Autore: Francesco Facchini

  • Ferragni, che magnifico regalo

    Ferragni, che magnifico regalo

    Chiara Ferragni, in questo finale del 2023, ti ha fatto un grande regalo.

    Non te ne sei accorto? Eppure è proprio così. Il caso della straordinaria imprenditrice e influencer Chiara Ferragni, finita nel fango dell’affare panettoni ha portato alla ribalta ciò che sta succedendo sui social network in questo piccolo spicchio di storia del genere umano. Cerco di ricostruirti la cosa mettendo un po’ di ordine e cercando di tirarci fuori del buono per me e per te.

    I social mutano velocemente

    I social network stanno evolvendo e non si capisce ancora dove stiano andando. Molti, da LinkedIn a Facebook fino a X, hanno servizi premium di cui non comprendo ancora il senso. Questo cambiamento sta modificando l’uso dei social e il pubblico dei social. Tanto per dirne una i social premium non hanno più la pubblicità (o almeno ne hanno meno): per questo motivo il ruolo di chi lavora nell’advertising deve cambiare. Il caso Ferragni lo sta mostrando in modo evidente.

    In questo momento, quindi, chi ha vissuto con i canoni e i numeri delle piattaforme sociali nella loro prima era sta scricchiolando pesantemente. Le stesse social company stanno perdendo utilizzatori, interazioni e fatturato e si divertono a inventare cloni (vedi Meta con Threads creato per cercare di uccidere Twitter) per rubarsi fettine di mercato e per cercare di scappare dall’emorragia di soldi che stanno patendo.

    La Ferragni è stata un simbolo

    In tutto questo casino, la Ferragni è stata l’immagine italiana nel mondo della prima era dei social. E’ stata l’apparire al posto dell’essere. Ha costruito una straordinaria realtà imprenditoriale sfruttando alla perfezione il meccanismo dei social come ce li hanno propinati finora. Il suo business è partito dal contenuto (certo, di settore) ai tempi di “The Blonde Salad“, il blog di moda da cui è iniziato tutto. Poi si è progressivamente svuotato fino a diventare una serie di manifesti pubblicitari e di messaggi prefabbricati sul suo essere una brava mamma. Il suo account Instagram è un guscio vuoto. Da mesi, forse da anni.

    Il suo linguaggio (io seguo con attenzione anche il canale broadcast, che ti credi) è diventato monosillabico e si è dimenticato perfino della punteggiatura. Ti do una dritta se hai figli: guarda le chat dei tuoi pargoli e guarda il canale della Ferragni. Sono uguali, pieni di frate, bro, cute, wow, guys. La grammatica italiana di base, nell’account della nostra eroina in disgrazia, ha salutato… se non per i momenti in cui esponeva il suo apparire per delle cause o per della beneficenza (la cui efficacia è tutta da verificare).

    Dietro l’account niente

    La Ferragni era insomma un brand in cui… “dietro l’account niente!”. Poi è andata a sbattere sull’affare Balocco. I social l’hanno messa alla gogna, ma io non lo farò. La signora Chiara Ferragni è una delle imprenditrici di maggior successo che conosco e merita tutto quello che ha creato. La questione Balocco, tuttavia, l’ha mandata a sbattere non solo contro un suo clamoroso errore, ma anche contro un momento epocale del nostro vivere digitale e social. Dai, Chiara, te lo dico io: gli account dentro i quali non c’è altro che pubblicità sono finiti, così come è finito il mondo in cui i social network erano solo apparenza. Finalmente cominceremo a misurarci alla pari tutti quanti con la possibilità di creare account che abbiano un seguito perché ciò che comunicano è rilevante. Ha vinto chi crea contenuti utili o ispiranti.

    Il regalo di Chiara è importantissimo

    La Ferragni si è immolata diventando la prima vittima di questo cambiamento perché è l’italiana più famosa nel mondo dei social. Più sei evidente e più sei su e più diventa fragorosa e dolorosa la caduta. La immagino, come dice mia nipote Sofia, lontana dal suo smartphone per non uscire di testa a causa del linciaggio che esageratamente riceve. Tuttavia, forse, Chiara non si è accorta che ci ha fatto un grande regalo andando per prima incontro al cambiamento di cui abbiamo bisogno tutti. Cambiamento che non ha ancora operato, visto che i suoi social sono praticamente bloccati dopo il video del “pentimento”.

