Autore: Francesco Facchini

  • YouTube, il più potente di tutti

    YouTube, il più potente di tutti

    La scoperta di YouTube.

    Mi occupo di live streaming da molto tempo e da un po’ (molto meno) di YouTube. D’altronde (e per fortuna) non posso sapere tutto. Da circa sei mesi, tuttavia, ho iniziato un percorso sul social dei video che mi ha portato a scoprire ogni angolo di questa piattaforma. Prima la consideravo solo una repository dei miei video, di quelli che mi servivano per fare embed sul mio sito. Poi, studiando, si è svelato davanti a me quello che penso sia, senza dubbio, il più potente dei social. Ecco i key point di questo articolo.

    Key point

    • Il contenuto riguarda ciò che si può trovare dentro YouTube, suggerendo la presenza di un vasto universo di contenuti.
    • Fare lo YouTuber è un mestiere fantastico. Questo contenuto ne descrive le caratteristiche.
    • Parla dell’enorme quantità di dati che YouTube possiede, descrivendoli come qualcosa di meraviglioso.
    • Fornisce spunti o indicazioni su come poter utilizzare i dati di YouTube.

    I video, gli spiegoni, ma non solo

    Dentro YouTube trovi il mondo. Il motivo per cui le persone ci vanno è semplice: trovare come si fa una cosa. Il social video di Google è il secondo motore di ricerca del mondo e questo è un po’ inquietante. Perché? Perché è di Google e il primo motore di ricerca è… Google. Ma parte questo…

    Lì trovi le spiegazioni, le cose che non sai, i modi di fare una cosa, un’operazione, una creazione, una riparazione, un problema di matematica o un cerchio disegnato in modo perfetto.

    E tanto altro… trovi intrattenimento, pensiero, volgarità, eccellenza, mediocrità. Trovi soprattutto persone che parlano ad altre persone e si collegano in diretta per mostrare fatti ed eventi, ma anche per rispondere a domande. Interagire. Dentro YouTube, quindi trovi comunità e hai tra le mani una potenzialità impressionante. Questo social è la televisione del 21esimo secolo e il bello è che tutti possiamo averne una. Perché è il regno del live streaming.

    Lo YouTuber, il mestiere più bello del mondo

    In Italia, in modo particolare, c’è una campagna abbastanza squalificante nei confronti degli YouTuber. Non la trovo giusta. Fare lo YouTuber è uno dei mestieri più belli che uno possa intraprendere perché ha a che fare con la creatività e con il parlare con le persone. Si tratta di un mestiere durissimo perché impone molto più di altri disciplina e costanza. Come se non bastasse bisogna alimentare la sacra voglia e il fuoco dell’esprimersi, del creare, del pensare, progettare e realizzare contenuti.

    E non è da tutti, anche se si può imparare. E’ un lavoro che, se improntato al contenuto di qualità, ti regala soddisfazioni enormi, a costo di sacrifici molto alti. E ti dona l’opportunità di conoscere benissimo la comunità cui parli perché i dati che offre sono assolutamente più precisi e più indicativi di qualsiasi altro social network. E su quelli devi ragionare per modificare e far evolvere le risposte che dai a chi fa domande su YouTube.

    I dati di YouTube, una miniera d’oro

    Ora che sto lavorando su un canale YouTube con migliaia di iscritti, il mio ancora non li ha, mi sto accorgendo della bellezza dei dati di questo social e del valore che hanno rispetto a tutti gli altri. Le visualizzazioni, le ore visualizzate dai video, gli iscritti, le entrate stimate, le curve di fidelizzazione video per video. Un mare di dati. E poi, il pubblico, il sesso, l’età, le città. I nuovi spettatori, gli spettatori che tornano. Il valore dei live streaming, dei video singoli, degli shorts rispetto al totale delle interazioni.

    Sono tutti dati che ti dicono come si muove il tuo pubblico, cosa gradisce e cosa non gradisce. Ti dicono, chiaramente, cosa vuole il pubblico e cosa puoi fare a meno di fare.

