Autore: Francesco Facchini

  • World wide web: 30 anni quasi sprecati

    World wide web: 30 anni quasi sprecati

    Il World wide web compie oggi 30 anni. Nacque il 12 marzo del 1989 quando un ricercatore di nome Tim Berners Lee presentò al Cern di Ginevra un progetto di ricerca destinato a cambiare il mondo. Si trattava di un documento denominato “Information Management, a proposal” il quale si proponeva come obiettivo quello di creare un software per la condivisione di documenti tra i diversi reparti dell’istituto di ricerca elvetico. Con il collega Robert Calliau il nostro Tim sviluppò il progetto che, nel dicembre 1990 lo portò a creare il primo server e il primo sito che vide la luce il 6 agosto 1991. Era questo qui.

    Tutto ha cominciato ad andare veloce. Troppo.

    Da quel giorno sembrano passati secoli, ma in tutte le fasi evolutive del world wide web è sembrato evidente che il progetto di connessione del mondo (l’espressione world wide web significa letteralmente rete di grandezza mondiale) sia rimasto una grande scusa, un grande equivoco, un grande sogno mai realizzato. Il world wide web è ancora lontano dall’abbracciare tutta la popolazione mondiale, ma ciò che fa più impressione è il potere di enorme valore che hanno 10, al massimo 20 amministratori delegati di aziende tecnologiche che, spostando un comando o pigiando un bottone, potrebbero spazzare via intere nazioni.

    Da quel giorno, quindi, tutto è andato troppo velocemente e l’umanità non è stata capace di gestire una crescita coerente e democratica della rete. Ci pensi che se Larry Page o Sergey Brin decidessero che l’Italia gli sta sul cacchio e la togliessero dalle indicizzazioni di Google, la nostra nazione sparirebbe dalla faccia della terra?

    Non va bene. Non ci avevo pensato. Mi ci ha fatto riflettere questo video di Marco Montemagno che è uno molto più fico di me. Ha fatto alcune riflessioni interessanti sul potere nel web l’8 marzo 2019 al Politecnico di Milano. Eccole qui.

    Il telefonino, un’arma spuntata.

    Diciamo che per la cultura della mobile content creation, nata dentro il world wide web, il periodo di tempo e di storia si divide a metà. Le prime cose, i primi esperimenti sono iniziati nel 2007. In 12 anni abbiamo visto i nostri telefoni diventare smartphone e i nostri smartphone diventare potenti come i computer più evoluti. Un iPhone X, per dirne una, ha più potenza di calcolo della missione Apollo 13 che portò l’uomo sulla Luna.

    I nostri aggeggi, poi, sono diventati macchine da presa e da montaggio professionali, ma noi abbiamo continuato a sprecare le oppportunità che ci danno. Ancora oggi continuiamo a comprarli sempre più nuovi e sempre più potenti, ma continuiamo anche a restare vittime del collegamento continuo dei telefoni con il world wide web che ci rende tutti schedabili, schedati, profilati, scoperti, violentati da quei 10-20 amministratori delegati di cui ti parlavo prima. Loro sanno tutto di noi e della nostra vita, grazie al world wide web e al telefonino.

    La mobile revolution: ribellarsi è possibile.

    Ribellarsi è una cosa possibile ed è anche relativamente facile da fare. Bisogna prendere in mano il telefono e partire da quell’oggetto per rendersi soggetti attivi e non passivi. Se fai il comunicatore, poi, devi solo diventare attivo nell’esecuzione dei tuoi contenuti con lo smartphone per cominciare a invertire la tendenza che il world wide web ti rubi i contenuti e i dati senza che tu faccia nulla per evitarlo. Se tu produci, tu racconti, tu governi il flusso dei dati molto più di quanto il flusso dei dati che ti viene preso dal world wide web.

    La cosa che sto osservando in modo chiaro è che il mobile journalism sta cercando una sua dimensione e non la trova. Provo a rivelarti come vedo il futuro prossimo della mia disciplina. Deve staccarsi, dobbiamo staccarla dal tecnicismo, dall’hardware, dall’atteggiamento da stupiti quando vediamo la tecnica fare meraviglie.

