Autore: Francesco Facchini

  • IBC, giorno terzo: il mobile journalism diventa workflow

    IBC, giorno terzo: il mobile journalism diventa workflow

    Workflow, la parola magica.

    Sono tornato in Italia e, naturalmente, sono stato travolto dalle cose da fare, come a ogni ritorno succede. Mi è rimasto molto impresso, tuttavia, il terzo giorno di permanenza all’International Broadcasting Conference di Amsterdam. Semplice il motivo: il mobile journalism si sta muovendo verso un’era della maturità che fa rima con la parola workflow. Già, perché sono molto importanti la filosofia e la teoria di questo nuovo modo di intendere il giornalismo, ma è altrettanto importante la pratica.

    Perché lo dico? Perché il verdetto di quanto ho visto nei tre giorni di IBC nella comunità mojo è legato a un’evoluzione che potremmo dire essere quella della maturità. In che senso? Nel senso che gli strumenti più importanti, a vario titolo e in vario modo, si stanno attrezzando per darti la possibilità di mettere giù un metodo di lavoro che sia più possibile qualitativo, veloce, performante e smarcato. Ti dico un segreto: ci stanno riuscendo…

    Le novità di Luma Fusion.

    Ora vado nello specifico delle novità viste nel mondo iOS e Android, ma poi ti darò alcuni consigli e alcune indicazioni finali. Luma Fusion, la magnifica app di editing creata da Terri Morgan e Chris Demiris ha fatto passi da gigante anche nell’ultima versione, la 1.4. Le novità più importanti arrivano dalla gestione della parte audio che è stata resa ancora più approfondita, densa di feature e di opportunità di lavorare sui particolari, come i keyframe della pipeline, ma anche l’acquisizione di audio da più canali o da destra a sinistra o da sinistra a destra. In quanto a integrazione sono miglirati i rapporti di LF con altre applicazioni e le possibilità di importazione.

    Come leggi da queste frasi questi strumenti per il lavoro del mojo sono sempre più aperti e capaci di abbracciare altri file, contenuti, progetti che arrivano da fuori per provvedere all’integrazione con questo flusso di lavoro. Nelle prossime settimane, ha rivelato Chris durante una chiacchierata, entrerà in App Store “Luma Connect” che permetterà di inserire in luma qualsiasi file o progetto proveniente da Mac, per poi riuscire a “ridarlo al Mac”, molto facilmente per continuare i progetti con altri programmi. Poi di dico una cosa: faranno, nella prossima release, un’integrazione con i sistemi di “library” di parti terze per avere, con un piccolo abbonamento,

    Le novità di Kinemaster: inizi tu, finiscono in redazione!

    Matthew Feinberg è uno dei “deus ex machina” di Kinemaster, l’applicazione di editing “cross platform” che è comunque il top del mondo Android. Da lui, invece, ho saputo quali novità ci sono nel prossimo aggiornamento dell’applicazione che viene sviluppata dalla coreana Nexstreaming. “Nella prossima release siamo molto felici di poter introdurre il workflow di Kinemaster – ha raccontato Feinberg – per il quale sarà possibile  esportare un intero progetto con tutti i media collegati, al fine di poterlo continuare su altre device come i personal computer e con altri programmi come Premiere Pro. Un processo di lavoro del genere potrebbe anche farti fare la versione ridotta, o per social, di un video o di un contenuto, per poi mandare il progetto alla tua newsroom”. Beh, pensaci: si tratta di una cosa non da poco.

    Arriverà presto anche il Cloud.

    Feinberg ha anche fatto accenno a un progetto pilota che Nextstreaming sta realizzando con il gruppo Ortana: “Si tratta di un progetto ancora alle fasi iniziali ed è una soluzione cloud – ha raccontato Feinberg ad Amsterdam – che lavora con Kinemaster”. Vuoi sapere cosa fa? Eccoti servito: “Ingest automatizzato – ha sottolineato Feinberg -, pubblicazione automatica su più piattaforme”. Poi sta per arrivare Kinemaster 5 con delle novità sconvolgenti sulla timeline, ma di questo sarà il caso di parlare in un altro post. Penso che quanto bolle in pentola sia davvero interessante  crei molte opportunità.

    I precursori: i francesi di City Producer.