    Ti racconto un episodio. Su questo video.

    Un video del mio canale che la dice chiara su quello che penso del giornalismo e dei giornalisti.

    A un certo punto c’è un picco dell’attenzione nella curva del video. Per curiosità sono andato a guardare e ho visto che arriva esattamente sulle parole perché io odio il giornalismo e i giornalisti”. Capisci? Una scossa del pubblico quando dici determinate parole. È come avere chi guarda i tuoi video davanti a te. È una completa rivoluzione rispetto al passato di ogni giornalista o produttore del contenuto. In questo social è come se tu fossi sempre dal vivo perché questo social… è vivo.

  • Musk e il suo algoritmo ti insegnano qualcosa

    Musk e il suo algoritmo ti insegnano qualcosa

    Mai sentito parlare dell’algoritmo di Musk? Dovresti conoscerlo, dammi retta.

    Ho letto con voracità la biografia di Elon Musk di Walter Iaacson: un libro che ti consiglio. L’ho letto perché volevo capirci di più su un personaggio che sta condizionando, nel male e nel bene, la nostra epoca e la tecnologia che ci circonda. L’autore racconta davvero con maestria un’icona del nostro tempo e un uomo dalle mille sfaccettature. Racconta anche il modo di pensare e di agire dell’uomo e dell’imprenditore Musk, un modo che ti fa imparare alcune cose.

    Non voglio discutere gli aspetti che riguardano la persona, non è questo il posto e il caso. Voglio, invece, soffermarmi sul suo modo di pensare l’impresa e i processi industriali.

    Una forza distruttiva che… serve

    Isaacson riassume la filosofia di lavoro di Musk in un pezzo del libro che affronta la costruzione delle sue giga fabbriche, come le chiama lui. Parlo di impianti industriali come quello della Tesla a Freemont, negli Stati Uniti. C’è un passaggio che riassume una specie di algoritmo che lui mette in campo quando deve costruire i processi industriali. Prendo un pezzettino del libro e te lo metto qui in un elenco per punti.

    • ⁠ ⁠Mettete in dubbio ogni requisito. Ognuno di essi dovrebbe avere il nome della persona che l’ha richiesto. Non dovreste mai accettare un requisito proveniente da un reparto come «il reparto legale» o «il reparto sicurezza». Dovete conoscere il nome della persona in carne e ossa che ha richiesto quel requisito. Poi dovreste metterlo in dubbio, non importa quanto quella persona sia in gamba. I requisiti provenienti dalle persone in gamba sono i più pericolosi, perché la gente è meno incline a metterli in dubbio. Fatelo sempre, anche se il requisito è venuto da me. Poi rendete i requisiti meno stupidi. 
    • Eliminate tutte le parti o i processi che potete. Potreste doverli aggiungere di nuovo più avanti. Anzi, se finite per non riaggiungerne almeno il 10 per cento, non ne avevate eliminati abbastanza.
    • Semplificate e ottimizzate. Questo deve venire dopo il punto numero 2. Un errore comune è semplificare e ottimizzare una parte o un processo che non dovrebbe nemmeno esistere. 
    • Accelerate il tempo di ciclo. Ogni processo può essere velocizzato. Ma fatelo solo dopo aver seguito i primi tre passi. Nella fabbrica di Tesla, ho erroneamente passato un sacco di tempo ad accelerare processi che in seguito ho capito si sarebbero dovuti eliminare. 
    • Automatizzate. Questo è l’ultimo passo. Il grosso errore in Nevada e a Fremont è stato che ho cominciato automatizzando ogni passaggio. Avremmo dovuto aspettare fino a dopo aver messo in dubbio tutti i requisiti, eliminato parti e processi, e rimosso tutti gli errori.

    La versione utile per te

    Questo algoritmo non centra, sembra, con la vita di un libero professionista o con un lavoratore che voglia riqualificarsi e… invece è proprio un piano operativo che può aiutarti.

