Autore: Francesco Facchini

  • Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Effettivamente è un po’ che non racconto lo stato dell’arte del mobile journalism.

    Prendo spunto dal fatto che il mio fraterno amico Matias Amigo, uno tra i più importanti esponenti del mobile journalism sudamericano, mi ha chiesto un aggiornamento sulle pagine che mi riguardano nella sua “Mentes Mòviles“, splendida guida al giornalismo in mobilità in spagnolo, per dare uno sguardo in giro e cercare di fotografare il momento della cultura che ho divulgato negli ultimi 7-8 anni.

    L’evoluzione del mobile journalism

    La fase pionieristica del mobile journalism, quella nella quale strani innovatori creavano contenuti visuali per l’informazione utilizzando gli smartphone per girare e montare, sembra sia finita. Anzi è finita. Se si pensa al giornalismo mobile come a una spinta culturale che puntava a cambiare i modelli della professione giornalistica, va detto che quella fase è terminata e il motivo è semplice.

    Il mojo è stato un movimento coraggioso e oltraggioso quando è cominciato, con la community di Mojocon poi diventata Mojofest. Poi si è diffuso come un virus nelle redazioni ai quattro angoli del pianeta mettendosi di fianco al modo normale che avevamo di produrre contenuti, principalmente video, ma non solo, per le nostre media company. La potenza di calcolo degli smartphone, la tecnologia del comparto fotografico, la velocità di connessione sono aumentate in modo velocissimo portando lo smartphone dall’essere una “seconda soluzione” di emergenza per riprendere un immagine… all’unico hardware per la ripresa con cui molti giornalisti lavorano tutti i giorni.

    Dalla pandemia in poi, ancora più veloci

    Il cambiamento del rapporto tra uomo e smartphone, in generale, è diventato realtà con la pandemia di Covid-19. Tutti abbiamo capito che il nostro device può farci fare cose importantissime, non solo distrarci con qualche video su YouTube o qualche messaggio di un amico su WhatsApp.

    Se è cambiato il rapporto delle persone normali con il telefonino, non poteva non cambiare quello dei giornalisti. Dal Covid in poi andare live con uno smartphone, filmare con uno smartphone, editare con uno smartphone e pubblicare con uno smartphone è diventato la normalità della professione del giornalista. Dal Covid in poi siamo andati ancora più veloci.

    Lo smartphone è anche diventato uno straordinario terminale di software in cloud per lo storage e l’editing dei video. Grande parte delle app di filming sono diventate capaci di collegarsi a cloud (vedi Filmic Pro con Frame.io di Adobe o l’ecosistema di Blacmagic Camera) regalandoci la possibilità di creare nuovi modi, nuovi flussi di lavoro e nuove possibilità di business.

    Il mobile journalism e le redazioni virtuali

    Con questo mondo di smartphone potentissimi, app per creare contenuti velocissime e cloud performanti sono successe due cose.

    La prima: il mobile journalism si è fuso con il giornalismo multimediale digitale e broadcast moderno. Si fanno trasmissioni tv, format, film, documentari, videonews con lo smartphone e ormai non ce ne accorgiamo più. La seconda: con una manciata di telefonini, una manciata di app e un sito, si possono creare redazioni virtuali e quindi media che possono diventare profittevoli in poco tempo. Ecco che cosa fa il mobile journalism nel 2024: crea business e nuovi media.

    Il mojo e l’intelligenza artificiale

    Già, in tutto questo ragionamento manca l’intelligenza artificiale: nelle app di filming e di editing dei nostri smartphone è entrata di prepotenza da un po’, ma dal 2024 diventerà strutturale. Non tanto nel creare immagini artificiali da mettere nei video, quando nel potenziare tutte le fasi del montaggio per far diventare un video creato con lo smartphone tecnicamente identico, se non superiore, a quello creato con il processo ideografico classico videocamera+computer.

    I giornalisti freelance (in generale i giornalisti) ne usciranno trasformati per sempre. Se tecnicamente erano in grado di fare cose meravigliose con smartphone, software e poco altro, ora, con app come Captions, Capcut e altre saranno in grado di fare magie. Semplice il motivo: alla tecnica di base e agli hardware, assommeranno applicativi in grado di pulire il suono, i colori, le immagini, la grafica tali da trasformare in un prodotto di qualità broadcast ogni maledetto contenuto multimediale (il discorso, infatti, vale anche per l’audio) che uscirà dai nostri smartphone.