    Se mi hai seguito su twitter hai visto che ho dedicato molto del secondo giorno all’IBC a studiare City Producer. Beh, l’app dell’azienda francese E-Facto creata dal vulcanico Bertrand Samini, è davvero quanto di meglio si possa trovare in giro appunto sotto la categoria del worflow, del vero e intero processo produttivo per la creazione di video. Nella stessa App c’è una potente parte di filming, una parte di editing che rende facilissimi e veloci i processi di montaggio delle news e una parte di live e di delivery. Molto molto evoluta e molto interessante, una app che consegna ai francesi il ruolo di precursori della parola worflow nel mondo del mobile journalism.

    Una app davvero impressionante.

    Ha, tuttavia, dei lati che circoscrivono l’innovatività della app al mondo delle company televisive per la produzione di news. Sul lato dei content creators, infatti, va detto che non apre opportunità di codifica customizzata dei file e agisce nei binari di un sistema, peraltro splendido, che è dentro il flusso di una tv che fa news. Gli effetti visivi (come le transizioni) non sono ancora disponibili, mentre le parti di titolazione o le librerie musicali devono essere introdotte e governate nel flusso dal pc, ma non possono essere create o gestite nella app (così come la cancellazione dei progetti).

    Una news tv che apre ora dovrebbe guardarli con tanto interesse, un semplice mojo forse potrebbe non giovarsi pienamente di un workflow “start to end” che per necessità (visto che è concepito per le news e per integrarsi nel flusso di lavoro di una newsroom tv) è dentro binari stabiliti. Pazzesco vedere all’opera questa App, comunque, per quante cose ti fa fare e quante operazioni rende facili nella tonnara del mondo delle news.

    Il mobile journalism deve restare libero. Tu anche.

    Alcune riflessioni finali, comunque. Come hai visto le novità delle principali app vanno verso il flusso di lavoro e allora ti invito a pensarci. Creati il tuo, comincia a vedere, passaggio per passaggio quello che ti serve per lavorare bene dall’acquisizione del materiale fino alla sua consegna. Pensaci bene: Feinberg nella sua intervista ha parlato perfino di monetizzazione del proprio lavoro tramite il collecamento di Kinemaster agli stock di vendita dei video. Ti rendi conto di quello che può voler dire questo? Sta cambiando tutto, allora segui il cambiamento. Tuttavia non rinunciare mai a pensare a una cosa, una cosa che deve restare sempre al centro del tuo lavoro. Pensa a curare ogni passaggio della tua esecuzione, ogni passaggio del tuo lavoro, fino al delivery, alla consegna sicura o alla monetizzazione dello stesso.

    Però resta libero: tutto quello che ti fa entrare dentro processi nei quali la proprietà perfetta del tuo lavoro ti sfugge dalle mani, beh, rifuggilo come fosse peste. In questo senso i big dell’editing stanno lavorando benissimo: ti danno opportunità in più facendoti tenere comunque sempre la possibilità di lavorare offline, dentro l’applicazione dall’inizio alla fine. Lì dentro c’è il tuo lavoro e devi essere tu a governarne il flusso, fino a quando decidi di effettuare la consegna a chi te lo compra. E sopratutto te lo paga.

  • IBC, secondo giorno: Artificial Intelligence, mobile journalism e un bluff

    IBC, secondo giorno: Artificial Intelligence, mobile journalism e un bluff

    Artificial Intelligence: il futuro del mobile journalism?

    Il secondo giorno all’IBC, International Broadcasting Conference, mi ha riservato un piccolo giro nel futuro del broadcasting e dell’entertainment che potrà arrivare nelle nostre case. Le macchine che ce lo recapiteranno, dai nuovi schermi alle “camere” teatro, dai visori di realtà immersiva alle Hololens, saranno dotate di Artificial Intelligence per migliorare costantemente la nostra esperienza e soddisfare sempre meglio le nostre aspettative.

    In un breve giro nella Future Zone della fiera ho visto talmente tanta potenza di calcolo da star male per lo spreco… ma anche macchine dotate di Artificial Intelligence che comprendevano le reazioni di chi le stava utilizzando per cambiare esperienza e modalità d fruizione della stessa a seconda dello stato d’animo. Questa predisposizione, lo abbiamo visto dal Keynote della Apple durante il quale è stato presentato l’ultimo iPhone, è entrata anche nell’hardware degli smartphone e sta per rivoluzionarne la modalità di fruizione. Ma al mobile journalism servirà? Il mobile journalist dovrà tenerne conto?