    Quando l’ho letto la prima volta ho pensato: “Ok, ma a me interessa?”. Ero dubbioso. Eppure giorno dopo giorno queste frasi mi sono ritornate in testa e ho cominciato a pensare: “Vero! L’ho fatto anche io!”. Ora te lo rispiego per punti.

    • Mettete in dubbio ogni requisito. Vuol dire questo. Quando vuoi far crescere la tua carriera metti in dubbio tutto quello che hai fatto nel tuo lavoro e come lo hai fatto fino a ora. Comincerai a capire, ti insegna Musk, cosa tenere e cosa cambiare, dove investire e dove lasciar perdere.
    • Eliminate tutte le parti o i processi che potete. Quello che sai fare lo puoi fare in un tempo minore e meglio se elimini tutte le dispersioni di energia e di tempo. Ti assicuro: ne hai molte, potresti guadagnare un sacco di spazio e di tempo per ripartire.
    • Semplificate e ottimizzate. Cerca di essere semplice quando lavori e “spacchetta le cose”. Ti faccio un esempio. Quando creo un video cerco di lavorare ricordandomi questo: con un video ho anche un audio, delle foto e un testo a disposizione. Come usarli tutti quanti?
    • Accelerate il tempo di ciclo. Musk parla di processi industriali, ma anche nel tuo lavoro ci sono. Pensa alle fasi di sviluppo del tuo lavoro e togli tutto quello che non è importante per avere un buon risultato. Aiutati con la tecnologia per fare in 10 minuti quello che fino a ieri facevi in 30.
    • Automatizzate. Se c’è un’operazione meccanica che può fare la tecnologia al posto tuo (naturalmente verificandone il risultato)… falla fare a lei e tu pensa ad altro.

    L’algoritmo di Musk ti insegna a essere…

    Ti insegna a essere essenziale: ecco quello che ti dice Musk. Rompi tutti gli schemi che hai adottato finora e liberati del superfluo. Vedrai cosa succede. La mia vita è cambiata quando mi sono tolto dalle spalle oggetti, pesi, modelli, categorie, tipi, modi, trasformando tutto in una vita essenziale. So sempre meglio quello che è importante e quello che non lo è. Dai, dacci dentro, usa anche tu l’algoritmo di Musk.

    Leggi anche Vita da freelance, l’arte del rilancio

  • Scrivere per il web:  è ora di essere trasversali

    Scrivere per il web: è ora di essere trasversali

    Sto cercando il Santo Graal della scrittura.

    Vorrei che un giorno, quello che scrivo anche qui, raggiungesse uno stile, una forma e delle parole adatte a qualsiasi mezzo tecnologico di comunicazione. Vorrei che scrivere per il web non mi facesse piegare le parole all’esigenza della singola piattaforma, ma ne facesse nascere di nuove. Vorrei che la scrittura su web e social diventasse sempre più mia.

    Scrivere per il web? Si inizia studiando

    Come al solito, quando mi metto in testa una cosa, inizio studiando. In questo caso particolare ho iniziato spacchettando le piattaforme web e social che frequento per capire le singole regole. Scrivere per il web è dominato dalla SEO, cioè da quella materia che ti da delle direttive per fare in modo che l’algoritmo dei motori di ricerca ti trovi. Anche scrivere per i social ha le sue regole: l’uso dello spazio, l’uso degli emoticon, l’uso degli elementi multimediali.

    E’ una giungla dalla quale spesso esci stordito. Sembra che ci sia un te simpatico che scrive su Instagram, un te fazioso che scrive su Facebook e un te professionale che scrive su LinkedIn.

    Ma come si fa a rivendicare il diritto che tu sia tu su ogni piattaforma?

