Autore: Francesco Facchini

  • Faceblock: la grande fuga da Facebook è cominciata. Ma i mojoer?

    Faceblock: la grande fuga da Facebook è cominciata. Ma i mojoer?

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    Faceblock: il primo sciopero anti Zuck va in scena.

    Quello che irrita la rete, più degli scandali come quello di Cambridge Analytica o la porcata che ho descritto io in questo link, è la faccia da “bue contrito” di Mark Zuckerberg. Sto scrivendo questo pezzo mentre il bimbo d’oro dei social mondiali è in audizione al Senato Americano. Ha una faccia da cane bastonato e si scusa ogni due per tre, anche se ammette candidamente che sono gli utenti di Facebook a consegnare incondizionatamente al mostruoso social i loro dati. Quella è la cosa che fa incazzare i suoi 2 billions di utenti: si scusa…

    Non è possibile che se la cavi con delle scuse, può fare meglio. Per questo motivo, con questo semplice assunto è nato e va in scena oggi #Faceblock, movimento spontaneo che sta cercando di convincere la rete, oggi 11 aprile, proprio nella notte in cui Zuck è impallinato dal Governo americano, a non usare per 24 ore il social network di Menlo Park. Insomma, Faccialibro sta attraversando la peggiore crisi della propria storia e non riesce a venire fuori dall’angolo in cui è finito dopo lo scandalo dei profili falsi e della vendita dei dati.

    La question più importante.

    “La domanda sui dati è quella centrale – dice il prode Zuckerberg proprio in questo istante -. Quando le persone vanno su Facebook per connettersi con altri devono rendersi conto che, una volta entrate, noi riceviamo i contenuti e li utilizziamo per rendere loro un servizio. Comunque loro controllano quando postano e quando cancellano i contenuti (mi viene da dire, ma durante? Nda)”. Come dire, i dati ce li date voi. E come dire: voi controllate quanto caricate e quanto togliete una cosa, ma nel frattempo la gestiamo noi… Beh inutile negarlo.

    La tecnica diversiva.

    Zuck è sotto il fuoco di fila dei senatori della Commissione Energia e Commercio del Senato Usa da qualche ora e sta rispondendo a domande con domande o con spostamenti dell’asse dell’argomento. Viene una voglia matta di aderire a Faceblock quando viene pressato sulla gestione dei dati e della corretta richiesta di permesso esercitata da parte di Facebook e sostanzialmente non risponde, rilanciando con un “non vedo l’ora di metterle a disposizione, Senator, il mio team per lavorare su quello che lei sta dicendo”. Viene da dire, quindi, che non è chiaro e protettivo nei confronti dell’utente Facebook quello che può fare affinché non siano venduti in giro i suoi dati o non sia creato condizionamento nel contesto dove vive da milioni di finti profili che esercitano pressioni e condizionamenti ambientali per motivi politici.

    Faceblock avrà un discreto successo.

    Due considerazioni. Faceblock avrà un discreto successo perché l’umanità sta cominciando a comprendere le distorsioni dello straordinario social network inventato dal giovanotto Zuck. Ha compreso che ci vuole molta attenzione a non farsi chiudere dentro una realtà che non faccia altro che rimandarci la fotografia di quello che i nostri occhi vogliono vedere, non di quello che vedono. Faceblock avrà un discreto successo anche perché la gente ha capito, proprio con Cambridge Analytica, che può essere volgarmente venduta come un prodotto. Fin nei propri snodi più personali. Spero, va detto, che la gente faccia il suo Faceblock anche per uscirne depurata.

    Spero, infine, che i mobile Journalist facciano #Faceblock per capire, alla fine del rehab, come è il caso di rientrarci e perché è il caso di farlo. Quello che ti consiglio è di valutare, magari prendendoti il tempo per respirare proprio non postando per un giorno, come devi tornare a essere presente sul social network di Menlo Park. Mi piace molto l’idea di fermarsi per far capire a Zuck e alla sua banda che l’hanno fatta veramente grossa e che la devono smettere di trattare 2 miliardi di persone comune fossero dentro un grande acquario nel quale possono essere pescate e messe in padella come merce da mangiare dal primo che butti la canna.