    Dal punto di vista della produzione di immagini… no

    Continuo a pensarla così come avevo scritto qualche giorno fa: il telefonino come macchina da produzione è quasi morto (un po’ come, a mio avviso, è quasi morta la tv come apparato di fruizione). Tuttavia dovremo pensare a quanta potenzialità ha ancora, specialmente con l’introduzione dell’Artificial Intelligence nelle macchine, come apparato di fruizione dei contenuti.

    Probabilmente con l’Artificial Intelligence che entra nei nostri giorni normali, dovremo cominciare a pensare a produrre contenuti responsivi, magari con diverse angolazioni di visione a seconda del pensiero di chi li vede, oppure con diversi modi di raccontare il finale a seconda della situazione di umore nella quale uno si trova. Esercizio difficilissimo, perché il giornalismo quello è e non deve essere responsivo, ma vero. Però io vedo alcuni modi per cui questa faccenda delle macchine che imparano cosa vogliamo vedere, fare e sapere e cosa ci serve possa diventare molto utile ai giornalisti. Anche ai freelance.

    Un’ultima considerazione: il grande bluff

    Qui alla fiera del broadcasting di Amsterdam forse non lo sanno, ma noi poveretti non abbiamo televisioni 2k, figurarci 4 o 8 k. Questa cosa che intrippa tantissimo i tecnici, l’elevatissima qualità tecnica dei segnali tv o over IP o via Satellite o vattelappesca cosa, per noi tapini è un non problema perché non possiamo manco sognarci di avere apparecchi tali. Figuriamoci se dobbiamo preoccuparci di filmare, se mobile journalist siamo e se mojo facciamo, in 4K o vattelapesca cosa. Lo dico sempre ai miei corsisti e colleghi. La prima cosa da fare è impostare la camera a 720 p. Tutto il resto è onanismo tecnologico.

  • IBC, primo giorno: la tv “chiede cose” al mojo

    IBC, primo giorno: la tv “chiede cose” al mojo

    IBC: effettivamente non è proprio “mobile”.

    Sono venuto ad Amsterdam, nel cuore del mondo del broadcasting mondiale, per vedere da vicino come sta evolvendo la tecnologia della televisione e che rapporto ha (o desidera avere) con il mondo del mobile. Una piccola premessa: la prima cosa che ho visto arrivando è una mega regia mobile (un camion) e mi è venuto un filino da ridere pensando a quanto sia poco “mobile” rispetto alle apparecchiature che utilizziamo noi mobile journalist.

    Ho incontrato le prime aziende”mojo”

    Il primo giorno, quello di ieri, è stato quello dell’arrivo mattutino e anche della stanchezza, ma nelle mie due incursioni di giornata all’ IBC, ho già avuto l’opportunità di incontrare alcuni attori del mondo mojo. Dalle chiacchierate fatte, qui nella fiera più importante al mondo per quanto riguarda la TV, ho compreso molto bene che si è verificato un cambiamento importante nell’atteggiamento delle aziende del mondo TV verso le aziende mobile.

    La domandina incuriosita.

    Tutti gli attori del mercato del software e dell’harware “mobile” che ci sono qui sono stati avvicinati da molte aziende che, all’ IBC, sono nel settore del broadcasting istituzionale. “Prima ci guardavano come fossimo arrivati da “Marte” – mi ha rivelato ieri Matthew Feinberg di Kinemaster – e chiedevano cosa fosse il mojo. In questa edizione sono arrivati molti interlocutori mostrando interesse per il nostro lavoro e cercando di iniziare un dialogo che possa portare all’integrazione di processi produttivi”.

    Nelle stanze del palazzo del Re Guglielmo, quindi (si tratta del palazzo che puoi vedere nella foto di apertura) c’è la tv che si muove e va verso la concezione di nuovi modi di produrre contenuti, modi che si integrino con le soluzioni mobili. Però fa ancora un errore che, per esempio in Italia, è davvero marchiano.

    Gli errori della tv.

    Anzi ne fa due. Il primo, anche se secondo gli esperti le cose stanno cambiando, è quello di continuare a investire un sacco sui modi di diffusione classica del segnale e sulle infrastrutture pesantissime e costosissime che servono per crearlo. Qui ci sono aziende che hanno satelliti nello spazio…

    Il secondo, invece, è l’errore macroscopico di produrre contenuti “replicati” dai modelli televisivi nei nostri telefoni e tablet. Mi chiedo e ti chiedo: perché?