    La risposta è difficile, ma non impossibile

    Scrivere per il web è scrivere collegando molti media. Devo saper scrivere immaginando le scene che potrebbero diventare un video. Devo saper scrivere tacendo attenzione agli elementi temporali e alle frasi descrittive: già, perché quello che posso far vedere in un video non posso dare per scontato in un audio. Anche le foto devono essere un elemento della scrittura perché possono rappresentare dense frasi di un discorso che ha del testo prima e del testo dopo.

    Quando scrivo devo pensare a chi ho davanti. Spiegare le cose, raccontare le storie è quello che vince quando scrivi per il web. La struttura stessa delle frasi, però, deve rispettare tutte queste dinamiche:

    • Deve essere semplice, perché io la possa trasformare in un’immagine.
    • Deve essere chiara, perché io riesca a spiegare a qualcuno quello che intendo.
    • Deve essere capace di valorizzare un video e un audio contemporaneamente.
    • Deve tenere conto della formattazione del testo.
    • Deve unire gli elementi multimediali.
    • Deve inserirsi nel mondo ed essere linkabile ad altri contenuti.

    Scrivere per il web e per i social è una sfida

    La SEO (di cui puoi leggere la definizione qui) ha regole che sembrano sbarre di una prigione. I social hanno regole differenti a seconda della piattaforma. Scrivere per il web e per i social è una sfida, ma coglierla è una grande opportunità. Già, perché sotto questo mare di regole c’è la volontà di farti diventare efficace in una cosa che penso sia una delle ultime speranze che ci resta. Quale? Connetterti con le altre persone e diffondere bene, conoscenza, informazione, ispirazione, suggestione. Certo, si può diffondere anche il falso, ma se sei qui la cosa non ti riguarda. E non riguarda me.

    Non ho la risposta definitiva su come si debba scrivere per il web, ma so una cosa: se unisci i puntini e scopri gli ambiti di creatività pura che ogni piattaforma ti può dare, scoprirai che c’è il modo di farlo. C’è il modo di scrivere per il web affinché dalle parole si capisca bene che tu… sei tu.

    Leggi anche: Social network: cambia il modo di usarli.

    Un altro punto di vista: Se ami scrivere è perché sai cosa scrivere

  • Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Effettivamente è un po’ che non racconto lo stato dell’arte del mobile journalism.

    Prendo spunto dal fatto che il mio fraterno amico Matias Amigo, uno tra i più importanti esponenti del mobile journalism sudamericano, mi ha chiesto un aggiornamento sulle pagine che mi riguardano nella sua “Mentes Mòviles“, splendida guida al giornalismo in mobilità in spagnolo, per dare uno sguardo in giro e cercare di fotografare il momento della cultura che ho divulgato negli ultimi 7-8 anni.

    L’evoluzione del mobile journalism

    La fase pionieristica del mobile journalism, quella nella quale strani innovatori creavano contenuti visuali per l’informazione utilizzando gli smartphone per girare e montare, sembra sia finita. Anzi è finita. Se si pensa al giornalismo mobile come a una spinta culturale che puntava a cambiare i modelli della professione giornalistica, va detto che quella fase è terminata e il motivo è semplice.

    Il mojo è stato un movimento coraggioso e oltraggioso quando è cominciato, con la community di Mojocon poi diventata Mojofest. Poi si è diffuso come un virus nelle redazioni ai quattro angoli del pianeta mettendosi di fianco al modo normale che avevamo di produrre contenuti, principalmente video, ma non solo, per le nostre media company. La potenza di calcolo degli smartphone, la tecnologia del comparto fotografico, la velocità di connessione sono aumentate in modo velocissimo portando lo smartphone dall’essere una “seconda soluzione” di emergenza per riprendere un immagine… all’unico hardware per la ripresa con cui molti giornalisti lavorano tutti i giorni.

    Dalla pandemia in poi, ancora più veloci

    Il cambiamento del rapporto tra uomo e smartphone, in generale, è diventato realtà con la pandemia di Covid-19. Tutti abbiamo capito che il nostro device può farci fare cose importantissime, non solo distrarci con qualche video su YouTube o qualche messaggio di un amico su WhatsApp.

