Autore: Francesco Facchini

  • Personal brand: la crescita passa da lì

    Personal brand: la crescita passa da lì

    Personal brand: progettarlo è scoprire chi sei davvero

    Sono giorni intensi, questi. Giorni nei quali tengo alto il ritmo delle cose fatte per tenere il mio laboratorio là dove merita e nei quali, contemporaneamente, penso a quello che sarò, a quello che diventerò nei prossimi mesi. Un obiettivo, per me, è più importante di tutti gli altri. Voglio creare, progettare, disegnare in modo chiaro il mio personal brand. Questi anni sono cresciuto, evoluto, ho prodotto, creato, sperimentato, provocato ed esplorato. 

    Adesso è arrivato il momento di rendere chiaro a me e a tutti: chi è, nel suo lavoro, Francesco Facchini? Cosa lo rende professionalmente unico, diverso da tutti gli altri professionisti del giornalismo, dei media, della produzione dei contenuti e della comunicazione? Non sto dicendo unico nel senso di migliore: io non sono migliore, sono semplicemente diverso.

    Il giornalista che cambia i giornalisti

    Ho un’immagine precisa e ora tento di raccontartela. Ti racconto queste riflessioni affinché ti possano essere utili per il percorso che fai perché, a un certo punto, la crescita passerà da qui, da questi movimenti a precisare, chiarire, disegnare quello che sei davvero, affinché sia chiaro a te e agli altri.

    Ecco la mia immagine precisa: nel mio lavoro creo cambiamenti nel giornalismo, nei giornalisti, nei contenuti che produco, nelle organizzazioni che aiuto, nelle persone, nei professionisti. Insomma sono il giornalista che cambia i giornalisti, i contenuti e la comunicazione. Lo faccio grazie a uno smartphone e pochi altri attrezzi.

    Personal brand: “I had a dream”… and a problem

    Ho fatto un sogno che si chiama Algoritmo Umano. Lo trovo ancora adesso un nome bellissimo: è il nome del mio laboratorio di giornalismo. Presto, dal primo gennaio 2024, non lo sarà più. Ti racconto il motivo. Parlando proprio di brand personale, sdoppiare il proprio nome, la propria firma e quella dell’attività che fai (anche se, come in questo caso, era solo un nome) è una cosa che confonde l’immagine e la percezione che gli altri hanno di quello che fai. Algoritmo Umano è un concetto che ho creato per un motivo preciso che adesso ti racconto.

    Io penso ancora troppo come un giornalista e questo è un problema. Ho sognato di creare l’Algoritmo Umano perché pensavo di indirizzare il mio lavoro dei prossimi anni verso una casa di produzione, un’agenzia, un laboratorio “strutturato” di contenuti e servizi multimediali mobile. E mi sbagliavo, per fortuna.

    Già, perché le migliaia di persone incontrate in questi anni nella formazione e la tecnologia (la quale si è brutalmente spinta in avanti) hanno strattonato questo concetto e lo hanno fatto cadere.

    L’Algoritmo Umano, di conseguenza, è un sogno tirato fuori da un cassetto (creare una nuova impresa) che nel cassetto ritorna. Per due motivi: perché il mio personal brand è Francesco Facchini (e voglio che lo sia sempre di più), ma anche perché non c’è più bisogno di un’impresa per essere imprenditore. Infatti…

    Personal brand: sarò anche il mio editore

    Il mio personal brand, quindi, sarà quello del giornalista che cambia i giornalisti e il gionalismo. Ecco: lo farò anche per quanto riguarda il mio lavoro. Oltre a essere produttore di contenuti mobile, consulente, mobile podcaster, formatore, docente, sarò anche, infatti, editore di me stesso. Per esserlo non servono sovrastrutture, non serve catena di distribuzione, non serve gonfiare il prezzo delle produzioni con i passaggi intermedi che deve fare ancora oggi un libro (tanto per fare un esempio) prima di arrivare a te, lettore. Oppure un corso, un documentario, un video, un podcast o quanto altro ti venga in mente.

