Autore: Francesco Facchini

  • Selfie stick? No, iKlip Grip Pro: treppiede coi controfiocchi

    Selfie stick? No, iKlip Grip Pro: treppiede coi controfiocchi

    Quei momenti in cui vorresti un diavolo di selfie stick

    Forse a quell’Indro Montanelli, ritratto nella foto seduto fuori dalla porta del Palazzo a picchiettare sulla sua Lettera 22 non serviva un treppiede. A chi fa mobile journalism ne serve almeno uno (se non due) per essere operativi quando si è sul campo. Se poco c’è da dire sulla questione supporto per immagini ferme (ce ne sono di tutti i generi e di tutti i prezzi, ma io consiglio roba cinese da poco che non ti ammazzi se lo dimentichi in giro), un discorso di altro livello si deve fare per il treppiede da tavolo. Per un motivo semplicissimo: è un oggetto che sviluppa più funzioni necessarie nel momento in cui si “scopre” una storia e non si è adeguatamente attrezzati per realizzarla al volo, ma si deve.

    Spiego meglio: ci sono istanti, magici, nei quali, sbatti contro una storia e non sei adeguato a prenderla. Ti manca il microfono, magari le lenti, un handheld per le immagini di copertura, il treppiede per prendere un’intervista. Come fai per coglierla ugualmente? Uno solo il rimedio, devi girare sempre armato, ma di armi leggere… In quegli istanti (a me ne sono capitati due perfino a Casargo, paese sperduto dell’Alta Valsassina) pure un selfie stick si trasforma in una nave stellare multifunzione per far decollare la tua storia. Per quello bisogna averne uno, magari telescopico, ma molto più utile è un treppiede, anzi il treppiede coi controfiocchi…

    Ecco un vero “coltellino svizzero”.

    Alcuni fra i mojoer più importanti del mondo dicono che il telefonino è lo “Swiss army knife” dei giornalisti, ma a mio avviso lo è anche il mitico iKlip Grip Pro, prodotto dell’italianissima iK Multimedia (davvero geniale questa company modenese). Si tratta di un prodotto che associa la funzione del treppiede, a quella dell’Handheld, a quella del treppiede telescopico e del selfie stick. Insomma cerchi un selfie stick e trovi uno di quei tesori che trasforma il tuo nomento di smarrimento (oddio la storia mi sfugge) in un momento in cui sguaini la spada e la fai. Ecco le varie funzioni in una galleria foto.

    Non credo serva spiegare cose ulteriori, anche se due chiacchiere sul mitico aggeggio, diventato per me un oggetto indispensabile, le ho fatte sulla mia fanpage nella diretta che puoi ritrovare a questo link. Credo, invece, che sia il caso di mettere definitivamente questo aggeggio nei must have della borsa del mojoer, con una grande controindicazione che rivolgo, come appello, alla iK Multimedia.

    Il grosso lato negativo: il materiale.

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    Comprendo che l’iKlip Grip Pro sia un oggetto fatto per chi cerca un selfie stick e si ritrova tra le mani un coltellino svizzero multifunzione, ma se all’azienda sta a cuore l’opinione dei mojoer, voglio dire che l’unico grosso neo di questo oggetto che è importante per il lavoro dei giornalisti mobili è il materiale. Questo attrezzo, infatti, consegna stabilmente l’impressione di essere troppo leggero e di non assicurare adeguatamente lo smartphone alla sua struttura.

    Nell’uso da treppiede telescopico, poi, subisce ogni sussulto e spostamento rischiando la caduta. Certo, ci sono “precauzioni” facilmente adottabili che assicurano una buona dinamica di lavoro ugualmente, ma sicuramente preferirei concentrarmi sull’inquadratura sicuro al 100% dell’efficienza dello strumento, invece che tenere una mano sul treppiede per paura che cada. Non succede, ma anche l’impressione conta. Per cui per iKlip Grip Pro tanti plus e un minus. Lo puoi acquistare, per ora, solo negli Apple Store o a questo link qui 

  • Ricerca sul Mobile Journalism: da Oxford arriva “Closer to the story”

    Ricerca sul Mobile Journalism: da Oxford arriva “Closer to the story”

    Ricerca sul Mobile Journalism: il mojo arriva più vicino.