    Se è cambiato il rapporto delle persone normali con il telefonino, non poteva non cambiare quello dei giornalisti. Dal Covid in poi andare live con uno smartphone, filmare con uno smartphone, editare con uno smartphone e pubblicare con uno smartphone è diventato la normalità della professione del giornalista. Dal Covid in poi siamo andati ancora più veloci.

    Lo smartphone è anche diventato uno straordinario terminale di software in cloud per lo storage e l’editing dei video. Grande parte delle app di filming sono diventate capaci di collegarsi a cloud (vedi Filmic Pro con Frame.io di Adobe o l’ecosistema di Blacmagic Camera) regalandoci la possibilità di creare nuovi modi, nuovi flussi di lavoro e nuove possibilità di business.

    Il mobile journalism e le redazioni virtuali

    Con questo mondo di smartphone potentissimi, app per creare contenuti velocissime e cloud performanti sono successe due cose.

    La prima: il mobile journalism si è fuso con il giornalismo multimediale digitale e broadcast moderno. Si fanno trasmissioni tv, format, film, documentari, videonews con lo smartphone e ormai non ce ne accorgiamo più. La seconda: con una manciata di telefonini, una manciata di app e un sito, si possono creare redazioni virtuali e quindi media che possono diventare profittevoli in poco tempo. Ecco che cosa fa il mobile journalism nel 2024: crea business e nuovi media.

    Il mojo e l’intelligenza artificiale

    Già, in tutto questo ragionamento manca l’intelligenza artificiale: nelle app di filming e di editing dei nostri smartphone è entrata di prepotenza da un po’, ma dal 2024 diventerà strutturale. Non tanto nel creare immagini artificiali da mettere nei video, quando nel potenziare tutte le fasi del montaggio per far diventare un video creato con lo smartphone tecnicamente identico, se non superiore, a quello creato con il processo ideografico classico videocamera+computer.

    I giornalisti freelance (in generale i giornalisti) ne usciranno trasformati per sempre. Se tecnicamente erano in grado di fare cose meravigliose con smartphone, software e poco altro, ora, con app come Captions, Capcut e altre saranno in grado di fare magie. Semplice il motivo: alla tecnica di base e agli hardware, assommeranno applicativi in grado di pulire il suono, i colori, le immagini, la grafica tali da trasformare in un prodotto di qualità broadcast ogni maledetto contenuto multimediale (il discorso, infatti, vale anche per l’audio) che uscirà dai nostri smartphone.

    Pronti alla sfida? Pronti a trasformarvi in giornalisti in grado di creare gli stessi contenuti multimediali di una media company intera?

    Leggi anche: Altman e il problema del giornalismo italiano

  • Comunicazione aziendale: gli smartphone risorsa sprecata

    Comunicazione aziendale: gli smartphone risorsa sprecata

    Un pochino di AI in questo articolo.

    Nella comunicazione delle aziende c’è una miniera d’oro buttata al vento.

    Ci ragionavo già nell’ottobre del 2020 con questo articolo, ma all’alba di questo 2024 il pessimo uso degli smartphone nella comunicazione aziendale (sia esterna, sia interna) non è migliorato.

    I nostri telefonini vengono ancora sottoutilizzati nell’ambito del trasferimento di informazioni all’interno delle organizzazioni economiche e, da queste, anche verso l’esterno.

    Il pessimo stato dell’arte

    Se sei un dipendente di un’azienda per cosa usi il tuo smartphone? Principalmente per tre linee della comunicazione aziendale:

    1. Le mail
    2. I messaggi WhatsApp o Slack
    3. Le telefonate

    Questo in ordine di importanza. Le prime hanno un piccolo problema: si risponde poco e male. I secondi sono un caos e si mischiano con i gruppi della classe di tuo figlio o quelli del “calcetto del giovedì”. Le terze (ammesso che chi chiami risponda al telefono) sono un furto inutile di tempo, tempo che potrebbe essere reso molto più produttivo.