    Te lo deve dire qualcun altro

    Ecco il giornalista che cambia i giornalisti diventerà un editore di se stesso. Se vuoi scoprire con quali strumenti sto facendo questo percorso te lo dico subito: tutto parte da una mappa mentale del mio personal brand che controllo e aggiusto ogni 3-6, poi continua con lo studio (Scandellari, Centenaro e altri), poi atterra su un progetto. Il mio sarà seguito da un’azienda che adoro e che si chiama Reflektor. Già, perché se vuoi sapere di che cosa è fatto il tuo personal brand devi fartelo dire da qualcun altro… bravo a fare quel mestiere. Loro, in tal senso, sono bravissimi.

    Leggi anche:

    Trovare lavoro, i dieci libri che ti possono cambiare la carriera.

  • Giornalista freelance: una mail per ascoltarti

    Giornalista freelance: una mail per ascoltarti

    Sono diventato coordinatore regionale della commissione lavoro autonomo del sindacato dei giornalisti, la FNSI.

    Ti devo raccontare solo una cosa che non mi fa piacere: ho cominciato la mia avventura di impegno attivo nelle istituzioni senza un’elezione, ma con una proclamazione in seguito a una decisione di tutte le correnti del sindacato di creare una squadra che potesse avere competenza per fare questo lavoro, quello di rappresentare, nella FNSI regionale che si chiama Associazione Lombarda dei Giornalisti, tutte le istanze, le esigenze e le prospettive dei giornalisti autonomi. Semplice il motivo: fra i giornalisti freelance il sindacato… non esiste. Quindi alle assemblee dei giornalisti autonomi del sindacato, i freelance… non vengono.

    Il mio primo problema, caro giornalista freelance

    Questo è il primo problema che ho, anzi che abbiamo. Fare in modo che questa elezione per proclamazione non avvenga più. I giornalisti autonomi devono poter sapere che il sindacato serve, esiste, offre servizi e appoggio, presenza e assistenza, per poi poter partecipare. Allora, con tutto quello che si può pensare dell’istituzione sindacale io dico una cosa sola: se hanno chiamato me o sono pazzi o vogliono cambiare. Per cui, invece di perdere tempo su ciò che il sindacato non ha fatto per noi (anche per me ha fatto poco quando ne avevo bisogno), proviamo a pensare a quello che il sindacato può fare da qui in avanti e quello che noi vogliamo fare con il sindacato.

    Una mail dedicata

    Ho pensato a tante cose per l’attività degli organi della Commissione nazionale e regionale del lavoro autonomo di cui farò parte. I progetti saranno frutto del lavoro comune. Una cosa, per la figura del giornalista freelance che ho davanti e che voglio conoscere il più possibile, l’ho realizzata subito: una mail dedicata.

    Si tratta di giornalisti.freelance@francescofacchini.it.

    In questo modo, in attesa che si creino progetti e proposte della commissione, potrai raccontarmi di te e dei problemi che hai, di quello di cui hai bisogno, di quello che ti può aiutare a fare meglio il tuo lavoro e anche di quello che ti fa incazzare. Io ti ascolterò e porterò sui tavoli necessari le istanze che possono essere utili a molti di coloro che svolgono la professione del giornalista freelance.

    Il canale WhatsApp del giornalista freelance

    Il giornalista freelance è il mio target di questa operazione. Il luogo in cui gli giro il maggior numero di informazioni possibili è il canale WhatsApp che ho creato qualche giorno fa: Smart Journalism. Lo trovi a questo link e ti darà informazioni, documenti, strumenti e letture buone per costruire la tua professione di giornalista freelance o di produttore di contenuti in modo moderno ed efficace. Lì ti racconterò anche dei successi o delle difficoltà, dei passi avanti o dei passi indietro dei miei progetti, a partire proprio dalla Commissione lavoro autonomo della FNSI.

  • Social network: dove devi stare?

    Social network: dove devi stare?

    Dove devi stare sui social network: te lo sei mai domandato?