    Pronti alla sfida? Pronti a trasformarvi in giornalisti in grado di creare gli stessi contenuti multimediali di una media company intera?

    Leggi anche: Altman e il problema del giornalismo italiano

  • Comunicazione aziendale: gli smartphone risorsa sprecata

    Comunicazione aziendale: gli smartphone risorsa sprecata

    Un pochino di AI in questo articolo.

    Nella comunicazione delle aziende c’è una miniera d’oro buttata al vento.

    Ci ragionavo già nell’ottobre del 2020 con questo articolo, ma all’alba di questo 2024 il pessimo uso degli smartphone nella comunicazione aziendale (sia esterna, sia interna) non è migliorato.

    I nostri telefonini vengono ancora sottoutilizzati nell’ambito del trasferimento di informazioni all’interno delle organizzazioni economiche e, da queste, anche verso l’esterno.

    Il pessimo stato dell’arte

    Se sei un dipendente di un’azienda per cosa usi il tuo smartphone? Principalmente per tre linee della comunicazione aziendale:

    1. Le mail
    2. I messaggi WhatsApp o Slack
    3. Le telefonate

    Questo in ordine di importanza. Le prime hanno un piccolo problema: si risponde poco e male. I secondi sono un caos e si mischiano con i gruppi della classe di tuo figlio o quelli del “calcetto del giovedì”. Le terze (ammesso che chi chiami risponda al telefono) sono un furto inutile di tempo, tempo che potrebbe essere reso molto più produttivo.

    La comunicazione aziendale è un valore determinante

    In tutto questo caos di informazioni, il risultato più eclatante delle organizzazioni economiche è la perdita di tempo e di precisione nel trasferimento di dati, notizie, info e competenze. E’ un valore economico considerevole quello che viene perso in queste curve della comunicazione.

    Eppure non dovrebbe essere difficile riuscire a comprendere che la comunicazione aziendale è una rete e alla parte finale della rete ci sono smartphone. Molti, molti smartphone. Questi possono montare app che razionalizzano i passaggi della comunicazione e possono rappresentare terminali di produzione del contenuto. Possono, in sostanza, ricevere messaggi e far partire messaggi. E’ un’ovvietà? Si, certo: allora, perché non aggiustare messaggi, flussi, modelli di produzione del contenuto e luoghi di detenzione del contenuto per fare in modo che il trasferimento di informazioni diventi più pulito possibile?

    I dati, oro della nostra epoca

    Le informazioni, i dati, sono l’oro della nostra epoca. Eppure li gestiamo malamente e li ammassiamo senza cura. Nei nostri smartphone restano poco alla nostra attenzione, poi spariscono nel gorgo dei client di posta o nelle foto che riempiono le nostre memorie. Un grande guazzabuglio.

    Se vai a questa pagina del sito, scoprirai come si può iniziare a invertire la rotta. Insegnare i linguaggi della comunicazione, la formattazione dei messaggi via smartphone, gli applicativi più efficienti e la creazione del contenuto con i device mobili è la via. La via per razionalizzare le informazioni, per renderle più chiare e semplici, per farle andare negli applicativi giusti, affinché chiamino attenzione e vengano catalogati con precisione.

    La comunicazione aziendale via smartphone

    Ora gli smartphone comunicano con i cloud, lavorano in cloud, trasferiscono ogni tipo di messaggio, comunicano con il mondo dentro un’azienda… e fuori. Se hai un’impresa prova a pensare come sarebbe il tuo modo di lavorare se i reparti imparassero a parlarsi chiaramente ed efficacemente, se le mail avessero tutte lo stesso format, se i gruppi WhatsApp si trasformassero in più efficienti ambienti di lavoro virtuale come Slack.

    Per realizzare tutto questo ci vuole un medico delle parole, un aggiustatore di comunicazioni e un esperto di produzione del contenuto. Un giornalista… insomma.

    E verso l’esterno? Certo, bisognerebbe parlarne con i dipendenti e riconoscere loro dei diritti se mai dovessero assumere dei doveri nei confronti della comunicazione aziendale esterna.

    Aggiustato questo aspetto, tuttavia, sarebbe portentoso l’effetto dato dai contenuti delle risorse dell’azienda per messaggi rivolti all’esterno. Quella rete di smartphone che ogni imprenditore ha dietro di se potrebbe sviluppare valori (e delle economie) considerevoli.

