Sono sveglio dalle 5 e sto vivendo il secondo giorno di mobilization della redazione di Verona Network, l’interessantissimo hub informativo locale del capoluogo veneto per il quale mi hanno chiesto, per la prima volta, di curare tutti i passaggi di cambiamento della modalità di lavoro per passare da un flusso classico di produzione a un flusso totalmente legato all’uso di apparecchi mobili per la realizzazione dei contenuti. Cosa significhi rendere mobile una redazione è una scoperta anche per me. Lo è per la novità del tipo di compito e per il fatto che può incontrare dei problemi legati al cambiamento delle persone che quindi non possono essere considerati prevedibili. Stante questa condizione di partenza una consulenza come quella che sto sviluppando in queste ore con la straordinaria redazione multipiattaforma dell’editore veronese Finval è davvero un’esperienza che vale la pena di raccontare.
Cambiare workflow, cambiare i pensieri.
Il lavoro si sta svolgendo in modo da esaminare la maniera con cui questa redazione sviluppa tutti i suoi contenuti e verificare come questo modo, portato avanti in maniera straordinaria dai componenti della news room, possa essere valorizzato Grazie all’uso di device mobili e di processi di lavoro più snelli e atipici grazie a quel tipo di hardware. Capito e sviluppato il nuovo flusso di lavoro, Esso va unito ad una seconda parte molto importante del cambiamento in mobile di una redazione.
Sto parlando della cambiamento dei tipi di prodotti realizzati e anche dell’implementazione di Format totalmente nuovi che facciano capire che l’hub informativo ha iniziato a lavorare con nuovi strumenti per produrre contenuti che hanno nuovi linguaggi e vogliono arrivare più vicino alla vita di chi legge o vede. per questo oltre a cambiare il flusso di lavoro una delle cose importanti che la mia consulenza desidera realizzare è quella di cambiare i pensieri che attraversano i membri della redazione mentre producono delle cose sul campo. Lo smartphone, infatti, fa realizzare una news in modi completamente diversi rispetto agli strumenti classici che un giornalista multimediale di questi tempi usa.
Linguaggi diversi, prodotti diversi, grandi vantaggi
Questo cambiamento porta indubbiamente un considerevole numero di vantaggi alla redazione che lo interpreta. Si impara un linguaggio diverso per interpretare la professione giornalistica, si creano prodotti nuovi, ci si avvicina di più ai lettori e si contengono i costi liberando risorse economiche per investire sulle persone. Il tutto con un lavoro diviso in quattro fasi: analisi dello stato delle cose e dei punti dove può essere implementato il mobile journalism con effetti migliorativi, cambiamento del flusso di lavoro, creazione di nuovi prodotti e analisi dei costi risparmiati per il reinvestimento. Se sei un piccolo editore e vuoi saperne di più su questa mobilization contattami alla mail cliccando qui.
Sono passati 15 giorni da quando i miei patron hanno potuto vedere una lunga dimostrazione delle funzionalità di Project Rush, la nuova applicazione di montaggio mobile realizzata nientemeno che dalla Adobe. Si, hai letto bene: sto parlando della company che realizza Premiere e tutti gli altri programmi per i creativi dell’immagine famosi in tutto il mondo. Si tratta di un software multi piattaforma che grazie a Creative Cloud può farti fare un lavoro cominciandolo in mobile, continuandolo su pc e finendolo su iPad. Una rivoluzione che ridefinisce le potenzialità del montaggio in mobilità per i mobile journalist.
Le prime impressioni, senza le mani sopra
Non ho ancora avuto sotto le mani questa app e quindi devo ammettere che le mie impressioni possono risultare parziali. La filosofia di Premiere portata in mobile, però, è una promessa che rischia di rapirmi. Avere a disposizione la flessibilità e la potenza della tecnologia Adobe, facendo tutto su un telefonino, controllo colore e audio compresi, ma anche una straordinaria varierà di possibilità grafiche e di titolazione, è una cosa che rischia di ribaltare il mercato delle App di editing.
Essendo un total mobile mi viene più facile pensare che la dedizione al prodotto mobile di Luma Touch e della loro Luma Fusion resta imbattibile e che Adobe abbia messo piede sul mercato delle applicazioni in mobilità solo per dire di esserci. Sarò ben felice, però, se i fatti mi smentiranno. Intanto ti lascio con questa provocazione. Se Rush entra anche in Android, cosa già prevista, e Luma Fusion sbarcherà in Android anche lei, vuoi vedere che saluteremo tutti i telefoni Apple?
