Autore: Francesco Facchini

  • Amsterdam, dove il domani del broadcasting è oggi

    Amsterdam, dove il domani del broadcasting è oggi

    Vado ad Amsterdam, ma prima ti racconto una cosa.

    Specifico: stanotte parto per la metropoli olandese dove andrò per due giorni, fitti di incontri e visite, all’International Broadcasting Conference, la più importante fiera mondiale della tv. Prima di spiegarti, tuttavia, cosa ci vado a fare, voglio ringraziare le oltre 300 persone che oggi mi hanno ascoltato al corso di formazione continua per Giornalisti, Avvocati e Commercialisti “Voglio (Devo) fare il freelance” che è andato in scena nella bellissima sala Biagi del Palazzo della Regione Lombardia.

    L’intervento sullo strumento del mobile journalism come arma di rinnovamento professionale è stato un’esperienza emozionante per me, perché mi ha fatto entrare in contatto con il desiderio di cambiamento che c’è in decine e decine di colleghi che mi hanno guardato con attenzione e partecipazione e che poi, lungo il corso di tutta la giornata, mi hanno fermato, chiesto informazioni, fatto complimenti, stretto la mano, dato un follow su Twitter o chiesto l’amicizia su Facebook.

    Un evento che mi ha caricato.

    Il corso e lo speech pubblico mi hanno davvero caricato e mi hanno responsabilizzato ulteriormente a mettere energia nel processo di crescita di questa community mojo. Anche i colleghi del mio team, come Fabio Ranfi, direttore di MilanoAllNews che è stato determinante per la riuscita della prolusione di oggi con il suo aiuto tecnico, sono rimasti impressionati dalla carica di entusiasmo mostrata. Beh, spero che si possa trasformare in presenza, in conoscenza, in link in relazioni, in corsi, in iniziative. Noi (cioè io e chi lavora al progetto) ce la mettiamo tutta e ti ringraziamo se vuoi partecipare: sei il benvenuto. Basta cliccare qui.

    Vado ad Amsterdam, al centro del mondo del broadcasting.

    AmsterdamDomani mattina prestissimo parto per Amsterdam. Vado per tre giorni all’International Broadcasting Conference, alla fiera che rappresenta il massimo del mondo della tv e del broadcasting mondiale. Voglio andare a guardare da vicino tutte le novità che riguardano il mondo della trasmissione dei contenuti e tutto quanto è mobile all’interno di questo pianeta. Avrò una fitta rete di incontri, ma farò anche giri, interviste, facebook live, tweet e contenuti per renderti partecipe di questo viaggio.

    Per scoprire, sapere, valutare, farsi provocare, incuriosire e guidare dentro il futuro della televisione e del web e di tutto quanto viene trasmesso. Perché ho scelto di andare all’IBC? Per un motivo semplice: il futuro vedrà una convergenza tra tv, mobile e web che creerà un nuovo ecosistema dell’informazione che parte da mobile e arriva a mobile. Voglio vedere cosa succederà del resto, di tutti i vecchi metodi di fare broadcasting che lì sono adeguatamente rappresentati.

  • Apple iPhone X e dintorni: vicina la fine choc del telefonino

    Apple iPhone X e dintorni: vicina la fine choc del telefonino

    Apple iPhone X e Keynote: uno spettacolo avvilente.

    Apple ha presentato al mondo i suoi nuovi prodotti, in diretta dallo Steve Jobs Theatre di Cupertino. iPhone 8 e iPhone 8 Plus, ma soprattutto iPhone X, quello del decennale, sono i nuovi lanci della casa della mela morsicata che ieri hanno catalizzato l’attenzione di addetti ai lavori e appassionati di tecnologia di tutto il mondo. Mobile Journalist compresi. Ebbene, proprio la comunità internazionale dei mojoer ha espresso tutto il suo disappunto per la mancanza, pressoché totale, di novità riguardanti la produzione di contenuti multimediali. Da sempre, infatti, la company fondata da Steve Jobs ha dettato le regole dell’innovazione e dell’interazione tra device mobili: ieri le novità presentate da Tim Cook sono sembrate senza mordente, quasi copiate dalla concorrenza che sta incalzando la Apple da vicino (superandola, talvolta, come nel caso di Huawei).