    Pensa a un semplice messaggio di auguri grazie a piccoli video raccolti dagli smartphone, messaggio utilizzato per comunicare i valori e le persone della tua azienda.

    Comunicazione aziendale e social media policy

    Diciamolo chiaro: se è vero che i social sono l’immagine digitale che hai tu, è vero anche che lo stesso discorso si può fare per le aziende. Di conseguenza un altro settore nel quale si deve pensare, per le imprese, di aggiustare la comunicazione è la social media policy. Sai di cosa si tratta?

    Una social media policy è un insieme di linee guida e regole, riassunte in un documento, stabilite da un’organizzazione per regolare l’uso dei social media da parte dei propri dipendenti. Questo documento fornisce indicazioni chiare su come i dipendenti dovrebbero comportarsi online, sia che interagiscano a nome dell’azienda che a titolo personale. Le social media policy spesso affrontano temi come la riservatezza e la sicurezza delle informazioni aziendali, la diffamazione, la gestione dei conflitti di interesse, l’uso responsabile dei social media e la rappresentazione accurata dell’azienda e dei suoi valori online. Questo strumento aiuta a proteggere l’azienda da potenziali rischi legali, protegge la sua reputazione e promuove un uso responsabile e consapevole dei social media da parte dei dipendenti.

    Questa definizione me l’ha data il mio assistente IA e mi sembra ben scritta. Da quello che hai letto capirai che anche questo campo della comunicazione aziendale va affrontato al più presto. Nasconde, infatti, insidie. Insidie che si possono evitare formando le risorse e insegnando loro il modo di produrre contenuti consapevoli e tecnicamente ben fatti per le loro piattaforme sociali.

    Il 2024, anno degli smartphone in salsa AI

    Il 2024 è l’anno nel quale gli smartphone verranno potenziati dall’intelligenza artificiale. Quest’ultima potenzierà ulteriormente i processi di comunicazione rendendoli più veloci ed efficaci. Riconoscere la potenza di questi device e metterli al servizio di una comunicazione aziendale migliore dovrà essere un imperativo. Per salvare tanti soldi, per migliorare tanti processi, per dare una spinta alla reputazione aziendale. Dagli smartphone, infatti, esce una comunicazione più vera e autentica, necessaria in questo mondo complicato.

    Attraverso la formazione, la progettazione di flussi comunicativi e la formattazione della scrittura e della produzione del contenuto tutto questo pò essere realizzato. Basta volerlo. Smetti di sprecare le risorse che ti potrebbero essere regalate dalla rete di smartphone della tua organizzazione.

  • Smartphone e IA: è l’anno del.. AIphone

    Smartphone e IA: è l’anno del.. AIphone

    L’IA sta per entrare dentro lo smartphone.

    Dico fisicamente. Già, proprio fisicamente. Finora il dialogo tra lo smartphone e gli applicativi di IA è stato questione di software, collegato al terminale tramite dei web server.

    Quindi gli algoritmi che eseguivano le operazioni richieste alla IA dai nostri input, si sono sempre trovati su potenti server molto lontani dal nostro terminale, le cui risposte venivano sparate nei nostri telefonini nel giro di qualche secondo (o al massimo qualche minuto, per le operazioni più complesse).

    In questo 2024 la situazione cambierà. Vuoi sapere in che modo?

    Fra i circuiti di un telefonino

    La prima a fare l’annuncio è stata Google, quando ha fatto conoscere al mondo Gemini.

    Il video di Google che mostra le potenzialità della IA multimodale chiamata Gemini.

    L’intelligenza artificiale multimodale di Google è stata rilasciata con un aggiornamento del sistema operativo dello smartphone Pixel Pro e ora può lavorare anche offline. Cosa significa? Semplice: può fare alcune operazioni, con il suo Large Language Model e la sua capacità di ricevere input da microfono e da camera, anche senza collegarsi al web. Può far lavorare l’algoritmo direttamente nello smartphone, usando il suo processore e la sua potenza di calcolo.

    Quello che può fare, per ora, è limitato: può farti il sommario di una tua nota vocale, può suggerirti le risposte ai messaggi che ti arrivano usando la GBoard, la tastiera di Google. Può anche pulire le foto, cancellare l’effetto “mosso” di un soggetto fotografato in movimento, cancellare macchie dalle fotografie e cos’ via.