  • Amsterdam, dove il domani del broadcasting è oggi

    Amsterdam, dove il domani del broadcasting è oggi

    Vado ad Amsterdam, ma prima ti racconto una cosa.

    Specifico: stanotte parto per la metropoli olandese dove andrò per due giorni, fitti di incontri e visite, all’International Broadcasting Conference, la più importante fiera mondiale della tv. Prima di spiegarti, tuttavia, cosa ci vado a fare, voglio ringraziare le oltre 300 persone che oggi mi hanno ascoltato al corso di formazione continua per Giornalisti, Avvocati e Commercialisti “Voglio (Devo) fare il freelance” che è andato in scena nella bellissima sala Biagi del Palazzo della Regione Lombardia.

    L’intervento sullo strumento del mobile journalism come arma di rinnovamento professionale è stato un’esperienza emozionante per me, perché mi ha fatto entrare in contatto con il desiderio di cambiamento che c’è in decine e decine di colleghi che mi hanno guardato con attenzione e partecipazione e che poi, lungo il corso di tutta la giornata, mi hanno fermato, chiesto informazioni, fatto complimenti, stretto la mano, dato un follow su Twitter o chiesto l’amicizia su Facebook.

    Un evento che mi ha caricato.

    Il corso e lo speech pubblico mi hanno davvero caricato e mi hanno responsabilizzato ulteriormente a mettere energia nel processo di crescita di questa community mojo. Anche i colleghi del mio team, come Fabio Ranfi, direttore di MilanoAllNews che è stato determinante per la riuscita della prolusione di oggi con il suo aiuto tecnico, sono rimasti impressionati dalla carica di entusiasmo mostrata. Beh, spero che si possa trasformare in presenza, in conoscenza, in link in relazioni, in corsi, in iniziative. Noi (cioè io e chi lavora al progetto) ce la mettiamo tutta e ti ringraziamo se vuoi partecipare: sei il benvenuto. Basta cliccare qui.

    Vado ad Amsterdam, al centro del mondo del broadcasting.

    AmsterdamDomani mattina prestissimo parto per Amsterdam. Vado per tre giorni all’International Broadcasting Conference, alla fiera che rappresenta il massimo del mondo della tv e del broadcasting mondiale. Voglio andare a guardare da vicino tutte le novità che riguardano il mondo della trasmissione dei contenuti e tutto quanto è mobile all’interno di questo pianeta. Avrò una fitta rete di incontri, ma farò anche giri, interviste, facebook live, tweet e contenuti per renderti partecipe di questo viaggio.

    Per scoprire, sapere, valutare, farsi provocare, incuriosire e guidare dentro il futuro della televisione e del web e di tutto quanto viene trasmesso. Perché ho scelto di andare all’IBC? Per un motivo semplice: il futuro vedrà una convergenza tra tv, mobile e web che creerà un nuovo ecosistema dell’informazione che parte da mobile e arriva a mobile. Voglio vedere cosa succederà del resto, di tutti i vecchi metodi di fare broadcasting che lì sono adeguatamente rappresentati.

  • Apple iPhone X e dintorni: vicina la fine choc del telefonino

    Apple iPhone X e dintorni: vicina la fine choc del telefonino

    Apple iPhone X e Keynote: uno spettacolo avvilente.

    Apple ha presentato al mondo i suoi nuovi prodotti, in diretta dallo Steve Jobs Theatre di Cupertino. iPhone 8 e iPhone 8 Plus, ma soprattutto iPhone X, quello del decennale, sono i nuovi lanci della casa della mela morsicata che ieri hanno catalizzato l’attenzione di addetti ai lavori e appassionati di tecnologia di tutto il mondo. Mobile Journalist compresi. Ebbene, proprio la comunità internazionale dei mojoer ha espresso tutto il suo disappunto per la mancanza, pressoché totale, di novità riguardanti la produzione di contenuti multimediali. Da sempre, infatti, la company fondata da Steve Jobs ha dettato le regole dell’innovazione e dell’interazione tra device mobili: ieri le novità presentate da Tim Cook sono sembrate senza mordente, quasi copiate dalla concorrenza che sta incalzando la Apple da vicino (superandola, talvolta, come nel caso di Huawei).

