Autore: Francesco Facchini

  • I 10 buoni motivi per passare al mobile videomaking

    I 10 buoni motivi per passare al mobile videomaking

    Mobile videomaking: un’arma in più per tutti.

    Sto preparando il corso di mobile videomaking che farò il prossimo 8 luglio nei locali di MilanoAllNews. Man mano che avanzo con la conoscenza del mobile journalism e del mobile videomaking, mi rendo conto dell’importanza di questo linguaggio per tutti, sia a livello professionale, sia a livello personale. E quando dico tutti, penso proprio a tutti. Il motivo? Semplice: il linguaggio visivo sta diventando il mezzo principale di comunicazione per tutti, forse ancor di più rispetto alla parola scritta. In molte, moltissime situazioni della giornata, riceviamo informazioni, messaggi input sotto forma di linguaggio visuale e in altrettante situazioni dobbiamo essere noi a mandare messaggi video ad altri.

    E’ il caso di farlo… e per bene.

    Piccolo “nanetto”, come direbbe Nino Frassica per dire aneddoto. Sono andato con mia nipote al concerto di Radio Italia in Piazza Duomo.  Cerco di renderti l’idea, con una foto, dello spettacolo che mi sono trovato davanti.

    mobile videomaking

    Mi ha fatto impressione vedere in quante mani c’era un telefono, strumento di condivisione dell’emozione e delle cose positive di una vita. Telefonini che filmavano, in attesa di postare questa o quella canzone, questa o quella sensazione vissuta sui social o sui propri strumenti di vita digitale. Ognuno dei giovani che avevo davanti con un telefonino in mano potrebbe avere bisogno dei fondamenti del mobile videomaking. Anche soltanto per trasferire meglio le sue emozioni filmate. Figuriamoci per il lavoro o per lo studio.

    I 10 motivi buoni (e ti sfido a non riconoscerti almeno in uno)

    Ecco, quindi, una manciata di ottime ragioni per partecipare al primo corso di Mobile Videomaking al quale ti puoi iscrivere cliccando qui e seguendo la procedura di iscrizione al meet up con il contestuale pagamento della quota di partecipazione.

    1. Venendo al corso di mobile videomaking forse la smetterai di filmare in verticale (visto che il tuo computer e la televisione da cui guardi i video sono orizzontali). Se sei di quelli che preferiscono il formato verticale, almeno saprai come filmarlo e che grammatica usare.
    2. Se vieni al corso “movi” scoprirai come si fa un’inquadratura ferma e corretta per armonia delle linee o dei punti di fuga. Se sei buono ti diremo anche con quali supporti e con quali app farla perfetta.
    3. Se vieni a fare un giro al corso potrai sapere come mai Brunetta guarda sempre in camera e un intervistato quasi mai.
    4. Fai l’artigiano o il commerciante? Se vieni al corso di mobile videomaking potrai fare correttamente dei video di presentazione dei tuoi prodotti o dei tuoi servizi.
    5. La possibilità di sapere i fondamenti del videomaking col telefonino può dare opportunità di comunicazione di un brand o di un business con costi pari a zero.
    6. Se ti va di conoscere il mobile videomaking imparerai un linguaggio visivo che è diverso dal videomaking classico. Un linguaggio che può farti arrivare dove le normali telecamere non arrivano, ma non si sovrappone a quello dei professionisti classici dell’immagine. E’ semplicemente diverso.
    7. Se sei un videomaker e vuoi affrontare il mondo della ripresa con il telefonino per differenziare la tua offerta, questo è un modo per iniziare.
    8. Vuoi imparare un modo di pensare completamente smarcato e “out of the box” per creare ricchezza e lavoro? Vieni al corso di mobile videomaking. Non è una questione di telefonini, è una questione di cuore e di testa.
    9. Vuoi avermi come amico e spacciatore di consigli per sempre? Beh, vieni al corso di mobile videomaking e vedrai che ti faccio una sorpresa.
    10. Qualsiasi lavoro tu faccia potresti avere bisogno di un video fatto bene. Pensaci: un documento filmato, una presentazione, uno speech, una video intervista, un video che racconta un prodotto o un servizio, un video curriculum. Non è meglio imparare a farlo con l’aggeggio che hai già in tasca e che hai già pagato?