    Smartphone e Open AI

    Le testate internazionali di tecnologia stanno riferendo da un po’ che Sam Altman, CEO di Open AI, sta parlando di uno smartphone potenziato dall’intelligenza artificiale creato dalla sua azienda, mamma di Chat GPT. Per molto tempo il prode Sam aveva negato la cosa (“Non voglio andare contro l’iPhone, fa cose meravigliose” ha ripetuto per un po’ a chi gli chiedeva info), ma da qualche tempo ha iniziato a intrattenere conversazioni con Jony Ive, ex guru del design in Apple, ora boss di Love Form, per impostare un AIphone, diciamo uno smartphone con gli algoritmi di Chat GPT già in locale, dentro l’hardware, capaci di funzionare anche senza la connessione internet.

    Secondo The Information, in questo progetto dell’AIphone, dai chiamiamolo così, ci sarebbe anche Masayoshi Son, amministratore delegato di SoftBank, il quale avrebbe messo sul tavolo già un miliardo di euro. I tre, quindi, fanno sul serio, ma non è dato sapere cosa succederà a breve. Si sa, invece, quale sarà il concetto più importante dal quale si partirà per disegnare questo hardware: l’estrema naturalezza di uso.

    Lo smartphone sta sparendo?

    Forse… ma non subito. Il primo segnale che lo smartphone stia sparendo lo ha dato Humane. Non conosci Ai pin? Eccolo qui

    Il video di presentazione di Ai pin. Dal canale YouTube di Humane

    La tecnologia di questo dispositivo permette di interagire con lo stesso senza doverlo praticamente toccare. Con i comandi vocali, Ai pin, diventa un assistente di intelligenza artificiale totale, adatto a farti compiere moltissime operazioni fra quelle di cui hai bisogno.

    Si tratta di un’esperienza d’uso nella quale la parte del tocco fisico va praticamente a zero così come si azzera la necessità di uno schermo. Certo, si tratta di un dispositivo che non fa impazzire l’industria del contenuto, visto che non ha uno schermo in grado, per esempio, di farti vedere un film o una serie su Netflix.

    Una nuova user experience

    Il problema di questa rivoluzione ruoterà tutto attorno all’esperienza di uso dello smartphone “comandato” dall’Ai. La direzione indicata da Humane è quella giusta: pochi gesti facili e i comandi praticamente tutti a voce. Chissà cosa si inventeranno i ragazzi di Altman e Ive, i quali, almeno stando ai rumor americani, pare stiano facendo incetta di talenti del campo smartphone design e hardware per costruire la squadra che ci stupirà regalandoci il primo smartphone in “salsa IA”.

    Ti dico subito che non sarà facile.

    Dovrà farci fare un salto deciso in avanti rispetto al modo con cui usiamo il telefono oggi. Come quando passammo dalla tastiera allo schermo touch. Lì cambiammo per sempre il modo di interagire con le macchine. Probabilmente questo salto qui sarà ancora più difficile e stimolante. Con i primi smartphone “IA potenziati” smetteremo di toccare i nostri device per iniziare (dopo l’allenamento fatto con gli assistenti come Alexa) a parlare con loro. Da quel momento non si tornerà più indietro.

    Il marketing cercherà di fregarci

    Un avvertimento te lo do, però, prima di lasciarti. Il marketing dell’Intelligenza artificiale cercherà di fregarci tutti quanti creando il bisogno di questi nuovi smart device (facciamo che non lo chiameremo più smartphone?) anche se i primi esempi di questo nuovo modo di pensare lo smartphone faranno quattro cosette in croce.

    Voglio dire che prima di essere un investimento e di smettere di essere un gadget passerà del tempo. Ci vorranno molti mesi prima che gli smartphone in salsa IA siano davvero utili nella nostra vita quotidiana e nel nostro lavoro. Per questo ti do i miei due centesimi: osserva ammirato l’evoluzione di questa tecnologia. Presto gli smartphone spariranno per lasciare il posto a una tecnologia in grado di avvolgerci senza farci vedere. Guarda questo Ted di Imran Chaudhri, fondatore di Humane, se non mi credi

    La tecnologia di Ai pin ha già fatto il giro del mondo con questo affascinante Ted del founder di Humane. Canale YouTube Ted.

    Osserva ammirato, quindi, ma prima di comprare aspetta. Aspetta che quello che ti viene proposto sia davvero un device che migliora in modo sostanziale chi sei e cosa fai. Altrimenti saran solo soldi buttati.