    Il regalo è questo: lei per prima ha patito il contraccolpo di un linguaggio vuoto e ora paga il conto per tutti. Dico una cosa che dovrà fare lei (e spero e credo la faccia), ma che, soprattutto, dobbiamo fare io e te. Se i social network continueranno ad avere senso devono averlo grazie a un linguaggio nuovo e a contenuti di valore. Il regalo di Natale della Ferragni è questo: ci ha fatto capire, suo malgrado, che essere vuoti di contenuti, perfino quando fai beneficenza, è un gioco che non paga più. Quindi la signora dovrà metter in campo i contenuti al posto del reality show. Se no è destinata a sparire. Lo stesso dovrai fare tu.

    Il linguaggio trasversale

    Hai bisogno di crearti un linguaggio che sia l’arma con cui sparare i tuoi contenuti di valore. E posso dire anche che è il momento in cui te ne devi trovare uno che attraversi le piattaforme: sono stufo di adattare il mio linguaggio al mezzo solo perché le metriche mi dicono che un mio video su Tiktok viene visto poco dopo i primi 15 secondi. Eh, mi spiace per chi quei quindici secondi non li supera…

    Inventiamoci un linguaggio trasversale (dal mio canale YouTube

    Una volta inventato quello progetta i tuoi contenuti e racconta i tuoi percorsi in modo da creare in chi ti legge gratitudine per quello che legge. I tuoi social e i miei social sopravviveranno così anche perché, per ora, si possono scordare di ricevere i miei soldi se non mi danno valore. “Sai qual è l’unico social che pagherei? Quello che mi è utile: Whatsapp!”: sono parole di mia nipote.

    Gli altri social possiamo hackerarli solo smettendo di apparire e cominciando a essere. Con il nostro linguaggio trasversale e con i nostri contenuti.

    Aspettando la Ferragni 2.0

    Sono praticamente convinto che la signora Ferragni stia preparando un cambiamento, anche perché ha platea, contenuti e possibilità di creare un linguaggio e dei contenuti rilevanti che le facciano dimenticare questo momento. Anzi le faccio un appello: signora Ferragni, lo faccia. Cominci a raccontarci chi è, cosa fa, come lo fa, perché lo fa e come è arrivata fino lì. Sono convinto che i suoi milioni di fan diventeranno ancora di più e finalmente si accorgeranno che lei non è un guscio vuoto.

    La foto è uno screenshot del sito www.theblondsalad.com.

  • Il marketing dell’intelligenza artificiale

    Il marketing dell’intelligenza artificiale

    Il marketing come lo intende Seth Godin mi piace assai.

    Il termometro della IA usata in questo articolo.

    Il guru di questa materia parla, nella sua definizione, di marketing utile ad “aiutare a risolvere un problema” del cliente e di “opportunità di servire”. Mi pace molto. Tuttavia c’è un campo nel quale questo concetto viene completamente stravolto: quello dell’intelligenza artificiale.

    Le aziende che stanno sviluppando questa tecnologia da anni e che, da poco più di 12 mesi, l’hanno fatta conoscere al grande pubblico, stanno proponendo le loro soluzioni tecnologiche in un modo assolutamente disumano. E questo non va per niente bene.

    L’uomo preso per stupido

    Qualche tempo fa ho parlato del marketing dell’intelligenza artificiale in un video che ti faccio vedere qui. Guardalo fino alla fine per comprendere il concetto di cui ti voglio parlare.

    Dal mio canale Youtube

    Insomma il modo con cui le aziende di intelligenza artificiale propongono i loro algoritmi è improntato alla sostituzione dell’uomo nell’esecuzione di ogni operazione. Qualsiasi cosa che puoi fare tu, ora, nella narrativa di marketing delle varie Google, Open AI, Microsoft, Adobe e compagnia, la può fare una macchina. Al posto tuo. Non c’è alcun messaggio che faccia rima con la scelta, la possibilità, la volontà o meno di poter usare questi applicativi. L’uomo viene trattato da stupido.