    Le cose buone per i mojo.

    Qualche ora fa ho twittato, scherzando, ma non troppo, che la cosa più interessante del Keynote di ieri era la terza serie dei Watch. Se fosse cosi si capirebbe subito che c’è anche altro nelle pieghe della presentazione di Cook e compari, tra ridicoli scambi di espressioni degli Animoji e presentazioni di caricatori wireless come se fossero una novità, ma è un altro da andare a scoprire. Ci sono alcune cose buone per i mobile journalist. Comincio con quelle legate all’hardware.

    AR, la nuova frontiera.

    Intanto la presentazione del nuovo processore ha impressionato. Si chiama A11 bionic e ai videomaker darà molte opportunità e molta velocità in più. Non c’è niente da dire, questi cuori dei telefoni e dei tablet della Apple sono imbattibili e le 600 miliardi di operazioni al secondo “promesse” dal processore dell’IPhone X, per esempio, sono un dato impressionante. Ci sono netti miglioramenti negli schermi, nella definizione dei colori, nei tempi di apertura dell’otturatore e nella stabilizzazione ottica.

    Se togli l’ultima specifica, però, ottima per i mojo come me e te, capirai velocemente che la principale attenzione dei produttori di iPhone si è orientata sulla fotografia, ma a noi serve fare video. Sempre per quanto riguarda l’hardware ha destato impressione la potenzialità mostrata dagli iPhone di nuova generazione per quanto riguardala AR, la augmented reality. Quella può essere una nuova frontiera di produzione dei contenuti multimediali, ma di qui a parlare di una cosa vendibile per i mojoer come me e te ce ne passa.

    Lo schermo dell’iPhone X, ma soprattutto il suo processore.

    Bello, bellissimo, inarrivabile l’iPhone del decennale. Con quello schermo Super retina e quelle specifiche da urlo per la definizione dei colori è cosa per intenditori, ma diciamocelo, c’è un problemino: nessuno in Italia emette segnali broadcast a 4K, cosa me ne faccio di uno schermo da miliardi di colori? Va chiarito, tra le cose buone, che il processore neurale dell’iPhone X è una figata pazzesca e ha 4,3 miliardi di transistor a pezzo, i quali fanno quei 600 miliardi di operazioni al secondo.

    Vuol dire che tra le mani hai il processore più avanzato dell’intero mercato delle device mobili e una macchina che annulla un computer in toto. E per chi fa video questo è una manna. I mobile journalist, tuttavia, sono quasi tutti incazzati per lo spreco di potenza del nuovo gingillo, ma sollevati perché “adesso il 7 costa molto meno”. Capito l’antifona? I mojo avevano bisogno di miglioramenti nel comparto fotografico e video, non di chip mostruosi utilizzati per fare le faccine.

    La vera chicca o il grande bluff.

    Se segui la mia FanPage (o il mio profilo) sai che sto utilizzando il sistema operativo iOS11 da qualche tempo: è li la vera dritta del nuovo pianeta della Mela. Si tratta di un sistema operativo che nell’iPhone del decennale viene utilizzato in modo diverso perché manca il tasto home (a proposito non è che finisco nei casini quando sto filmando con questo touch totale e questo riconoscimento facciale del cavolo?), ma negli iPhone 8 (e sinceramente anche nel mio) ha molto migliorato il software fotografico e video.

    Ci sono effetti di luce, gestione dei colori molto approfondite, migliore stabilizzazione, ma mi è sembrata tutta una questione di software. Il nuovo sistema operativo è più chiaro, più veloce, migliorato in ogni aspetto, è proprio un’altra storia rispetto ai precedenti. Poi ha la chicca del File Manager che, peraltro, resta un file manager parziale e per cloud, più che altro. Non va a cercarti la foto o il pdf che ti sei perso dentro il telefono….