  • Ferragni, che magnifico regalo

    Ferragni, che magnifico regalo

    Chiara Ferragni, in questo finale del 2023, ti ha fatto un grande regalo.

    Non te ne sei accorto? Eppure è proprio così. Il caso della straordinaria imprenditrice e influencer Chiara Ferragni, finita nel fango dell’affare panettoni ha portato alla ribalta ciò che sta succedendo sui social network in questo piccolo spicchio di storia del genere umano. Cerco di ricostruirti la cosa mettendo un po’ di ordine e cercando di tirarci fuori del buono per me e per te.

    I social mutano velocemente

    I social network stanno evolvendo e non si capisce ancora dove stiano andando. Molti, da LinkedIn a Facebook fino a X, hanno servizi premium di cui non comprendo ancora il senso. Questo cambiamento sta modificando l’uso dei social e il pubblico dei social. Tanto per dirne una i social premium non hanno più la pubblicità (o almeno ne hanno meno): per questo motivo il ruolo di chi lavora nell’advertising deve cambiare. Il caso Ferragni lo sta mostrando in modo evidente.

    In questo momento, quindi, chi ha vissuto con i canoni e i numeri delle piattaforme sociali nella loro prima era sta scricchiolando pesantemente. Le stesse social company stanno perdendo utilizzatori, interazioni e fatturato e si divertono a inventare cloni (vedi Meta con Threads creato per cercare di uccidere Twitter) per rubarsi fettine di mercato e per cercare di scappare dall’emorragia di soldi che stanno patendo.

    La Ferragni è stata un simbolo

    In tutto questo casino, la Ferragni è stata l’immagine italiana nel mondo della prima era dei social. E’ stata l’apparire al posto dell’essere. Ha costruito una straordinaria realtà imprenditoriale sfruttando alla perfezione il meccanismo dei social come ce li hanno propinati finora. Il suo business è partito dal contenuto (certo, di settore) ai tempi di “The Blonde Salad“, il blog di moda da cui è iniziato tutto. Poi si è progressivamente svuotato fino a diventare una serie di manifesti pubblicitari e di messaggi prefabbricati sul suo essere una brava mamma. Il suo account Instagram è un guscio vuoto. Da mesi, forse da anni.

    Il suo linguaggio (io seguo con attenzione anche il canale broadcast, che ti credi) è diventato monosillabico e si è dimenticato perfino della punteggiatura. Ti do una dritta se hai figli: guarda le chat dei tuoi pargoli e guarda il canale della Ferragni. Sono uguali, pieni di frate, bro, cute, wow, guys. La grammatica italiana di base, nell’account della nostra eroina in disgrazia, ha salutato… se non per i momenti in cui esponeva il suo apparire per delle cause o per della beneficenza (la cui efficacia è tutta da verificare).

    Dietro l’account niente

    La Ferragni era insomma un brand in cui… “dietro l’account niente!”. Poi è andata a sbattere sull’affare Balocco. I social l’hanno messa alla gogna, ma io non lo farò. La signora Chiara Ferragni è una delle imprenditrici di maggior successo che conosco e merita tutto quello che ha creato. La questione Balocco, tuttavia, l’ha mandata a sbattere non solo contro un suo clamoroso errore, ma anche contro un momento epocale del nostro vivere digitale e social. Dai, Chiara, te lo dico io: gli account dentro i quali non c’è altro che pubblicità sono finiti, così come è finito il mondo in cui i social network erano solo apparenza. Finalmente cominceremo a misurarci alla pari tutti quanti con la possibilità di creare account che abbiano un seguito perché ciò che comunicano è rilevante. Ha vinto chi crea contenuti utili o ispiranti.

    Il regalo di Chiara è importantissimo

    La Ferragni si è immolata diventando la prima vittima di questo cambiamento perché è l’italiana più famosa nel mondo dei social. Più sei evidente e più sei su e più diventa fragorosa e dolorosa la caduta. La immagino, come dice mia nipote Sofia, lontana dal suo smartphone per non uscire di testa a causa del linciaggio che esageratamente riceve. Tuttavia, forse, Chiara non si è accorta che ci ha fatto un grande regalo andando per prima incontro al cambiamento di cui abbiamo bisogno tutti. Cambiamento che non ha ancora operato, visto che i suoi social sono praticamente bloccati dopo il video del “pentimento”.