    Il marketing come fine dell’umanità

    Così facendo queste aziende dimostrano chiaramente di adottare un concetto quasi fascista del rapporto con i loro clienti. “Fatti da parte” sembrano dire, “fai fare alla macchina”. Non c’è alcun tipo di ragionamento etico e di educazione all’intelligenza artificiale. Guarda una cosetta. Ho chiesto all’Intelligenza Artificiale di Jetpack, presente qui nel mio CMS di WordPress, “come si usa l’intelligenza artificiale?”. Ecco cosa risponde:

    L’utilizzo dell’intelligenza artificiale può variare a seconda del contesto e dell’obiettivo specifico. Tuttavia, in generale, l’intelligenza artificiale viene utilizzata per automatizzare processi, analizzare grandi quantità di dati, riconoscere pattern e prendere decisioni intelligenti. Alcuni esempi comuni di utilizzo dell’intelligenza artificiale includono:

    1. Assistenza virtuale: gli assistenti virtuali come Siri, Alexa o Google Assistant utilizzano l’intelligenza artificiale per rispondere alle domande degli utenti e svolgere compiti come la gestione della calendario, l’invio di messaggi o la riproduzione di musica.
    2. Raccomandazioni personalizzate: molte piattaforme online utilizzano l’intelligenza artificiale per analizzare i dati degli utenti e offrire raccomandazioni personalizzate. Ad esempio, Amazon utilizza algoritmi di machine learning per suggerire prodotti basati sugli acquisti precedenti.
    3. Trattamento medico: l’intelligenza artificiale viene utilizzata nel campo della medicina per aiutare nella diagnosi e nel trattamento di malattie. Ad esempio, gli algoritmi di machine learning possono analizzare immagini mediche per rilevare segni di cancro o altre patologie.
    4. Automazione industriale: nell’ambito manifatturiero, l’intelligenza artificiale viene utilizzata per automatizzare i processi produttivi. Robot e sistemi di intelligenza artificiale possono svolgere operazioni ripetitive o pericolose in modo più efficiente ed affidabile.
    5. Veicoli autonomi: l’intelligenza artificiale è alla base dei veicoli autonomi. Grazie a sensori e algoritmi sofisticati, i veicoli autonomi possono percepire l’ambiente circostante e prendere decisioni di guida in tempo reale.

    Anche da questo semplice esercizio si capisce che il pensiero rispetto all’uso dell’intelligenza artificiale è basato sulla sostituzione dell’uomo e non sul potenziamento delle sue facoltà. Come fossimo animali senza volontà.

    Il marketing dei prompt è ancora peggio.

    Qualche mese fa ho realizzato anche un video sul canale YouTube sui prompt, vale a dire le informazioni che diamo ai software di IA per generare il contenuto che ci serve o darci le risposte di cui abbiamo bisogno. Anche qui, un disastro: il web è popolato di aziende, creator e divulgatori che ti danno prompt già fatti promettendoti, con un marketing ossessivo, che l’IA creerà delle cose magnifiche permettendoti di stare a guardare in ciabatte e costume da una spiaggia dei Caraibi.

    Coe cos’è un prompt?

    Ci fosse uno che dice, creando del vero inbound marketing, che un prompt è una cosa che devi saper creare tu per non annullare totalmente la tua presenza nei confronti dell’esecuzione di un’operazione. Se utilizzi dei prompt creati e formattati da altri per fare un testo, per esempio, è come se tu lo scrivessi con il cervello di qualcun altro.

    Hai voglia di consegnare tutto quello che sai fare a una macchina? Beh, io no.

    Uno short de L’Economist

    In questa intervista a “The Economist”, lo scrittore israeliano Yuval Noah Harari lo dice chiaramente: l’era dell’uomo al centro sta finendo, presto passeremo il potere alle macchine. Io, però, spero ancora che non sia così. Spero che il marketing distruttivo della volontà umana con il quale viene proposta l’ondata di applicativi IA si fermi e cominci a dialogare con il cliente e con l’utente per spiegargli come diventare migliore grazie all’IA.

    Non come diventare inutile.

    La scuola deve fare qualcosa

    Ormai da tempo le università combattono contro le testi fatte scrivere all’IA, i ragazzini sanno già cos’è Chat GPT, chi lavora la usa tutti i giorni (anche senza accorgersene). La penetrazione della intelligenza artificiale nella nostra vita professionale e personale è profondissima. Se non vogliamo perdere la volotnà dobbiamo fare qualcosa. Altrimenti i cervelli nostri e dei nostri figli si impoveriranno in modo definitivo. E’ urgente, ricordatelo.