    Le cose buone per i mojo.

    Qualche ora fa ho twittato, scherzando, ma non troppo, che la cosa più interessante del Keynote di ieri era la terza serie dei Watch. Se fosse cosi si capirebbe subito che c’è anche altro nelle pieghe della presentazione di Cook e compari, tra ridicoli scambi di espressioni degli Animoji e presentazioni di caricatori wireless come se fossero una novità, ma è un altro da andare a scoprire. Ci sono alcune cose buone per i mobile journalist. Comincio con quelle legate all’hardware.

    AR, la nuova frontiera.

    Intanto la presentazione del nuovo processore ha impressionato. Si chiama A11 bionic e ai videomaker darà molte opportunità e molta velocità in più. Non c’è niente da dire, questi cuori dei telefoni e dei tablet della Apple sono imbattibili e le 600 miliardi di operazioni al secondo “promesse” dal processore dell’IPhone X, per esempio, sono un dato impressionante. Ci sono netti miglioramenti negli schermi, nella definizione dei colori, nei tempi di apertura dell’otturatore e nella stabilizzazione ottica.

    Se togli l’ultima specifica, però, ottima per i mojo come me e te, capirai velocemente che la principale attenzione dei produttori di iPhone si è orientata sulla fotografia, ma a noi serve fare video. Sempre per quanto riguarda l’hardware ha destato impressione la potenzialità mostrata dagli iPhone di nuova generazione per quanto riguardala AR, la augmented reality. Quella può essere una nuova frontiera di produzione dei contenuti multimediali, ma di qui a parlare di una cosa vendibile per i mojoer come me e te ce ne passa.

    Lo schermo dell’iPhone X, ma soprattutto il suo processore.

    Bello, bellissimo, inarrivabile l’iPhone del decennale. Con quello schermo Super retina e quelle specifiche da urlo per la definizione dei colori è cosa per intenditori, ma diciamocelo, c’è un problemino: nessuno in Italia emette segnali broadcast a 4K, cosa me ne faccio di uno schermo da miliardi di colori? Va chiarito, tra le cose buone, che il processore neurale dell’iPhone X è una figata pazzesca e ha 4,3 miliardi di transistor a pezzo, i quali fanno quei 600 miliardi di operazioni al secondo.

    Vuol dire che tra le mani hai il processore più avanzato dell’intero mercato delle device mobili e una macchina che annulla un computer in toto. E per chi fa video questo è una manna. I mobile journalist, tuttavia, sono quasi tutti incazzati per lo spreco di potenza del nuovo gingillo, ma sollevati perché “adesso il 7 costa molto meno”. Capito l’antifona? I mojo avevano bisogno di miglioramenti nel comparto fotografico e video, non di chip mostruosi utilizzati per fare le faccine.

    La vera chicca o il grande bluff.

    Se segui la mia FanPage (o il mio profilo) sai che sto utilizzando il sistema operativo iOS11 da qualche tempo: è li la vera dritta del nuovo pianeta della Mela. Si tratta di un sistema operativo che nell’iPhone del decennale viene utilizzato in modo diverso perché manca il tasto home (a proposito non è che finisco nei casini quando sto filmando con questo touch totale e questo riconoscimento facciale del cavolo?), ma negli iPhone 8 (e sinceramente anche nel mio) ha molto migliorato il software fotografico e video.

    Ci sono effetti di luce, gestione dei colori molto approfondite, migliore stabilizzazione, ma mi è sembrata tutta una questione di software. Il nuovo sistema operativo è più chiaro, più veloce, migliorato in ogni aspetto, è proprio un’altra storia rispetto ai precedenti. Poi ha la chicca del File Manager che, peraltro, resta un file manager parziale e per cloud, più che altro. Non va a cercarti la foto o il pdf che ti sei perso dentro il telefono….

    Comunque quello, il sistema nuovo di zecca che verrà rilasciato ai dispositivi compatibili il 19 settembre, è la vera innovazione. E se lo è nasconde il grande bluff di cui ti parlavo nel titolo: se c’è tanta innovazione nel software, non c’è nell’hardware. E si vede. Comunque per i mojoer iOS11 è da scaricare, ma portatevi il power bank. La batteria va che è un piacere e non cambia la situazione con le nuove batterie degli 8 che sono giudicate come dotate di 2 ore in più del iPhone 7.