    Bisogna concentrarsi sul contenuto e mettere la tecnologia al servizio dello stesso, aprendo l’era dell’economica del content. Di cosa parlo? Parlo del fatto che la mobile content creation è lo strumento con il quale creare nuovi prodotti che vadano nel campo dell’esperienza condivisa perché il world wide web è diventato proprio quel tipo di mondo a parte. Un mondo nel quale gli abitanti cominciano a voler pagare se le esperienze, i contenuti proposti, sono impattanti. Per questo motivo il contenuto comanda e comanderà sempre di più, anche se la tecnologia cercherà di renderlo sempre figlio minore.

    Gli smartphone con la blockchain: il prossimo passo.

    C’è altro. C’è l’orizzonte con il quale si deve pensare a democratizzare la rete come strumento posseduto da tutti e non dai pochi. Vi introduco soltanto a un argomento sul quale mi preparo a fare ricerche di un certo livello. Si tratta degli smartphone blockchain enabled. Si sta muovendo la HTC, si è mossa Samsung, è qui tra noi Finney, il primo smartphone basato sulla tecnologia blockchain che può tenere un nodo della catena distribuita di questo nuovo tipo di internet.

    Non so se lo sai, ma sulla blockchain il contenuto diventerà re perché potrà essere scritto soltanto una volta e poi non potrà più essere corretto. Ecco il futuro. Il mobile journalism rischia di far rima con il passato di questi primi trenta anni di web e di lasciare il posto alla mobile revolution e alla mobile content economy. Io vado, venite? Intanto auguri world wide web. E grazie di tutto. Speriamo che i prossimi trenta anni non siano quasi sprecati.

  • Microfoni per smartphone: le soluzioni più classiche

    Microfoni per smartphone: le soluzioni più classiche

    Prendere un buon audio con lo smartphone non è mai stato così facile e pulito. Vuoi sapere come? Ecco alcune soluzioni, classiche e stabili, con alcuni ragguagli tecnici che ti faranno trovare il microfono che preferisci a seconda delle esigenze che hai.

    Se segui il mio lavoro, forse avrai notato che sto parlando molto dei microfoni senza fili, di quelle soluzioni per l’acquisizione del suono che viaggiano sulla connessione bluetooth con il telefonino. Ecco, in questa occasione, invece, parliamo di due soluzioni con attacco fisico allo smartphone, costruite per non avere alcun tipo di tradimento per quanto riguarda la “presa” di un buon audio. Sto parlando di due soluzioni del brand australiano Rode, ottime per risolvere i problemi riguardanti interviste posate o per “catturare” il suono in modo eccellente nella bolgia di mille telecamere (cosa che ai colleghi delle news capita molto spesso.

    Il Rode SC6-L (per telefoni iOS)

    Il kit SC6-L della Rode

    Fra i microfoni per smartphone di categoria lavallier, il set con due microfoni più l’adattatore lightning commercializzato dalla Rode con il nome di SC6-L è lo strumento indispensabile per fare ottime interviste senza alcuna sbavatura. Innanzitutto ti specifico che, se vuoi il set da due “spillini” più la porta-adattatore con i due ingressi TRRS, devi cercarlo esattamente a questo link qui: si chiama SC6-L mobile interview kit. Splendide le caratteristiche di questo prodotto che io uso con grande facilità soprattutto per i podcast. I due lavallier hanno qualità del suono pari al broadcasting e capsula in kevlar, garanzia di solidità dell’hardware e di profondità del suono. Questo piccolo sacchettino degli strumenti è un must have per le interviste da seduti, con inquadrature posate, sebbene possa essere usato, vista la direzionalità dell’acquisizione suono, anche da microfonino per la cronaca. Io lo considero una piccola working station se devi fare lavori audio come podcast o format, perché garantisce pulizia nell’acquisizione del parlato.

    I microfoni entrano mixati automaticamente nelle device iOS e possono essere gestiti molto fedelmente dalla app di Rode chiamata Reporter. Con la definizione si va a 44.1/48 khz e a 24 bit. Gli SmartLav+ che fanno parte del kit si armonizzano facilmente con le app di registrazione del mondo Apple.

    Il mitico Videomic me (L e normale – iOS e Android)

    Ecco il solido mezzo fucile Videomic Me L

    Il Videomic Me, mezzo fucile della Rode solido e preciso. è una specie di “grande classico” dell’audio per smartphone. Si può trovare una versione con la presa lightning e con il jack, ma quello che conta è la sua facilità d’uso e la sua solidità. Dotato di una presa cuffie può permetterti di ascoltare il suono che stai registrando (è lo stesso anche per l’SC6-L) con conseguente maggiore assicurata nel risultato.

