Autore: Francesco Facchini

  • Philipp Bromwell: il fuoriclasse del mobile journalism

    Philipp Bromwell: il fuoriclasse del mobile journalism

    Il giornalista irlandese Philipp Bromwell, della redazione digital di RTE, è un vero fuoriclasse del mobile journalism internazionale. A Mojofest, nel maggio del 2018, ho avuto il piacere di parlargli. Ecco la nostra chiacchierata.

    Dal nostro ultimo incontro fino a oggi, Philipp Bromwell, con il team digital della televisione di Dublino, ha realizzato una serie incredibile di format per i social e per ogni tipo di piattaforma di distribuzione. Con la sua classe e la sua semplicità, Philipp Bromwell ha mostrato che il mobile journalism può essere un grande linguaggio per rinnovare il modo di comunicare con gli spettatori ed i lettori (e per trovarne di nuovi)

    La mia chiacchierata con Philipp

  • Ecco il modo per farsi pagare subito: Kamzan

    Ecco il modo per farsi pagare subito: Kamzan

    Forse non riuscirai a credere a quello che stai per leggere, ma tra pochissimo tempo sarà pronto un metodo di pagamento sicuro per i prodotti dei giornalisti. Sto parlando di uno strumento online di trasferimento dei file che ha deciso di fare una cosa assolutamente innovativa per i suoi clienti. Ha deciso di fare un passo in più, entrando nella dinamica della transazione come un mezzo di trasferimento sicuro e protetto da qualsiasi possibile “ruberia” di proprietà intellettuale.

    Quando ho sentito parlare Roberto Negro, il loro head, della feature che implementeranno a breve, mi sono commosso pensando a quello che passano i giornalisti che sono in giro in questo periodo e ai soldi che perdono nell’atto di inseguire chi li deve pagare. I ragazzi di Kamzan ci stanno per regalare uno strumento pazzesco, che ci farà fare un salto culturale. Tieniti forte, ma prima ti spiego esattamente cosa fa Kamzan.

    Un luogo in piena sicurezza: Kamzan custodisce i tuoi dati e non li tocca.

    Kamzan è una piattaforma di trasferimento di file che ha deciso di comportarsi diversamente rispetto a tutti i servizi simili. Vuoi sapere perché? Eccoti servito. Il servizio fornisce una piattaforma di storage che potrebbe assomigliare, nel concetto, a molti altri servizi simili. Una cosa tipo Dropbox. Se, tuttavia, vai sul sito, scoprirai che è tutto, ma proprio tutto diverso. Kamzan custodisce i tuoi file e i tuoi prodotti senza toccarli, senza profilare i tuoi dati, senza intaccare i tuoi diritti di proprietà. Non vende cose che ti riguardano a terzi, ti dice dove detiene i tuoi lavori, ti fa sottoscrivere un patto con lei nel quale ti annuncia in anticipo che se te ne vai, dopo 48 ore, distruggerà i tuoi file perché non vuole detenere niente di tuo.

    Ti fa pensare un po’ questa cosa? Nel tuo business, il cui valore è dato solo dalle tue immagini, da quello che produci, avere un posto sicuro dove mettere i tuoi asset è determinante. Trovare un server che ti dice tutto questo, anche prima di metterci un solo frame sopra, è interessante. Molto interessante.

    Il progetto del pagamento sicuro: ecco come si sviluppa

    Arriviamo al bello. Entro l’estate sarà possibile avere un servizio molto particolare da Kamzan. Si tratta di un trasferimento sicuro del contenuto verso il cliente. Con chiara delucidazione delle caratteristiche del contratto di vendita, chi riceve il tuo contenuto avrà la possibilità di vedere una preview in bassa risoluzione o uno strillo di pochi secondi del tuo lavoro. Una volta giudicato positivamente, nei termini della transazione stabilita a monte, il cliente lo acquisterà e si vedrà arrivare tutto il contenuto secondo le specifiche evidenziate. Una vera rivoluzione. Un salto culturale enorme, visto che viviamo entrambi in un mondo in cui farsi pagare la fattura che poi emetti diventa una chimera. Però è uno strumento che potrebbe cambiare il mondo e il modo di lavorare. Dobbiamo fare tutti un passo avanti perché le cose migliorino e Kamzan potrebbe aiutarci.

    Vuoi leggere un altro contenuto utile sull’argomento dello storage? Ecco qui

  • Mobile journalism? Facciamo media innovation

    Mobile journalism? Facciamo media innovation

    Media innovation. Questa espressione mi frulla in testa da quando sono tornato da Parigi.