Radio Adige si riaccende e avrà un futuro… mobile.
Quella che sta finendo è stata una giornata molto particolare per il panorama delle radio nel Veneto. Nella cornice da favola di Villa Brasavola de Massa è stata presentata la rediviva e rinnovata Radio Adige Tv, ultima nata (o sarebbe meglio dire… rinata) del gruppo Pantheon Verona Network, uno degli hub informativi multicanale e multimediali più interessanti del nord est Italia. Il motivo per cui ne parlo è un motivo totalmente legato al mobile journalism perché l’azienda editoriale veronese, dinamica e proiettata al futuro come poche realtà in Italia, mi ha scelto, assieme all’amico Fabio Ranfi, per offrire la mia consulenza con l’obiettivo di portare alla mobilization praticamente completa tutta la produzione delle notizie di questo network editoriale attivissimo sul web, sui social, sul cartaceo (con il mensile Pantheom) e, da stasera, anche fra le radio e sul Digitale Terrestre dove, Radio Adige Tv, si vedrà all’altezza del canale 640.
La “prima” in mojo
L’editore di Pantheon Verona Network, l’imprenditore del ramo dell’energia rinnovabile Germano Zanini (guarda la ForGreen Spa), coadiuvato dalla professionalità e dal coraggio del direttore responsabile del network Matteo Scolari, mi ha chiesto di essere l’anima del cambiamento verso il mobile journalism di questa newsroom locale, caso unico nel panorama italiano di trasformazione in “mojo” di un intero flusso di lavoro. Questa prima in mojo è un passo importante per la scena italiana degli editori. E’ la prima volta, infatti, che posso verificare, accompagnare e aiutare la mutazione “mobile” di una redazione multicanale. Verificheremo i processi, lo studio interno, i metodi di lavoro esterni, gli strumenti, il delivery e la “congruenza” dei file prodotti dai telefoni con l’emissione in tv e tutte le necessità di cui il linguaggio televisivo ha bisogno.
Total mojo per essere i primi
Nei prossimi giorni seguirò quello che rappresenta, per me, una strepitosa opportunità professionale, ma anche un caso di studio perché in Italia non ho notizia di una redazione che svolga il lavoro di produzione in mojo dalla A alla Z con un flusso che riesca a chiudere tutte le necessità di pubblicazione su più canali. Tante redazioni, tanti giornalisti, tanti siti, tante web tv adottano la cultura del mobile journalism a pezzi, ma è una sola la redazione che ha deciso di intraprendere la strada della mobilization definitiva. Quella di Pantheon Verona Network che oggi ha fatto rinascere la mitica Radio Adige TV. In un panorama, quindi, di redazioni che usano pezzi di mobile journalism senza sentire l’esigenza di scoprirne la cultura che c’è dietro, c’è una piccola nave del mare veronese che ha deciso di tirare su l’ancora per intraprendere il viaggio del cambiamento.
Apple è tornata sulla terra e per i mojo è una grande notizia.
Ieri pomeriggio ho fatto un esperimento matto. Ho prodotto una lunga diretta Periscope e Facebook (in contemporanea) per raccontare l’Apple Event 2018 nel corso del quale, dallo Steve Jobs Theatre di Cupertino, la casa degli iPhone ha presentato i nuovi modelli e i nuovi prodotti. E’ stato un esperimento matto e molto migliorabile, ma mi ha fatto godere una volta di più la potenzialità del telefono come macchina produttiva.
Ho visto tante cose che possono interessare i mobile journalist e far migliorare il loro lavoro. A cominciare da quel processore A12 Bionic che offre al telefono 5 mila miliardi, hai letto bene, di operazioni al secondo per continuare con l’effetto Bokeh che fa lavorare la profondità delle foto anche dopo la loro realizzazione. Ritengo, tuttavia, che la novità più importante che riguarda la Apple e il suo evento, sia da ricondurre alla presentazione del terzo dei tre iPhone X nuovi che sono stati svelati.