    E’ il classico microfonino che pesca anche attorno ai 2,5 metri di distanza. Il range di frequenza è sui 20 khz mentre il suono è a 24 bit. Ha una grande efficacia nel ridurre i rumori e comincia a perdere di qualità attorno ai 2 metri di distanza. Nel confronto “one to one” (per un’intervista nella bolgia) o per fare speech con la selfie camera, è praticamente perfetto. Viene venduto con un antivento, un topo (per intenderci) in grado di svolgere molto efficacemente la sua funzione. Ecco un piccolo test di resa sotto stress.

    https://www.instagram.com/p/BuYrVdeh1GF/?utm_source=ig_web_copy_link

    Audio con attacco fisico, assicurazione sulla vita.

    L’australiana Rode è fra le aziende che fanno cose meravigliose, anche e soprattutto con attacco fisico. Naturalmente il filo o la “presa diretta” come nel caso del mezzo fucile, sono i modi più fedeli di acquisire audio. A questo proposito sappi che continuerò le chiacchierate e i piccoli test sull’argomento e sul settore dei microfoni wifi. Voglio che questo blog rappresenti per te un valido punto di riferimento per rispondere alle domande sulla strumentazione adatta per fare mobile content creation.

    Ulima considerazione: so bene che il kit è un po’ costoso, ma tieni conto che, con 300 euro, hai praticamente risolto oltre il 90 per cento delle soluzioni di acquisizione di audio. Non ti sembra interessante?

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  • Philipp Bromwell: il fuoriclasse del mobile journalism

    Philipp Bromwell: il fuoriclasse del mobile journalism

    Il giornalista irlandese Philipp Bromwell, della redazione digital di RTE, è un vero fuoriclasse del mobile journalism internazionale. A Mojofest, nel maggio del 2018, ho avuto il piacere di parlargli. Ecco la nostra chiacchierata.

    Dal nostro ultimo incontro fino a oggi, Philipp Bromwell, con il team digital della televisione di Dublino, ha realizzato una serie incredibile di format per i social e per ogni tipo di piattaforma di distribuzione. Con la sua classe e la sua semplicità, Philipp Bromwell ha mostrato che il mobile journalism può essere un grande linguaggio per rinnovare il modo di comunicare con gli spettatori ed i lettori (e per trovarne di nuovi)

    La mia chiacchierata con Philipp

  • Ecco il modo per farsi pagare subito: Kamzan

    Ecco il modo per farsi pagare subito: Kamzan

    Forse non riuscirai a credere a quello che stai per leggere, ma tra pochissimo tempo sarà pronto un metodo di pagamento sicuro per i prodotti dei giornalisti. Sto parlando di uno strumento online di trasferimento dei file che ha deciso di fare una cosa assolutamente innovativa per i suoi clienti. Ha deciso di fare un passo in più, entrando nella dinamica della transazione come un mezzo di trasferimento sicuro e protetto da qualsiasi possibile “ruberia” di proprietà intellettuale.

    Quando ho sentito parlare Roberto Negro, il loro head, della feature che implementeranno a breve, mi sono commosso pensando a quello che passano i giornalisti che sono in giro in questo periodo e ai soldi che perdono nell’atto di inseguire chi li deve pagare. I ragazzi di Kamzan ci stanno per regalare uno strumento pazzesco, che ci farà fare un salto culturale. Tieniti forte, ma prima ti spiego esattamente cosa fa Kamzan.

    Un luogo in piena sicurezza: Kamzan custodisce i tuoi dati e non li tocca.

    Kamzan è una piattaforma di trasferimento di file che ha deciso di comportarsi diversamente rispetto a tutti i servizi simili. Vuoi sapere perché? Eccoti servito. Il servizio fornisce una piattaforma di storage che potrebbe assomigliare, nel concetto, a molti altri servizi simili. Una cosa tipo Dropbox. Se, tuttavia, vai sul sito, scoprirai che è tutto, ma proprio tutto diverso. Kamzan custodisce i tuoi file e i tuoi prodotti senza toccarli, senza profilare i tuoi dati, senza intaccare i tuoi diritti di proprietà. Non vende cose che ti riguardano a terzi, ti dice dove detiene i tuoi lavori, ti fa sottoscrivere un patto con lei nel quale ti annuncia in anticipo che se te ne vai, dopo 48 ore, distruggerà i tuoi file perché non vuole detenere niente di tuo.