    La cosa migliore di tutte.

    Vado verso la chiusura di questa analisi riflettendo sulla migliore notizia arrivata ieri da Cupertino per i mobile journalist. Si tratta del nuovo sistema di archiviazione dei video e dei contenuti multimediali che i nuovi iPhone hanno: salvano in H265 con encoding HEVC, high efficiency video coding. La morale della favoletta? Salvano il 50% di memoria in più, mica male per chi se la smazza con un sacco di video.

    La notizia peggiore.

    Sai come mi è sembrato Cook ieri? Mi è sembrato triste, molto triste. Già, perché ha presentato dei prodotti che sono arrivati al limite delle potenzialità fisiche e che, sostanzialmente, rendevano migliori e rendono migliori delle feature che già ci sono. Vedere un iPhone AR ready, ridursi a fare le faccine della cacchetta, mi ha fatto pensare.

    Mi ha fatto pensare che l’era del telefono sta per finire perché siamo arrivati al limite. Quel rettangolo li più di così non può fare. Per questo motivo manca poco anche a un cambiamento epocale dei mobile journalist che presto si ritroveranno a filmare con apparati wereable e a montare con schermi e tastiere virtuali. Te lo scrivo qui, il 13 settembre del 2017. Vediamo se per il 2022 si realizza qualcosa di quello che ho detto. Tu, intanto fa il mojo: cambia. Costantemente.

  • Riflessioni davanti al cadavere del giornalismo italiano

    Riflessioni davanti al cadavere del giornalismo italiano

    Il giornalismo visto da un treno.

    Scrivo su un treno. Quando scrivo su un treno mi sento più protetto. Non so perché, sarà che il movimento sembra portarsi via le parole che, fuggendo, mi fanno meno male. Però è un’impressione, lo so, una chimera.

    Forse non te ne frega, ma lo scrivo lo stesso.

    Le parole che scrivo in queste righe, infatti, fanno male anche sul treno, segnano dentro, tirano stiletti al cuore. Voglio riflettere con te sul futuro del giornalismo italiano e sul presente del giornalismo altrove.

    Perché altrove il giornalismo è vivo, qui il giornalismo è morto.

    Premetto subito: forse della mia visione delle cose non te ne fregherà un beneamato, ma voglio mettere giù questi appunti, fare queste fotografie della situazione, raccontare questi fatti e fare queste riflessioni, affinché vadano agli atti della mia modesta vita, ma raccontino anche che io mi batterò sempre perché le cose non rimangano come sono. Sarà pure una battaglia persa, ma la combatto in ogni caso. Quindi o ti saluto qui o spero che tu possa continuare a leggere usque ad fundum.

    Una strana telefonata e la ghigliottina.

    Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata con un collega che adoro. Abbiamo condiviso notti e speranze, delusioni e frustrazioni, sogni e bellissime storie raccontate. Parlando (e abbiamo parlato di tutto, visto che lui è uno dei pochissimi che mi ha seguito nella mia seconda vita lavorativa) ho tagliato una frase che è risuonata come una ghigliottina sulle speranze di chi fa il mio lavoro, almeno dentro questi confini nazionali.

    La categoria dei giornalisti.

    Stavo parlando dei giornalisti e ho definito la categoria così: “La categoria dei giornalisti – gli ho detto -si divide in due sottocategorie. Una è quella degli stronzi e, come sai, è ben frequentata. Gli stronzi sono tanti, ovunque, in ogni categoria. L’altra, tuttavia, è quella dei devastati. Devastati perché non riescono nemmeno a respirare (figuriamoci a pensare) se sono fuori sulla strada, visto che per guadagnare un onorario da fame devono trottare dalle 9 alle 22 senza riposo o contezza che qualcuno paghi le loro fatture. Devastati se sono dentro le redazioni perché chi ha il culo al caldo è troppo impegnato a salvarselo per fare il mestiere del giornalista nel frattempo”. La sua risposta: “Hai ragione”.

    Se sei un direttore, poi…

    Pochi giorni dopo ho parlato anche con un direttore di testata. L’ho visto tirarsi in volto quando mi ha raccontato da quanti anni e per quante volte il suo editore gli ha bocciato qualsiasi iniziativa editoriale. Ho preferito non chiedergli, invece, quante volte frequentano il suo ufficio gli scagnozzi della pubblicità. Avevo paura di quello che mi avrebbe risposto. L’ho visto stanco di non sapere dove va la sua testata, cosa può fare o non può fare. L’ho visto stanco di non capire che futuro avrà.