    La comunicazione aziendale è un valore determinante

    In tutto questo caos di informazioni, il risultato più eclatante delle organizzazioni economiche è la perdita di tempo e di precisione nel trasferimento di dati, notizie, info e competenze. E’ un valore economico considerevole quello che viene perso in queste curve della comunicazione.

    Eppure non dovrebbe essere difficile riuscire a comprendere che la comunicazione aziendale è una rete e alla parte finale della rete ci sono smartphone. Molti, molti smartphone. Questi possono montare app che razionalizzano i passaggi della comunicazione e possono rappresentare terminali di produzione del contenuto. Possono, in sostanza, ricevere messaggi e far partire messaggi. E’ un’ovvietà? Si, certo: allora, perché non aggiustare messaggi, flussi, modelli di produzione del contenuto e luoghi di detenzione del contenuto per fare in modo che il trasferimento di informazioni diventi più pulito possibile?

    I dati, oro della nostra epoca

    Le informazioni, i dati, sono l’oro della nostra epoca. Eppure li gestiamo malamente e li ammassiamo senza cura. Nei nostri smartphone restano poco alla nostra attenzione, poi spariscono nel gorgo dei client di posta o nelle foto che riempiono le nostre memorie. Un grande guazzabuglio.

    Se vai a questa pagina del sito, scoprirai come si può iniziare a invertire la rotta. Insegnare i linguaggi della comunicazione, la formattazione dei messaggi via smartphone, gli applicativi più efficienti e la creazione del contenuto con i device mobili è la via. La via per razionalizzare le informazioni, per renderle più chiare e semplici, per farle andare negli applicativi giusti, affinché chiamino attenzione e vengano catalogati con precisione.

    La comunicazione aziendale via smartphone

    Ora gli smartphone comunicano con i cloud, lavorano in cloud, trasferiscono ogni tipo di messaggio, comunicano con il mondo dentro un’azienda… e fuori. Se hai un’impresa prova a pensare come sarebbe il tuo modo di lavorare se i reparti imparassero a parlarsi chiaramente ed efficacemente, se le mail avessero tutte lo stesso format, se i gruppi WhatsApp si trasformassero in più efficienti ambienti di lavoro virtuale come Slack.

    Per realizzare tutto questo ci vuole un medico delle parole, un aggiustatore di comunicazioni e un esperto di produzione del contenuto. Un giornalista… insomma.

    E verso l’esterno? Certo, bisognerebbe parlarne con i dipendenti e riconoscere loro dei diritti se mai dovessero assumere dei doveri nei confronti della comunicazione aziendale esterna.

    Aggiustato questo aspetto, tuttavia, sarebbe portentoso l’effetto dato dai contenuti delle risorse dell’azienda per messaggi rivolti all’esterno. Quella rete di smartphone che ogni imprenditore ha dietro di se potrebbe sviluppare valori (e delle economie) considerevoli.

    Pensa a un semplice messaggio di auguri grazie a piccoli video raccolti dagli smartphone, messaggio utilizzato per comunicare i valori e le persone della tua azienda.

    Comunicazione aziendale e social media policy

    Diciamolo chiaro: se è vero che i social sono l’immagine digitale che hai tu, è vero anche che lo stesso discorso si può fare per le aziende. Di conseguenza un altro settore nel quale si deve pensare, per le imprese, di aggiustare la comunicazione è la social media policy. Sai di cosa si tratta?

    Una social media policy è un insieme di linee guida e regole, riassunte in un documento, stabilite da un’organizzazione per regolare l’uso dei social media da parte dei propri dipendenti. Questo documento fornisce indicazioni chiare su come i dipendenti dovrebbero comportarsi online, sia che interagiscano a nome dell’azienda che a titolo personale. Le social media policy spesso affrontano temi come la riservatezza e la sicurezza delle informazioni aziendali, la diffamazione, la gestione dei conflitti di interesse, l’uso responsabile dei social media e la rappresentazione accurata dell’azienda e dei suoi valori online. Questo strumento aiuta a proteggere l’azienda da potenziali rischi legali, protegge la sua reputazione e promuove un uso responsabile e consapevole dei social media da parte dei dipendenti.

