Io ne ho viste di ogni colore, te lo confesso. Nei giornali, nelle redazioni, nei siti e nelle tv in cui ho lavorato, ho visto davvero ogni tipo di persona e ogni tipo di professionalità. Dai geni ai deficienti, dai giganti ai nani. Il mondo del mobile journalism mi permette di entrare in contatto con molte più persone rispetto a prima e con membri di newsroom importantissime. Ne ho intervistato uno qualche giorno fa, non uno qualsiasi. Si tratta di Montaser Marai, dirigente del Media Institute di Al Jaazera e giornalista di gran vaglia con un passato da quattro quarti di nobiltà per quanto riguarda questa professione. Lui è uno degli uomini più influenti del mobile journalism mondiale, perché lo sta introducendo, con il suo Media Institute, in una delle newsroom più difficili del mondo, quella della sua TV. Perché difficili? Beh, lo spiega lui in questa nostra chiacchierata, fatta fuori dal Palazzo dei Giureconsulti a Milano, in occasione del Prix Italia. Semplice il problema: le newsroom remano contro il cambiamento.
La prima necessità del mobile journalism? Cambiare la cultura.
Te lo dico, Montaser mi ha quasi emozionato quando ha parlato di “importanza della cultura. Le newsroom stanno resistendo al cambiamento – ha continuato Marai -, ma dovranno calare le difese. Resistono perché i colleghi sono abituati a lavorare in un certo modo da anni, si sentono più sicuri ad avere un’intera troupe che li contorna. La prima necessità del mojo, invece, è che si portino queste redazioni a cambiare cultura, a pensare che lo smartphone esprime un linguaggio nuovo e non per forza peggiore, che regala altre possibilità. Fatta questa rivoluzione culturale, molto probabilmente le redazioni di tutto il mondo adotteranno il mobile journalism”.
Sinceramente non voglio levarti il bello di ascoltare questa chiacchierata, quindi ti rimando al video dell’intervista a Montaser Marai. E’ in inglese, perché l’inglese è la lingua del mojo. Enjoy.
In queste ore ho riflettuto sulla mia storia all’interno del mondo del mobile journalism e ho scoperto una cosa molto interessante: sono un alunno, non un professore. Un alunno che condivide ciò che impara e che impara da coloro che condividono. Certo, in Italia questa dichiarazione può anche far rima con la parola coglione.
La cosa non mi cruccia: il ruolo che mi sono preso nel mondo del mobile journalism è quello di chi apprende e poi divulga, di chi aiuta gli altri a conoscere nuovi mondi e nuovi modi di fare il giornalista. In questo momento gli “altri” colleghi, magari, non hanno nemmeno il tempo di alzare la testa e guardare l’orizzonte: io cerco solo di dare una mano a te e a qualcun altro, affinché possiate tutti alzare lo sguardo, se lo desiderate, per vedere cosa sta succedendo.
Con la necessità urgente che abbiamo di giornalismo vero e di qualità, ti confesso che, a mio avviso, abbiamo bisogno anche di eroi. Ho deciso di condividere anche quelli, certo che ti possano aiutare a vedere cosa succederà domani e dove devi andare. Altrimenti ti perdi, anzi, ci perdiamo.
Lo choc è che i miei maestri son tutti bambini (o quasi)
Potrei dirti che i miei maestri sono Michael Rosenblum o Ivo Burum, Glen Mulcahy o Ilicco Elia, ma effettivamente mi sbaglierei. Quelli sono i maestri che hanno fatto la storia del mobile journalism. Volendo andare più avanti sono coloro che tengono le fila del presente e lo fanno crescere. Quelli che indicano la strada per il futuro, invece, sono altri.
Yusuf Omar e la visione di #hastagourstories
Il primo che ti voglio citare, fra i miei maestri, è Yusuf Omar che, in questi giorni, sta completando il giro del mondo con il suo progetto #hashtagourstories. E’ del 1989, è nato in Inghilterra, ha studiato negli Usa, è diventato grande lavorando in Sudafrica, poi ha realizzato la più strepitosa redazione di mobile journalist del mondo, quella dell’Hindustan Times. Si è sposato con la CNN per fare l’editor di Snapchat, ma ha mollato la compagnia dopo 7 settimane per lavorare al suo progetto globale che vuole portare il mobile journalism dove non c’è.
