Speciale Wooden Bikes: la genesi e la storia di un brand.
Sono felice di poter comunicare che, dal primo giugno, sono diventato consulente del brand Speciale Wooden Bikes. Si tratta di un produttore di splendide biciclette in legno create in pezzi unici, con un design inconfondibile e con una fattura totalmente artigianale e senza l’ausilio di macchinari industriali.
Questi oggetti di grande pregio escono dalla mente, dal cuore e dalle mani di Gianni Speciale, imprenditore edile e artigiano milanese che ha sublimato un elemento naturale come il legno per disegnare in un modo peculiare delle “due ruote” innovative ed esclusive. Per Speciale Wooden Bikes sarò consulente per la produzione di contenuti multimediali, creatore di contenuti per i canali social e curatore delle relazioni esterne. Il tutto con le particolari tecniche del mobile journalism, filosofia produttiva che regala un modo unico di raccontare un brand.
I canali social di Speciale.
Il racconto di questo brand lo troverai sul sito istituzionale della casa, ma anche e soprattutto sui social network che io come brand content producer, condividerò anche nella mia rete. Te lo scrivo, ti avverto, in modo che ti risulti sempre chiaro. Le mie azioni attorno a Speciale sono motivate da un rapporto lavorativo e dal progetto multimediale che seguirò. Progetto avrà come strumento unico lo smartphone e come tecnica peculiare il mojo. Ecco, comunque, i canali social nei quali potrai seguire il progetto Speciale in tutte le sue manifestazioni.
La vita delle biciclette di Gianni Speciale sarà per me una grande storia da raccontare. Sarà anche una grande avventura che fa rima con design, stile, passione, artigianalità, cultura, architettura, lusso, esclusività, made in Italy e style. Un’avventura che, grazie al linguaggio mojo, può arrivare meglio al cuore dei suoi clienti.
Se hai un’azienda e vuoi sviluppare anche tu un progetto di brand storytelling con le tecniche del mobile videomaking, contattami tramite la pagina dei contatti o chiamami al numero +39 3477146295. Il primo incontro “progettuale” sarà informale e gratuito.[:]
Il business storytelling è un’opportunità che i mobile journalist devono saper cogliere. Lo spiega molto bene il giornalista inglese Mark Egan, ex firma della BBC e ora boss di Purple Bridge Media. Egan è no dei più importanti innovatori della cultura del mobile journalism al mondo. Parla di un cambio epocale del modo di fare advertising che è anche una clamorosa opportunità per i giornalisti, specialmente per i mojo.
Una volta era pubblicità, ora è racconto.
“Una volta – mi ha raccontato – le aziende avevano dei canali “rigidi” per comunicare i loro prodotti, dei modelli preconfezionati. Andavano verso le tv, i giornali, le radio, i siti e acquistavano lo spazio necessario per poter portare i loro messaggi ai clienti. Ora è tutto diverso: ora la pubblicità è diventata racconto. L’avvento dei social netwrok, oltretutto, ha dato alle stesse aziende dei canali diretti profilati e precisi per arrivare al loro pubblico. Di conseguenza è arrivata una scelta naturale, vale a dire quella delle aziende di farsi una propria redazione “online” per costruire la propria comunicazione. Così possono arrivare al cliente da sole”. Beh, da lì ad assumere giornalisti il passo è breve.
I mojo lo fanno meglio.
Sintetizzandolo si potrebbe dire così: “Mojo do it better”. Non sono parole di Mark Egan nell’intervista rilasciata nel corso di Mojocon 2017, ma è una buona sintesi: “I mobile journalist – racconta Egan – hanno un linguaggio particolare. Con quello possono creare contenuti unici per un business, contenuti più caldi e appassionati, più vicini alla gente”.
L’intervista non è stata sottotitolata o “speakerata” in italiano per un motivo molto semplice: fa parte di quelle interviste sulla cultura del mobile journalism che, se tradotte, perdono di profondità. Oltretutto desidero che questo sito, sebbene scritto in italiano e per gli italiani, sia utile anche per gli stranieri. Il mojo, infatti, è una comunità che non ha confini e la sua lingua madre è l’inglese.