    Spero di averti convinto a fare l’iscrizione e spero di cuore di vederti ai nostri appuntamenti dei prossimi giorni.

  • Video a 360 gradi, ecco i segreti del professor Hernandez

    Video a 360 gradi, ecco i segreti del professor Hernandez

     

    I Video a 360 gradi? Sono il futuro dei mojoer.

    A Mojocon 2017, la mobile journalism world conference, ho avuto occasione di fare una proficua chiacchierata sui video a 360 gradi con il professor Robert Hernandez. Si tratta di uno dei più importanti innovatori mondiali della materia. Una buona parte del suo lavoro la puoi trovare qui e nella sua biografia presso la USC Annenberg, la University of Soutern California dove è professore di Digital Journalism. Con lui ho parlato di video a 360 gradi chiedendogli consigli utili per quello che penso sia una delle strade possibili per il futuro.

    Il suo Journalism e i suoi percorsi.

    “Posso dire che lavoro in questo campo specifico – mi ha raccontato Hernandez a Galway – da un paio d’anni. Ho iniziato con la realtà aumentata, poi ho sperimentato la produzione di contenuti editoriali anche con Google glass e con gli wearables. Come insegnamento, invece, negli ultimi due anni mi sono concentrato sull’immersive storytelling. Con i miei studenti produciamo pezzi che sono giornalistici, ma essendo in Virtual Reality abbiamo ribattezzato il nostro lavoro con il neologismo jovrnalism. Collaboriamo con il New York Times, con NPR, con Desert Sun e altri”.

    I consigli del prof sui contenuti video a 360 gradi.

    Come al solito ho un modo di fare molto “basic” con questi grandi interlocutori. Anche al professor Hernandez, uomo di una simpatia contagiosa, ho chiesto consigli su cosa si può fare di utile, di vendibile, di efficace per i mojo.

    “Ci sono alcune cose interessanti, alcuni progetti che si possono sviluppare – mi ha risposto -, anche se tutto dipende dal budget. Se desideri sviluppare progetti low cost i prodotti come la Insta Nano 360 o la 360 Air per Android sono buone soluzioni per fare video a 360 gradi, ma anche foto. Con quelle puoi, oltre a produrre contenuti multimediali, andare anche live su Periscope, su Facebook e anche su Youtube”.

    Si ma come campi? Con Thingkink

    Questi contenuti certamente sono i primi passi che si possono fare dentro il mondo del video immersivo, ma di direttamente vendibile c’è poco. Sono strumenti importantissimi, tuttavia, per fare in modo che attorno a te, mojoer che li usi, si crei un interesse. L’interesse poi ti porta agganci con clienti oppure alla stessa vendita di questi tipi di contenuti o della tua professionalità. Il professor Hernandez, diciamolo, sta in un altro pianeta, ma nell’ultima parte dell’intervista poi piazza un bel colpo, un ottimo suggerimento.

    “Poi c’è un’altra compagnia che si chiama “thinglink” – ha raccontato -, la quale fornisce l’infrastruttura per questo genere di cose. Devi pagare un abbonamento, ma quello che “thinglink” ti permette di fare è interessante. A qualsiasi immagine puoi aggiungere degli hotspot che ti fanno vedere altri contenuti come immagini 360 o addirittura video a 360 gradi. Il risultato è un contenuto immersivo, che, grazie a questi hotspot, “aumenta” il suo valore”. Questo è un ragionamento molto interessante.

    Un esempio molto interessante di contenuto con Thinglink

    Calata nella realtà, la proposizione di contenuti innovativi per la pubblicazione è un’operazione coraggiosa da fare nel mercato dei prodotti giornalistici italiano… Da qualche parte, tuttavia, si deve cominciare, quindi tanto vale farlo sfruttando i consigli di innovatori come il professor Hernandez. Ecco un esempio interessante delle potenzialità di un contenuto fatto con Thinglink:

    Eccoti, invece, il video della mia intervista realizzata il 5 maggio a Galway con il professor Robert  Hernandez. “Per adesso non diventeranno mainstream”, ha detto più volte Hernandez a più interlocutori, ma io ti aggiungo soltanto una cosa. I video a 360 gradi sono il primo passo per diventare giornalisti immersivi e cominciare a “fare i conti” con un mondo che, in meno di 10 anni, potrebbe diventare il mondo di riferimento della produzione dei contenuti giornalistici.