  • Altman e il problema del giornalismo italiano

    Altman e il problema del giornalismo italiano

    Altman e il giornalismo italiano: come fanno a stare insieme?

    Sam Altman è stato licenziato venerdì e nella notte italiana di sabato è già in talks per essere riassunto nel ruolo che aveva, quello di Ceo di Open AI. Come c’azzecca questo fatto con il futuro del giornalismo italiano e magari anche con il suo presente? Provo a mettere insieme i puntini. Il nostro è l’amministratore delegato di un’azienda (ex fondazione) che sta lavorando nel campo dell’intelligenza artificiale e che ha sconvolto il mondo con l’introduzione al pubblico di Chat Gpt, il modello di intelligenza artificiale conversazione e generativa testuale più famoso del pianeta. Licenziato in tronco con un Google Meet (chissà come si saranno incazzati a Microsoft che investe 13 miliardi in Open AI), Altman è già stato richiamato in poche ore dai suoi colleghi i quali lo pregano di tornare.

    Un thriller vero e proprio

    Il siluramento di Altman è una cosa da film. Minuto dopo minuto si susseguono voci sui motivi che partono da quel comunicato con il quale Open AI definiva “poco trasparente il suo modo di relazionarsi al consiglio di amministrazione”. Si sono scatenate furiose teorie: dal suo imprudente desiderio di spingere per per la presentazione di una nuova AI ancora più potente che doveva essere frenato, a sue malefatte, a suoi conflitti di interesse, fino a… una minaccia di un esodo di massa. Ecco: buona l’ultima. Nelle stesse ore, infatti, si scatenava una corsa a lasciare Open AI che ha fatto venire i capelli dritti a Microsoft e a tutti i miliardari investitori della compagnia. Così chi ha messo il grano ha preso il CDA dell’azienda per le orecchie e gli ha detto: fate tornare Altman.

    Altman, l’Oppenheimer dell’AI

    Lo chiamano così Sam Altman. Ormai un’icona del mondo dell’intelligenza artificiale che va velocissimo. A colpi di 2 ore in 2 ore, si susseguono notizie e voci. L’intelligenza artificiale è solo all’inizio e il suo mondo va velocissimo, mentre l’industria Italiana del giornalismo rallenta sempre di più (e i giornalisti vanno sempre più giù). Questa differenza di velocità sta provocando effetti disastrosi nei media italiani con un grave impoverimento dei contenuti che vengono forniti a utenti e internati.

    Tuttavia, guardando quello che sta succedendo, sussiste un problema più grosso di altri: è culturale. I media italiani stanno prendendo a piene mani dall’AI per realizzare contenuti, ma vicino a questi sta crescendo la possibilità per il singolo giornalista di essere, grazie all’AI, molto più potente e performante. Cioè, detto semplice: ora un singolo può creare un prodotto giornalistico equivalente a un’intera media company. E allora sussiste un problema da affrontare. Ma quale?

    Gli ultimi rantolii dei media nell’era di Altman

    Insomma: Sam Altman è lassù con tutto il suo mondo, noi quaggiù con questo problema. Le aziende media continuano imperterrite a suonare la loro musichetta, mentre i giornalisti salgono a un livello, grazie alla tecnologia e all’AI, che può metterli alla pari di un’azienda intera. A me capita tutti i giorni. Se le strade di editori e giornalisti continueranno a divergere l’effetto sarà dirompente. Da una parte le media company che usano l’AI senza costrutto e in maniera massiccia, ma che hanno anche il problema di giustificare le loro strutture costosissime. Dall’altra i giornalisti che, con gli strumenti AI, realizzano video, audio, dirette, collegamenti, connessioni, foto, testi con una produttività e una qualità pari a quelle di un’azienda. Nasceranno due mondi dell’editoria italiana: uno delle aziende, l’altro dei singoli. E gli utenti non sapranno più da quale parte andare. Urge un patto etico e prospettico, una pax che metta tutti insieme a lavorare su un mondo dei media diverso.