    Utilizzare i social network e costruire la propria vita e il proprio lavoro sui social network è un percorso, come la vita. Anzi è una parte della tua vita, della mia (e soprattutto di quella dei nostri figli). Io faccio il giornalista, creo contenuti, faccio il formatore, distribuisco conoscenza e consapevolezza sull’importanza del contenuto e della “penna” con cui lo creiamo: lo smartphone.

    La fuga da un social network: il caso X

    In questi giorni ho osservato con attenzione un fenomeno: le persone stanno fuggendo da un social network e lo dichiarano. Se vuoi capire un po’ meglio di cosa si tratta vedi questo video del mio canale YouTube (e magari iscriviti se non lo hai già fatto).

    Il video del mio canale YouTube sul caso X

    Le persone, quindi, non vogliono più stare in un posto dove trionfa la parte peggiore dell’umanità. La differenza, rispetto agli altri casi di crisi dei social network, è sostanziale: questa volta lo dicono.

    Questo è il professor Mauro Magatti, illuminato professore, editorialista, scrittore, generatore di idee e di nuovi modelli di società. C’è dell’altro. Il più grande esperto di social media al mondo, Matt Navarra, ha dichiarato la stessa cosa.

    Oggi è il momento di farsi la domanda

    Dove devo stare sui social? Ecco, è il momento di chiederselo. Per più di un motivo. Oggi possiamo scegliere in quale piattaforma digitale di connessione sociale vogliamo esprimerci. Dobbiamo crescere e diventare adulti nel nostro modo di costruire la nostra immagine digitale perché questo, ora, è parte integrante della nostra vita. Per quanto mi riguarda, questi mesi, questi giorni, sono i giorni in cui comincio a pensare al “me futuro”. Ho bisogno di dare maggiore precisione al mio brand personale, al mio racconto, alla mia immagine, al mio percorso, alla mia storia.

    E tu? Vuoi continuare a essere sulle piattaforme in cui succedono cose come quelle che vedo su Twitter in queste ore? Non hai ancora capito che quello che sei sui social è esattamente quello che sei nella vita? Se la risposta è si, allora pulisci casa e chiudi le stanze piene di odio, di tifo, di falsità della tua casa digitale.

    Non cercarmi su Twitter

    I miei social network stanno per ricevere una bella pulita. Non cercarmi su Twitter, non mi troverai più. Ho sostituito quel social network con un nuovo luogo in cui guardo il mondo. Si chiama Artifact. Li troverai i miei aggiornamenti battenti, all’inizio in inglese, poi in Italiano. Per trovarmi su Artifact puoi cliccare qui. E poi? E poi ho scelto YouTube perché da qualche mese mi sto allenando alla content creation in vista di uno sviluppo dell’Algoritmo Umano, il mio laboratorio.

    Quello che mi preme dirti, però, è di concentrarti sul tuo progetto professionale e farti questa domanda: dove voglio, dove devo, dove è utile che io stia sui social network? Penso che la risposta che ti darai sarà determinante per il tuo futuro. Ti posso anche dare un aiuto in più.

    I social network per capire, i social network per raccontare

    Cosa sono i social network? Per rispondere giro la domanda all’assistente AI del sito.

    I social network sono piattaforme online che consentono alle persone di connettersi, interagire e condividere contenuti con altre persone in modo virtuale. Queste piattaforme offrono diverse funzionalità, come la creazione di profili personali, la possibilità di aggiungere amici o follower, la condivisione di testi, foto, video e altri contenuti, nonché la partecipazione a gruppi di interesse comune. Sono strumenti che permettono di connettersi con amici, familiari, colleghi e persino con persone sconosciute che condividono interessi simili. Inoltre, i social network possono essere utilizzati come strumenti di promozione e marketing per le aziende, consentendo loro di raggiungere un pubblico più vasto e interagire con i clienti.