    Il regalo è questo: lei per prima ha patito il contraccolpo di un linguaggio vuoto e ora paga il conto per tutti. Dico una cosa che dovrà fare lei (e spero e credo la faccia), ma che, soprattutto, dobbiamo fare io e te. Se i social network continueranno ad avere senso devono averlo grazie a un linguaggio nuovo e a contenuti di valore. Il regalo di Natale della Ferragni è questo: ci ha fatto capire, suo malgrado, che essere vuoti di contenuti, perfino quando fai beneficenza, è un gioco che non paga più. Quindi la signora dovrà metter in campo i contenuti al posto del reality show. Se no è destinata a sparire. Lo stesso dovrai fare tu.

    Il linguaggio trasversale

    Hai bisogno di crearti un linguaggio che sia l’arma con cui sparare i tuoi contenuti di valore. E posso dire anche che è il momento in cui te ne devi trovare uno che attraversi le piattaforme: sono stufo di adattare il mio linguaggio al mezzo solo perché le metriche mi dicono che un mio video su Tiktok viene visto poco dopo i primi 15 secondi. Eh, mi spiace per chi quei quindici secondi non li supera…

    Inventiamoci un linguaggio trasversale (dal mio canale YouTube

    Una volta inventato quello progetta i tuoi contenuti e racconta i tuoi percorsi in modo da creare in chi ti legge gratitudine per quello che legge. I tuoi social e i miei social sopravviveranno così anche perché, per ora, si possono scordare di ricevere i miei soldi se non mi danno valore. “Sai qual è l’unico social che pagherei? Quello che mi è utile: Whatsapp!”: sono parole di mia nipote.

    Gli altri social possiamo hackerarli solo smettendo di apparire e cominciando a essere. Con il nostro linguaggio trasversale e con i nostri contenuti.

    Aspettando la Ferragni 2.0

    Sono praticamente convinto che la signora Ferragni stia preparando un cambiamento, anche perché ha platea, contenuti e possibilità di creare un linguaggio e dei contenuti rilevanti che le facciano dimenticare questo momento. Anzi le faccio un appello: signora Ferragni, lo faccia. Cominci a raccontarci chi è, cosa fa, come lo fa, perché lo fa e come è arrivata fino lì. Sono convinto che i suoi milioni di fan diventeranno ancora di più e finalmente si accorgeranno che lei non è un guscio vuoto.

    La foto è uno screenshot del sito www.theblondsalad.com.

  • Il marketing dell’intelligenza artificiale

    Il marketing dell’intelligenza artificiale

    Il marketing come lo intende Seth Godin mi piace assai.

    Il termometro della IA usata in questo articolo.

    Il guru di questa materia parla, nella sua definizione, di marketing utile ad “aiutare a risolvere un problema” del cliente e di “opportunità di servire”. Mi pace molto. Tuttavia c’è un campo nel quale questo concetto viene completamente stravolto: quello dell’intelligenza artificiale.

    Le aziende che stanno sviluppando questa tecnologia da anni e che, da poco più di 12 mesi, l’hanno fatta conoscere al grande pubblico, stanno proponendo le loro soluzioni tecnologiche in un modo assolutamente disumano. E questo non va per niente bene.

    L’uomo preso per stupido

    Qualche tempo fa ho parlato del marketing dell’intelligenza artificiale in un video che ti faccio vedere qui. Guardalo fino alla fine per comprendere il concetto di cui ti voglio parlare.

    Dal mio canale Youtube

    Insomma il modo con cui le aziende di intelligenza artificiale propongono i loro algoritmi è improntato alla sostituzione dell’uomo nell’esecuzione di ogni operazione. Qualsiasi cosa che puoi fare tu, ora, nella narrativa di marketing delle varie Google, Open AI, Microsoft, Adobe e compagnia, la può fare una macchina. Al posto tuo. Non c’è alcun messaggio che faccia rima con la scelta, la possibilità, la volontà o meno di poter usare questi applicativi. L’uomo viene trattato da stupido.