    “Pronto? Parlo col giornale Pincopallo?”

    Poi è successo altro. Per alcune iniziative del mio progetto ho contattato le redazioni di un giornale e di un sito. Volevo raccontare il mio lavoro e dire che avrei, nel giro di pochi giorni, tenuto un evento a pagamento. La risposta? Praticamente all’istante mi è stato fatto capire che se volevo che si pubblicasse qualcosa sul giornale (o sul sito) dovevo passare dalla pubblicità. Non mi era mai capitato di sentirmelo dire apertamente, senza poi discutere del fatto che 1) quella che stavo proponendo era una notizia, perché era la prima volta in assoluto che si teneva un evento di quel genere nel territorio di quelle testate; 2) Non ci ho praticamente guadagnato nulla vista la montagna di ore che mi sono occorse per prepararlo. Figurati se avevo soldi per pubblicizzarlo. La prossima volta chiamo direttamente la concessionaria, visto che il giornale lo fanno loro. Quando facevo il giornalista non sapevo nemmeno dove fossero gli uffici della pubblicità.

    I marchettifici e la pubblicità degli influencer.

    Ho avuto sentori di questa puzza anche altrove, ma mi limito a pensare che è prima il caso di toccare con mano la maleodorante trasformazione dei giornali in posti nei quali la pubblicità decide che cosa si scrive in modo definitivo e ultimativo. Ti farò sapere. Intanto prego te e altri di non venire a farmi la morale sulla pubblicità dei blogger o degli influencer perché quella è chiaro a tutti cosa sia. Per questo è meno stronza. Tutto alla luce del sole: la marchetta ha il bollino: lo vedi, se vuoi continui, se vuoi cambi pagina o stoppi il video. È semplice la differenza: il giornalista che chiede di passare alla concessionaria è una prostituta italiana, quello che fa sponsored post è una prostituta di Amsterdam. In vetrina, curata, controllata, con il cartello della non positività all’HIV fuori dalla porta.

    Il lampo di Yusuf.

    Un giorno mi telefona A. e mi dice “Oh Facco (lui mi chiama così) ma hai visto cosa ha fatto il tuo amico Yusuf Omar?”. Trasecolo: Yusuf è un amico, ma è anche uno su cui ho scritto testi, come puoi vedere da questo articolo. “Cosa ha combinato?”. E lui: “Ha appena lasciato la CNN. Dopo 7 settimane… dice che se ne va in giro per il mondo”. Quando ho capito ho avuto un brivido gelido lungo la schiena. Uno dei più visionari giornalisti del mondo ha mollato una delle più importanti televisioni del mondo per due motivi: 1) Perché stavano tentando di ingabbiarlo (e questo motivo ce lo metto io e lui non me lo confermerà mai; 2) Per andare in giro per il mondo a insegnare a comunità di stati emergenti a usare il Mobile Journalism per far sentire la propria voce al di là di qualsiasi editore, giornale, sito, tv.

    Il prossimo miliardo.

    Yusuf e sua moglie Sumaiya gireranno 20 nazioni realizzando incontri e workshop sul mojo e io ho voluto chiedere perché a Yusuf: “Perché ci siamo accorti – mi ha detto personalmente – che i media mainstream perdono troppe storie. Sono omologati, schiacciati, uguali. Fuori dai soliti circuiti c’è un mondo di storie che nessuno racconta e che noi vogliamo far raccontare ai protagonisti stessi, facendo a meno dei media, con la loro voce, grazie al mojo. Storie vere, magari prese da più di un telefono, da più di una angolazione, storie che aiutino le comunità a uscire allo scoperto”. Non so se te l’ho già detto, ma è semplice: Yusuf sta andando dove c’è il prossimo miliardo di utilizzatori di internet, il quale non digiterà un carattere, ma parlerà e vorrà ascoltare la voce del mondo tramite contenuti multimediali. Si tratta, tra l’altro, di un miliardo di utilizzatori del web di paesi emergenti.

    Mentre il cadavere del giornalismo imputridisce, c’è chi va verso un altro pianeta. Il progetto di Yusuf e Sumaiya Omar è www.hashtagourstories.com. Il futuro è li. Io vado: vieni?

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