    Essere dove conta

    Per me sono altro. Sono strumenti per capire come va il tuo mondo prima che lo sappiano gli altri e per raccontare i tuoi progetti e interagire con persone rilevanti per te, siano esse nella tua sfera personale o lavorativa-

    Per questo motivo, quando ti fai la domanda “Dove devo stare sui social” cerca di utilizzare solo quelli che ti facciano sapere, capire, cose rilevanti e quelli che ti facciano interagire e raccontare cose a destinatari rilevanti. Elimina serenamente il resto. Da ora in poi il mio giro di social lo puoi fare così, in ordine di importanza: YouTube, Artifact, Linkedin, Instagram, Titkotk (che devo ancora capire). Il resto non lo curerò più. E’ questione di vita, di scelte, di essere dove conta e non dove son tutti.

  • Giornalista freelance: ci metto la faccia

    Giornalista freelance: ci metto la faccia

    Il giornalista freelance è una tipologia di lavoratore autonomo che ha bisogno di una importante riscrittura.

    Sono mesi, forse ormai anni, che ci lavoro su. ll giornalista libero professionista è il motore del mondo dei media italiani e va rivalutato, rivisto, rimesso a nuovo. Il giornalista freelance non ha bisogno di spiccioli, ma di una rivisitazione del ruolo, della collocazione nel mercato del lavoro, dei trattamenti contrattuali ed economici e delle tutele. Ho guardato con attenzione, in questi periodi così difficili, l’azione della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo della Fnsi e ho più volte fatto sentire la mia voce, in modo costruttivo e nelle sedi e con le persone opportune, andando abbastanza spesso in dissonanza.

    I veri bisogni del giornalista freelance

    La vita del giornalista freelance la conosco diciamo benino: è la mia. Ne conosco i veri bisogni sotto il profilo professionale e penso che il sindacato debba darsi una mossa a cambiare proprio tipo di partita da giocare. Equo compenso? Si, ottimo. Però io direi anche equo rapporto contrattuale, equa corresponsione economica del giornalista freelance, eque tutele sociali quando il professionista dell’informazione autonomo perde i suoi ingaggi andando a fatturato mensile zero. Io direi anche equa formazione ed equa collocazione nel mondo dei liberi professionisti. Come è per notai, avvocati, commercialisti, anche il giornalista freelance è un prestatore d’opera qualificato che svolge un’attività dall’importante complessità e che ha bisogno che il rischio d’impresa, i costi e la struttura vengano riconosciuti in modo equo.

    Perché tutto questo non succede? Perché non si comprende che un giornalista freelance vessato da paghe da fame e da tutele zero è un pericolo per tutti? Sinceramente non conosco tutti i motivi di questa situazione assurda, ma voglio andare fino in fondo alla cosa. Ho bisogno di capire… e di agire.

    Giornalista freelance, ci metto la faccia

    Perché tutta questa premessa? Semplice: perché mi hanno chiesto di rendermi disponibile all’elezione della nuova commissione sul lavoro autonomo. Già, ci sono le elezioni sindacali, si eleggono gli organi di rappresentanza del lavoro autonomo e io ti ho fatto più volte sapere e capire che alla rappresentanza attiva tengo. E anche molto. Il 31 ottobre alle 10 ci sono le elezioni che dovranno rinnovare la squadra di persone che farà parte dei tre organi di rappresentanza del lavoro autonomo (Assemblea Nazionale, Commissione Nazionale e Regionale) e ho deciso di metterci la faccia. Per le regole dell’elezione non sto qui a fare elenchi. Se sei un membro in regola del sindacato credo tu possa votare, ma per sicurezza leggi qui.

    Ho intenzione di sbattermi per capire e di battermi per cambiare le cose. Convinto che la battaglia non sia da giocare in difesa come è successo in queste stagioni, ma all’attacco. Insomma, un equo compenso è giusto, ma io per la mia carriera da giornalista freelance voglio tutto il resto. Intanto facciamo il primo passo. Il 31 ottobre in viale Montesanto 7 a Milano passa a mettere un voto e poi cominciamo a rompere le palle. Insieme.

  • L’Intelligenza Artificiale… ed io

    L’Intelligenza Artificiale… ed io

    Il mondo dell’intelligenza artificiale è entrato ormai da mesi nel mio flusso di lavoro. In modo definitivo.