    Il marketing come fine dell’umanità

    Così facendo queste aziende dimostrano chiaramente di adottare un concetto quasi fascista del rapporto con i loro clienti. “Fatti da parte” sembrano dire, “fai fare alla macchina”. Non c’è alcun tipo di ragionamento etico e di educazione all’intelligenza artificiale. Guarda una cosetta. Ho chiesto all’Intelligenza Artificiale di Jetpack, presente qui nel mio CMS di WordPress, “come si usa l’intelligenza artificiale?”. Ecco cosa risponde:

    L’utilizzo dell’intelligenza artificiale può variare a seconda del contesto e dell’obiettivo specifico. Tuttavia, in generale, l’intelligenza artificiale viene utilizzata per automatizzare processi, analizzare grandi quantità di dati, riconoscere pattern e prendere decisioni intelligenti. Alcuni esempi comuni di utilizzo dell’intelligenza artificiale includono:

    1. Assistenza virtuale: gli assistenti virtuali come Siri, Alexa o Google Assistant utilizzano l’intelligenza artificiale per rispondere alle domande degli utenti e svolgere compiti come la gestione della calendario, l’invio di messaggi o la riproduzione di musica.
    2. Raccomandazioni personalizzate: molte piattaforme online utilizzano l’intelligenza artificiale per analizzare i dati degli utenti e offrire raccomandazioni personalizzate. Ad esempio, Amazon utilizza algoritmi di machine learning per suggerire prodotti basati sugli acquisti precedenti.
    3. Trattamento medico: l’intelligenza artificiale viene utilizzata nel campo della medicina per aiutare nella diagnosi e nel trattamento di malattie. Ad esempio, gli algoritmi di machine learning possono analizzare immagini mediche per rilevare segni di cancro o altre patologie.
    4. Automazione industriale: nell’ambito manifatturiero, l’intelligenza artificiale viene utilizzata per automatizzare i processi produttivi. Robot e sistemi di intelligenza artificiale possono svolgere operazioni ripetitive o pericolose in modo più efficiente ed affidabile.
    5. Veicoli autonomi: l’intelligenza artificiale è alla base dei veicoli autonomi. Grazie a sensori e algoritmi sofisticati, i veicoli autonomi possono percepire l’ambiente circostante e prendere decisioni di guida in tempo reale.

    Anche da questo semplice esercizio si capisce che il pensiero rispetto all’uso dell’intelligenza artificiale è basato sulla sostituzione dell’uomo e non sul potenziamento delle sue facoltà. Come fossimo animali senza volontà.

    Il marketing dei prompt è ancora peggio.

    Qualche mese fa ho realizzato anche un video sul canale YouTube sui prompt, vale a dire le informazioni che diamo ai software di IA per generare il contenuto che ci serve o darci le risposte di cui abbiamo bisogno. Anche qui, un disastro: il web è popolato di aziende, creator e divulgatori che ti danno prompt già fatti promettendoti, con un marketing ossessivo, che l’IA creerà delle cose magnifiche permettendoti di stare a guardare in ciabatte e costume da una spiaggia dei Caraibi.

    Coe cos’è un prompt?

    Ci fosse uno che dice, creando del vero inbound marketing, che un prompt è una cosa che devi saper creare tu per non annullare totalmente la tua presenza nei confronti dell’esecuzione di un’operazione. Se utilizzi dei prompt creati e formattati da altri per fare un testo, per esempio, è come se tu lo scrivessi con il cervello di qualcun altro.

    Hai voglia di consegnare tutto quello che sai fare a una macchina? Beh, io no.

    Uno short de L’Economist

    In questa intervista a “The Economist”, lo scrittore israeliano Yuval Noah Harari lo dice chiaramente: l’era dell’uomo al centro sta finendo, presto passeremo il potere alle macchine. Io, però, spero ancora che non sia così. Spero che il marketing distruttivo della volontà umana con il quale viene proposta l’ondata di applicativi IA si fermi e cominci a dialogare con il cliente e con l’utente per spiegargli come diventare migliore grazie all’IA.

    Non come diventare inutile.

    La scuola deve fare qualcosa

    Ormai da tempo le università combattono contro le testi fatte scrivere all’IA, i ragazzini sanno già cos’è Chat GPT, chi lavora la usa tutti i giorni (anche senza accorgersene). La penetrazione della intelligenza artificiale nella nostra vita professionale e personale è profondissima. Se non vogliamo perdere la volotnà dobbiamo fare qualcosa. Altrimenti i cervelli nostri e dei nostri figli si impoveriranno in modo definitivo. E’ urgente, ricordatelo.

  • Altman e il problema del giornalismo italiano

    Altman e il problema del giornalismo italiano

    Altman e il giornalismo italiano: come fanno a stare insieme?