    Ce la faremo? Non lo so davvero, ma dovremmo. Altrimenti la mia strada e la tua sono segnate. Diventeremo editori di noi stessi rivolgendoci direttamente al pubblico. E questo farà collassare molti media e fracasserà il sistema definitivamente. O ripariamo la situazione o Altman e il suo mondo si staccheranno definitivamente da noi e dal nostro piccolo universo antico. Insomma, guarda bene cosa sta succedendo negli Usa attorno a Open AI perché ti riguarda. E fa attenzione a cosa succede qui.

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    Social network: dove devi stare?

  • Personal brand: la crescita passa da lì

    Personal brand: la crescita passa da lì

    Personal brand: progettarlo è scoprire chi sei davvero

    Sono giorni intensi, questi. Giorni nei quali tengo alto il ritmo delle cose fatte per tenere il mio laboratorio là dove merita e nei quali, contemporaneamente, penso a quello che sarò, a quello che diventerò nei prossimi mesi. Un obiettivo, per me, è più importante di tutti gli altri. Voglio creare, progettare, disegnare in modo chiaro il mio personal brand. Questi anni sono cresciuto, evoluto, ho prodotto, creato, sperimentato, provocato ed esplorato. 

    Adesso è arrivato il momento di rendere chiaro a me e a tutti: chi è, nel suo lavoro, Francesco Facchini? Cosa lo rende professionalmente unico, diverso da tutti gli altri professionisti del giornalismo, dei media, della produzione dei contenuti e della comunicazione? Non sto dicendo unico nel senso di migliore: io non sono migliore, sono semplicemente diverso.

    Il giornalista che cambia i giornalisti

    Ho un’immagine precisa e ora tento di raccontartela. Ti racconto queste riflessioni affinché ti possano essere utili per il percorso che fai perché, a un certo punto, la crescita passerà da qui, da questi movimenti a precisare, chiarire, disegnare quello che sei davvero, affinché sia chiaro a te e agli altri.

    Ecco la mia immagine precisa: nel mio lavoro creo cambiamenti nel giornalismo, nei giornalisti, nei contenuti che produco, nelle organizzazioni che aiuto, nelle persone, nei professionisti. Insomma sono il giornalista che cambia i giornalisti, i contenuti e la comunicazione. Lo faccio grazie a uno smartphone e pochi altri attrezzi.

    Personal brand: “I had a dream”… and a problem

    Ho fatto un sogno che si chiama Algoritmo Umano. Lo trovo ancora adesso un nome bellissimo: è il nome del mio laboratorio di giornalismo. Presto, dal primo gennaio 2024, non lo sarà più. Ti racconto il motivo. Parlando proprio di brand personale, sdoppiare il proprio nome, la propria firma e quella dell’attività che fai (anche se, come in questo caso, era solo un nome) è una cosa che confonde l’immagine e la percezione che gli altri hanno di quello che fai. Algoritmo Umano è un concetto che ho creato per un motivo preciso che adesso ti racconto.

    Io penso ancora troppo come un giornalista e questo è un problema. Ho sognato di creare l’Algoritmo Umano perché pensavo di indirizzare il mio lavoro dei prossimi anni verso una casa di produzione, un’agenzia, un laboratorio “strutturato” di contenuti e servizi multimediali mobile. E mi sbagliavo, per fortuna.

    Già, perché le migliaia di persone incontrate in questi anni nella formazione e la tecnologia (la quale si è brutalmente spinta in avanti) hanno strattonato questo concetto e lo hanno fatto cadere.

    L’Algoritmo Umano, di conseguenza, è un sogno tirato fuori da un cassetto (creare una nuova impresa) che nel cassetto ritorna. Per due motivi: perché il mio personal brand è Francesco Facchini (e voglio che lo sia sempre di più), ma anche perché non c’è più bisogno di un’impresa per essere imprenditore. Infatti…

    Personal brand: sarò anche il mio editore

    Il mio personal brand, quindi, sarà quello del giornalista che cambia i giornalisti e il gionalismo. Ecco: lo farò anche per quanto riguarda il mio lavoro. Oltre a essere produttore di contenuti mobile, consulente, mobile podcaster, formatore, docente, sarò anche, infatti, editore di me stesso. Per esserlo non servono sovrastrutture, non serve catena di distribuzione, non serve gonfiare il prezzo delle produzioni con i passaggi intermedi che deve fare ancora oggi un libro (tanto per fare un esempio) prima di arrivare a te, lettore. Oppure un corso, un documentario, un video, un podcast o quanto altro ti venga in mente.