    La crescita della community e della cultura del mobile journalism e della mobile content creation deve passare da una nuova dimensione. La dimensione della media innovation. La materia sulla quale mi sono messo a lavorare è viva ed è il sangue che corre nelle vene dell’innovazione nel mondo dei media. L’interazione tra i media e i lettori, o gli spettatori, è cambiata e se cerchi bene l’oggetto che l’ha fatta cambiare, scopri facilmente che è lo smartphone. E quindi? Quindi la mobile content creation è il linguaggio con cui si creano i contenuti per il nuovo ecosistema dei media con il quale facciamo i conti tutti i giorni. Il mojo, per farla breve, è quel settore del giornalismo e della produzione che sta rinnovando il mondo dei media. Per questo la nostra, la mia, la tua dimensione mojo deve essere aumentata fino ad assumere un’altra fisionomia. Insomma, è il momento di fare media innovation.

    Stiamo guidando verso il futuro o stiamo guidando il futuro?

    Allora, telefono in mano, stiamo reinventando il futuro del giornalismo e dei media e stiamo solo aspettando che l’era della televisione dia gli ultimi colpi di coda. Il mojo, la mobile content creation, sono gli elementi che guidano il futuro dello sviluppo del mondo dei media. Con un telefonino in mano si può creare un intero modello di business profittevole e scalabile di un medium di nuova generazione. Sto studiando ormai da tempo le dinamiche di sviluppo della carriera grazie allo smartphone e alle tecniche della mobile content creation. La produzione di contenuti mojo libera interazioni con piattaforme sociali, marketplace, servizi di creazione di media e quanto altro è necessario per sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi nel mondo della comunicazione. E nuovi media.

    Il faro Yusuf: il miglior giornalista del mondo.

    Faccio solo un paio di considerazioni su questo ragionamento a rafforzamento del concetto che il mobile journalism è la casa del rinnovamento dei media in generale. Sto seguendo da un paio di settimane il corso gratuito di mobile journalism tenuto da Yusuf Omar, il media innovator che rappresenta un punto di riferimento nel panorama dei nuovi linguaggi mondiali della produzione di format innovativi (e anche di business, sebbene ci sia un distinguo da fare). Nel corso che tiene in questo momento online e che puoi trovare qui, per il Knight Center della University of Texas, sta mostrando coi fatti di essere il giornalista che, in questo momento, detta i tempi e i temi del futuro. Non ci credi? Libero di farlo. Io però una guardata la darei.

    Spiego il motivo per cui ho sparato questa sentenza. Le modalità di ricerca, sviluppo, creatività, produzione, post-produzione e pubblicazione del suo format, Hashtag our Stories, sono completamente diverse da qualsiasi linguaggio passato. La sua penetrazione nei confronti dei nuovi settori del pubblico (quelli che non leggono il giornale e quelli che non hanno la tv) è sorprendente. Il rispetto dei canoni irrinunciabili del giornalismo, però, è totale.

    Resta da costruire la profittabilità del business.

    Il distinguo di cui ti ho parlato poco sopra, per l’iniziativa dell’amico Yusuf, è la scalabilità del business e la distribuzione della ricchezza creata dal valore aggiunto del suo incredibile format liquido che è in uno, nessuno, centomila luoghi. Da quello che ho potuto comprendere HOS è sostenuto da dinamiche indirette (Yusuf si finanzia coi corsi) o da istituzioni che donano. Però, se ci pensi, comincia ad indicare una via per il rinnovamento del mercato dei media che è una strada maestra se si vuole avere un futuro. Hai qualche idea di cosa si tratti? Si tratta di questo: il giornalismo è una conversazione. Qualcosa si fa più chiaro? Vado ancora più nello specifico perchè forse è il caso di dirti proprio in modo esplicito su cosa si sta costruendo una nuova maniera di fare il giornalismo e i media. Una cosetta da niente, una cosetta della quale i media italiani non sanno niente.

    Il valore economico della conversazione.

    Ora, purtoppo, viviamo in un mondo che continua a buttare sul mercato media replicanti il modello, visto, rivisto e stravisto, di una produzione offerta, al massimo customizzabile, di un medium creato in un luogo di realizzazione, una redazione, e consegnato al mercato su varie piattaforme. In questi giorni, invece, ho conosciuto modelli di media che stanno sviluppando due concetti che sono facilmente realizzabili con lo smartphone. Come prima cosa creano una community con l’obiettivo di servirla. Il secondo obiettivo, invece, è di creare una specie di generazione controllata dagli utenti degli argomenti dei quali si vuole che il nuovo medium parli o approfondisca.