    Comunque quello, il sistema nuovo di zecca che verrà rilasciato ai dispositivi compatibili il 19 settembre, è la vera innovazione. E se lo è nasconde il grande bluff di cui ti parlavo nel titolo: se c’è tanta innovazione nel software, non c’è nell’hardware. E si vede. Comunque per i mojoer iOS11 è da scaricare, ma portatevi il power bank. La batteria va che è un piacere e non cambia la situazione con le nuove batterie degli 8 che sono giudicate come dotate di 2 ore in più del iPhone 7.

    La cosa migliore di tutte.

    Vado verso la chiusura di questa analisi riflettendo sulla migliore notizia arrivata ieri da Cupertino per i mobile journalist. Si tratta del nuovo sistema di archiviazione dei video e dei contenuti multimediali che i nuovi iPhone hanno: salvano in H265 con encoding HEVC, high efficiency video coding. La morale della favoletta? Salvano il 50% di memoria in più, mica male per chi se la smazza con un sacco di video.

    La notizia peggiore.

    Sai come mi è sembrato Cook ieri? Mi è sembrato triste, molto triste. Già, perché ha presentato dei prodotti che sono arrivati al limite delle potenzialità fisiche e che, sostanzialmente, rendevano migliori e rendono migliori delle feature che già ci sono. Vedere un iPhone AR ready, ridursi a fare le faccine della cacchetta, mi ha fatto pensare.

    Mi ha fatto pensare che l’era del telefono sta per finire perché siamo arrivati al limite. Quel rettangolo li più di così non può fare. Per questo motivo manca poco anche a un cambiamento epocale dei mobile journalist che presto si ritroveranno a filmare con apparati wereable e a montare con schermi e tastiere virtuali. Te lo scrivo qui, il 13 settembre del 2017. Vediamo se per il 2022 si realizza qualcosa di quello che ho detto. Tu, intanto fa il mojo: cambia. Costantemente.

  • Riflessioni davanti al cadavere del giornalismo italiano

    Riflessioni davanti al cadavere del giornalismo italiano

    Il giornalismo visto da un treno.

    Scrivo su un treno. Quando scrivo su un treno mi sento più protetto. Non so perché, sarà che il movimento sembra portarsi via le parole che, fuggendo, mi fanno meno male. Però è un’impressione, lo so, una chimera.

    Forse non te ne frega, ma lo scrivo lo stesso.

    Le parole che scrivo in queste righe, infatti, fanno male anche sul treno, segnano dentro, tirano stiletti al cuore. Voglio riflettere con te sul futuro del giornalismo italiano e sul presente del giornalismo altrove.

    Perché altrove il giornalismo è vivo, qui il giornalismo è morto.

    Premetto subito: forse della mia visione delle cose non te ne fregherà un beneamato, ma voglio mettere giù questi appunti, fare queste fotografie della situazione, raccontare questi fatti e fare queste riflessioni, affinché vadano agli atti della mia modesta vita, ma raccontino anche che io mi batterò sempre perché le cose non rimangano come sono. Sarà pure una battaglia persa, ma la combatto in ogni caso. Quindi o ti saluto qui o spero che tu possa continuare a leggere usque ad fundum.

    Una strana telefonata e la ghigliottina.

    Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata con un collega che adoro. Abbiamo condiviso notti e speranze, delusioni e frustrazioni, sogni e bellissime storie raccontate. Parlando (e abbiamo parlato di tutto, visto che lui è uno dei pochissimi che mi ha seguito nella mia seconda vita lavorativa) ho tagliato una frase che è risuonata come una ghigliottina sulle speranze di chi fa il mio lavoro, almeno dentro questi confini nazionali.

    La categoria dei giornalisti.

    Stavo parlando dei giornalisti e ho definito la categoria così: “La categoria dei giornalisti – gli ho detto -si divide in due sottocategorie. Una è quella degli stronzi e, come sai, è ben frequentata. Gli stronzi sono tanti, ovunque, in ogni categoria. L’altra, tuttavia, è quella dei devastati. Devastati perché non riescono nemmeno a respirare (figuriamoci a pensare) se sono fuori sulla strada, visto che per guadagnare un onorario da fame devono trottare dalle 9 alle 22 senza riposo o contezza che qualcuno paghi le loro fatture. Devastati se sono dentro le redazioni perché chi ha il culo al caldo è troppo impegnato a salvarselo per fare il mestiere del giornalista nel frattempo”. La sua risposta: “Hai ragione”.