    Te lo deve dire qualcun altro

    Ecco il giornalista che cambia i giornalisti diventerà un editore di se stesso. Se vuoi scoprire con quali strumenti sto facendo questo percorso te lo dico subito: tutto parte da una mappa mentale del mio personal brand che controllo e aggiusto ogni 3-6, poi continua con lo studio (Scandellari, Centenaro e altri), poi atterra su un progetto. Il mio sarà seguito da un’azienda che adoro e che si chiama Reflektor. Già, perché se vuoi sapere di che cosa è fatto il tuo personal brand devi fartelo dire da qualcun altro… bravo a fare quel mestiere. Loro, in tal senso, sono bravissimi.

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    Trovare lavoro, i dieci libri che ti possono cambiare la carriera.

  • Giornalista freelance: una mail per ascoltarti

    Giornalista freelance: una mail per ascoltarti

    Sono diventato coordinatore regionale della commissione lavoro autonomo del sindacato dei giornalisti, la FNSI.

    Ti devo raccontare solo una cosa che non mi fa piacere: ho cominciato la mia avventura di impegno attivo nelle istituzioni senza un’elezione, ma con una proclamazione in seguito a una decisione di tutte le correnti del sindacato di creare una squadra che potesse avere competenza per fare questo lavoro, quello di rappresentare, nella FNSI regionale che si chiama Associazione Lombarda dei Giornalisti, tutte le istanze, le esigenze e le prospettive dei giornalisti autonomi. Semplice il motivo: fra i giornalisti freelance il sindacato… non esiste. Quindi alle assemblee dei giornalisti autonomi del sindacato, i freelance… non vengono.

    Il mio primo problema, caro giornalista freelance

    Questo è il primo problema che ho, anzi che abbiamo. Fare in modo che questa elezione per proclamazione non avvenga più. I giornalisti autonomi devono poter sapere che il sindacato serve, esiste, offre servizi e appoggio, presenza e assistenza, per poi poter partecipare. Allora, con tutto quello che si può pensare dell’istituzione sindacale io dico una cosa sola: se hanno chiamato me o sono pazzi o vogliono cambiare. Per cui, invece di perdere tempo su ciò che il sindacato non ha fatto per noi (anche per me ha fatto poco quando ne avevo bisogno), proviamo a pensare a quello che il sindacato può fare da qui in avanti e quello che noi vogliamo fare con il sindacato.

    Una mail dedicata

    Ho pensato a tante cose per l’attività degli organi della Commissione nazionale e regionale del lavoro autonomo di cui farò parte. I progetti saranno frutto del lavoro comune. Una cosa, per la figura del giornalista freelance che ho davanti e che voglio conoscere il più possibile, l’ho realizzata subito: una mail dedicata.

    Si tratta di giornalisti.freelance@francescofacchini.it.

    In questo modo, in attesa che si creino progetti e proposte della commissione, potrai raccontarmi di te e dei problemi che hai, di quello di cui hai bisogno, di quello che ti può aiutare a fare meglio il tuo lavoro e anche di quello che ti fa incazzare. Io ti ascolterò e porterò sui tavoli necessari le istanze che possono essere utili a molti di coloro che svolgono la professione del giornalista freelance.

    Il canale WhatsApp del giornalista freelance

    Il giornalista freelance è il mio target di questa operazione. Il luogo in cui gli giro il maggior numero di informazioni possibili è il canale WhatsApp che ho creato qualche giorno fa: Smart Journalism. Lo trovi a questo link e ti darà informazioni, documenti, strumenti e letture buone per costruire la tua professione di giornalista freelance o di produttore di contenuti in modo moderno ed efficace. Lì ti racconterò anche dei successi o delle difficoltà, dei passi avanti o dei passi indietro dei miei progetti, a partire proprio dalla Commissione lavoro autonomo della FNSI.

  • Social network: dove devi stare?

    Social network: dove devi stare?

    Dove devi stare sui social network: te lo sei mai domandato?

    Utilizzare i social network e costruire la propria vita e il proprio lavoro sui social network è un percorso, come la vita. Anzi è una parte della tua vita, della mia (e soprattutto di quella dei nostri figli). Io faccio il giornalista, creo contenuti, faccio il formatore, distribuisco conoscenza e consapevolezza sull’importanza del contenuto e della “penna” con cui lo creiamo: lo smartphone.