Upday for Samsung, l’aggregatore con giornalisti veri.
Sono andato a trovare Giorgio Baglio, giovane e bravo direttore di Upday for Samsung, applicazione di news che la grande marca di telefoni coreana ha inserito in modo nativo sulle ultime generazioni di telefonini e, piano piano, sta ampliando a tutti i modelli. Si tratta di un prodotto editoriale “mobile” realizzato dall’editore Axel Springer, un prodotto che ha costretto Apple News, la sua app concorrente ad andare nella stessa direzione. Il motivo? Semplice: Upday for Samsung è sì un algoritmo che aggrega le notizie, ma ha anche una redazione che le sceglie, le verifica, le produce e le diffonde con tutti i mezzi sociali possibili.
L’amica che ti fornisce le news: quelle giuste.
L’unione fra la matematica e gli uomini, quindi, ha dato origine a un prodotto pensato “mobile” che può rappresentare un passo in avanti verso quei “responsive media” di cui tanto parlano i maghi della futurologia editoriale. Upday for Samsung, infatti, è appena nata, ma promette di diventare un’amica che ti fornisce le news, quelle giuste, quelle che ti servono davvero. Grazie ai suoi giornalisti, però, può anche diventare un hub di confronto e una comunità attiva proprio nel proporre notizie e nell’interagire realmente con i suoi lettori per migliorare un servizio, quello dell’informazione, che diventerà sempre più profilato secondo le necessità del cliente e sempre meno generalista.
Mi incuriosiva il pensiero.
Mi incuriosiva il pensiero su some viene fatta Upday for Samsung giorno dopo giorno. Ho scoperto una redazione in continuo movimento che, naturalmente, basa le impostazioni tecniche dei suoi prodotti sul mezzo di fruizione del lettore (il telefono, appunto), ma è ancora alla ricerca di nuovi formati di news da proporre che migliorino l’esperienza del phone user. E’ una sensazione molto bella poter frequentare questo mondo dei prodotti editoriali nuovi e il motivo è molto semplice. Siamo tutti sperimentando 🙂
Ecco, a ogni modo, il video della chiacchierata in diretta fatta con Giorgio Baglio dal Talent Garden Calabiana di Milano, posto dove la redazione italiana ha preso il via con 5 giornalisti regolarmente assunti.
Ho venduto tanti contenuti giornalistici nella mia carriera e ho capito che, per vendere un format, non esiste una regola o una legge, ma un momento magico. Durante la Mobile Journalism World Conference di Galway, sui ho partecipato ormai una decina di giorni fa, ho assistito a un panel che parlava di documentari e long form storytelling fatto con le tecniche del mobile journalism. E ho trovato sulla mia strada un maestro di livello mondiale. Si tratta del 45enne Mike Castellucci, professore di giornalismo della Michigan State University di East Lansing, vincitore di 20 Emmy per la Tv con i suoi format come “Open Mike” o “Phoning it” grazie ai quali ha imposto al grande pubblico americano il suo linguaggio visivo mojo e la sua straordinaria verve nel far parlare i protagonisti delle sue splendide storie minime.
Ho cercato di derubarlo.
Mentre tutti gli chiedevano i segreti delle immagini (un miscuglio di talento americano e di faccia da culo italiana) io gli ho chiesto banalmente come si riesce vendere un format. Come diavolo si fa a creare quella magica interazione con il compratore che, di solito, se acquista acquista in pochissimi secondi quello che gli proponi (50-60 mediamente). Quando con un capoccia cui proponi un pezzo, devi parlare, infatti, più di un minuto, solitamente non ti piglia nulla. Se scrivi una mail di più di dieci righe, il capoccia non la leggerà.