    La mia intervista a Robert Hernandez
  • Speciale Wooden Bikes: un brand si fa in mojo

    Speciale Wooden Bikes: un brand si fa in mojo

    Speciale Wooden Bikes: la genesi e la storia di un brand.

    Sono felice di poter comunicare che, dal primo giugno, sono diventato consulente del brand Speciale Wooden Bikes. Si tratta di un produttore di splendide biciclette in legno create in pezzi unici, con un design inconfondibile e con una fattura totalmente artigianale e senza l’ausilio di macchinari industriali.

    Questi oggetti di grande pregio escono dalla mente, dal cuore e dalle mani di Gianni Speciale, imprenditore edile e artigiano milanese che ha sublimato un elemento naturale come il legno per disegnare in un modo peculiare delle “due ruote” innovative ed esclusive. Per Speciale Wooden Bikes sarò consulente per la produzione di contenuti multimediali, creatore di contenuti per i canali social e curatore delle relazioni esterne. Il tutto con le particolari tecniche del mobile journalism, filosofia produttiva che regala un modo unico di raccontare un brand.

    I canali social di Speciale.

    Il racconto di questo brand lo troverai sul sito istituzionale della casa, ma anche e soprattutto sui social network che io come brand content producer, condividerò anche nella mia rete. Te lo scrivo, ti avverto, in modo che ti risulti sempre chiaro. Le mie azioni attorno a Speciale sono motivate da un rapporto lavorativo e dal progetto multimediale che seguirò. Progetto avrà come strumento unico lo smartphone e come tecnica peculiare il mojo. Ecco, comunque, i canali social nei quali potrai seguire il progetto Speciale in tutte le sue manifestazioni.

    La pagina Facebook

    L’account Twitter

    L’account Instagram

    Una grande storia da raccontare.

    La vita delle biciclette di Gianni Speciale sarà per me una grande storia da raccontare. Sarà anche una grande avventura che fa rima con design, stile, passione, artigianalità, cultura, architettura, lusso, esclusività, made in Italy e style. Un’avventura che, grazie al linguaggio mojo, può arrivare meglio al cuore dei suoi clienti.

    Se hai un’azienda e vuoi sviluppare anche tu un progetto di brand storytelling con le tecniche del mobile videomaking, contattami tramite la pagina dei contatti o chiamami al numero +39 3477146295. Il primo incontro “progettuale” sarà informale e gratuito.[:]

  • Business storytelling, Mark Egan: “Mojo do it better”

    Business storytelling, Mark Egan: “Mojo do it better”

    Business storytelling: una grande opportunità.

    Il business storytelling è un’opportunità che i mobile journalist devono saper cogliere. Lo spiega molto bene il giornalista inglese Mark Egan, ex firma della BBC e ora boss di Purple Bridge Media. Egan è no dei più importanti innovatori della cultura del mobile journalism al mondo. Parla di un cambio epocale del modo di fare advertising che è anche una clamorosa opportunità per i giornalisti, specialmente per i mojo.

    Una volta era pubblicità, ora è racconto.

    “Una volta – mi ha raccontato – le aziende avevano dei canali “rigidi” per comunicare i loro prodotti, dei modelli preconfezionati. Andavano verso le tv, i giornali, le radio, i siti e acquistavano lo spazio necessario per poter portare i loro messaggi ai clienti. Ora è tutto diverso: ora la pubblicità è diventata racconto. L’avvento dei social netwrok, oltretutto, ha dato alle stesse aziende dei canali diretti profilati e precisi per arrivare al loro pubblico. Di conseguenza è arrivata una scelta naturale, vale a dire quella delle aziende di farsi una propria redazione “online” per costruire la propria comunicazione. Così possono arrivare al cliente da sole”. Beh, da lì ad assumere giornalisti il passo è breve.