    Se sei un direttore, poi…

    Pochi giorni dopo ho parlato anche con un direttore di testata. L’ho visto tirarsi in volto quando mi ha raccontato da quanti anni e per quante volte il suo editore gli ha bocciato qualsiasi iniziativa editoriale. Ho preferito non chiedergli, invece, quante volte frequentano il suo ufficio gli scagnozzi della pubblicità. Avevo paura di quello che mi avrebbe risposto. L’ho visto stanco di non sapere dove va la sua testata, cosa può fare o non può fare. L’ho visto stanco di non capire che futuro avrà.

    “Pronto? Parlo col giornale Pincopallo?”

    Poi è successo altro. Per alcune iniziative del mio progetto ho contattato le redazioni di un giornale e di un sito. Volevo raccontare il mio lavoro e dire che avrei, nel giro di pochi giorni, tenuto un evento a pagamento. La risposta? Praticamente all’istante mi è stato fatto capire che se volevo che si pubblicasse qualcosa sul giornale (o sul sito) dovevo passare dalla pubblicità. Non mi era mai capitato di sentirmelo dire apertamente, senza poi discutere del fatto che 1) quella che stavo proponendo era una notizia, perché era la prima volta in assoluto che si teneva un evento di quel genere nel territorio di quelle testate; 2) Non ci ho praticamente guadagnato nulla vista la montagna di ore che mi sono occorse per prepararlo. Figurati se avevo soldi per pubblicizzarlo. La prossima volta chiamo direttamente la concessionaria, visto che il giornale lo fanno loro. Quando facevo il giornalista non sapevo nemmeno dove fossero gli uffici della pubblicità.

    I marchettifici e la pubblicità degli influencer.

    Ho avuto sentori di questa puzza anche altrove, ma mi limito a pensare che è prima il caso di toccare con mano la maleodorante trasformazione dei giornali in posti nei quali la pubblicità decide che cosa si scrive in modo definitivo e ultimativo. Ti farò sapere. Intanto prego te e altri di non venire a farmi la morale sulla pubblicità dei blogger o degli influencer perché quella è chiaro a tutti cosa sia. Per questo è meno stronza. Tutto alla luce del sole: la marchetta ha il bollino: lo vedi, se vuoi continui, se vuoi cambi pagina o stoppi il video. È semplice la differenza: il giornalista che chiede di passare alla concessionaria è una prostituta italiana, quello che fa sponsored post è una prostituta di Amsterdam. In vetrina, curata, controllata, con il cartello della non positività all’HIV fuori dalla porta.

    Il lampo di Yusuf.

    Un giorno mi telefona A. e mi dice “Oh Facco (lui mi chiama così) ma hai visto cosa ha fatto il tuo amico Yusuf Omar?”. Trasecolo: Yusuf è un amico, ma è anche uno su cui ho scritto testi, come puoi vedere da questo articolo. “Cosa ha combinato?”. E lui: “Ha appena lasciato la CNN. Dopo 7 settimane… dice che se ne va in giro per il mondo”. Quando ho capito ho avuto un brivido gelido lungo la schiena. Uno dei più visionari giornalisti del mondo ha mollato una delle più importanti televisioni del mondo per due motivi: 1) Perché stavano tentando di ingabbiarlo (e questo motivo ce lo metto io e lui non me lo confermerà mai; 2) Per andare in giro per il mondo a insegnare a comunità di stati emergenti a usare il Mobile Journalism per far sentire la propria voce al di là di qualsiasi editore, giornale, sito, tv.

    Il prossimo miliardo.