    Il caso Tortoise

    Un esempio su tutti? Lo sconvolgente caso di Tortoise, la newsroom inglese che ha inventato un modo nuovo di fare informazione. Questo mezzo di comunicazione è un ponte che fa conversare lettori e produttori delle notizie in un flusso continuo di informazione, stravolgendo completamente il ruolo, sommariamente passivo, dei lettori-spettatori dei media conosciuti fino a questo momento. Viene chiara, quindi, l’idea che nel nuovo mondo dei media si vuole dare valore economico alla conversazione. Ed evidentemente ci si riesce. Chi non vorrebbe leggere un giornale che parla delle cose che gli stanno veramente a cuore? Ultima nota: Tortoise ha rallentato il ritmo delle notizie per darle verificate, approfondite, scritte bene. Solo per questo sono dei geni, ma anche per molto molto altro. Cominciamo a fare media innovation imparando? Sarà il caso.

  • Video Mobile 2019: a Parigi tanto audio e un futuro da trovare

    Video Mobile 2019: a Parigi tanto audio e un futuro da trovare

    La conferenza francese sul mobile journalism guarda avanti.

    Si è appena conclusa la giornata di conferenze e workshop de La Vidéo Mobile 2019 e mi ha consegnato delle buone notizie che ti riporto subito. Stanno succedendo delle grosse cose nel mercato dell’audio che ha già visto entrare sul terreno della produzione di contenuti video con smartphone i microfoni senza fili. I produttori stanno preparando soluzioni wireless ancora più evolute e stanno per liberare la potenzialità di andare in diretta sui social media. Guarda il video dove ho messo insieme alcune interviste e alcune riflessioni raccolte durante la giornata.

    Il futuro? Cambiare le cose

    Ho sentito chiaramente l’esigenza della comunità internazionale del mobile journalism di cambiare le cose. Questi eventi devono essere aperti a un pubblico più largo di utilizzatori e di fruitori di questa cultura. Devono anche essere aperti al fatto che, in questo mondo, ci sono i più visionari e pazzi innovatori del mondo dei media. Per questo motivo non ci si deve spaventare se il futuro si aprirà a una più aperta realizzazione di eventi collegati all’innovazione nei media e a quello che succede dentro tutto il mercato del video con device mobili. Il problema del mojo è la parte “jo” che sta per giornalismo. Riformato nella testa di tutti il linguaggio, i modelli e i business che si potranno creare nel mondo dei media, sarà più facile che questo tipo di conferenze creino nuovo interesse e amplino la comunità. D’altronde l’obiettivo è diventare grandi. E’ il caso di cominciare a realizzarlo.

  • Il giornalista di oggi perde prima di lavorare

    Il giornalista di oggi perde prima di lavorare

    Il mobile journalism, però, può essere la risposta a questo problema.

    Sto lavorando su un corso che racconterà a chi vi partecipa tutti i modi, gli strumenti, le prospettive e le opportunità per il giornalista, le quali derivano dal mobile journalism e dall’uso professionale del telefonino. Il corso andrà in scena il 4 e 5 febbraio del 2019 all’Associazione Stampa Romana (link per info e iscrizioni qui) e darà modo ai partecipanti di capire come collocarsi sul mercato del lavoro giornalistico o come rinnovarsi sfruttando quell’aggeggio supertecnologico che abbiamo tra le mani circa 150-200 volte al giorno.

    Un laboratorio unico.

    Per un giornalista che voglia stare sul mercato oggi sarà un vero e proprio laboratorio unico di 2 giorni, durante il quale si potrà sviluppare il proprio progetto professionale giovandosi di una serie di strumenti che partono dal telefonino e che rappresentano la modernizzazione di un lavoro, come quello del giornalista, che la massima parte dei colleghi ora svolge perdendo soldi. Anche prima di cominciare a lavorare. Vuoi sapere perché? Adesso te lo accenno, ma al corso lo spiegherò diffusamente, dilungandomi anche sugli strumenti derivanti dallo smartphone e dalla mobile content creation che possono essere utili per risolvere questo problema che affligge il giornalista.

    Un problema molto italiano. O forse no…

    Il mondo del giornalismo va secondo canoni dati da molto tempo. Sono cambiate le piattaforme di pubblicazione, ma non i modi con i quali un giornalista italiano di oggi lavora. E perde un pacco di soldi a ogni respiro. Studiando su “Strategia Oceano Blu” di W. Chan Kim e Renée Mauborgne, sono stato agevolato, grazie ai loro esercizi, a riconoscere molte problematiche del flusso di lavoro del giornalista. Come trova le notizie, come viene contattato dalla redazione, come fa ricerche, come si muove. Sono tutte operazioni condotte in modo da avere un grande dispendio di tempo e quindi di denaro. Mi viene da pensare che sia un prolema molto italiano, ma non è così perché il modo di lavorare verticale (un committente mi chiama per un pezzo e io lavoro su quello fino a quando gliel’ho consegnato) è proprio caratteristico del sistema ovunque. Primo errore: il giornalista lavora top-bottom-top (dal capo che ti commissiona, fino al momento in cui glielo invii), ma dovrebbe lavorare in orizzontale.