    I mojo lo fanno meglio.

    Sintetizzandolo si potrebbe dire così: “Mojo do it better”. Non sono parole di Mark Egan nell’intervista rilasciata nel corso di Mojocon 2017, ma è una buona sintesi: “I mobile journalist – racconta Egan – hanno un linguaggio particolare. Con quello possono creare contenuti unici per un business, contenuti più caldi e appassionati, più vicini alla gente”.

    L’intervista non è stata sottotitolata o “speakerata” in italiano per un motivo molto semplice: fa parte di quelle interviste sulla cultura del mobile journalism che, se tradotte, perdono di profondità. Oltretutto desidero che questo sito, sebbene scritto in italiano e per gli italiani, sia utile anche per gli stranieri. Il mojo, infatti, è una comunità che non ha confini e la sua lingua madre è l’inglese.

  • Upday for Samsung: quando mobile è il lettore

    Upday for Samsung: quando mobile è il lettore

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    Upday for Samsung, l’aggregatore con giornalisti veri.

    Sono andato a trovare Giorgio Baglio, giovane e bravo direttore di Upday for Samsung, applicazione di news che la grande marca di telefoni coreana ha inserito in modo nativo sulle ultime generazioni di telefonini e, piano piano, sta ampliando a tutti i modelli. Si tratta di un prodotto editoriale “mobile” realizzato dall’editore Axel Springer, un prodotto che ha costretto Apple News, la sua app concorrente ad andare nella stessa direzione. Il motivo? Semplice: Upday for Samsung è sì un algoritmo che aggrega le notizie, ma ha anche una redazione che le sceglie, le verifica, le produce e le diffonde con tutti i mezzi sociali possibili.

    Samsung
    Ecco come i lettori leggono le nostre notizie: quasi tutti in verticale, quasi tutti dal telefonino. E’ il momento di adeguarsi. (Pixabay)

    L’amica che ti fornisce le news: quelle giuste.

    L’unione fra la matematica e gli uomini, quindi, ha dato origine a un prodotto pensato “mobile” che può rappresentare un passo in avanti verso quei “responsive media” di cui tanto parlano i maghi della futurologia editoriale. Upday for Samsung, infatti, è appena nata, ma promette di diventare un’amica che ti fornisce le news, quelle giuste, quelle che ti servono davvero. Grazie ai suoi giornalisti, però, può anche diventare un hub di confronto e una comunità attiva proprio nel proporre notizie e nell’interagire realmente con i suoi lettori per migliorare un servizio, quello dell’informazione, che diventerà sempre più profilato secondo le necessità del cliente e sempre meno generalista.

    Mi incuriosiva il pensiero.

    Mi incuriosiva il pensiero su some viene fatta Upday for Samsung giorno dopo giorno. Ho scoperto una redazione in continuo movimento che, naturalmente, basa le impostazioni tecniche dei suoi prodotti sul mezzo di fruizione del lettore (il telefono, appunto), ma è ancora alla ricerca di nuovi formati di news da proporre che migliorino l’esperienza del phone user. E’ una sensazione molto bella poter frequentare questo mondo dei prodotti editoriali nuovi e il motivo è molto semplice. Siamo tutti sperimentando 🙂

    Ecco, a ogni modo, il video della chiacchierata in diretta fatta con Giorgio Baglio dal Talent Garden Calabiana di Milano, posto dove la redazione italiana ha preso il via con 5 giornalisti regolarmente assunti.

     

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  • Vendere un format, Castellucci: “La chiave resta la storia”

    Vendere un format, Castellucci: “La chiave resta la storia”

     

    Vendere un format: un momento magico.

    Ho venduto tanti contenuti giornalistici nella mia carriera e ho capito che, per vendere un format, non esiste una regola o una legge, ma un momento magico. Durante la Mobile Journalism World Conference di Galway, sui ho partecipato ormai una decina di giorni fa, ho assistito a un panel che parlava di documentari e long form storytelling fatto con le tecniche del mobile journalism. E ho trovato sulla mia strada un maestro di livello mondiale. Si tratta del 45enne Mike Castellucci, professore di giornalismo della Michigan State University di East Lansing, vincitore di 20 Emmy per la Tv con i suoi format come “Open Mike” o “Phoning it” grazie ai quali ha imposto al grande pubblico americano il suo linguaggio visivo mojo e la sua straordinaria verve nel far parlare i protagonisti delle sue splendide storie minime.