    I mojoer devono andare… e tornare: con qualche social in più.

    Io Facebook lo userò anche domani per monitorare quello che sta succedendo e anche per osservare, da ricercatore e da studioso dei fenomeni social, come si comportano gli utenti italiani con Faceblock e quanto comprendono di quello che sta capitando. Sono convinto, comunque, che la grande fuga da Facebook è già iniziata, ma per i mojoer non sia proprio il caso di muoversi da un posto dove ci sono 2 miliardi di persone vogliose di sapere come gira il mondo. E’ compito dei giornalisti spiegarlo, con i mezzi e con i modi delle comunità social.

    Infine con l’aspettativa legittima di far smettere questo monopolio social del caro Zuck. Come? Ok te lo dico: fossi un semplice mojoer e non uno studioso, oggi impiegherei tutto il giorno e per cominciare a fare altri progetti editoriali su altri social. Per fare in modo che la mia vita digitale, il mio brand personale e la mia storia professionale non dipenda più da un solo medium. Altrimenti sei fritto. Messaggio finale, quindi: Faceblock è da fare, ma per tornare il giorno dopo i su Facebook a vedere cosa è successo.

    Qualcosa, sicuramente, succederà.

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  • CNMP2018: tutto pronto per il primo congresso in #totalmojo

    CNMP2018: tutto pronto per il primo congresso in #totalmojo

    Cnmp2018 al via

    Tutto pronto per la tre giorni del Secondo Congresso Nazionale di Medicina e Pseudoscienza che, dal 6 all’8 aprile 2018, vedrà 30 tra i migliori esponenti della medicina e della scienza italiana discutere di un tema fondamentale per la vita dell’uomo: l’alimentazione.

    Dal direttore dell’Istituto Mario Negri Silvio Garattini all’immunologo Roberto Burioni, da Piero Angela al direttore del Dipartimento di Scienze Umane del Consiglio Nazionale delle Ricerche Gilberto Corbellini, alcuni fra i più importanti scienziati, ricercatori e divulgatori scientifici del nostro paese cercheranno di fare chiarezza su un tema invaso da mode, da fake news, da tendenze e false notizie come quello del mondo alimentare. Nel mirino le diete miracolose, i cosmetici “per dimagrire” venduti come farmaci, il grande mondo dell’omeopatia, le mode dei “No glutine” o “No OGM”: insomma, dalla corretta ragione della scienza verranno spazzate via tutte le false verità su quanto portiamo alla bocca ogni giorno. I relatori della tre giorni (il primo, il 6 aprile,. valido per la formazione professionale ECM delle professioni mediche con il conferimento di 8 crediti) non risparmieranno colpi verso tutto quanto si è fatto strada nel mondo dell’informazione alimentare e non risponde alle regole della scienza.

    Il punto sui vaccini

    Tanti gli spunti, molti i personaggi. Il CNMP, giunto alla seconda edizione e organizzato interamente dalla casa editrice, farà anche il punto sull’argomento vaccini, un anno dopo aver affrontato l’argomento con la prima edizione del congresso. Tra i 30 relatori il meglio della divulgazione sull’immunizzazione corretta presente in Italia: oltre al già citato Roberto Burioni, saranno presenti anche Francesco Maria Galassi, giovane e brillante paleopatologo e autore di “Un mondo senza vaccini? La vera storia” (C1V Edizionj) e Pier Luigi Lopalco, autore di “Informati e Vaccinati” (Carocci Editore). Promette contenuto e fascino la conclusione, prevista per domenica 8 aprile 2018, nella quale si ricaveranno il ruolo dei saggi anche Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale seguitissimo su Internet, e Piero Angela. Al padre del giornalismo scientifico italiano il compito di consegnare al pubblico tutta la sua saggezza nelle fasi finali dell’evento.

    Le informazioni di servizio.