    Ti pagano di più se non lavori.

    Con i prezzi dei prodotti (articoli, video, etc) devi farti entrare in testa che ti pagano di più se dici “No, non lavoro”. Per essere efficace, dal lato dei costi, devi pensare sempre di lavorare per più committenti contemporaneamente, per diversi tipi di prodotti editoriali allo stesso momento, andando, infine, a metterti sul mercato a diversi livelli di stratificazione. Mi dirai, concetto difficile… Ti rispondo con una spiega molto semplice. Fotografia del giornalista di oggi: telefonata, “fammi 30 righe”, va, ascolta, prende nota, fa le interviste a margine, al limite registra con un registratorino, poi prende, sbobina, scrive, manda. Lo smartphone c’è solo per alcuni pezzi (al limite serve per chiamare o registrare audio). Lo smartphone, però, viene clamorosamente lasciato fuori dall’opportunità di essere una macchina da lavoro multimediale che produce più risultati contemporaneamente e serve anche da connettore verso l’esterno, verso la pubblicazione, verso committenti diversi per lo stesso lavoro in forme diverse. Rivedendo la destinazione dei costi, quindi, posso aggredire il mercato e rendere un minimo più profittevoli le tariffe che prendo.

    Posso fare molto di più.

    Questo minimo ragionamento sulla gestione dei costi del giornalista è solo l’inizio delle tecniche che possono essere sviluppate grazie allo smartphone, ma si può fare molto di più. Si può, per esempio, trovare nuovi mercati e nuovi destinatari del prodotto giornalistico.

    Si può, addirittura, guadagnare quando non si lavora. Vuoi sapere come? Lo spiego martedì mattina a Roma, con dovizia di particolari. Se vuoi fare il giornalista oggi devi realizzare un grande cambiamento. Altrimenti, per te, c’è solo il passato. Ci vediamo a Roma.

  • Autocap: la soluzione per i sottotitoli

    Autocap: la soluzione per i sottotitoli

    L’intelligenza artificiale e la voice recognition ci vengono in soccorso.

    L’operazione dell’apposizione dei sottotitoli è una specie di inferno per ogni videomaker. Ognuno di noi ha dietro le spalle notti insonni a cacciare dentro lunghissimi discorsi, frase dopo frase, cella dopo cella. Dalle ricerche che ho fatto in questi mesi, tuttavia, posso cominciare a dirti che l’epoca delle ore perse dietro ai sottotitoli dei tuoi video potrebbe essere un ricordo. Il merito è di uno sviluppatore poco più che quarantenne di Tel Aviv che si chiama Eli Leshem il quale ha sviluppato una miracolosa app chiamata “Autocap” che aggiunge le cosidette “caption”, i sottotitoli, appunto, a video finito.

    La tecnologia che sta dietro.

    Ho fatto una lunga chiacchierata con Eli e ho scoperto un mondo. Dietro Autocap ci sono server che fanno voice recognition, ricognizione della voce, passando tutto il video e traducendo le frasi dette in frasi scritte con una cura dell’ 80-90%. Non avevo mai incontrato applicazioni simili, fino a quando l’ho scoperta grazie a una dritta del buon @smartfilming, alias Florian Reichart, mago tedesco del mondo android. Avevo visto, invece, applicazioni speech to text che, tuttavia, non mi hanno mai mostrato l’accuratezza nella trascrizione che mostra Autocap, sulla quale la necessità di intervento non passa mai il 10 per cento delle parole dette.

    Dietro questa app ci sono fior di server che fanno voice recognition e che , tra l’altro, imparano man mano che gli dai video da mangiare. Algoritmi precisi e dotati di intelligenza artificiale che fa auto apprendere, scodellano l’ sottotitoli in video anche lunghi, sui quali, grazie ad Autocap, puoi anche intervenire con nuovi font e colorazioni diverse. Per scoprire tutti i segreti, a ogni modo, ti lascio alla chiacchierata che ho fatto qualche giorno fa con Eli che è in inglese e, naturalmente, non è sottotitolata :-). Ultima nota: Autocap, per ora, è solo per Android, ma presto sarà sviluppata anche per iOS.

    La chiacchierata con Eli Leshem