    La fuga da un social network: il caso X

    In questi giorni ho osservato con attenzione un fenomeno: le persone stanno fuggendo da un social network e lo dichiarano. Se vuoi capire un po’ meglio di cosa si tratta vedi questo video del mio canale YouTube (e magari iscriviti se non lo hai già fatto).

    Il video del mio canale YouTube sul caso X

    Le persone, quindi, non vogliono più stare in un posto dove trionfa la parte peggiore dell’umanità. La differenza, rispetto agli altri casi di crisi dei social network, è sostanziale: questa volta lo dicono.

    Questo è il professor Mauro Magatti, illuminato professore, editorialista, scrittore, generatore di idee e di nuovi modelli di società. C’è dell’altro. Il più grande esperto di social media al mondo, Matt Navarra, ha dichiarato la stessa cosa.

    Oggi è il momento di farsi la domanda

    Dove devo stare sui social? Ecco, è il momento di chiederselo. Per più di un motivo. Oggi possiamo scegliere in quale piattaforma digitale di connessione sociale vogliamo esprimerci. Dobbiamo crescere e diventare adulti nel nostro modo di costruire la nostra immagine digitale perché questo, ora, è parte integrante della nostra vita. Per quanto mi riguarda, questi mesi, questi giorni, sono i giorni in cui comincio a pensare al “me futuro”. Ho bisogno di dare maggiore precisione al mio brand personale, al mio racconto, alla mia immagine, al mio percorso, alla mia storia.

    E tu? Vuoi continuare a essere sulle piattaforme in cui succedono cose come quelle che vedo su Twitter in queste ore? Non hai ancora capito che quello che sei sui social è esattamente quello che sei nella vita? Se la risposta è si, allora pulisci casa e chiudi le stanze piene di odio, di tifo, di falsità della tua casa digitale.

    Non cercarmi su Twitter

    I miei social network stanno per ricevere una bella pulita. Non cercarmi su Twitter, non mi troverai più. Ho sostituito quel social network con un nuovo luogo in cui guardo il mondo. Si chiama Artifact. Li troverai i miei aggiornamenti battenti, all’inizio in inglese, poi in Italiano. Per trovarmi su Artifact puoi cliccare qui. E poi? E poi ho scelto YouTube perché da qualche mese mi sto allenando alla content creation in vista di uno sviluppo dell’Algoritmo Umano, il mio laboratorio.

    Quello che mi preme dirti, però, è di concentrarti sul tuo progetto professionale e farti questa domanda: dove voglio, dove devo, dove è utile che io stia sui social network? Penso che la risposta che ti darai sarà determinante per il tuo futuro. Ti posso anche dare un aiuto in più.

    I social network per capire, i social network per raccontare

    Cosa sono i social network? Per rispondere giro la domanda all’assistente AI del sito.

    I social network sono piattaforme online che consentono alle persone di connettersi, interagire e condividere contenuti con altre persone in modo virtuale. Queste piattaforme offrono diverse funzionalità, come la creazione di profili personali, la possibilità di aggiungere amici o follower, la condivisione di testi, foto, video e altri contenuti, nonché la partecipazione a gruppi di interesse comune. Sono strumenti che permettono di connettersi con amici, familiari, colleghi e persino con persone sconosciute che condividono interessi simili. Inoltre, i social network possono essere utilizzati come strumenti di promozione e marketing per le aziende, consentendo loro di raggiungere un pubblico più vasto e interagire con i clienti.

    Essere dove conta

    Per me sono altro. Sono strumenti per capire come va il tuo mondo prima che lo sappiano gli altri e per raccontare i tuoi progetti e interagire con persone rilevanti per te, siano esse nella tua sfera personale o lavorativa-

    Per questo motivo, quando ti fai la domanda “Dove devo stare sui social” cerca di utilizzare solo quelli che ti facciano sapere, capire, cose rilevanti e quelli che ti facciano interagire e raccontare cose a destinatari rilevanti. Elimina serenamente il resto. Da ora in poi il mio giro di social lo puoi fare così, in ordine di importanza: YouTube, Artifact, Linkedin, Instagram, Titkotk (che devo ancora capire). Il resto non lo curerò più. E’ questione di vita, di scelte, di essere dove conta e non dove son tutti.