Sto parlando dell’iPhone X R, un modello che si pone sul mercato come un momento nel quale la Apple ritorna sulla terra e propone dei prodotti un po’ meno qualitativi, ma dotati del medesimo cuore tecnico e dei medesimi apparati fotografici del suo fratello maggiore S o S Max. Per questo motivo, il fatto che venga messo a 749 dollari è davvero una bella pensata per rimettersi un po’ in asse con dei prezzi più umani per il top della gamma di Cupertino.
Arrivano i nuovi iPhone XS, iPhone XS Max, iPhone XR e Apple Watch Series 4. #AppleEvent
La capacità di Apple di prendere in giro i suoi clienti senza farsi sgamare resta comunque proverbiale. La novità di quest’anno è che si saranno iPhone Dual Sim e Dual Stand By. Cosa che i concorrenti offrono da anni e che a Cupertino fanno passare per l’ultima figata.
Ammiro la sconfinata capacità di Apple di prendere qualcosa che esiste già da anni nei prodotti della concorrenza e spacciarlo per una novità. La dual SIM. https://t.co/qWfoIq9lBj
— Paolo Attivissimo @ildisinformatico@mastodon.uno (@disinformatico) September 12, 2018
A settembre saranno più o meno due anni dall’inizio del mio progetto di divulgazione del mobile journalism in lingua italiana. Forse un pochino di più se vai a rileggere questo articolo datato 9 aprile 2016, quando ancora parlavo di mobile journalism quasi senza avere contezza che ero dentro una nuova cultura e un nuovo mondo del giornalismo. Leggilo, fa tenerezza. Già, mi fa piacere anche pensare che tutto il mio progetto sia sotto gli occhi di tutti, leggibile dall’inizio alla fine, anche adesso che questo blog viaggia stabile sui 1800 lettori unici al mese. Sul mobile journalism, poi, ho scritto anche questo articolo, raccontando uno stato delle cose che era tutto fuorché roseo, almeno in quel momento. Era il 16 ottobre 2016 e tutto doveva ancora essere fatto (e anche io mi dovevo… fare).
La comunità esiste, eccome.
Il mobile journalism italiano è nato nel 2015 dalla visione di Nico Piro, collega del Tg3, ma anche dal coraggio di Lazzaro Pappagallo, dirigente dell’associazione Stampa Romana che per prima ha varato i corsi sulla materia. Nel 2017 è nata Italian Mojo a Milano, per mano e cuore di Fabio Ranfi, Fabio Benati, Andrea Fontana e Sabrina Della Valle. Corsi, eventi, pubbliche prolusioni, collaborazioni con l’Ordine regionale dei giornalisti della Lombardia. Passo dopo passo la romana Mojo Italia e la milanese Italian Mojo sono nate, cresciute e si sono sviluppate cominciando a far penetrare nel linguaggio comune del giornalismo italiano le parole mobile journalism. Alcuni corsi sono anche stati sviluppati dal Centro di Documentazione Giornalistica, sempre con i romani Enrico Farro e Nico Piro, incaricato di redigere un libro sulla materia del mobile journalism che uscirà a settembre 2018.
Il corso alla Regione Lombardia
Italian Mojo, invece, ha raggiunto oltre 400 persone in un colpo solo nell’evento organizzato dall’Odg Lombardo “Voglio fare il freelance” al Palazzo della Regione nel settembre 2017, corso replicato anche nel marzo 2018. Oltre 200 erano i presenti agli Stati Generali dell’Informazione in Lombardia a Palazzo delle Stelline a Milano. Centinaia le persone formate nei corsi e quelle toccate da corsi accessori come quello sviluppato nel giugno del 2018 con riferimenti anche alla deontologia professionale e al Brand Jourmalism. La comunità milanese cresce con minore intensità rispetto a quella romana, ma ha già esempi di giornalisti sganciati nelle redazioni e nelle aziende a contaminare il flusso normale del lavoro con il viruso del mobile journalism.
Parigi e Galway, noi ci siamo.
Il mio intervento a Mojofest 2018
Il 2018 verrà ricordato, in Italia, anche per altri due passi che hanno portato la comunità italiana a rafforzarsi ancora. Sto parlando della mia partecipazione come speaker alla conferenza “La Video Mobile” di Parigi nel febbraio del 2018 e la mia partecipazione come moderatore di un panel alla conferenza di Galway, quella Mojofest che da tutti è ricordata come un punto di riferimento internazionale della community.