    Yusuf e sua moglie Sumaiya gireranno 20 nazioni realizzando incontri e workshop sul mojo e io ho voluto chiedere perché a Yusuf: “Perché ci siamo accorti – mi ha detto personalmente – che i media mainstream perdono troppe storie. Sono omologati, schiacciati, uguali. Fuori dai soliti circuiti c’è un mondo di storie che nessuno racconta e che noi vogliamo far raccontare ai protagonisti stessi, facendo a meno dei media, con la loro voce, grazie al mojo. Storie vere, magari prese da più di un telefono, da più di una angolazione, storie che aiutino le comunità a uscire allo scoperto”. Non so se te l’ho già detto, ma è semplice: Yusuf sta andando dove c’è il prossimo miliardo di utilizzatori di internet, il quale non digiterà un carattere, ma parlerà e vorrà ascoltare la voce del mondo tramite contenuti multimediali. Si tratta, tra l’altro, di un miliardo di utilizzatori del web di paesi emergenti.

    Mentre il cadavere del giornalismo imputridisce, c’è chi va verso un altro pianeta. Il progetto di Yusuf e Sumaiya Omar è www.hashtagourstories.com. Il futuro è li. Io vado: vieni?

  • Insta360 One: la videocamera immersiva che trasforma tutti in pro

    Insta360 One: la videocamera immersiva che trasforma tutti in pro

    Insta360 One: una creatura che cambia tutto.

    Dal pomeriggio di oggi il lancio della Insta360 One, nuova creatura dell’azienda di Shenzhen famosa per la Insta 360 Nano di cui ti ho molto parlato, è diventato ufficiale. Si tratta di una videocamera a 360 gradi che rappresenta l’anello di congiunzione tra il mondo consumer e i produttori di contenuti immersivi professionali. La company cinese sta cercando di fare qualcosa di straordinario e, dalle immagini e dalle notizie che sono arrivate fino in Italia, sembra possa riuscirci proprio con la Insta360 One. Di cosa sto parlando? Della missione di rendere la produzione di video immersivi facile e accessibile a tutti.

    Una “bestia” alla portata dei consumatori.

    E’ una 360 che può fare video e foto a risoluzione 4k, ha una macchina fotografica da 24 megapixel in grado di arrivare al raw, può andare in livestreaming su tutte le principali piattaforme ed essere comandata via bluetooth (novità rispetto alle pari livello). Può lavorare in plug-in sul telefono (per ora solo iOS, ma è già stata annunciata la versione Android, in subacquea con la apposita case impermeabile venduta a parte (impermeabile IP68 fino a 30 metri), in remoto o da sola. E’ una bestia dalle specifiche molto potenti (70 minuti di registrazione in continuo prima che si scarichi), ma ha la capacità di rendere facili le cose a tutti. Prima di addentrarmi nelle novità di livello mondiale, tuttavia, ti dico una cavolatina simpaticissima e ti riferisco le parole del capoccia di Insta rilasciate oggi ai media. Parole che fanno pensare.

    La cazzatina simpaticissima.

    Quando attacchi la Insta360 One a un selfie stick la camera lo cancellerà dalla foto stessa dando l’impressione di eseguire delle foto aeree, funzione che, te lo racconterò fra un po’ diventerà “wow” in un particolare effetto di cui è dotata la camera stessa. Ecco, invece, le parole del Ceo e Fondatore dell’azienda che dal 2014 si è messa in testa di portare i video a 360 gradi a livello del pubblico consumer. “La Insta360 One – racconta JK Liu – è il risultato degli sforzi che abbiamo fatto per mettere a disposizione del pubblico una videocamera professionale che fosse in grado di avere caratteristiche “pro”, ma anche di essere il più facile possibile da usare. Pensiamo di esser riusciti a creare un prodotto rivoluzionario che, tra l’altro, con l’esclusiva feature Free Capture cambierà per sempre il mondo della ripresa video”.

    Free Capture: un’innovazione pazzesca.

    Free Capture è una delle due novità della Insta360 One e rischia di mandare gambe all’aria tutti i già gracili studi che ho fatto sul 360 gradi introducendo un altro linguaggio pazzesco nel modo di creare video. Di cosa si tratta? Ecco qui, te lo spiego con un video.