    Ti fa pensare un po’ questa cosa? Nel tuo business, il cui valore è dato solo dalle tue immagini, da quello che produci, avere un posto sicuro dove mettere i tuoi asset è determinante. Trovare un server che ti dice tutto questo, anche prima di metterci un solo frame sopra, è interessante. Molto interessante.

    Il progetto del pagamento sicuro: ecco come si sviluppa

    Arriviamo al bello. Entro l’estate sarà possibile avere un servizio molto particolare da Kamzan. Si tratta di un trasferimento sicuro del contenuto verso il cliente. Con chiara delucidazione delle caratteristiche del contratto di vendita, chi riceve il tuo contenuto avrà la possibilità di vedere una preview in bassa risoluzione o uno strillo di pochi secondi del tuo lavoro. Una volta giudicato positivamente, nei termini della transazione stabilita a monte, il cliente lo acquisterà e si vedrà arrivare tutto il contenuto secondo le specifiche evidenziate. Una vera rivoluzione. Un salto culturale enorme, visto che viviamo entrambi in un mondo in cui farsi pagare la fattura che poi emetti diventa una chimera. Però è uno strumento che potrebbe cambiare il mondo e il modo di lavorare. Dobbiamo fare tutti un passo avanti perché le cose migliorino e Kamzan potrebbe aiutarci.

    Vuoi leggere un altro contenuto utile sull’argomento dello storage? Ecco qui

  • Mobile journalism? Facciamo media innovation

    Mobile journalism? Facciamo media innovation

    Media innovation. Questa espressione mi frulla in testa da quando sono tornato da Parigi.

    La crescita della community e della cultura del mobile journalism e della mobile content creation deve passare da una nuova dimensione. La dimensione della media innovation. La materia sulla quale mi sono messo a lavorare è viva ed è il sangue che corre nelle vene dell’innovazione nel mondo dei media. L’interazione tra i media e i lettori, o gli spettatori, è cambiata e se cerchi bene l’oggetto che l’ha fatta cambiare, scopri facilmente che è lo smartphone. E quindi? Quindi la mobile content creation è il linguaggio con cui si creano i contenuti per il nuovo ecosistema dei media con il quale facciamo i conti tutti i giorni. Il mojo, per farla breve, è quel settore del giornalismo e della produzione che sta rinnovando il mondo dei media. Per questo la nostra, la mia, la tua dimensione mojo deve essere aumentata fino ad assumere un’altra fisionomia. Insomma, è il momento di fare media innovation.

    Stiamo guidando verso il futuro o stiamo guidando il futuro?

    Allora, telefono in mano, stiamo reinventando il futuro del giornalismo e dei media e stiamo solo aspettando che l’era della televisione dia gli ultimi colpi di coda. Il mojo, la mobile content creation, sono gli elementi che guidano il futuro dello sviluppo del mondo dei media. Con un telefonino in mano si può creare un intero modello di business profittevole e scalabile di un medium di nuova generazione. Sto studiando ormai da tempo le dinamiche di sviluppo della carriera grazie allo smartphone e alle tecniche della mobile content creation. La produzione di contenuti mojo libera interazioni con piattaforme sociali, marketplace, servizi di creazione di media e quanto altro è necessario per sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi nel mondo della comunicazione. E nuovi media.

    Il faro Yusuf: il miglior giornalista del mondo.

    Faccio solo un paio di considerazioni su questo ragionamento a rafforzamento del concetto che il mobile journalism è la casa del rinnovamento dei media in generale. Sto seguendo da un paio di settimane il corso gratuito di mobile journalism tenuto da Yusuf Omar, il media innovator che rappresenta un punto di riferimento nel panorama dei nuovi linguaggi mondiali della produzione di format innovativi (e anche di business, sebbene ci sia un distinguo da fare). Nel corso che tiene in questo momento online e che puoi trovare qui, per il Knight Center della University of Texas, sta mostrando coi fatti di essere il giornalista che, in questo momento, detta i tempi e i temi del futuro. Non ci credi? Libero di farlo. Io però una guardata la darei.

    Spiego il motivo per cui ho sparato questa sentenza. Le modalità di ricerca, sviluppo, creatività, produzione, post-produzione e pubblicazione del suo format, Hashtag our Stories, sono completamente diverse da qualsiasi linguaggio passato. La sua penetrazione nei confronti dei nuovi settori del pubblico (quelli che non leggono il giornale e quelli che non hanno la tv) è sorprendente. Il rispetto dei canoni irrinunciabili del giornalismo, però, è totale.