Il suo sogno? “Informare e coinvolgere i mobile storytellers ad abbracciare la rivoluzione in atto nei media. Vogliamo creare – racconta dal suo sito – una piattaforma multicanale che parta dai mobile e arrivi ai mobile”. Un ecosistema nuovo dell’informazione: senza la tv, senza i media tradizionali, “armato” da chiunque abbia uno smartphone in mano e sappia fare della informazione corretta e di qualità”. Un visionario che la pensa come me che nell’ultimo evento pubblico ho dichiarato “Voglio un mondo pieno di giornalisti e senza editori”.
Francesco Marconi, l’italiano che cambia il mondo dei media.
Mark Little e il Netflix delle news (con un tocco di AI)
Mark Little è il fondatore di Storyful, piattaforma che aiuta le grandi organizzazioni di news a creare storie verificate dagli UGC e dai social. Già questo potrebbe tranquillamente fare di lui un fenomeno. E’ stato anche un giornalista di RTE e non credo sia un giovane come i due di cui ti ho parlato qui sopra. Dopo aver venduto Storyful a News Corp ha girellato a Twitter, ma ieri è uscito allo scoperto con i Neva Labs con i quali ha deciso di impostare una nuova media company che si interesserà di questo.
News e AI andranno a braccetto. I nuovi modelli di produzione delle news dovranno fare rima con distribuzioni delle news stesse ben diversi da quelli che abbiamo oggi. I nuovi canali saranno responsivi, adattabili a chi li usa, dedicati alla verifica della bontà delle news stesse come alla loro targettizzazione che le farà diventare come uno strumento utile e qualitativo per migliorare la nostra vita. Mark Little è pronto a creare un nuovo business secondo questi concetti, ma anche secondo un modello che potrebbe avvicinarsi a quello di un Netflix per le news, idea parecchio interessante.
Tre maestri e una maestra.
Insomma gli algoritmi che vivremo non saranno solo quelli autoreferenziali dei canali social, ma quelli che imparano dalla nostra esistenza e ci fanno recapitare nei nostri aggeggi le notizie che veramente ci servono. Certo, questo apre un dibattito senza fine sull’etica e sulla privacy, ma andiamo irrimediabilmente in quella direzione. E Mark Little è un maestro dell’argomento, assieme alla collega Aine Kerr.
Tre maestri (e una maestra) sono abbastanza, per oggi. Un’ultima nota: i maestri sono infiniti, come i sogni. Basta cercarli.
Network e capitale sociale: tra i mobile journalist ce n’è di più
Mi sono accorto di una cosa, mentre passano i giorni della settimana che mi avvicina a un nuovo corso di mobile journalism. Mi sono accorto che gli eventi e i corsi di base che stiamo sviluppando con la community Italianmojo e con MilanoAllNews si trasformano spesso in occasioni ghiottissime per fare newtwork. Da queste reti di relazioni, da questi network, poi, molti colleghi e amici ricavano una massiccia dose di capitale sociale da immettere nelle dinamiche delle loro relazioni lavorative.
La diretta conseguenza è la creazione di opportunità professionali, di incontri, di riunioni, di “session” per pensare a un format da fare insieme: insomma, lavoro, lavoro, lavoro. Ho capito anche il motivo di questa facilità a creare network utili a migliorare la propria condizione. E’ semplice: al centro c’è una materia e una modalità nuova di fare le professioni visive, un linguaggio che riporta tutti più vicino alla qualità del lavoro, al pensiero, alla creatività. Per questo diventa più facile unirsi, semplicemente perché si ha un nuovo futuro da imparare e da condividere con la comunità di coloro che lo stanno imparando e, contemporaneamente, facendo. Come me.
La risposta a E.