    Hai capito? Ok, te lo dico anche a parole, per essere sicuro che ti sia chiaro. Piazzi la camera in mezzo alla scena, la fai partire e lei va. Tu, poi, in montaggio, con la funzione Free Capture, puoi andare a prenderti gli estratti del tuo video a 360 gradi, possibilmente girato in 4k, per editarli trasformandoli in un video lineare alto 1080. Ancora non ci credi, vero? Può cambiare per sempre la percezione del montaggio di un video.

    L’effetto Bullet Time.

    Nella confezione della Insta30 One c’è anche un resistentissimo cordino cui si può attaccare la propria video camera che arriva con una definizione di 240 fps a creare un effetto pazzesco per il quale il centro della foto o del video è chi sta riprendendo la foto. Se si attacca il cordino alla camera e la si fa roteare, la Insta360 prende tutto il surround mettendoci al centro della scena e cancellando cordino e camera dalla scena stessa. Ecco manuale e risultato.

    C’e da restarne storditi.

    Certo, adesso aspetto di provare l’aggeggio, ma l’impressione è che la Insta abbia fatto centro per un oggetto che oggi costa 299 dollari ma il prezzo in euro pare un po’ più alto (340) e che puoi acquistare qui, ma forse troverai i server down perché nel mondo dei mojoer non si parla d’altro. C’è da restare storditi per il concentrato di tecnologia rappresentato dalla Insta360 One che, fra l’altro, monta anche uno stabilizzatore 6 assi e viene provvista di tutti gli accessori per farla diventare una vera sportcam a 360 gradi. Eppure il prodotto è lanciato e l’idea di mettere in mano a un pubblico potenzialmente grandissimo uno strumento pro potrebbe avere un grande impatto sul mondo visuale e sul modo di fare video.

    Il tutto secondo una filosofia che già in maggio a Galway, gli amici di Insta mi hanno spiegato così, con le parole di uno dei dirigenti del marketing: “Vogliamo rendere il video a 360 gradi facile”. Pare ci stiano riuscendo. “E’ un linguaggio nuovo – mi raccontava allora Max Richter – un linguaggio che vi invito a provare con gli strumenti di Insta che possono soddisfare la più grande varietà di esigenze. Abbiamo la Nano come entry level, ma arriviamo fino alle professionali che girano in 8K. Nella nostra gamma ce n’è per tutti i gusti e tutte le professionalità. Quello che raccomando è entrare dal basso e provare, testare, capire lo strumento e i suoi linguaggi. E poi crescere”.

  • Siamo tutti videomaker ed è ora di capirlo

    Siamo tutti videomaker ed è ora di capirlo

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    Videomaker “vil razza dannata”.

    Nell’ultimo post ti ho raccontato cosa sia il mobile videomaking e che opportunità può sviluppare per tutti noi, in qualsiasi mondo, in qualsiasi aspetto della nostra vita. Se non lo hai letto fai un giro qui e poi torna, che voglio spiegarti il motivo per cui sei assolutamente preparato per fare il videomaker e forse, semplicemente, nessuno te lo ha ancora spiegato come si deve. Io e il collega Fabio Ranfi, vulcanico direttore di MilanoAllNews e seconda anima della casa del mobile journalism milanese, ne abbiamo parlato a lungo e abbiamo fatto molte riflessioni ad alta voce, seguendo le riflessioni fatte da uno dei padri del mobile journalism mondiale, Michael Rosenblum.

    Abbiamo fatto migliaia di ore di scuola.

    Il giornalista americano, infatti, sottolinea nel suo libro “iPhone Millionaire” che per decenni siamo stati davanti a uno schermo a guardare inquadrature e che, per questo, sappiamo distinguere benissimo quello che è buono da quello che non lo è. I tg che abbiamo visto, i telefilm che abbiamo seguito, le interviste che abbiamo guardato, i documentari, i film, i reality, gli speciali. E oggi i video sui social, sui siti, i tweet, gli snap. Abbiamo la capacità di sapere cosa fare per far un buon video, ma ci manca lo studio della grammatica e del linguaggio, del software adatto e dell’hardware.