Le esperienze accademiche
Fra le mie attività accademiche ci sono da annoverare, nella scorsa stagione universitaria, corsi ai Master della Iulm (Wellness and Beauty, Management dello sport e Food and Wine), al corso di Management dello Sport dell’Università di Pavia e una lezione presso la Scuola di giornalismo della Lumsa. Di grande importanza anche le esperienze di Nico Piro, con il quale condivido il ruolo di divulgatore del mobile journalism in lingua italiana. Il collega della redazione esteri del Tg3 è stato impegnato, con l’aiuto di Enrico Farro, al Master del Sole 24 Ore e alla Business School del quotidiano, alla Scuola di Giornalismo di Salerno, è stato fra i più “osannati” relatori del Dig a Riccione e ha rappresentato l’Italia anche alla nona conferenza della European Broadcasting Union nel 2017. In questi giorni ci sono ulteriori elementi che fanno pensare a novità nei confronti delle Scuole di Giornalismo (la Lumsa in particolare), ma non posso ancora dire alcunché. Il mobile journalism, comunque, è entrato lentamente nelle stanze dove si studia il presente e il futuro del giornalismo.
La figura di Lazzaro Pappagallo, di Fabio Benati e le istituzioni.
Nel 2018 è successo di più: è l’anno che verrà ricordato come quello del primo festival italiano del mobile journalism, Mojo Italia. Per rendere giustizia alla manifestazione vanno sottolineate alcune cose. La prima è il ruolo di Lazzaro Pappagallo, sindacalista al vertice del movimento di Stampa Romana. L’opera di questo professionista, la protezione e la carta bianca data al team di Mojo Italia per organizzare il festival, insomma, l’appoggio fornito è determinante per la storia del mobile journalism italiano (e non me ne voglia Nico Piro e tutto il team romano). Così come il collega Fabio Benati a Milano, uomo dell’Ordine da sempre e attivo nella politica della professione, a Roma Lazzaro Pappagallo ha mostrato la vita del rinnovamento intepretanto un ruolo del sindacato come di quella istituzione che “deve portare il lavoratore – sono parole sue – dove c’è il lavoro”. Sono convinto che Pappagallo sia una chiave di volta per il futuro del mobile journalism e auguro ai colleghi romani che stia dov’è per molto tempo. Fabio Benati, invece, si spende al mio fianco ormai da oltre un anno divulgando il verbo del mobile journalism e guidandomi in modo sapiente nei rapporti con le istituzioni da “conquistare”, da convincere, da far innamorare. Un professionista eccelso che si batte per il bene della professione da decenni, oltre le correnti politiche e le convenienze.
Le istituzioni come la FNSI sembrano seguire con interesse il movimento del mobile journalism italiano, così come lo fa con vigore il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti lombardo Alessandro Galimberti che si sta adoperando per l’introduzione del mobile journalism anche nell’Istituto per la Formazione al Giornalismo Walter Tobagi. Percorso non facile… a quanto sembra.
Il presidente dell’Ordine Lombardo Alessandro Galimberti.
Io sto lavorando al suo fianco e cerco di sostenere la cosa, perché penso che il cambiamento vada aiutato e supportato dentro le istituzioni. Stare fuori a criticare è molto, troppo facile. In questo senso ho anche fatto vista all’amico Carlo Verna, Presidente Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, per raccontargli con passione il progetto.
Il grande evento: Mojo Italia
Il direttore di Mojo Italia Nico Piro
Fatta la premessa, posso entrare nello specifico con il racconto di Mojo Italia. Il primo festival del mobile journalism italiano. E’ dal 21 al 23 settembre, presso Stampa Romana e la Casa del Cinema, immersa nella bellissima Villa Borghese. Lo sta organizzando il team di Mojo Italia che, parte Nico Piro, conta anche altri mojo come Natalia Castaldini o Vally Corona, ma vede l’appassionata partecipazione di tutta la comunità mojo romana. Un team affiatato che ha messo in piedi 15 seminari gratuiti in 3 giorni di evento, per quello che è un grande evento di formazione gratuita per giornalisti e professionisti del visuale, con la collaborazione proprio di Italian Mojo e dell’Associazione Filmaker diretta da Enrico Farro. Montaggio con Kinemaster o Luma Fusion, introduzione al mojo, il Vlogging, gli altri social come Instagram, come fare un podcast: questi solo alcuni degli argomenti della tre giorni per un programma fittissimo, con i massimi esperti ialiani, che puoi trovare qui.