    In questa prima metà di settembre del 2023 mi sono accorto che ci sono ben pochi giorni in cui mi capiti di non usarla questa benedetta intelligenza artificiale. Per i contenuti, per l’organizzazione, per la scrittura, per la gestione del business, per la cura, per la casa, anche semplicemente per digitare un messaggio. Ho avuto un piccolo godimento quando, nel mio ultimo aggiornamento del sistema operativo degli smartphone, ho visto la tastiera diventare una tastiera AI powered con suggerimento automatico delle parole e correzione automatica. La usiamo da anni, ma solo in questo periodo la percepisco come presente perché sono consapevole dei suoi usi, dei suoi concetti, dei suoi fondamentali, dei suoi schemi, dei suoi utilizzi, dei tool nei quali si esprime.

    Lo studio è durissimo, ma…

    L’Intelligenza Artificiale l’hanno saputa definire chiaramente in pochi. Allora, col mio laboratorio Algoritmo Umano, ho cercato conforto in Piero Poccianti, ex presidente di Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, il quale ha staccato la seguente definizione:

    @frafacchini L’ #intelligenzaartificiale ♬ suono originale – Francesco Facchini

    Una volta che hai visto questo video penso che molte cose si mettano al loro posto nell’approccio che ognuno di noi deve nei confronti della intelligenza artificiale. In questi giorni, in questi mesi, anche ora che mi trovo a scrivere al Caffé Tommaseo a Trieste, rifugio del grande Umberto Saba, sto percependo sempre di più la magia della AI e il senso del mio rapporto con l’Intelligenza Artificiale.

    L’Intelligenza Artificiale e l’uso che ne fai

    Gli strumenti che utilizzo sono tanti, in tanti diversi tipi di operazioni. Il modo in cui li utilizzo, questi strumenti, mi sta diventando sempre più chiaro. In qualsiasi azione mi capiti di utilizzare l’intelligenza artificiale la spinta che mi fa usare gli strumenti di AI è sempre coadiuvante e mai “sostituente”. Mi spiego: non direi mai a un tool di AI scrivi una mail a questo o quest’altro, su questo o quest’altro. Direi a un tool di AI di generarmi parti di quel testo che servono a me per comporre il risultato della mail che ho in mente di scrivere alla persona “x” con il messaggio “y” che è il risultato di molti pezzi testuali, fra i quali ci sono mattoni costruiti con l’AI.

    Insomma: non vorrei mai farmi sostituire dall’AI, ma farmi aiutare si. In ogni passaggio, per ogni fase del lavoro, in ogni processo di produzione dei miei contenuti, piuttosto che dei miei risultati, l’Intelligenza Artificiale mi serve a precisare, velocizzare, rifinire, completare, rivedere, controllare, moltiplicare.

    Non mi serve a sostituire.

    Il senso dell’AI ad Algoritmo Umano

    Ad Algoritmo Umano sto studiando con grande profondità strumenti di intelligenza artificiale per migliorare le mie creazioni, produzioni, i miei servizi. Sto studiando anche l’implementazione di processi e strumenti di AI per altre organizzazioni. Sto studiando perfino la materia e i suoi sviluppi. Non sto studiando la “sostituzione” della necessaria operatività umana in alcuna delle cose che faccio. Ti è chiaro?

    L’AI è mia amica e mi regalerà nuovo tempo, nuovo valore, nuova ricchezza. Tuttavia non è me. Ecco, l’AI ed io partiamo da qui. E tu che ne pensi?

    Leggi anche: il terrore dell’Intelligenza Artificiale

  • Razzismo digitale: dobbiamo parlarne

    Razzismo digitale: dobbiamo parlarne

    Il razzismo sta assumendo nuove forme e sta dilagando in nuovi luoghi. Come questo.

    Si, parlo di questo qui… parlo del web. Specialmente in questo periodo, specialmente in Italia, di razzismo dobbiamo parlare e dobbiamo farlo senza remore. Il contesto nel quale viviamo è diventato molto più “violento” e aggressivo contro chi si esprime fuori dalla logica dominante e ha anche aperto le porte alla creazione di differenze sociali sempre più ampie e sempre più evidenti, soprattutto in ambito digitale. Differenze di partenza, differenze che creano nuovi tipi di razzismo.