Ho cercato di rubare il segreto a Castellucci che ha prodotto e pensato con lo smartphone prodotti da urlo e poi li ha venduti (certo in un mercato diverso dal tuo e dal mio). “La risposta non ce l’ho – ha detto il prof -, ma so che la gente cui vendo il mio lavoro lo vede e gli piace. E gli piace perché in qualche maniera riesco a raccontare una storia e questo è tutto quello che vogliono. Racconta una storia e se è una gran storia, se è ben scritta, se è interessante, se mi coinvolge, allora la gente la comprerà”
La risposta filosofica
Comunque in qualche modo ha risposto: “La cosa che dovete fare è darvi una risposta filosofica alla vostra domanda – ha continuato il videomaker -. La vostra risposta deve essere la storia, non la tecnica. Come si fa a trovarla? Una delle ultime domande che mi sono state fatte durante Mojocon era di una donna che mi ha detto ‘non riesco a trovare il grande soggetto’. Ho risposto: sfidatevi. Sfidatevi perché tutti hanno una storia da raccontare. Davvero tutti. E questa storia è interessante, coinvolgente e qualche volta anche emozionante. Potrebbe non essere sopra la superficie come una collezione di bambole (il riferimento è al format di RTE The Collectors, ndb). Quella è un’idea molto facile. Tuttavia vi garantisco che se voi andate da ognuna delle persone che vi stanno intorno hanno una splendida storia da dirvi. Devi solo sapere come metterla giù”.
E come diavolo si fa a vendere?
Castellucci non ha ricette magiche, ma parla. Tuttavia mi ha detto come fa. “Di solito vai da un boss e gli dici ‘Ho una gran storia per lei’ e non ti crede. Di solito non ti presta attenzione e non la vuole vedere. Ebbene, vi dico che in qualche diavolo di modo dovete cercare di fargliela vedere. Un minuto: non di più! Dico anche un’altra cosa. Ho progettato il mio flusso di lavoro sapendo di quel minuto da fare e di voler essere sicuro che quando schiacciano il tasto play per vederlo quello è il minuto migliore. In qualsiasi lavoro, quindi, quel minuto, il primo minuto, deve essere il più bello. Lavoro a piramide rovesciata: il bello davanti e poi a scendere. Certo vorrei che tutto il lavoro fosse bello alla pari, ma spesso non ci si riesce”.
Le informazioni per seguire Castellucci
Se volete vendere un format o un contenuto, quindi, seguirlo a vista è assolutamente interessante. Il professore, che mi ha rivelato di avere il 100% di sangue italiano ha chiuso così la chiacchierata: “Il mojo è una cultura: questo è il punto. E’ qualcosa che può cambiare la carriera dei freelance perché non hanno bisogno di equipaggiamenti da centomila euro per fare grandi lavori. La mia attrezzatura ne costa mille. Non buttatevi nel fuoco con grandi spese. Questa attrezzatura mobile fa sentire anche liberi perché è leggera. Se ì l’onda del futuro? Non lo so, ma per me la cosa che so è che posso uscire con questa, andare in un’altra città, trovare una persona che ha una storia da raccontare e catturarla”. Il blog per seguirlo è questo: fallo.
Con l’arrivo della connessione mobile di quinta generazione, il 5G di cui ho già parlato in questo pezzo, la società che conosciamo diventerà la Gigabit Society. Cambierà tutto, cambierà anche il mondo dei media. Se sei un editore e capiti qui, specialmente se hai una tv, siediti, mettiti comodo, che ti dico una cosa. Fai parte del sindacato? Mettiti ancora più comodo che dobbiamo parlare. Sei un giornalista? Diventa un mobile journalist che ti conviene. Questione di sopravvivenza.
Quando ho visto questo documento, non ci credevo.
Mojocon 2017, la Mobile Journalism World Conference cui ho preso parte dal 4 al 6 maggio, è iniziata con una keynote di Richard Swinford, Head of Telecommunications, Information, Media & Entertainment (TIME) Practice, UK, di Arthur D. Little, uno dei più grandi studi mondiali di consulenza. Al centro le caratteristiche della Gigabit Society, la società che vivremo tutti quando avremo a disposizione il 5G.