E. è un ragazzo che ha fatto un corso con me. Mi ha fatto alcune domande in una mail dopo che io, durante il corso, mi sono permesso di dirgli che non si comprendeva cosa davvero volesse fare. Durante la giornata di corso l’ho invitato a “precisare” dentro di se e poi all’esterno cosa desiderasse davvero dal suo percorso professionale, arricchito in quel momento dalla possibilità di avere un ottimo linguaggio visuale da sfruttare (il mobile journalism, appunto). Nella mail mi ha chiesto ancora di riempirgli i vuoti e io ho deciso di rispondere pubblicamente.
Il Bosone di Higgs raccontato ai bambini.
Caro E. devi rispondere da solo alle domande che mi hai fatto e devi farlo mettendo sul tavolo tutte le tue armi e le tue qualità, contandole per bene e “lustrandole”. Fatto questo, essendo tu un creatore di contenuti, devi pensare, anche grazie al linguaggio mojo, quali servizi tu possa rendere alla collettività tali da poter essere considerato un riferimento per quel tipo di prestazione d’opera e che quella prestazione d’opera aggiunga valore a chi la riceve.
Il tutto deve essere fatto, tuttavia, creandosi una specificità tale da rappresentare un punto di riferimento autorevole per quel tipo di prodotti, servizi, creazioni. Faccio un esempio forzato: a scrivere favole per bambini sono in molti. A scrivere un libro per bambini con una spiegazione su cosa sia il Bosone di Higgs non ci ha ancora pensato nessuno. Ecco, tu caro E, devi essere quello che racconta il Bosone di Higgs ai bambini. Accorrerebbero da ogni dove per sentirti. Ti ho reso l’idea?
E. è attore e creatore di relazioni.
E. è stato capace di creare, grazie a un semplice corso mojo, relazioni che sono diventate un network. Per questo che ho deciso di rispondergli in pubblico. Ho deciso di farlo affinché cerchi le sue risposte da solo oppure da quel network che si sta muovendo attorno a lui alla ricerca di un’idea da formattare e magari da vendere. Ci sono stati incontri, mail, scambi di idee, brainstorming fruttuosi e infruttuosi.
Tutte queste cose sono state “accese” da un corso di mobile journalism. Oggi, per esempio, io stesso sono stato coinvolto in un lavoro assieme a due mie corsiste e, facendolo, ho incontrato una persona che ha manifestato l’interesse di venire al corso di mobile videomaking di sabato 30 settembre. Essere mojo, essere alleggeriti da tecnicismi e macchinari pesanti, aiuta la creatività e le capacità di relazione con gli altri, quindi inevitabilmente anche con i colleghi. Aiuta anche il pensiero che serve per creare nuove opportunità di lavoro, nuove opportunità di ricchezza.
Il corso di mobile journalism di sabato (e dintorni).
In queste ore il corso di Stampa Romana tenuto da Nico Piro ed Enrico Farro sta vivendo il suo clou, mentre il Centro di documentazione giornalistica ha varato, sempre con i due insegnanti romani, dei corsi anche a Milano. Sono, quindi, giorni interessanti per la materia del mobile journalism che sta crescendo come interesse. Sta crescendo anche la partecipazione ai corsi di Italianmojo che vedranno una nuova puntata sabato 30 settembre con un nuovo corso base. I ragguagli dell’evento li puoi trovare qui, assieme alla modalità per iscriversi. Ci sono ancora 6-7 posti disponibili per riempire la nostra saletta.
Sempre a proposito di network
Sempre a proposito di reti di relazioni, di capitale sociale e di network, mi hanno chiesto di preparare anche un corso per la Fabbrica delle Idee, uno straordinario coworking di Maniago, cittadina splendida in provincia di Pordenone. Tornerò presto in Friuli, quindi, per fare un’altra emozionante esperienza di corso base. Devo dirtelo, mi diverto molto a farli, perché ritengo che siano una grande opportunità e regalino l’emozione (che vedo nei volti di chi lo fa) di scoprire qualcosa di nuovo che può cambiare le sorti e le vicende di una vita lavorativa. Se sei di quelle parti, quindi, prenota il tuo posto andando a questo link e ci vediamo lì. Anche per creare un ulteriore punto di un grande network. Un network mojo.