    Tutte le informazioni sul congresso e sugli eventi collaterali le potete trovare sul sito www.cnmpconference.com. Tra le iniziative particolari anche una serata teatrale il 7 aprile dopo il congresso, serata nella quale l’attore Fabio Brescia porterà sul palco la piece “Sul Nascere” per la regia dell’inglese Mark Pattenden, dal testo scritto dalla scienziata Carolina Sellitto. Per quanto riguarda le iscrizioni al congresso, C1V Edizioni comunica che, da ora in poi, è possibile effettuarle in loco. La sede del congresso è il Mercure West di Roma in via Eroi di Cefalonia 301: sulla pagina www.cnmpconference.com/sede si possono trovare indicazioni sul modo per raggiungere la location. Fra i servizi anche una navetta a chiamata. Per i media interessati al congresso, si possono effettuare accrediti ancora online. Verranno accettati solo i giornalisti in possesso di tessera ODG, elenco pubblicisti o professionisti. Il link cui accedere per la registrazione è www.cnmpconference.com/press. Per ogni altra necessità potete contattare il nostro ufficio stampa al numero 3477146295.

    Il primo press office in total mobile.

    Da due mesi, ormai, ho preso il press office della casa editrice C1V Edizioni facendone un laboratorio della mobile content creation. Comunicati, note, testi sui siti, foto, video, contenuti multimediali sono stati fatti totalmente con device mobili e pubblicatii con gli stessi attrezzi e criteri sui siti del Gruppo C1V. Il risultato è stato un notevole interesse dei media e dei numeri “social” in verticale ascesa. Ora viene il bello, con un press office che si sposta al Congresso con uno studio per un live multicamera e con un flusso che produrrà in tempo reale contenuti video di qualità tale da poter essere pubblicati da tv e siti interessati. Per i miei studenti e per gli appassionati mojo, il congresso potrebbe quindi essere un’occasione per vederci all’opera e per carpirci qualche segreto. Sarò in compagnia del prof Fabio Ranfi… in arte Rufus.

  • Mojofest a Galway: la cultura mojo torna alle origini

    Mojofest a Galway: la cultura mojo torna alle origini

    Mojofest: una convention ridotta all’essenziale.

    In questi giorni gli esponenti della cultura della mobile content creation sono rimasti piuttosto preoccupati dalla mancanza di notizie su Mojofest, la nuova creatura del capo della Mojo community mondiale Glen Mulcahy. L’ex capo dell’innovazione di RTE, divenuto imprenditore con Titanium Media, sta lavorando da mesi a una edizione indipendente della manifestazione che negli scorsi anni aveva visto riuniti anche un migliaio di delegati a scambiarsi informazioni e cultura sulla mobile content creation, sostenuti da sponsor e da un patrocinatore di grande valore come il broadcaster di stato di Dublino.

    Da poche ore, esattamente da ieri a mezzogiorno, sappiamo che dobbiamo abbandonare i fasti del passato perché molte delle aziende coinvolte nelle passate stagioni non hanno confermato il loro supporto. Di conseguenza Mulcahy ha annunciato ieri i criteri di progettazione, soprattutto finanziaria, per sostenere il peso della manifestazione. Criteri rivisti all’osso, per una convention che, dal 29 al 31 maggio 2018, sarà ridotta all’essenziale.

    Cosa è successo esattamente?

    Ecco, rispondo a questa domanda, innanzitutto. C’è chi si sarà fatto prendere dallo sconforto, ma questa “riduzione” in corsa di Mojofest è, a mio avviso, una ottima notizia. Andiamo per gradi. Glen Mulcahy, nei 45 minuti e passa di diretta nel gruppo di Mojocom nel quale annunciava il cambiamento del modello della convention, ha sostanzialmente rivelato la difficoltà di allestire discorsi con le aziende da “imprenditore indipendente” rispetto a quando aveva dietro le spalle il colosso televisivo. Poi ha ammesso anche che è stato poco efficace il timing del periodo di lavoro in cui si è messo a progettare Mojofest 2018 perché i colloqui con le firm del mondo mobile sono iniziati in gennaio per fine maggio. Probabilmente in quel momento i budget pubblicitari e di marketing per le aziende grosse erano già partiti, stoccati.