    Per questo motivo, guardando cosa il Governo e il Parlamento stanno facendo alle libertà di questo paese e comprendendo bene che siamo in una situazione di allarme, ho deciso di alzarmi in piedi e dirti che dobbiamo parlare di tutte quelle situazioni delle quali quasi nemmeno ci accorgiamo e che stiamo lasciando andare in modo inconsapevole. Si tratta di fatti, accadimenti, ma anche di omissioni o silenzi che stanno sezionando in maniera chirurgica la società a seconda delle possibilità di accesso e di uso di internet, della tecnologia, del digitale, del web, dei social e, ultima ma forse più importante di tutto, dell’Intelligenza Artificiale.

    Le differenze che creano razzismo

    In questa riflessione ti parlo di razzismo digitale, ma lo faccio senza riferirmi a episodi singoli che lo evidenziano. Il problema della società iperconnessa che si sta creando non lo dobbiamo solo vedere quando guardiamo il fatto singolo di matrice razzista. Dobbiamo imparare a considerare le differenze di partenza tra le persone che creano distanze che non sono solo dettate dal diverso potere economico di un umano rispetto a un altro. Dobbiamo capire ora che ci sono disfunzioni genetiche della nostra società e della nostra economia che creano umani che hanno una differente possibilità di esprimersi e di evolvere attraverso la tecnologia e lo fanno… di partenza. Per questo si creano esclusioni, per questo si crea diversità, per questo si crea razzismo.

    Le infrastrutture e il luogo che ti frega per la vita

    Nel nostro paese c’è una situazione di gravi differenze per quanto riguarda l’accesso a Internet. Uno che nasce a Pila, in Val Sesia, provincia di Vercelli, per esempio, non ha anche oggi, nel 2023, la stessa rete, la stessa velocità di dati in “upload”, in caricamento, di uno che vive in centro a Milano. Quindi significa che è più lento nell’accesso ai servizi, all’amministrazione, al lavoro, allo scambio di dati e alle possibilità tecnologiche che sono, invece, a portata di mano di un milanese.

    Un tempo erano le differenze economiche e politiche, insomma, a creare umani di “razze” diverse e di dignità diverse. Adesso ci sono anche le differenze digitali.

    A scuola, in tutte le scuole d’Italia, abbiamo visto con chiarezza le differenze di approccio al collegamento web quando i nostri ragazzi-bambini facevano la DAD, la mitica Didattica a Distanza. Per motivi di reddito, di costi, di opportunità, un’intera parte della società italiana non aveva al tempo del covid e ancora oggi non possiede dotazioni tecniche in casa che permettano di avere un approccio corretto e sufficientemente veloce al web. Per studiare, per conoscere, per acquistare, per avere servizi, per lavorare, per evolvere.

    Il silenzio è razzista

    Il tutto si svolge nell’ambito di un mercato delle linee internet e delle connessioni che è un cartello, che ha prezzi simili e alti e che beneficia dei voucher come cerotto buono per guarire uno sbudellato. Se la fibra non c’è, se le infrastrutture sono in mano a un monopolista, se la velocità è “x” a Pila e “10 volte x” a Milano, se le istituzioni non si prendono carico della necessità di parificare l’approccio alla rete e di garantirlo a tutti come un più che giusto diritto costituzionale, beh, allora dico che il silenzio del Governo attuale e di quelli precedenti è razzista. Perché? Perché esclude e crea diversità, in partenza, solo perché nasci in una valle montana, anziché nella pianura Padana (e non voglio allargare il discorso).

    I social son per ricchi

    I social network sono luoghi digitali che stanno cambiando con grande rapidità e che ci hanno fatto vivere una distorsione della realtà durata più o meno una ventina d’anni. Ora sono diventati posti virtuali molto diversi dal passato, ma non te ne sei nemmeno accorto, ci scommetto. Terminata la fase d’oro del furto continuo dei dati a nostro danno per fornirci la più stronza e invasiva forma di pubblicità della storia umana, ora le reti di connessione sociale sono servizi che devi pagare se vuoi continuare a usare in modo completo, ma la cosa non si ferma qui.