Dalle prime notizie sono oltre 300 le iscrizioni ai seminari per una manifestazione che si annuncia come quella che dividerà un prima da un dopo nella storia del mobile journalism italiano. Il tutto anche perché c’è un primo timido interesse anche da parte degli editori che, probabilmente, faranno capolino alla manifestazione. Ci saranno anche tre concorsi mojo che puoi trovare qui se vuoi metterti alla prova.
Editori, se ci siete battete un colpo
Il grande passo che deve fare Mojo Italia è dare riconoscimento alla comunità italiana e farle sapere che esiste. Se posso mettere fuori un difetto di questa manifestazione ritengo che sia quello di essere in lingua italiana, ma va detto: in Italia i mobile journalist devono prima conoscersi e vincere le diffidenze. Poi potranno dire la loro anche all’estero. Il secondo grande passo è quello di uscire dal guscio e di far capire agli editori che il giornalismo va nella direzione del mobile journalism. Ci va con una comunità nuova e unita, moderna e creativa: non parteciparvi e non immettere il mobie journalism (tutto) nel processo delle aziende editoriali, è un errore. Saprà Mojo Italia fare questo? Intanto ti dico una cosa, se ti interessa il mobile journalism e non ci sarai, beh, hai torto. Terrò anche un seminario sui business possibili con lo smartphone: vieni?
Giornalismo digitale ed etica: binomio imprescindibile
Ho letto “Il giornalista digitale è uno stinco di santo” (Autrice Mariagrazia Villa, editore Dario Flaccovio) e quando sono arrivato alla fine mi sono accorto di due cose, diciamo, importanti per chi vuole fare il giornalista digitale e riuscire ad andare a dormire sereno tutte le sere.
Etica necessaria per fare e per capire
La prima cosa che ho capito è che questo libro, coraggiosamente dedicato a 27 virtù che deve avere un giornalista per essere vero in questo mondo liquido del web, parla di etica riportandola al centro della professione giornalistica come mai mi era capitato di vederla di recente. Le virtù, le qualità da coltivare e sviluppare se si vuole che il proprio lavoro resti di valore, sono molto importanti e ci differenziano per sempre dagli algoritmi. Per questo coraggio, disponibilità, servizio, empatia, sono attrezzi necessari se vuoi fare questo lavoro facendogli conservare la funzionalità centrale nella società. Di che funzione parlo? Di questa qui sotto.
Ecco il ruolo del giornalista
Parliamo di etica, quindi, anche per capire il mondo che ci circonda e che cambia in modo liquido. Dobbiamo usare l’etica perché tutto della nostra professione è cambiato, ma il ruolo di mediazione della realtà resta quello.
Nuovi strumenti e contesto
Virtù dopo virtù, qualità dopo qualità, la Villa nel suo manuale capolavoro dipinge la figura del nuovo giornalista digitale come quella di una mucca viola (per dirla con Seth Godin) che si crea il ruolo e il suo posto in quel postaccio che è il web rafforzandosi con l’allenamento dedicato alle qualità che rendono una persona migliore. Per quello è una mucca viola: così, a ben vedere, son poche poche le persone che cercano ogni giorno di essere migliori…
Già, la Villa ci dice che il giornalista digitale è uno stinco di santo perché deve esserlo per fare questo mestiere con passione e verità. Peggio è il web e migliore deve essere la persona. Ti rendi conto di quanto questo messaggio sia rivoluzionario?
Un passaggio sulla mediazione
La seconda cosa pazzesca
La seconda cosa importante che ho capito da questo libro è che Mariagrazia, detta Grace, giornalista e docente eccellente, è una fuoriclasse della scrittura di questo tipo di libri.
Con questo “Il giornalista digitale è uno stinco di santo” riesce a essere alta come una filosofa e amichevole come quella compagna di liceo dietro la quale morivi e che ti faceva i compiti perché le facevi tenerezza. Bella, divertente, profonda, leggera, scorrevole, l’amica che vorresti, la prof di cui ti innamori perdutamente anche se parla di lavatrici.
Morale? Aprite le aule delle scuole di giornalismo e inondate le aule di questo libro e ricordati: se vuoi essere un vero stinco di santo. Sii eccellente, ogni giorno di più.