    Cosa è cambiato e cosa cambierà

    Il modello di Mojofest, quindi, è diventato molto diverso da quello dei precedenti anni. E’ tornato alle origini e si baserà, tuttavia, sulla cura dei contenuti a discapito dell’ambientazione, dei benefit, delle possibilità. L’organizzatore ha deciso che punterà tutti i suoi sforzi sull’allestimento della tre giorni sotto il profilo editoriale, ma, per dirla schietta, il panino ce lo dovremo portare da casa. E’ un ritorno al centro della cultura mojo a dispetto di un allestimento “televisivo”. Ebbene, vi rassicuro tutti.

    Non è per questo motivo che la cultura della mobile content creation avrà meno fortuna o morirà. Anzi. Si sta, invece, stagliando un modello mojo anche nell’allestimento di una convention che rischia di essere ancora più viva e attiva e impattante nelle carriere di chi ci andrà rispetto alle precedenti. E’ cambiato il modello, quindi: si parlerà molto di cultura, di novità, di linguaggi, di giornalismo, di creatività, di tecnologia, di social, di brand journalism, di cinema e di storytelling e, attorno, non ci saranno fronzoli.

    Come puoi dare una mano?

    Nel modello mojo di Mojofest 2018 c’è molto da scoprire, forse anche per trarne insegnamento. Intanto è uscita una pagina di Patreon per sostenere con offerta mensile la manifestazione: la puoi trovare esattamente a questo link. La prossima settimana andranno online i biglietti sul sito della manifestazione che è esattamente questo. Da quel momento in poi si cominceranno a sapere i programmi, gli speaker e tutto il resto. Puoi dare una mano mettento mano al portafoglio e facendola mettere, spargendo la voce di un progetto che avrà comunque uno straordinario impatto. Forse proprio perché ha cambiato il suo modello in corsa affidandosi alla forza di una community.

    Galway, se ci vieni, ti cambierà la vita.

    Concludo con concetti molto semplici e con una visione prospettica. La community mojo e la cultura della mobile content creation hanno cambiato la mia carriera e forse anche la tua per due motivi semplici. Rappresentano il futuro della professione e uno strumento (e qui parlo della comunità) nel quale la forza è la condivisione gratuita della cultura. Sono sicuro che la manifestazione di Galway, cui parteciperò, mi darà e ti darà (se vuoi venire) informazioni, suggestioni, suggerimenti e dritte in grado di cambiare la rotta del tuo lavoro e di riempire il tuo portafoglio. Come? Dando  e ricevendo una cultura nuova che, a questo punto, si sostiene da sola e fa dipendere il proprio cammino solo dalle sue forze. Dalle forze di un gruppo di persone sparse per il mondo che si scambiano valore gratuitamente.

    Ti dico quello che farò io.

    Proprio grazie a questa svolta, la quale a mio avviso libera questa cultura, credo che moltiplicherò gli sforzi per fare in modo che la mobile content creation abbia la dignità di materia accademica e la visione di un nuovo futuro per tutte le professioni dei media e visuali. Ma anche delle altre. Continuerò a regalare materiale, consigli, a fare eventi, corsi, a rispondere alle telefonate, per consigli, dritte, suggestioni, libri. Continuerò anche a seguire il progetto del corso mojo nelle scuole di giornalismo e ad aiutare tutte le aziende che vogliono diventare “mobile” nel loro modo di esprimersi all’esterno. Solo mettendo un mattone dopo l’altro si fa la casa di una nuova cultura. Io continuo, tu xche fai?

  • Podcast sul mobile journalism: ecco Italian Mojo stories

    Podcast sul mobile journalism: ecco Italian Mojo stories

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    Podcast sul mobile journalism: le storie di Italian Mojo.

    Una di queste notti mi è partito un podcast sul mondo del mojo, è partito in sordina e con l’idea di continuare anche su un altro canale il dialogo con te che mi leggi e che ti servi delle poche o tante cose utili che racconto. E’ partito perché parlare di mobile journalism e di mobile content creation, parlare del giornalismo che cambia e  di innovazione nei media in generale è quello che mi riesce meglio. Italian Mojo, la community fondata assieme a un team di altri colleghi, ne è il simbolo più evidente. Per continuare a chiacchierare con chi si interessa di mojo, quindi, ho deciso che Italian Mojo Stories dovesse essere il modo migliore per titolare un programma radiofonico che mi fa ritornare alle origini, visto che ho cominciato, nel 1989, proprio parlando davanti a un microfono, il mio lungo viaggio.