Sono tornato in Italia e, naturalmente, sono stato travolto dalle cose da fare, come a ogni ritorno succede. Mi è rimasto molto impresso, tuttavia, il terzo giorno di permanenza all’International Broadcasting Conference di Amsterdam. Semplice il motivo: il mobile journalism si sta muovendo verso un’era della maturità che fa rima con la parola workflow. Già, perché sono molto importanti la filosofia e la teoria di questo nuovo modo di intendere il giornalismo, ma è altrettanto importante la pratica.
Perché lo dico? Perché il verdetto di quanto ho visto nei tre giorni di IBC nella comunità mojo è legato a un’evoluzione che potremmo dire essere quella della maturità. In che senso? Nel senso che gli strumenti più importanti, a vario titolo e in vario modo, si stanno attrezzando per darti la possibilità di mettere giù un metodo di lavoro che sia più possibile qualitativo, veloce, performante e smarcato. Ti dico un segreto: ci stanno riuscendo…
Le novità di Luma Fusion.
Ora vado nello specifico delle novità viste nel mondo iOS e Android, ma poi ti darò alcuni consigli e alcune indicazioni finali. Luma Fusion, la magnifica app di editing creata da Terri Morgan e Chris Demiris ha fatto passi da gigante anche nell’ultima versione, la 1.4. Le novità più importanti arrivano dalla gestione della parte audio che è stata resa ancora più approfondita, densa di feature e di opportunità di lavorare sui particolari, come i keyframe della pipeline, ma anche l’acquisizione di audio da più canali o da destra a sinistra o da sinistra a destra. In quanto a integrazione sono miglirati i rapporti di LF con altre applicazioni e le possibilità di importazione.
Come leggi da queste frasi questi strumenti per il lavoro del mojo sono sempre più aperti e capaci di abbracciare altri file, contenuti, progetti che arrivano da fuori per provvedere all’integrazione con questo flusso di lavoro. Nelle prossime settimane, ha rivelato Chris durante una chiacchierata, entrerà in App Store “Luma Connect” che permetterà di inserire in luma qualsiasi file o progetto proveniente da Mac, per poi riuscire a “ridarlo al Mac”, molto facilmente per continuare i progetti con altri programmi. Poi di dico una cosa: faranno, nella prossima release, un’integrazione con i sistemi di “library” di parti terze per avere, con un piccolo abbonamento,
Le novità di Kinemaster: inizi tu, finiscono in redazione!
Matthew Feinberg è uno dei “deus ex machina” di Kinemaster, l’applicazione di editing “cross platform” che è comunque il top del mondo Android. Da lui, invece, ho saputo quali novità ci sono nel prossimo aggiornamento dell’applicazione che viene sviluppata dalla coreana Nexstreaming. “Nella prossima release siamo molto felici di poter introdurre il workflow di Kinemaster – ha raccontato Feinberg – per il quale sarà possibile esportare un intero progetto con tutti i media collegati, al fine di poterlo continuare su altre device come i personal computer e con altri programmi come Premiere Pro. Un processo di lavoro del genere potrebbe anche farti fare la versione ridotta, o per social, di un video o di un contenuto, per poi mandare il progetto alla tua newsroom”. Beh, pensaci: si tratta di una cosa non da poco.
Arriverà presto anche il Cloud.
Feinberg ha anche fatto accenno a un progetto pilota che Nextstreaming sta realizzando con il gruppo Ortana: “Si tratta di un progetto ancora alle fasi iniziali ed è una soluzione cloud – ha raccontato Feinberg ad Amsterdam – che lavora con Kinemaster”. Vuoi sapere cosa fa? Eccoti servito: “Ingest automatizzato – ha sottolineato Feinberg -, pubblicazione automatica su più piattaforme”. Poi sta per arrivare Kinemaster 5 con delle novità sconvolgenti sulla timeline, ma di questo sarà il caso di parlare in un altro post. Penso che quanto bolle in pentola sia davvero interessante crei molte opportunità.
I precursori: i francesi di City Producer.