    Tanto per parlare di differenze che creano razzismo, se paghi il servizio (il Twitter Blue o il Meta Verified) hai maggiori possibilità di vedere quello che vuoi, di avere più contenuti, di non vedere più la pubblicità, di avere un supporto dedicato. Si, hai capito bene, se ci paghi ti assistiamo, se non ci paghi no…

    Traggo un altro esempio per farti comprendere come anche i social network stanno facendo differenze di razza. Se paghi Twitter Blue puoi vedere fino a qualche migliaio di Tweet al giorno. Se non lo paghi ne vedi 600.

    Dobbiamo cambiare punto di vista sui social

    Dobbiamo cercare di comprendere alcune cose che ritengo importanti per cambiare approccio ai social network, ma bisogna anche riflettere sul fatto che queste gigantesche reti di connessione tra umani hanno completamente trasceso la logica di un semplice prodotto (insomma Facebook non è una maglietta della Adidas che compri al negozio) e sono diventati strumenti di grande impatto sociale.

    Pensare a soluzioni per ottemperare a una giustizia sociale e per salvare le leggi di mercato che vogliono le aziende orientate al profitto non è il mio mestiere, ma quello di chi governa. Io sto solo indicando il problema con il dito: ora, sui social, ci sono i ricchi che pagano e hanno in cambio visibilità, contenuti, servizi. Poi ci sono i poveri che guardano dentro le vetrate del bel mondo e fanno l’alone di alito sul vetro.

    Concetti sparsi che concimano il razzismo

    Metto in fila alcune cose. Hai notato che, quando parlavo della rete, parlavo di velocità di upload e non di download? Ti spiego perché tutti parlano di download, ma è l’upload l’unico valore importante per l’utente. Il download o scaricamento dei dati è necessario se tu vuoi fruire di un contenuto, quindi se hai un approccio passivo al web e a quello che c’è dentro: guardi, ascolti, leggi, senti (e paghi). Il caricamento di dati è importante, invece, per te: se sei un lavoratore digitale e fai un video da un giga, beh, è determinante per te poter mandare quel giga di video in pochi secondi anziché in 10 minuti. Se devi lavorare col web devi avere potenza del segnale di rete quanto carichi dati, non quando scarichi…

    Ecco: e perché nessuno ne parla e lo mette come priorità nei suoi servizi?

    Le bolle che creano razzismo

    Seconda cosetta sparsa: se i social network sono diventati il posto che ho descritto nel paragrafo precedente, sai cosa succede? Succede che vedi sempre meno contatti, amici e li vedi sempre più simili a te e ai tuoi interessi. Per essere chiari: le bolle, le camere social nelle quali siamo chiusi sono una delle maggiori cause delle manifestazioni del razzismo digitale. Se il fascista o il razzista è contornato dai suoi simili che gonfiano ulteriormente il suo ego, sarà ancora più facile che questo crei testi, video, foto che contengono messaggi fascisti o razzisti visto che attorno a lui ci sarà sempre di più gentaglia che risponde solo ai suoi modi di vedere il mondo.

    Terza constatazione: negli ultimi tempi c’è stato un caso che ha creato, diciamo, una divisione netta tra “chi può e chi non può” ed è quello di Threads, nuova applicazione di Meta lanciata un po’ dappertutto, ma non nei paesi europei (e per certi versi mi viene da dire per fortuna). Ecco la questione riassunta in un video del canale YouTube di Algoritmo Umano.

    Il video sulla questione Threads sul mio canale YouTube.

    Social network: ora l’America ci evita

    Con il caso Threads è successo qualcosa che non era mai successo prima. Per la prima volta una app non è stata nemmeno rilasciata in un’area del mondo e la decisione è stata presa a priori. Ok, a causa delle leggi europee sulla protezione dei dati personali (e questa è una grande cosa, te lo assicuro), ma ha comunque creato una deliberata distinzione tra paesi che potevano toccare con mano la novità tecnologica e paesi che non lo potevano fare.