    Questa definizione me l’ha data il mio assistente IA e mi sembra ben scritta. Da quello che hai letto capirai che anche questo campo della comunicazione aziendale va affrontato al più presto. Nasconde, infatti, insidie. Insidie che si possono evitare formando le risorse e insegnando loro il modo di produrre contenuti consapevoli e tecnicamente ben fatti per le loro piattaforme sociali.

    Il 2024, anno degli smartphone in salsa AI

    Il 2024 è l’anno nel quale gli smartphone verranno potenziati dall’intelligenza artificiale. Quest’ultima potenzierà ulteriormente i processi di comunicazione rendendoli più veloci ed efficaci. Riconoscere la potenza di questi device e metterli al servizio di una comunicazione aziendale migliore dovrà essere un imperativo. Per salvare tanti soldi, per migliorare tanti processi, per dare una spinta alla reputazione aziendale. Dagli smartphone, infatti, esce una comunicazione più vera e autentica, necessaria in questo mondo complicato.

    Attraverso la formazione, la progettazione di flussi comunicativi e la formattazione della scrittura e della produzione del contenuto tutto questo pò essere realizzato. Basta volerlo. Smetti di sprecare le risorse che ti potrebbero essere regalate dalla rete di smartphone della tua organizzazione.

  • Smartphone e IA: è l’anno del.. AIphone

    Smartphone e IA: è l’anno del.. AIphone

    L’IA sta per entrare dentro lo smartphone.

    Dico fisicamente. Già, proprio fisicamente. Finora il dialogo tra lo smartphone e gli applicativi di IA è stato questione di software, collegato al terminale tramite dei web server.

    Quindi gli algoritmi che eseguivano le operazioni richieste alla IA dai nostri input, si sono sempre trovati su potenti server molto lontani dal nostro terminale, le cui risposte venivano sparate nei nostri telefonini nel giro di qualche secondo (o al massimo qualche minuto, per le operazioni più complesse).

    In questo 2024 la situazione cambierà. Vuoi sapere in che modo?

    Fra i circuiti di un telefonino

    La prima a fare l’annuncio è stata Google, quando ha fatto conoscere al mondo Gemini.

    Il video di Google che mostra le potenzialità della IA multimodale chiamata Gemini.

    L’intelligenza artificiale multimodale di Google è stata rilasciata con un aggiornamento del sistema operativo dello smartphone Pixel Pro e ora può lavorare anche offline. Cosa significa? Semplice: può fare alcune operazioni, con il suo Large Language Model e la sua capacità di ricevere input da microfono e da camera, anche senza collegarsi al web. Può far lavorare l’algoritmo direttamente nello smartphone, usando il suo processore e la sua potenza di calcolo.

    Quello che può fare, per ora, è limitato: può farti il sommario di una tua nota vocale, può suggerirti le risposte ai messaggi che ti arrivano usando la GBoard, la tastiera di Google. Può anche pulire le foto, cancellare l’effetto “mosso” di un soggetto fotografato in movimento, cancellare macchie dalle fotografie e cos’ via.

    Smartphone e Open AI

    Le testate internazionali di tecnologia stanno riferendo da un po’ che Sam Altman, CEO di Open AI, sta parlando di uno smartphone potenziato dall’intelligenza artificiale creato dalla sua azienda, mamma di Chat GPT. Per molto tempo il prode Sam aveva negato la cosa (“Non voglio andare contro l’iPhone, fa cose meravigliose” ha ripetuto per un po’ a chi gli chiedeva info), ma da qualche tempo ha iniziato a intrattenere conversazioni con Jony Ive, ex guru del design in Apple, ora boss di Love Form, per impostare un AIphone, diciamo uno smartphone con gli algoritmi di Chat GPT già in locale, dentro l’hardware, capaci di funzionare anche senza la connessione internet.

