto su Algoritmo Umano, ma ora ho le prove per poterlo dire.

    Il primo aggancio al 5g

    Ecco i miei primi test di connessione sulla linea di Tim

    Ricorderò per un po’ la data del 14 novembre 2020 come una data importante. Ho comprato un iPhone 12, il primo iPhone 5G, il quale mi ha dato fin dal primo aggancio alla rete un segnale di quinta generazione. Elettrizzato, ho subito tentato uno speed test, ricevendone un’indicazione imbarazzante, ma commettendo anche un errore. L’errore è che l’ho fatto dentro casa mia. Dovevo ricordarmi che il 5G viene rallentato di molto dal cemento. Quando sono uscito di casa la cosa è leggermente cambiata. Preciso che il test di cui parlo è quello in fondo e i successivi sono a salire. Il secondo è un test del Wi-Fi si casa mia e quello successivo è un altro test in casa. Facciamo così diciamo che non valgono date le condizioni in cui ho svolto le prime prove di questa connessione. Poi, però, sono uscito.

    La passeggiata lunare

    Durante una camminata il giorno successivo mi sono fermato a fare altri test dopo un primo approccio decente al 5G avuto il 14 novembre alle 20.37. Domenica 15 novembre 2020 ho testato la connessione fermandomi in un punto in cui avevo 5 tacche e 5G segnato sul telefono e ho scoperto solo dopo che era un 4G. Lo si vede dai test delle 12.05 e delle 12.06. Questo è successo perché l’iPhone è settato su “5G Auto” e non su ”5G on”. Cosa vuol dire? Semplice: vuol dire che ha una funzione che dà al telefono las possibilità di usare il 5G solo quando questo non consuma troppo la batteria (la Auto, appunto). Ok, va bene. Quindi il 5G c’è, ma la tua batteria viene ciucciata al volo, tanto che la Apple ferma la cosa dandoti una funzione “usala pure, ma con cura”. L’operatore telefonico in questione, poi, maschera il segnale 4G mettendoti il simbolino 5G, anche quando non c’è.

    5G e il valore aggiunto che non c’è

    Alla fine è arrivato, in via Imbriani a Milano, il primo assaggio di 5G. Ultimo test per 200 mega e spiccioli in download, 30 in upload. Se compari, dalla foto, il primo test della lista, quello di cui parlo, con quello precedente (quindi il secondo della lista), capirai che il valore aggiunto non c’è. Il 5G massimo che ho trovato si è rivelato uguale al 4G che già pago al mio operatore. Dico subito che la mia vita a 5G è appena iniziata e che per mesi ne parlerò in articoli, video e pezzi sul sito. Farò anche altri test in altri posti della città.

    Tuttavia va chiarito subito che c’è una specie di tradimento nei confronti dei clienti che viene perpetrato dai telefonici e dai produttori di smartphone. Come ho spiegato nell’articolo di Algoritmo Umano in Italia non ci sono antenne stand alone (cioè basate solo sulla tecnologia 5G), ma solo antenne miste tra 4G e 5G. In Italia i telefonini che ci sono non hanno modem interni 5G, ma misti. Il tradimento di cui parlo, quindi, è legato al fatto che il simbolino 5G che compare nasconde una linea 4G nella gran parte delle volte. Questo i consumatori dovrebbero saperlo.

    Ci vorrebbe più chiarezza

    Il centro del problema è questo: la chiarezza. La rete di connessione a 5G è una promessa non mantenuta e questo si dovrebbe sapere. La verità è che le telefoniche stanno costruendo la rete con spese enormi in tutto il mondo. Per questo cercano di vendere il servizio accelerando le reti 4G, ma senza dirlo apertamente. Hanno bisogno di soldi per continuare a far crescere la copertura prima che questa raggiunga i livelli da 1 giga in download che sono i livelli reclamizzati (ma non garantiti dai contratti telefonici). Quei soldi glieli dai tu se ti attacchi al 5G adesso.

    Il download è utile ai ricchi, l’upload ai poveri

    C’è un altro punto. Il download è utile ai grandi gruppi tecnologici, ai giganti dello streaming, alle mega aziende dei social e dell’intrattenimento. L’upload, invece sarebbe utile a noi poveretti. Perchè? Esempio pratico. Con il download veloce e stabile posso al massimo guardare un video in 4k o ricevere un contenuto. Si tratta della missione di chi ci dà cose da guardare tutto il giorno…

    Con l’upload, invece, potrei mandare i miei video al mio cliente in tempo reale. Potrei mandare il documento importante al mio collega, mandare la foto importante alla mamma di mio figlio. Potrei giovarmi io della velocità della rete per trasferire contenuti e file alle persone in relazione con me. Ecco: perché è così lento? Perché, anche cercando sul web non si trovano dati certi sul l’upload a 5G?

    Un altro modo per farci restare passivi

    Il 5G, quindi, si presenta, almeno per ora, come un altro modo per restare passivi. Già, perché quello che promette (e per ora non mantiene) è legato alla possibilità di fruire contenuti come ricevitori, non a trasmettere contenuti come produttori. Per questo motivo è comparso oggi un articolo su “La Repubblica” che dice che, secondo uno studio, le aziende italiane snobbano il 5G. Semplice, perché non possono usarlo a loro vantaggio. Per convincerti guarda la foto dei miei test sotto la voce “Upload”. Sono nettamente inferiori a quelli della fibra ottica. Per questo non sono utili. La mia vita a 5G è appena cominciata e per ora è surreale: una promessa non mantenuta e un plus inutile. Col tempo ti racconterò i cambiamenti, ma se hai esperienze e vuoi dirmi la tua, ne sarei felice. Basta un commento qui sotto.

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