Il suo discorso è partito dallo studio commissionato da Vodafone alla sua azienda per descrivere e disegnare in modo particolareggiato il nuovo tessuto sociale che la connessione superveloce in mobilità potrà regalare. Il motivo per cui si è aperta così la Mobile Journalism Conference è semplice: dentro questa nuova società i media avranno una configurazione completamente diversa, in tutti i loro aspetti. Produzione, distribuzione, fruizione, canali, ecosistema. Tutto irrimediabilmente diverso.
Prenditi tempo per leggere.
Non so se hai abbastanza tempo per leggere questo report di Richard Swinford, Camille Demyttenaere ed Eric Stok. Se non ce l’hai trovalo. Sinceramente ti conviene. Cambieranno trasporti, conoscenza, medicina, agricoltura, industria, commercio, finanza, scuola. La Internet of Things diventerà cosa comune.
Cambieranno i media, perché si vivrà in un ecosistema in grado di bypassare completamente il dinosauro rappresentato dal broadcasting televisivo classico, partendo da produzioni in mobilità e arrivando a fruitori in grado di vedere, tramite le loro device, contenuti in 4k o in realtà aumentata.
Vai a pagina 19 del report per comprendere meglio quali saranno le potenzialità del 5G nei media, di un 5G che avrà la velocità da 1 a 20 giga al secondo, che potrà far lavorare alla stessa velocità 1 milione di oggetti connessi in un 1km quadrato, che potrà essere fruita anche a 500 km orari in movimento, che avrà una latenza inferiore al millisecondo.
Dal proprio telefonino, passando per le piattaforme come Youtube e Vimeo, già in grado di consegnare streaming in 4k, si arriverà ai fruitori dei video senza passaggio intermedio dalla tv. Almeno che questi attori dell’editoria non si siedano con i produttori di contenuti e con le piattaforme. C’è da ricodificare il mondo dell’informazione. La rivoluzione è impossibile da fermare, bisogna salirci sopra e cercare di guidarla in modo inclusivo, mettendosi tutti in discussione e dandosi nuovi traguardi. Insieme.
Messaggio a Ordine e Sindacato.
Se sei dell’Ordine o se sei del sindacato, della FNSI, scaricati questo report e pensaci su. Tutto deve cambiare, a partire dalla parola stessa, giornalista, vecchia come il cucù. Lo dice Michael Rosemblum, il padre del videogiornalismo mondiale: il giornalismo è morto, perché si è suicidato. Se non si attrezza per la società a 5G non risorge…
Per questo gli attori del giornalismo italiano, Ordine e Sindacato, devono accorgersi della situazione e mettere gli editori di fronte a un fatto. Devono ridiscutere tutta la realtà dell’industria giornalistica nazionale. Non c’è possibilità alternativa. Se non quella di diventare un paese assolutamente periferico e decadente rispetto alla rivoluzione mondiale del mondo dei media. D’altronde se CNN e Al Jazeera, tanto per dirne due, hanno iniziato a salire su questo toro imbizzarrito del cambiamento, un motivo ci deve essere. Ecco, aspetto la Rai, Mediaset, La7, il Corriere, la Repubblica. Vi prego, prendete il mojo per le corna. Altrimenti vi disarcionerà.
Al termine di Mojocon, la Mobile Journalism World Conference di Galway andata in scena dal 4 al 6 maggio, ho avuto l’occasione di parlare a lungo con il gran boss della manifestazione, il giornalista irlandese Glen Mulcahy. Il 43enne, capo dell’innovazione presso il broadcaster nazionale irlandese RTE, ha raccontato le sue sensazioni al tramonto della conferenza che, per tre giorni, ha tenuto assieme alcuni fra i pionieri del mobile journalism mondiale, parlando di un’edizione riuscita e improntata al “consolidamento. Ho visto case study coraggiosi – continua – che hanno fatto pensare che il giornalismo fatto con le device mobili è diventato parte del nostro lavoro di tutti i giorni“.