    Filosofia poca, riflessioni molte, notizie utili tantissime.

    Ho fatto stasera la mia terza puntata e ho già capito il filo rosso che le unirà tutte. Vuoi sapere qual è? E’ la volontà di essere utile, di raccontare con un mezzo efficacissimo e in un tempo ragionevolmente breve, le notizie che vengo a sapere a tutta la mia community, a quel gruppo di Italian Mojo di cui sono l’ispiratore, sì, ma anche la fonte di news.

    Il podcast è immediato, intimo, affabile, è come un amico che ti spaccia consigli, ti gira le dritte, ti regala le chicche. Ecco, voglio essere così e spero di riuscirci. Se volete seguirmi la home del mio podcast è questa. E’ su Anchor perché quello strumento è completamente mojo e può regalare interazione con i messaggi che gli ascoltatori possono lasciarmi. Il mezzo, quindi, è anche un modo per continuare ad alimentare l’architrave del nuovo giornalismo, il fatto di conversare con la propria community.

    Sono Italian Mojo e risolvo problemi.

    La puntata che mi è piaciuta di più è quella nella quale ho parlato dei grossi problemi di Filmic Pro con l’audio, patiti in questo periodo. Se vuoi sapere tutti i segreti ascoltala e capirai anche lo scopo di Italian Mojo Stories e la sua missione: spacciare dritte e news utili.

    Qui, nel breve volgere di 6-7 minuti, puoi sapere cosa è successo e cosa sta succedendo sulla app di Filming fatta a Seattle dal team di Bonagurio e Barnham. Ecco, moltiplica questo e episodio del podcast per mille e avrai la strada che ho deciso di intraprendere per il mio nuovo gingillo mojo. Sono Italian Mojo e te lo racconto, alla vecchia, chiacchierando davanti a un microfono. E’ un mondo per stare insieme. Aspetto messaggi, ci sentiamo presto. Diciamo una volta ogni due giorni.

    Ehi, sulle immagini c’è il super corso di Ranfi.

    A proposito di immagini, molto probabilmente si parlerà di questi problemini anche al primo corso di Filming che Italian Mojo, la mia associazione, ti offre per questo sabato, 24 marzo 2018, con alla docenza il professor Fabio Ranfi. Per l’iscrizione, puoi cliccare qui.

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  • Come si fa un ufficio stampa con il mobile journalism

    Come si fa un ufficio stampa con il mobile journalism

    Come si fa un ufficio stampa? Col mobile sto cercando di rompere gli schemi.

    La casa editrice C1V Edizioni di Roma mi ha affidato, alla fine del mese di gennaio 2018, il compito di rifondare la comunicazione, con l’obiettivo di far puntare l’attenzione dei media sul Secondo Congresso Nazionale di Medicina e Pseudoscienza che andrà in scena dal 6 all’8 aprile 2018 e sul quale puoi trovare tutte le informazioni necessarie a questo link. Dopo un mese e mezzo di lavoro voglio raccontarti un po’ di concetti messi in campo per rivedere tutti gli schemi classici dell’ufficio stampa e dirti come farò a coprire l’evento con quello che penso (ma spero sempre di essere smentito) sia il primo ufficio stampa in totalmojo, almeno della storia dell’editoria italiana. Forse non so rispondere in valore asssoluto alla domanda “ Come si fa un ufficio stampa” oggi, ma posso spiegarti quale è la mia personale ricetta.

    Il press office deve dare notizie.

    Ho fatto il giornalista per 30 anni, poi, per fortuna ho smesso. In quella fase della mia vita ho ricevuto 300-400 email al giorno. Di queste sono meno del 30% quelle di cui ho guardato l’oggetto, il 10% quelle che ho letto. Forse meno quelle nelle quali sono riuscito ad arrivare alla fine. In mezzo a questo mare di parole perdute, sono migliaia i comunicati stampa che sono spariti nel nulla.