Se mi hai seguito su twitter hai visto che ho dedicato molto del secondo giorno all’IBC a studiare City Producer. Beh, l’app dell’azienda francese E-Facto creata dal vulcanico Bertrand Samini, è davvero quanto di meglio si possa trovare in giro appunto sotto la categoria del worflow, del vero e intero processo produttivo per la creazione di video. Nella stessa App c’è una potente parte di filming, una parte di editing che rende facilissimi e veloci i processi di montaggio delle news e una parte di live e di delivery. Molto molto evoluta e molto interessante, una app che consegna ai francesi il ruolo di precursori della parola worflow nel mondo del mobile journalism.
Una app davvero impressionante.
Ha, tuttavia, dei lati che circoscrivono l’innovatività della app al mondo delle company televisive per la produzione di news. Sul lato dei content creators, infatti, va detto che non apre opportunità di codifica customizzata dei file e agisce nei binari di un sistema, peraltro splendido, che è dentro il flusso di una tv che fa news. Gli effetti visivi (come le transizioni) non sono ancora disponibili, mentre le parti di titolazione o le librerie musicali devono essere introdotte e governate nel flusso dal pc, ma non possono essere create o gestite nella app (così come la cancellazione dei progetti).
Una news tv che apre ora dovrebbe guardarli con tanto interesse, un semplice mojo forse potrebbe non giovarsi pienamente di un workflow “start to end” che per necessità (visto che è concepito per le news e per integrarsi nel flusso di lavoro di una newsroom tv) è dentro binari stabiliti. Pazzesco vedere all’opera questa App, comunque, per quante cose ti fa fare e quante operazioni rende facili nella tonnara del mondo delle news.
Il mobile journalism deve restare libero. Tu anche.
Alcune riflessioni finali, comunque. Come hai visto le novità delle principali app vanno verso il flusso di lavoro e allora ti invito a pensarci. Creati il tuo, comincia a vedere, passaggio per passaggio quello che ti serve per lavorare bene dall’acquisizione del materiale fino alla sua consegna. Pensaci bene: Feinberg nella sua intervista ha parlato perfino di monetizzazione del proprio lavoro tramite il collecamento di Kinemaster agli stock di vendita dei video. Ti rendi conto di quello che può voler dire questo? Sta cambiando tutto, allora segui il cambiamento. Tuttavia non rinunciare mai a pensare a una cosa, una cosa che deve restare sempre al centro del tuo lavoro. Pensa a curare ogni passaggio della tua esecuzione, ogni passaggio del tuo lavoro, fino al delivery, alla consegna sicura o alla monetizzazione dello stesso.
Però resta libero: tutto quello che ti fa entrare dentro processi nei quali la proprietà perfetta del tuo lavoro ti sfugge dalle mani, beh, rifuggilo come fosse peste. In questo senso i big dell’editing stanno lavorando benissimo: ti danno opportunità in più facendoti tenere comunque sempre la possibilità di lavorare offline, dentro l’applicazione dall’inizio alla fine. Lì dentro c’è il tuo lavoro e devi essere tu a governarne il flusso, fino a quando decidi di effettuare la consegna a chi te lo compra. E sopratutto te lo paga.
Artificial Intelligence: il futuro del mobile journalism?
Il secondo giorno all’IBC, International Broadcasting Conference, mi ha riservato un piccolo giro nel futuro del broadcasting e dell’entertainment che potrà arrivare nelle nostre case. Le macchine che ce lo recapiteranno, dai nuovi schermi alle “camere” teatro, dai visori di realtà immersiva alle Hololens, saranno dotate di Artificial Intelligence per migliorare costantemente la nostra esperienza e soddisfare sempre meglio le nostre aspettative.
In un breve giro nella Future Zone della fiera ho visto talmente tanta potenza di calcolo da star male per lo spreco… ma anche macchine dotate di Artificial Intelligence che comprendevano le reazioni di chi le stava utilizzando per cambiare esperienza e modalità d fruizione della stessa a seconda dello stato d’animo. Questa predisposizione, lo abbiamo visto dal Keynote della Apple durante il quale è stato presentato l’ultimo iPhone, è entrata anche nell’hardware degli smartphone e sta per rivoluzionarne la modalità di fruizione. Ma al mobile journalism servirà? Il mobile journalist dovrà tenerne conto?