    Resta da costruire la profittabilità del business.

    Il distinguo di cui ti ho parlato poco sopra, per l’iniziativa dell’amico Yusuf, è la scalabilità del business e la distribuzione della ricchezza creata dal valore aggiunto del suo incredibile format liquido che è in uno, nessuno, centomila luoghi. Da quello che ho potuto comprendere HOS è sostenuto da dinamiche indirette (Yusuf si finanzia coi corsi) o da istituzioni che donano. Però, se ci pensi, comincia ad indicare una via per il rinnovamento del mercato dei media che è una strada maestra se si vuole avere un futuro. Hai qualche idea di cosa si tratti? Si tratta di questo: il giornalismo è una conversazione. Qualcosa si fa più chiaro? Vado ancora più nello specifico perchè forse è il caso di dirti proprio in modo esplicito su cosa si sta costruendo una nuova maniera di fare il giornalismo e i media. Una cosetta da niente, una cosetta della quale i media italiani non sanno niente.

    Il valore economico della conversazione.

    Ora, purtoppo, viviamo in un mondo che continua a buttare sul mercato media replicanti il modello, visto, rivisto e stravisto, di una produzione offerta, al massimo customizzabile, di un medium creato in un luogo di realizzazione, una redazione, e consegnato al mercato su varie piattaforme. In questi giorni, invece, ho conosciuto modelli di media che stanno sviluppando due concetti che sono facilmente realizzabili con lo smartphone. Come prima cosa creano una community con l’obiettivo di servirla. Il secondo obiettivo, invece, è di creare una specie di generazione controllata dagli utenti degli argomenti dei quali si vuole che il nuovo medium parli o approfondisca.

    Il caso Tortoise

    Un esempio su tutti? Lo sconvolgente caso di Tortoise, la newsroom inglese che ha inventato un modo nuovo di fare informazione. Questo mezzo di comunicazione è un ponte che fa conversare lettori e produttori delle notizie in un flusso continuo di informazione, stravolgendo completamente il ruolo, sommariamente passivo, dei lettori-spettatori dei media conosciuti fino a questo momento. Viene chiara, quindi, l’idea che nel nuovo mondo dei media si vuole dare valore economico alla conversazione. Ed evidentemente ci si riesce. Chi non vorrebbe leggere un giornale che parla delle cose che gli stanno veramente a cuore? Ultima nota: Tortoise ha rallentato il ritmo delle notizie per darle verificate, approfondite, scritte bene. Solo per questo sono dei geni, ma anche per molto molto altro. Cominciamo a fare media innovation imparando? Sarà il caso.

  • Video Mobile 2019: a Parigi tanto audio e un futuro da trovare

    Video Mobile 2019: a Parigi tanto audio e un futuro da trovare

    La conferenza francese sul mobile journalism guarda avanti.

    Si è appena conclusa la giornata di conferenze e workshop de La Vidéo Mobile 2019 e mi ha consegnato delle buone notizie che ti riporto subito. Stanno succedendo delle grosse cose nel mercato dell’audio che ha già visto entrare sul terreno della produzione di contenuti video con smartphone i microfoni senza fili. I produttori stanno preparando soluzioni wireless ancora più evolute e stanno per liberare la potenzialità di andare in diretta sui social media. Guarda il video dove ho messo insieme alcune interviste e alcune riflessioni raccolte durante la giornata.

    Il futuro? Cambiare le cose

    Ho sentito chiaramente l’esigenza della comunità internazionale del mobile journalism di cambiare le cose. Questi eventi devono essere aperti a un pubblico più largo di utilizzatori e di fruitori di questa cultura. Devono anche essere aperti al fatto che, in questo mondo, ci sono i più visionari e pazzi innovatori del mondo dei media. Per questo motivo non ci si deve spaventare se il futuro si aprirà a una più aperta realizzazione di eventi collegati all’innovazione nei media e a quello che succede dentro tutto il mercato del video con device mobili. Il problema del mojo è la parte “jo” che sta per giornalismo. Riformato nella testa di tutti il linguaggio, i modelli e i business che si potranno creare nel mondo dei media, sarà più facile che questo tipo di conferenze creino nuovo interesse e amplino la comunità. D’altronde l’obiettivo è diventare grandi. E’ il caso di cominciare a realizzarlo.