    Per questo motivo alla nostra “preparazione” naturale, dobbiamo aggiungere la cultura e le informazioni del mobile videomaking, in modo da far diventare “redditizio” e “attivo” tutto quel patrimonio di conoscenze che giace inutilizzato nel nostro cervello.

    Non basta aver “subito” tutte quelle migliaia di ore di scuola, bisogna “attivarle” con il mobile videomaking. Insomma, siamo tutti videomaker e ancora non ce ne siamo accorti proprio per bene, ma se sei qui sei sulla strada buona, almeno tu, per rendertene conto in modo definitivo e per usare a tuo vantaggio questa opportunità.

    Le riflessioni del Ranfi.

    Il buon Fabio Ranfi ha riflettuto sull’argomento da par suo sul suo blog. Ecco che cosa è uscito dalla sua penna mojo e dalla competenza con la quale ha tirato fuori e messo “nero su bianco” i dati sul turbine di video che ci girano intorno tutti i giorni.

     

    Fabio Ranfi

    Sei miliardi di ore al mese. Sono le ore di filmati che ogni mese nel mondo vengono viste tramite YouTube. Quattrocento sono, invece, le ore che vengono caricate ogni minuto sempre sul popolare Social Media. YouTube è sicuramente il più grande distributore di “contenuti video” al mondo, ma è da ben prima del suo arrivo che abbiamo iniziato il nostro corso “inconscio” di videomaker.


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  • Video con lo smartphone: è solo questo il mobile videomaking?

    Video con lo smartphone: è solo questo il mobile videomaking?

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    Fare video con lo smartphone: una necessità impellente.

    L’altro giorno sono stato a fare una gita in Svizzera e, a un certo punto, mi è caduta la marmitta della macchina sulla strada. Un gran baccano, un clangore pazzesco, la macchina che rallenta in un punto un po’ problematico e io che guardo nello specchietto retrovisore e… sorrido. Perché? Oddio, prima di sorridere ho pensato anche una cosa un po’ volgare (una cosa tipo “Cazzo filmi”), poi ho sorriso. Il motivo? Dietro di me, una ragazza, dentro una macchina, riprendeva la scena della mia macchina con la marmitta a terra che faceva scintille. Riprendeva la scena con il telefono e in verticale.

    Insomma, il gesto di riprendere un fatto che ci accade davanti è diventato un comportamento ancestrale, quasi un riflesso. Il gesto di riprenderlo in verticale, beh, anche quello è, diciamo un riflesso condizionato dall’uso che facciamo del telefono. Ti tiro una riga: fare video con lo smartphone è un nostro linguaggio comune ed è un modo di comunicare in rapida crescita in tutti i campi. Per questo va allenato, se non altro per mettere il cellulare in orizzontale quando si riprende (anche perché non credo che metterai la tv o il pc in verticale per guardarli.

    Il video (e l’audio) stanno mandando in pensione la tastiera.

    Se non te ne sei già accorto (forse si, se leggi queste righe), te lo sottolineo io: il video e l’audio (ma ci metto dentro pure la foto) sono i due (tre) tipi di comunicazione più importanti di questo nosto periodo. Non scriviamo più, nemmeno sulla tastiera. Tendiamo, comunque, a riprendere immagini in movimento appena possiamo (come quando ci casca una marmitta nella macchina davanti) o a mandare foto per un saluto o audio se il concetto che dovremmo scrivere supera le 20-30 parole.

    Le giovani generazioni, poi, hanno smesso di digitare, tra faccine del cavolo e abbreviazioni, anche una singola lettera. Meglio un video, meglio uno snap, meglio un audio, meglio una gif. Insomma, il video e l’audio stanno mandando in pensione la tastiera. Il linguaggio video, poi, ci viene in soccorso quando dobbiamo sapere una cosa, imparare una cosa, vedere una cosa. Non ti convince il ragionamento? Ti metto qui un link del WSJ che ti farà cambiare idea: il paludato giornale di NY ha già messo giù, con dovizia di dati, un report sul fatto che il prossimo miliardo di utilizzatori di internet non digiterà più una lettera e comunicherà solo con audio e video.