    Il mobile journalism sta destando sempre maggiore interesse a livello accademico, ma faccio subito una precisazione: molto in giro per il mondo, molto poco in Italia. Agli inizi di luglio, a firma Panu Karhunen, giovane e talentuoso mobile journalist finlandese, è uscita una ricerca molto dettagliata sull’efficacia del mobile journalism nella costruzione di reportage di news e di MOS, Man on street. Promossa dall’Università di Oxford, nell’ambito di una Reuters Institute Fellowship, sponsorizzata dalla finlandese Helsingin Sanomat Foundation, la research è un lavoro straordinariamente interessante sulla materia in generale e sulla sua “penetrazione” nella notizia in particolare.

    Un patrimonio di grande importanza.

    Karhunen è andato in profondità nell’argomento, intervistando i più grandi interpreti della storia del mojo (più uno scappato di casa, me!) e regalando alla cultura del mojo un lavoro che deve diventare patrimonio di tutti i mobile journalist. Panu mi ha molto gentilmente girato una copia di questo documento, in pieno spirito di condivisione del sapere, cosa che si fa d’abitudine nella community internazionale dei mobile journalist, ma non in Italia.

     Ecco il documento.

    Leggilo, condividilo, se sei uno studente di giornalismo portalo al tuo professore e chiedi di parlare di questa materia. Io sto divulgando la materia in italiano, ma non ho “orti” da tenere: la cultura del mobile journalism è di tutti e chi vuole capire capisca. Guarda qui sotto per goderti il lavoro di Panu Karhunen. Buono studio.

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  • Brand journalism: raccontare i sogni è davvero Speciale

    Brand journalism: raccontare i sogni è davvero Speciale

    [fusion_builder_container hundred_percent=”no” equal_height_columns=”no” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” background_position=”center center” background_repeat=”no-repeat” fade=”no” background_parallax=”none” parallax_speed=”0.3″ video_aspect_ratio=”16:9″ video_loop=”yes” video_mute=”yes” overlay_opacity=”0.5″ border_style=”solid”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ layout=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” border_position=”all” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” center_content=”no” last=”no” min_height=”” hover_type=”none” link=””][fusion_text]

    Brand Journalism: si parla di un marchio e del suo sogno.

    Uno dei campi nei quali il mobile journalism può rappresentare un linguaggio peculiare e un’opportunità importante per chi lo pratica è quello del Brand Journalism. In questi mesi sto vivendo un’esperienza professionale di grande soddisfazione con il designer Gianni Speciale e la sua “firma” di esclusivissime biciclette artigianali realizzate in legno. Gioielli unici, “diamanti” a due ruote, se vogliamo facilissimi da raccontare. Il motivo? Sono emozionanti e il brand journalism, nuova tendenza delle pubbliche relazioni delle aziende, quello racconta: l’emozione. L’emozione che si prova ad avere quel determinato prodotto, a vestire quel capo, a pedalare quella due ruote.

    Con il team di Speciale abbiamo deciso di partire raccontando il “daydream”, il percorso, il sogno a occhi aperti di un artigiano che ha oltrepassato i confini della sua stessa natura per diventare un vero designer.  In grado di creare delle bici talmente belle da essere considerate un oggetto da esposizione. Ecco l’inizio della nostra nuova immagine digitale, prodotto tutto con tecniche di mobile journalism.

     

     

    Questione di valori.

    Il brand journalism è uno dei nuovi sbocchi professionali per il giornalismo perché è dai giornalisti che va sviluppato. Ormai il consumatore è attivo, informato, preciso, esigente e veloce nell’arrivare al punto. L’azienda, di conseguenza, che vuole proporsi in modo efficace sul mercato, deve diventare una produttrice di contenuti che abbiano dignità di notizia. News che possano regalare informazioni inedite ed esatte a chi, potenzialmente, vuole acquistare un bene, specialmente se di “super lusso” come quello nel video. Per questo il brand journalism è questione di valore e di valori. I quali vanno amministrati secondo la deontologia professionale dei giornalisti e secondo l’onestà del codice deontologico dei giornalisti (ammesso esista ancora, scusami la battutaccia).