    Quando ho iniziato il progetto con l’editore Cinzia Tocci ho espresso subito anche a lei il concetto di base sul quale volevo lavorare: il press office deve dare notizie. “Il progetto di Francesco mi è piaciuto subito – ha raccontato la dottoressa Tocci – perché ho compreso velocemente la sua innovatività”. Questo target ha aperto un’interazione più proficua con i colleghi che si sono interessati all’evento che, tra l’altro, raccoglie il meglio della medicina italiana su un tema determinante come l’alimentazione. Io fornisco notizie che arrivano dai contenuti del congresso e risolvo un problema al collega che contatto. Con una notizia in mano il giornalista tende ad ascoltarmi.

    Non faccio comunicati stampa.

    L’ufficio stampa è cambiato e si è aperto alle digital PR. Io ho deciso di fare un po’ di passi in più. Non faccio comunicati stampa, ma ho deciso di affidarmi a una produzione continua di contenuti (distribuita nelle sezioni news dei due siti aziendali e inviabile in modo diretto a chi lo richieda) che crea un rapporto continuo con i media coinvolti e a target per il piano di diffusione. La content production viene direzionata anche sui canali sociali con la creazione di un racconto continuo, con una preminenza sulla pagina Facebook aziendale della casa editrice motivata dal fatto che i principali destinatari della comunicazione (e possibili iscritti al congresso) sono nella fascia di età presente sul social network di Menlo Park.

    Non faccio conferenze stampa.

    Un altro caposaldo del progetto di comunicazione realizzato per la C1V passa dal preservarsi dal dispendio di energie che comporta fare una conferenza stampa. Abbiamo tutti i contenuti, le informazioni, i valori del congresso sulle diverse sezioni del sito. Cosa può aggiungere una conferenza stampa? A proposito: se le conferenze stampa non sono mainstream, quanti colleghi puoi pensare di raccogliere? Quali obiettivi pensi di poter raggiungere? Anche in questo caso la scelta è coraggiosa e può essere recepita in modo critico dall’ambiente “ma se si vuol fare informazione in maniera innovativa – sottolinea la dottoressa Tocci, editore di C1V – bisogna correre il rischio di far diventare il futuro, presente, vincendo le diffidenze ambientali”.

    Il primo live coverage di un evento con 5 iPhone e un iPad Pro.

    La nostra più importante realizzazione sarà nell’ambito della copertura dell’evento. Assieme al collega Fabio Ranfi siamo progettando un evento coperto totalmente con degli smartphone e senza stampare un foglio. La cartella stampa, infatti, sarà un’area privata nel sito del convegno, mentre la copertura dell’evento sarà assicurata da una regia mobile che governerà 3 iPhone da remoto in due diverse posizioni. Si potrà vedere l’interno della sala, ma si offrirà al pubblico un format live su Facebook che racconta il foyer della kermesse senza andare a scoprire troppo di quanto gli iscritti al congresso potranno vedere in esclusiva. Da queste produzioni  verrà generato un flusso di contenuti, i quali saranno posti nell’area riservata per i media in tempo reale, ma anche pubblicati sui canali sociali.

    Sto parlando, quindi, di un impianto innovativo del press office che sfrutta tecnologie per creare un’interazione proficua con i media in avvicinamento e che li serve in modo dedicato durante la manifestazione.

  • Connessione: ecco un altro big issue del mobile journalist

    Connessione: ecco un altro big issue del mobile journalist

    Connessione internet: la velocità adeguata, questa sconosciuta.

    Se vogliamo parlare di efficienza della connessione al world wide web che caratterizza le nostre vite e il nostro lavoro, parliamone. Cercando, però, di non sparare menzogne. Se sei un mobile journalist e lavori in mobilità totale, hai bisogno che attorno a te ci sia una connessione, possibilmente wireless (o cellulare) la quale segua molto fedelmente la velocità del tuo lavoro e lo spostamento dei dati che provochi da un posto all’altro. In Italia abbiamo un combinato disposto di “truffe legalizzate” nelle offerte, di infrastrutture non rispondenti alle necessità e di overload delle celle di comunicazione dati via LTE, quella del cellulare, il quale pone l’effettiva operatività della connessione che i poveretti come me e te hanno a livelli inferiori di quanto viene annunciato dagli operatori.

    La situazione italiana, tra cartelli e truffe legalizzate.