    Questa americanocentricità della tecnologia è davvero inquietante per tutto l’approccio al web, ai social, alle innovazioni. Per non parlare del monopolio mondiale della ricerca sul web di un’azienda sola che, se volesse, potrebbe cancellare interi paesi dalla faccia della terra in un’istante. Si parlo di un giorno ipotetico nel quale un capoccia di Google si sveglia e dice: cancelliamo l’Italia dai nostri server. Cosa succederebbe?

    Il mondo dell’intelligenza artificiale e il razzismo digitale

    Anche il mondo della AI ha vissuto la stessa cosa, almeno per quanto riguarda l’Italia, successa con i social network quando è uscito Threads. Per molti mesi Bard, il Large Language Model di Google, non era utilizzabile nel nostro paese. Decisione anche in questo caso presa a priori da Google per il problemi di rapporto tra queste piattaforme (che gestiscono assai allegramente i dati) e le nostre ottime legge sulla privacy. Ora si presenta così:

    Quello che devo notare, dopo averti raccontato questo caso, è che stiamo assistendo ad alcuni processi, nel mondo della AI, che creano i presupposti per delle importanti conseguenze di tipo razzista. Non mettere il mondo connesso alla pari facendo accedere contemporaneamente tutti gli umani internauti a un innovazione avrà anche i suoi giustificati motivi, ma crea differenze. Le quali si aggiungono alle differenze sociali ed economiche che ci sono già e che spingono da molto tempo lontano dal mondo digitale che stiamo creano un umano che ha la sola colpa di nascere a Ouagadougou e non a Milano.

    Il mondo delle aziende AI, il peggio del peggio

    Oltretutto il mondo dell’AI, o meglio delle aziende AI, è quanto di peggio possa esprimere la tecnologia per quanto riguarda la creazione dei presupposti del razzismo digitale. Lo dico chiaro: le varie fondazioni o aziende che hanno iniziato la corsa modello Far West alle nuove ricchezze derivanti da questa tecnologia non hanno fatto capire praticamente nulla agli internauti e agli utenti.

    Ci hanno solo resi fruitori passivi di queste tecnologie e utenti paganti. Insomma ci hanno messo subito le mani nel portafoglio promettendoci grandi cose o impaurendoci con potenti pericoli, ma senza costruire cultura, dare un approccio, fornire indicazioni non solo operative, ma anche etiche. Il prodromo più classico del razzismo.

    Come se non bastasse, poi, gli LLM come Chat Gpt o Bard si riforniscono con scarsa attenzione quando ti generano i contenuti attingendo ad algoritmi predittivi e probabilistici (quindi non intelligenti). Sto parlando del fatto che violentano il materiale altrui protetto dai diritti d’autore e si alimentano con testi e fonti che sono ancora piede d’odio, come afferma Wired in questo pezzo di qualche tempo fa.

    Il razzismo tecnologico esiste e va fermato

    Magari questa lunga riflessione sul razzismo tecnologico e digitale ti potrà essere sembrata incoerente. Tuttavia queste considerazioni cominciano a fare un quadro sempre più chiaro di quello che sta succedendo e di quello che stiamo subendo senza accorgerci di nulla, beatamente ignoranti. Fino a quando non protesteremo per l’infrastruttura di rete che in Italia non va ed è presa di un cartello di aziende che orientano il mercato a piacimento, fino a quando abboccheremo a stupidaggini come il 5G (ancora oggi il 5G è un bluff e un miraggio che viene pagato dagli utenti), fino a quando non rifletteremo il da farsi sul mondo dei social e della tecnologia, fino a quando non faremo chiarezza e cultura sulla AI e sul suo corretto uso, allora saremo preda del razzismo digitale e delle disuguaglianze che crea. E te lo dico: saranno benzina sul fuoco delle disuguaglianze sociali che già esistono.

    Io il mio l’ho detto, ora è il tuo turno. Che fai, agisci?

    Leggi anche: Internet nella Costituzione, un diritto da scrivere