    Qui ci trovi il mio mojo.

    Non c’è dubbio che ho cercato di dare la mia impronta a questo video. Con un ragionamento semplice: gli effetti sono pochi, le inquadrature semplici e intense. Come quella della foto in testa a questo articol. Foto che ritrae il designer che “si abbraccia” proprio mentre, nel suo discorso, dice le parole “l’abbraccio del manubrio”. Non voglio tirarmela, ma voglio farti un esempio: il mobile journalism è il solo linguaggio delle professioni visive che possa darti questo tipo di immagini pensate. Ad alta qualità concettuale e con un prezzo contenuto. Questo è tutto il mio mojo, anzi questo penso che sia il mojo. La possibilità di raccontare un’emozione con un video pensato “frame per frame”, con un attrezzatura semplice e con un tempo dimezzato rispetto al consueto tempo di esecuzione di un lavoro del genere. Brand journalism e mojo: binomio vincente.

     

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  • Wireless Stick: la regina dei guai per un mobile journalist

    Wireless Stick: la regina dei guai per un mobile journalist

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    Wireless stick: un aggeggio porta guai.

    Ho provato sulla mia pelle cosa vuol wireless stick dire avere una Wireless Stick della Sandisk e vi consiglio di non fare lo stesso errore che ho fatto io. Il trasferimento dei file, lo scaricamento della memoria dell’iPhone e dell iPad quando filmi o quando monti è un momento essenziale della vita del mobile journalist. Devi avere a che fare con strumenti a prova di bomba che permettano di ottenere risultati sicuri, nel minor tempo possibile e nel modo più stabile possibile.  Uno di questi strumenti era la iXpand della Sandisk che puoi vedere nella foto qui accanto. Uno strumento insostituibile, una di quegli oggetti che, se li perdi, ti viene da piangere. E’ utilissimo, indispensabile. Quello lì era anche stabile fino a quando, tra mille porchi, mi sono accordo di averlo perso.

    Mi sono detto: “Provo”

    Una delle cose che non mi piacciono del lavoro in mobilità è la quantità di fili e oggetti che uno si deve portare dietro quando va in giro. Mi atterriscono due cose: la possibilità di perderli e la possibilità di romperli. Per cui, quando ho visto  che la Sandisk, marca leader mondiale dei supporti hardisk, faceva una chiavetta simile a quella appena persa con le caratteristiche di una wireless stick, allora mi sono deciso a provarla.

    Quel pensiero, quel “Provo”, mi è costato abbastanza caro in termini di ore perse a cercare di capire perché, dopo giorni di discreto funzionamento, l’iPhone abbia iniziato a non vedere più la rete wireless creata dalla chiavetta e a non trasferire i file, nemmeno sotto tortura. Per spiegare l’accaduto e per scusarmi con i miei lettori e i miei corsisti, cui avevo consigliato questo prodotto definendolo come discreto, ma lento, ho deciso di metterci la faccia e di fare all’impronta una diretta Facebook dalla mia fan page che puoi trovare qui.

     

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  • Filmic Pro, Kevin Buonagurio: “In arrivo versione leggera”

    Filmic Pro, Kevin Buonagurio: “In arrivo versione leggera”

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    Filmic Pro: a ogni aggiornamento effetto wow sicuro.

    Ti ho già raccontato molte volte come la app più evoluta per fare buone immagini sia Filmic Pro, anche se concorrenti come Mavis sono arrivate a pari livello. A Galway, durante l’ultima Mobile Journalism World Conference, ho avuto occasione di fare una lunga chiacchierata con Kevin Buonagurio, il COO di Filmic Pro, la pluripremiata applicazione (per entrambi i mondi, sia iOS, sia Android), il quale mi ha raccontato il momento della loro company, un momento di grande evoluzione e di grandissime soddisfazioni. La versione 6 di Filmic ha strappato applausi in tutto il mondo e a ogni aggiornamento del materiale sembra che l’effetto wow sia assicurato da costanti passi avanti sulla strada della perfezione.