    La rete italiana, va detto, ha un grosso problema ambientale rispetto al suo posizionamento e alla sua efficienza. Di cosa sto parlando? Della composizione orografica del terreno. Si fa troppo rapidamente dalla profonda pianura alle Alpi da 4 mila metri per poter avere una distribuzione omogenea dei segnali di diffusione del traffico dati, sia sottoterra, sia in aria. La seconda problematica è l’impunità. Di cosa sto parlando? Delle compagnie internet che fanno per la connessione prezzi simili, si chiama cartello, ma hanno una cosa esattamente uguale: la tua connessione internet non è mai come ti hanno detto che deve essere.

    Una serie di bugie interminabile.

    Ti promettono fino a un giga (come la Fastweb che ho a casa mia) poi non mantengono nemmeno metà della potenza. Col Wifi di ordinanza, poi, trasmesso da un router che può essere soltanto quello che ti danno in dote, riducono notevolmente la potenza anche sotto i 300 mega è la portanza dei router più performanti. Le altre connessioni sono uguali e costano tutte tra i  26 e i 30 euro mese. Le ADSL ormai non sono utili a lavorare. Inutile prendersi in giro.

    Poi, per esempio, ti sposti in una scuola superiore di San Donà di Piave (a due passi da Venezia) e scopri che per fare una diretta Facebook non c’è nemmeno una linea (chiederla decente è poi chimerico…). Per chiudere con le linee fisse, dimmi se hai mai trovato un posto come si deve per lavorare e mandare le cose quando sei “on the road”.  Poi ti rivelo un’altra cosa per la quale spero di essere smentito. Anche le linee di terra dei dati sono “ridotte” rispetto alla reale potenza erogabile per motivi di doppini o perché i contratti di fibra sono ancora pochi per quel tale doppino cui è attaccata c

    La situazione della connessione cellulare.

    Insomma, il Paese cambia e si riempie di lavoratori mobili come i mojoer e le infrastrutture sono lontanissime da un livello che permetta di lavorare. Quindi? Urgono rimedi... Tanto tempo fa avevo anche pensato a provocare una mappatura autonoma da parte tua e mia con uno sforzo da mettere a fattor comune. Non so se si può fare e non so se vale la pena di affidarsi alle app di reperimento wifi che ci sono, ma sono convinto che era una buona idea. Perché solo chi lavora con il mobile sa quanti dati sposta e come considerare buona o meno una wifi per consigliarla ai colleghi. Però il mondo dei giornalisti e popolato di individualisti e indifferenti. Quindi…

    Il caso dei Giga che spariscono.

    Quindi meglio avere una connessione cellulare, ma anche qui la questione è complicata. Le coperture non riflettono mai la verità, il 4G in posti normalissimi, anche in mezzo a cittadine (rifaccio l’esempio di San Donà perché l’ho vissuto), spesso è un sogno. Bisogna, per forza, avere più di una connessione per non restare a piedi e i pacchetti dati costano e spesso spariscono anche solo per un settaggio di una app che succhia un sacco di dati o chissà quale altro magheggio dei server.

    La scorsa estate i 37 giga che avevo a disposizione nelle mie connessioni (Tre e Vodafone) sparivano in un lampo (tipo 10 giorni). Anche in questo campo il cartello è chiaro (basta guardare i prezzi), ma è chiara anche la scorrettezza che avevo evidenziato qui ( fatturazione a 4 settimane) e che è passata solo perché sono tornati alla tariffazione a mese solare. Con un piccolo problemino: i costi sono rimasti aumentati dell’ 8,6%, un aumento incredibilmente alto rispetto al costo della vita. 

    Io voto per qualcuno che mi garantisca un futuro diverso.

    Chiacchiere a parte, con questa situazione, ai miei consigli va aggiunto un avvertimento. Quando sei in giro a lavorare in mojo ricordati di portare la connessione con te per non restare appeso a quelle lunghe ore che passi guardando il wetransfer che tenta di trasferire il tuo video al capoccia. Io voglio andare a votare, oggi, a votare qualcuno che non differisca gli interventi nel miglioramento dell’infrastruttura. Perché se no, quando arriva il 5 G, noi resteremo fuori dalla società dei Gigabit e il cambiamento volerà via senza di noi.

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