Dal punto di vista della produzione di immagini… no
Continuo a pensarla così come avevo scritto qualche giorno fa: il telefonino come macchina da produzione è quasi morto (un po’ come, a mio avviso, è quasi morta la tv come apparato di fruizione). Tuttavia dovremo pensare a quanta potenzialità ha ancora, specialmente con l’introduzione dell’Artificial Intelligence nelle macchine, come apparato di fruizione dei contenuti.
Probabilmente con l’Artificial Intelligence che entra nei nostri giorni normali, dovremo cominciare a pensare a produrre contenuti responsivi, magari con diverse angolazioni di visione a seconda del pensiero di chi li vede, oppure con diversi modi di raccontare il finale a seconda della situazione di umore nella quale uno si trova. Esercizio difficilissimo, perché il giornalismo quello è e non deve essere responsivo, ma vero. Però io vedo alcuni modi per cui questa faccenda delle macchine che imparano cosa vogliamo vedere, fare e sapere e cosa ci serve possa diventare molto utile ai giornalisti. Anche ai freelance.
Un’ultima considerazione: il grande bluff
Qui alla fiera del broadcasting di Amsterdam forse non lo sanno, ma noi poveretti non abbiamo televisioni 2k, figurarci 4 o 8 k. Questa cosa che intrippa tantissimo i tecnici, l’elevatissima qualità tecnica dei segnali tv o over IP o via Satellite o vattelappesca cosa, per noi tapini è un non problema perché non possiamo manco sognarci di avere apparecchi tali. Figuriamoci se dobbiamo preoccuparci di filmare, se mobile journalist siamo e se mojo facciamo, in 4K o vattelapesca cosa. Lo dico sempre ai miei corsisti e colleghi. La prima cosa da fare è impostare la camera a 720 p. Tutto il resto è onanismo tecnologico.
Sono venuto ad Amsterdam, nel cuore del mondo del broadcasting mondiale, per vedere da vicino come sta evolvendo la tecnologia della televisione e che rapporto ha (o desidera avere) con il mondo del mobile. Una piccola premessa: la prima cosa che ho visto arrivando è una mega regia mobile (un camion) e mi è venuto un filino da ridere pensando a quanto sia poco “mobile” rispetto alle apparecchiature che utilizziamo noi mobile journalist.
Ho incontrato le prime aziende”mojo”
Il primo giorno, quello di ieri, è stato quello dell’arrivo mattutino e anche della stanchezza, ma nelle mie due incursioni di giornata all’ IBC, ho già avuto l’opportunità di incontrare alcuni attori del mondo mojo. Dalle chiacchierate fatte, qui nella fiera più importante al mondo per quanto riguarda la TV, ho compreso molto bene che si è verificato un cambiamento importante nell’atteggiamento delle aziende del mondo TV verso le aziende mobile.
La domandina incuriosita.
Tutti gli attori del mercato del software e dell’harware “mobile” che ci sono qui sono stati avvicinati da molte aziende che, all’ IBC, sono nel settore del broadcasting istituzionale. “Prima ci guardavano come fossimo arrivati da “Marte” – mi ha rivelato ieri Matthew Feinberg di Kinemaster – e chiedevano cosa fosse il mojo. In questa edizione sono arrivati molti interlocutori mostrando interesse per il nostro lavoro e cercando di iniziare un dialogo che possa portare all’integrazione di processi produttivi”.
Nelle stanze del palazzo del Re Guglielmo, quindi (si tratta del palazzo che puoi vedere nella foto di apertura) c’è la tv che si muove e va verso la concezione di nuovi modi di produrre contenuti, modi che si integrino con le soluzioni mobili. Però fa ancora un errore che, per esempio in Italia, è davvero marchiano.
Gli errori della tv.
Anzi ne fa due. Il primo, anche se secondo gli esperti le cose stanno cambiando, è quello di continuare a investire un sacco sui modi di diffusione classica del segnale e sulle infrastrutture pesantissime e costosissime che servono per crearlo. Qui ci sono aziende che hanno satelliti nello spazio…
Il secondo, invece, è l’errore macroscopico di produrre contenuti “replicati” dai modelli televisivi nei nostri telefoni e tablet. Mi chiedo e ti chiedo: perché?