    Secondo The Information, in questo progetto dell’AIphone, dai chiamiamolo così, ci sarebbe anche Masayoshi Son, amministratore delegato di SoftBank, il quale avrebbe messo sul tavolo già un miliardo di euro. I tre, quindi, fanno sul serio, ma non è dato sapere cosa succederà a breve. Si sa, invece, quale sarà il concetto più importante dal quale si partirà per disegnare questo hardware: l’estrema naturalezza di uso.

    Lo smartphone sta sparendo?

    Forse… ma non subito. Il primo segnale che lo smartphone stia sparendo lo ha dato Humane. Non conosci Ai pin? Eccolo qui

    Il video di presentazione di Ai pin. Dal canale YouTube di Humane

    La tecnologia di questo dispositivo permette di interagire con lo stesso senza doverlo praticamente toccare. Con i comandi vocali, Ai pin, diventa un assistente di intelligenza artificiale totale, adatto a farti compiere moltissime operazioni fra quelle di cui hai bisogno.

    Si tratta di un’esperienza d’uso nella quale la parte del tocco fisico va praticamente a zero così come si azzera la necessità di uno schermo. Certo, si tratta di un dispositivo che non fa impazzire l’industria del contenuto, visto che non ha uno schermo in grado, per esempio, di farti vedere un film o una serie su Netflix.

    Una nuova user experience

    Il problema di questa rivoluzione ruoterà tutto attorno all’esperienza di uso dello smartphone “comandato” dall’Ai. La direzione indicata da Humane è quella giusta: pochi gesti facili e i comandi praticamente tutti a voce. Chissà cosa si inventeranno i ragazzi di Altman e Ive, i quali, almeno stando ai rumor americani, pare stiano facendo incetta di talenti del campo smartphone design e hardware per costruire la squadra che ci stupirà regalandoci il primo smartphone in “salsa IA”.

    Ti dico subito che non sarà facile.

    Dovrà farci fare un salto deciso in avanti rispetto al modo con cui usiamo il telefono oggi. Come quando passammo dalla tastiera allo schermo touch. Lì cambiammo per sempre il modo di interagire con le macchine. Probabilmente questo salto qui sarà ancora più difficile e stimolante. Con i primi smartphone “IA potenziati” smetteremo di toccare i nostri device per iniziare (dopo l’allenamento fatto con gli assistenti come Alexa) a parlare con loro. Da quel momento non si tornerà più indietro.

    Il marketing cercherà di fregarci

    Un avvertimento te lo do, però, prima di lasciarti. Il marketing dell’Intelligenza artificiale cercherà di fregarci tutti quanti creando il bisogno di questi nuovi smart device (facciamo che non lo chiameremo più smartphone?) anche se i primi esempi di questo nuovo modo di pensare lo smartphone faranno quattro cosette in croce.

    Voglio dire che prima di essere un investimento e di smettere di essere un gadget passerà del tempo. Ci vorranno molti mesi prima che gli smartphone in salsa IA siano davvero utili nella nostra vita quotidiana e nel nostro lavoro. Per questo ti do i miei due centesimi: osserva ammirato l’evoluzione di questa tecnologia. Presto gli smartphone spariranno per lasciare il posto a una tecnologia in grado di avvolgerci senza farci vedere. Guarda questo Ted di Imran Chaudhri, fondatore di Humane, se non mi credi

    La tecnologia di Ai pin ha già fatto il giro del mondo con questo affascinante Ted del founder di Humane. Canale YouTube Ted.

    Osserva ammirato, quindi, ma prima di comprare aspetta. Aspetta che quello che ti viene proposto sia davvero un device che migliora in modo sostanziale chi sei e cosa fai. Altrimenti saran solo soldi buttati.