    L’intervista su Filmic Pro: botta e risposta.

    Kevin, avete consegnato al mondo dei mobile journalist probabilmente una delle migliori app al mondo per il filming. Mi vuoi raccontare il vostro momento? Costa state sviluppando?

    Filmic Pro è davvero una app sorprendente, ma anche e soprattutto un viaggio interessante perché era stata disegnata principalmente per il filming, ma per il giornalismo si è rivelata essere il prodotto giusto al momento giusto. Abbiamo deciso di posizionare il prodotto Filmic Pro a un livello molto più professionale e con la versione numero sei lo abbiamo fatto, per soddisfare i giornalisti più esigenti, ma anche i videomaker e quelli che entrano in questa industria dell’immagine.

    Per questo, visto l’alto livello di Filmic Pro, abbiamo deciso di sviluppare un altro prodotto più adatto ai consumatori, ma anche al linguaggio essenziale dei mojoer. Quello che abbiamo presentato a Galway, quindi, è una versione nella quale ritrovi le caratteristiche di Filmic Pro, ma anche una maggiore velocità e facilità di accesso. Cosicché tutti possano usarla per insegnare in una classroom.

    Penso sia un grande punto di partenza per uscire a produrre cose belle con facilità per poi passare gradualmente a Filmic Pro. Stiamo pensando a una versione che abbia un free level, magari con watermark, per poi provare e acquisire il prodotto, anche se premetto che comunque il prezzo sarà minore di Filmic Pro perché non sarà full featured.

    Voi siete nei due mondi, iOS e Android. Avrete sicuramente realizzato quali sono le differenze e  le esigenze dei diversi clienti delle due piattaforme?

    E’ normale che in queste due piattaforme ci siano clienti che hanno abitudini ed esigenze differenti. Non c’è sorpresa. Android è una piattaforma difficile, vista la frammentazione delle device. Tipicamente i clienti Android sono meno disposti a pagare per applicazioni Premium. Per questo motivo vedi meno app professionali in quel mondo. Filmic sta cercando di prendere il meglio dalle due piattaforme, contanto che entrambe hanno punti di forza e di debolezza. Comunque come design e uso comune entrambe le piattaforme possono dialogare ed essere armonizzate. Entrambe. Per cui cerchiamo di non pensare come se si fosse un mondo Android e uno iOS.

    La versione numero 6 di Filmic per Android viene rilasciata nel corso di questa estate ed è un grande passo in avanti per quella piattaforma per quanto riguarda il filmic. Tutte le sue versioni, per la prima volta, saranno molto vicine in quanto a usabilità e tutti potranno lavorarci su e insegnare. Non interesserà se sei  Android o iOS. Certo ci saranno differenze di device e si sa che per Android devi avere una device avanzata per far funzionare Filmic, ma stiamo tentando di avere l’approccio “impara a usare questo tool, impara a raccontare una storia” e poi “metti insieme le immagini e vedrai che sarai ok con qualsiasi piattaforma.

    Ma su quel nuovo prodotto di cui mi hai accennato e che avete presentato a Galway andate verso il live?

    Oh Diavolo, effettivamente non lo avevo detto. Con questa nuova creatura siamo molto eccitati perché sappiamo cosa può offrire di bello e andiamo verso il live perché ha anche dei live component. Avrà il live di Periscope, di Youtube e la possibilità di andare su un custom RTMP. Così se lavorate per qualcuno che ha un RTMP server potete andare live solo mandandogli il segnale.

    Al primo test questo nuovo prodotto è sembrato versatile, facile e potente. Vedrò se la usability sul campo confermerà le prime impressioni.

     

     

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  • Editing mobile: il miracolo Luma Fusion

    Editing mobile: il miracolo Luma Fusion

    Editing su mobile: quando una app è un software professionale.

    Luma Fusion è la creazione che ha cambiato il gioco del montaggio con i telefonini, è la app che ha colmato il gap tra l’editing su mobile e l’editing su personal computer (fissi o portatili che siano). Non c’è nulla di meglio che farsi spiegare questo miracolo, arrivato ormai oltre la versione 1.3 con importantissimi update rispetto alla partenza, da uno dei suoi creatori. Chi? Chris Demiris, incontrato lo scorso maggio a Galway in occasione di Mojocon 2017.