Un’ edizione di consolidamento.
Mojocon, nata proprio dalla testa di Mulcahy e dal suo visionario coraggio, è giunta alla terza edizione e ha mostrato senza dubbio come si possa fare del giornalismo di qualità con smartphone e tablet, lanciandosi anche nel mare dei video immersivi e nella realtà virtuale. “La prima edizione – afferma Mulcahy – era quella della novità. Si vedeva per la prima volta che nel giornalismo si poteva fare questa cosa. La seconda è stata quella della maturazione, mentre la terza ha fatto capire che il mojo può essere parte di tutti i processi produttivi. Mi ha fatto piacere vedere la comunità diventare forte e coesa, anche per merito di una città come Galway, magica nel creare contatti e far incontrare le persone”.
Un messaggio all’Italia.
“Stati che si affacciano per la prima volta a questo mondo – sottolinea Mulcahy – devono sapere di poter contare sulla nostra comunità. Va chiarito che la storia del mojo è molto giovane e ci è voluto molto tempo per convincere le persone che con smartphone e tablet si poteva fare giornalismo di qualità. Poi va anche chiarito che ci sono persone differenti al mondo, anche nella capacità di prendersi dei rischi. E comunità differenti. Non è una sorpresa, quindi, quella di vedere che ci sono paesi più avanti e paesi più indietro nell’accesso al mobile journalism che sta rivoluzionando il giornalismo. Basti pensare che perfino gli Stati Uniti, sul mobile journalism, sono dietro all’Europa. Quello di cui avete bisogno in Italia è una comunità, state facendo un buon lavoro“.
La forza di una comunità.
“D’altronde – afferma Mulcahy – Mojocon stessa è nata così’, come una comunità di persone che faceva mojo e si scambiava le practice per crescere insieme. Avete bisogno di replicare le stesse modalità, di fare gruppo, Meet Up, corsi, di avere dei case study, di diffondere la cultura in un piccolo gruppo di persone che poi faccia da diffusore del mobile journalism nel tessuto connettivo del giornalismo tradizionale“. Come un inarrestabile “virus”. La forza della comunità dei giornalisti, infatti si è vista benissimo in Irlanda.
Gli “avversari” più agguerriti.
Ora c’è da convincere gli editori a investire su questa fenomenale possibilità. “Paradossalmente – sentenzia Mulcahy – quelli più diffidenti sono proprio gli imprenditori televisivi. Quando direte loro che si possono fare con un telefono le stesse cose che stanno facendo con infrastruttura milionaria, vi risponderanno ‘Bah, è come avere una Ferrari e andare in giro con una 500’. Devono capire che si sta creando un ecosistema mojo che parte dagli smartphone e arriva agli utilizzatori finali passando soltanto attraverso device mobili e bypassandoli“.
Entrare in questo mondo ridurrà il rischio di essere scavalcati a zero e non è una questione di riduzione dei costi, ma di sopravvivenza. D’altronde se c’erano qui gruppi televisivi come CNN e Al Jaazera perché vogliono vedere da vicino come va a finire ci sarà un motivo, no? Poi quando arriveremo alla connessione 5G l’ecosistema avrà un avanzamento inarrestabile e le televisioni rimarranno fuori, con la loro eredità milionaria di infrastrutture“.
Il futuro, con le proprie gambe.
Mojocon 2018 potrebbe avere un volto completamente diverso ed essere autonoma. “RTE sta ristrutturando ancora e potrebbe considerare questa conferenza come un orpello e non come core business – conclude Mulcahy -. Io, tuttavia, ho investito un’enorme parte della mia vita su questa creatura. Assicuro fin da ora che, se RTE dovesse decidere di tagliarla, io lascerò la tv e andrò avanti da solo“. Una strada tracciata, sulla quale bisogna mettere anche gli editori e i sindacati, per una rifondazione ampia del giornalismo. In tutto il mondo.