    Ho cercato di derubarlo.

    Mentre tutti gli chiedevano i segreti delle immagini (un miscuglio di talento americano e di faccia da culo italiana) io gli ho chiesto banalmente come si riesce  vendere un format. Come diavolo si fa a creare quella magica interazione con il compratore che, di solito, se acquista acquista in pochissimi secondi quello che gli proponi (50-60 mediamente). Quando con un capoccia cui proponi un pezzo, devi parlare, infatti, più di un minuto, solitamente non ti piglia nulla. Se scrivi una mail di più di dieci righe, il capoccia non la leggerà.

    Ho cercato di rubare il segreto a Castellucci che ha prodotto e pensato con lo smartphone prodotti da urlo e poi li ha venduti (certo in un mercato diverso dal tuo e dal mio). “La risposta non ce l’ho – ha detto il prof -, ma so che la gente cui vendo il mio lavoro lo vede e gli piace. E gli piace perché in qualche maniera riesco a raccontare una storia e questo è tutto quello che vogliono. Racconta una storia e se è una gran storia, se è ben scritta, se è interessante, se mi coinvolge, allora la gente la comprerà”

    La risposta filosofica

    Comunque in qualche modo ha risposto: “La cosa che dovete fare è darvi una risposta filosofica alla vostra domanda – ha continuato il videomaker -. La vostra risposta deve essere la storia, non la tecnica. Come si fa a trovarla? Una delle ultime domande che mi sono state fatte durante Mojocon era di una donna che mi ha detto ‘non riesco a trovare il grande soggetto’. Ho risposto: sfidatevi. Sfidatevi perché tutti hanno una storia da raccontare. Davvero tutti. E questa storia è interessante, coinvolgente e qualche volta anche emozionante. Potrebbe non essere sopra la superficie come una collezione di bambole (il riferimento è al format di RTE The Collectors, ndb). Quella è un’idea molto facile. Tuttavia vi garantisco che se voi andate da ognuna delle persone che vi stanno intorno hanno una splendida storia da dirvi. Devi solo sapere come metterla giù”.

    E come diavolo si fa a vendere?

    Castellucci non ha ricette magiche, ma parla. Tuttavia mi ha detto come fa. “Di solito vai da un boss e gli dici ‘Ho una gran storia per lei’ e non ti crede. Di solito non ti presta attenzione e non la vuole vedere. Ebbene, vi dico che in qualche diavolo di modo dovete cercare di fargliela vedere. Un minuto: non di più! Dico anche un’altra cosa. Ho progettato il mio flusso di lavoro sapendo di quel minuto da fare e di voler essere sicuro che quando schiacciano il tasto play per vederlo quello è il minuto migliore. In qualsiasi lavoro, quindi, quel minuto, il primo minuto, deve essere il più bello. Lavoro a piramide rovesciata: il bello davanti e poi a scendere. Certo vorrei che tutto il lavoro fosse bello alla pari, ma spesso non ci si riesce”.

    Le informazioni per seguire Castellucci

    Se volete vendere un format o un contenuto, quindi, seguirlo a vista è assolutamente interessante. Il professore, che mi ha rivelato di avere il 100% di sangue italiano ha chiuso così la chiacchierata: “Il mojo è una cultura: questo è il punto. E’ qualcosa che può cambiare la carriera dei freelance perché non hanno bisogno di equipaggiamenti da centomila euro per fare grandi lavori. La mia attrezzatura ne costa mille. Non buttatevi nel fuoco con grandi spese. Questa attrezzatura mobile fa sentire anche liberi perché è leggera. Se ì l’onda del futuro? Non lo so, ma per me la cosa che so è che posso uscire con questa, andare in un’altra città, trovare una persona che ha una storia da raccontare e catturarla”. Il blog per seguirlo è questo: fallo.