    Ecco: guarderai per decenni, ma se fossi tu a produrre?

    Starai per decenni davanti a uno schermo a guardare dei video, ma pensa a come potrebbe cambiare la tua vita e il tuo lavoro se potessi diventare tu produttore. Si, sto parlando del fatto che potresti diventare serenamente un videomaker e aiutare il tuo capo, migliorare la tua azienda, presentare un tuo nuovo prodotto, raccontare un’ingiustizia subita o semplicemente per mandare gli auguri di buon compleanno a mamma. Lo strumento per farlo? Il tuo smartphone. La disciplina da imparare per farlo? Il mobile videomaking, appunto. Cos’è? E’ il mobile journalism, disciplina e cultura di cui parlo da mesi su queste colonne, aperta a tutti.

    D’altronde viviamo nell’epoca in cui tutti possono essere giornalisti, grazie alle piattaforme sociali e alla possibilità potenziale di arrivare a miliardi di persone. Perché, quindi, non approfittarne per metterlo nel motore di qualsiasi azione? Ecco il motivo per cui, nel progetto di Italianmojo, abbiamo deciso di iniziare i nostri progetti di corsi creando una versione di base del mobile journalism che potesse rappresentare uno strumento utile e immediatamente utilizzabile per qualsiasi professionalità e qualsiasi necessità.

    Ma che diavolo è, quindi, questo movi?

    Il mobile videomaking, quindi, è quella disciplina che fa apprendere modi, tecniche, operazioni e informazioni necessarie  a creare video con lo smartphone per i più svariati usi. Cosa c’è al centro? Un concetto molto semplice: siamo tutti storyteller, siamo tutti uomini con una storia da raccontare. Se si apprendono correttamente le basi del racconto per immagini, gli strumenti necessari, le operazioni di base per l’editing, beh, si diventa immediatamente operativi per la creazione di un contenuto multimediale video (ma anche audio) di qualità professionale.

    Pensaci veramente, fermati un istante: potresti aiutare il tuo capo per la dichiarazione pubblica da mettere sul sito, potresti valorizzare i tuoi prodotti con un video, iniziare a fare un blog di ricette di torte, fare una dichiarazione d’amore al tuo moroso o morosa. Ti si aprirebbero le praterie di possibilità che un linguaggio video codificato e professionale possono dare. Ieri sera ho fatto sull’argomento un paio di riflessioni in diretta con i lettori della mia fanpage. Te le metto qui sotto, magari aiutano.

     

    Sei uno studente? Buttati.

    La presenza di un giovane studente al mio primo corso mi ha colpito molto. Ognuno ha il suo mobile videomaking, i motivi per cui lo vuole imparare, i suoi obiettivi. La cosa importante è questa: il movi si adatta a non viceversa. Per questo motivo, quando il giovane studente, alla mia domanda “Perché sei venuto?” mi ha risposto “Perché indipendentemente dai miei studi, questo linguaggio sarà determinante per il mio futuro”. Beh, applausi. Se sei studente, quindi, buttati senza se e senza ma.

    Nei prossimi giorni il team di Italianmojo e MilanoAllNews riprenderà i corsi. Il primo appuntamento è previsto a Udine ed è organizzato in collaborazione con lo spazio Mantica 26 della dottoressa Francesca Vittorio.  Per aprire un vero e proprio gruppo friulano su questa materia mi sono rivolto a Meet Up che puoi trovare qui, mentre per iscriversi al corso a Udine il prossimo 2 settembre la via è questa.

    Per quanto riguarda il gruppo di Milano, ricominceremo la nostra attività con un incontro il 15 settembre, mentre i primi corsi saranno il 17 settembre e il 30 settembre prossimi. Come si vede dal Meet Up, il quale ha superato i 50 membri, la comunità milanese dei mojo (o movi) è molto viva e già avanti nel suo processo di crescita. Quella udinese, invece, spero cresca con le prime iniziative.
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