    La nostra chiacchierata.

    Cambiando un po’ il format delle interviste raccolte a Mojocon, questa te la sbobinerò traducendo domanda e risposta, per chiarificare ogni passaggio.

    Chris, innanzitutto ci racconti da vicino questa app che ci ha fatto diventare tutti “montatori” professionisti con un telefonino, colmando il gap con i computer…

    Beh, grazie. La verità è che tutto, con la mia partner Terri Morgan, è iniziato dal fatto che entrambi abbiamo cominciato la nostra attività nell’industria del video 30 anni or sono. Entrambi conoscevamo bene i video, sapevamo quali erano i bisogni dei video editor. Per questo motivo siamo partiti dicendoci: vogliamo una app che sia veramente per video editor professionisti. Non per i consumatori come può essere una iMovie o una Clips.  Abbiamo cominciato a lavorare su Luma Fusion 3 anni fa e onestamente ci siamo molto basati sulle conoscenze sviluppate lavorando su Pinnacle Studio prima di questa nostra esperienza.

    Tre anni fa, comunque, abbiamo cominciato il percorso con una nuova tecnologia e cercando tutto l’appoggio possibile da Apple per fare la migliore editing app che potessimo fare. E lavorando al top su Luma, il nostro sistema di effetti, le possibilità di editing, la sincronizzazione, tutto quello che potevamo fare per fare la migliore app possibile lo abbiamo fatto. Valorizzando anche i nostri utenti che ci danno preziosissimi feedback come accadeva con Pinnacle Studio. Ecco in Luma Fusion abbiamo portato tutto questo a sintesi.

    E’ un momento interessante per le applicazioni di editing su mobile perché Kinemaster è venuta nel vostro mondo iOS. Ho scritto e sostengo che la vostra è la migliore app di editing su mobile per Apple, la loro è la migliore possibile su Android. Tuttavia questa competizione aperta, questa sfida farà in modo che cerchiate ora di migliorare il tutto ancora di più perché siete anche nello stesso “campo” d’azione. 

    Beh, è assolutamente giusto. Onestamente avere due buonissime applicazioni di editing su mobile nello stesso campo è una cosa che ci farà fare meglio il nostro lavoro entrambi, ma va detto che ci orientiamo verso due target di consumatori diversi. Noi abbiamo più esperienza sugli editor pro che sono sempre stati su iOS mentre loro hanno pù valore sui consumer normali. A ogni modo stare insieme in un campo ci farà bene. Ci stimoleremo a vicenda.

    Una delle cose interessanti che si stanno sviluppando ora è il montaggio dei contenuti a 360 gradi. Cosa mi puoi dire su questo? E’ possibile e quali tipi di consigli vuoi dare a chi si affacci  questo tipo di montaggio?

    Abbiamo rilasciato da poco la possibilità, nelle versioni dalla 1.3, di lavorare video a 360 gradi con i loro metadati. Con questi supportiamo la Aspect Ratio giusta. Adesso quello che puoi fare è prendere il tuo video, fatto magari con una Insta 360 e importarlo in Luma ed editarlo tranquillamente. Questo significa che puoi fare tagli, puoi aggiungere effetti, puoi editare titoli. Ci si può divertire molto e, quando esporti, puoi farlo direttamente verso Youtube o Facebook che sono quelle piattaforme che reggono questa tecnologia semplicemente flaggando i bottoni giusti. Saranno disponibili subito in 360 e con i giusti metadati per quelle piattaforme.

    Quindi questo vale a dire che dalla versione 1.3 Luma Fusion fa lo stitching da sola in modo efficace…

    Non fa esattamente lo stitching, ma conserva i metadati se questi vengono direttamente dalla camera che ha fatto il video. Abbiamo semplificato il workflow per trattare quei video, ma non facciamo esattamente lo stitching classico. Parleremo molto con gli amici di Insta 360 per implementare questa cosa, ma va comunque detto che molte delle camere fanno lo stitching interno e rilasciano contenuti immediatamente fruibili.