    Sam Altman è stato licenziato venerdì e nella notte italiana di sabato è già in talks per essere riassunto nel ruolo che aveva, quello di Ceo di Open AI. Come c’azzecca questo fatto con il futuro del giornalismo italiano e magari anche con il suo presente? Provo a mettere insieme i puntini. Il nostro è l’amministratore delegato di un’azienda (ex fondazione) che sta lavorando nel campo dell’intelligenza artificiale e che ha sconvolto il mondo con l’introduzione al pubblico di Chat Gpt, il modello di intelligenza artificiale conversazione e generativa testuale più famoso del pianeta. Licenziato in tronco con un Google Meet (chissà come si saranno incazzati a Microsoft che investe 13 miliardi in Open AI), Altman è già stato richiamato in poche ore dai suoi colleghi i quali lo pregano di tornare.

    Un thriller vero e proprio

    Il siluramento di Altman è una cosa da film. Minuto dopo minuto si susseguono voci sui motivi che partono da quel comunicato con il quale Open AI definiva “poco trasparente il suo modo di relazionarsi al consiglio di amministrazione”. Si sono scatenate furiose teorie: dal suo imprudente desiderio di spingere per per la presentazione di una nuova AI ancora più potente che doveva essere frenato, a sue malefatte, a suoi conflitti di interesse, fino a… una minaccia di un esodo di massa. Ecco: buona l’ultima. Nelle stesse ore, infatti, si scatenava una corsa a lasciare Open AI che ha fatto venire i capelli dritti a Microsoft e a tutti i miliardari investitori della compagnia. Così chi ha messo il grano ha preso il CDA dell’azienda per le orecchie e gli ha detto: fate tornare Altman.

    Altman, l’Oppenheimer dell’AI

    Lo chiamano così Sam Altman. Ormai un’icona del mondo dell’intelligenza artificiale che va velocissimo. A colpi di 2 ore in 2 ore, si susseguono notizie e voci. L’intelligenza artificiale è solo all’inizio e il suo mondo va velocissimo, mentre l’industria Italiana del giornalismo rallenta sempre di più (e i giornalisti vanno sempre più giù). Questa differenza di velocità sta provocando effetti disastrosi nei media italiani con un grave impoverimento dei contenuti che vengono forniti a utenti e internati.

    Tuttavia, guardando quello che sta succedendo, sussiste un problema più grosso di altri: è culturale. I media italiani stanno prendendo a piene mani dall’AI per realizzare contenuti, ma vicino a questi sta crescendo la possibilità per il singolo giornalista di essere, grazie all’AI, molto più potente e performante. Cioè, detto semplice: ora un singolo può creare un prodotto giornalistico equivalente a un’intera media company. E allora sussiste un problema da affrontare. Ma quale?

    Gli ultimi rantolii dei media nell’era di Altman

    Insomma: Sam Altman è lassù con tutto il suo mondo, noi quaggiù con questo problema. Le aziende media continuano imperterrite a suonare la loro musichetta, mentre i giornalisti salgono a un livello, grazie alla tecnologia e all’AI, che può metterli alla pari di un’azienda intera. A me capita tutti i giorni. Se le strade di editori e giornalisti continueranno a divergere l’effetto sarà dirompente. Da una parte le media company che usano l’AI senza costrutto e in maniera massiccia, ma che hanno anche il problema di giustificare le loro strutture costosissime. Dall’altra i giornalisti che, con gli strumenti AI, realizzano video, audio, dirette, collegamenti, connessioni, foto, testi con una produttività e una qualità pari a quelle di un’azienda. Nasceranno due mondi dell’editoria italiana: uno delle aziende, l’altro dei singoli. E gli utenti non sapranno più da quale parte andare. Urge un patto etico e prospettico, una pax che metta tutti insieme a lavorare su un mondo dei media diverso.

    Ce la faremo? Non lo so davvero, ma dovremmo. Altrimenti la mia strada e la tua sono segnate. Diventeremo editori di noi stessi rivolgendoci direttamente al pubblico. E questo farà collassare molti media e fracasserà il sistema definitivamente. O ripariamo la situazione o Altman e il suo mondo si staccheranno definitivamente da noi e dal nostro piccolo universo antico. Insomma, guarda bene cosa sta succedendo negli Usa attorno a Open AI perché ti riguarda. E fa attenzione a cosa succede qui.

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