Autore: Francesco Facchini

  • Mojocon Day Three: la comunità, il futuro e la sorpresa City Producer

    Mojocon Day Three: la comunità, il futuro e la sorpresa City Producer

    Mojocon, terzo giorno: le mani in pasta.

    Si è chiusa ieri, Mojocon 2017, si è chiusa con un giorno dedicato a workshop operativi che vertevano sugli argomenti trattati nei panel dei due giorni precedenti. Abbiamo messo tutti le mani in pasta, lavorato con i telefoni in mano, scambiato idee, incontrato i relatori da vicino, testato cose, pensato a soluzioni per migliorare il proprio business, la propria vita professionale. La sensazione più forte? Quella di essere dentro una comunità, connessa, potente, aperta, umile, decisa (e un po’ sognatrice). Quella di poter contare su una tale serie di link da far tremare le vene dei polsi, link con persone attive, operative, esperte e gentili, sempre pronte a darti una mano per farti capire che poi, ciò che dai, torna indietro.

    I pionieri del mojo.

    Quelli con cui ho vissuto questi giorni sono i pionieri del mojo, un gruppo di persone che lavorano nei posti più disparati del mondo e che sanno di avere tra le mani una via per rivoluzionare il mondo dei media, finalmente in modo libero. Talvolta sembrano dei geeks (per dirti la definizione, gente con troppo entusiasmo per questo mondo tecnologico digitale), ma conoscono una strada economica, giusta, paritaria e rivolta al futuro per far rialzare il giornalismo dalle ceneri: il mobile journalism.

    Le pressioni contro il mobile journalism sono fortissime.

    I mojoer sono una comunità forte, aperta, fiduciosa e attiva: per questo fanno paura. Lo conferma il fatto che ho saputo di pressioni forti dentro la BBC per tornare indietro rispetto ai passi fatti dentro il mondo del mobile journalism: pressioni che derivano dai settori dei tecnici e dalle figure professionali classiche dei giornalisti che hanno conosciuto il mondo del broadcasting importato in un certo modo, parzializzato, diviso in settori di competenza. I mojoer devono avere tutte le competenze, dal filming, al montaggio, al suono, al colore delle immagini, in una professionalità sola.

    Questo spaventa. Se ascolti poi l’ultima chiacchierata di chiusura di Glen Mulcahy sul futuro di Mojocon comprenderai che anche RTE sta per fare un passo indietro e lui è orientato a staccarsi e andare avanti da solo. Il motivo? Per una tv questo modo di vedere le cose cozza contro l’enorme massa di investimenti fatti per l’hardware classico della tv. Se tutti andranno in giro con i telefonini, una RTE non saprà che farsi di milioni di euro di studi televisivi, telecamere e regie. Così tante altre tv. Le pressioni sono anche sindacali, ma va aperto un dialogo con tutti, perché la via del futuro passa da un cambiamento totale del modo di produrre news e il cambiamento io penso sia mojo.

    La via per vendere? Non partire dal telefono

    Te lo dico subito: nei prossimi giorni parlerò molto anche dei prodotti visti qui e dei produttori di hardware per il giornalismo, ma il mojo resta una nuova filosofia professionale che ha poco a che fare con le device, i microfoni, i treppiede o le lenti. Deve entrarti nella testa.

    Se vuoi abbracciare questa nuova cultura professionale non puoi partire dal telefono e dagli aggeggi che lo circondano, ma dalla qualità, dall’efficienza, dalla particolarità e dall’innovatività di quello che farai.E dalle storie particolari che troverai. Altrimenti fornirai una bella scusa a chi deve prendere i tuoi pezzi per non farlo. Punto.

    Ti dico anche un’altra cosa: le recensioni che farò, di conseguenza, saranno quelle dei prodotti che userò, quelle dei prodotti che vanno bene per il mio mojo, ma magari potrebbero non essere buoni per il tuo. Mi schiererò, quindi, ma sono qui per darti consigli: scrivimi e ti rispondo (magari ci metterò un po’, ma lo faccio).

    La sopresa di City Producer

    Chiudo, da Galway, dicendoti che ho incontrato anche gli sviluppatori di City Producer, un’applicazione integrata di filming ed editing di altissimo livello. Si tratta di un prodotto innovativo che fa un passo in più rispetto alle semplici applicazioni come Filmic Pro e Luma Fusion. Le mette insieme in un sistema professionale di alto livello per i videomaker e i giornalisti video, un sistema in grado di fare mojo in una applicazione sola e di integrarsi in modo lineare con le regie delle tv o con i siti per l’invio del materiale o lo stesso live streaming.

    Ora torno a casa. Buon mojo e alla prossima.

  • Mojocon Day Two: il mojo tra Snapchat e bellissimi format

    Mojocon Day Two: il mojo tra Snapchat e bellissimi format

    Mojocon: il segreto è nelle immagini.

    La seconda giornata di Mojocon 2o17, la Mobile Journalism World Conference di Galway, è volata via con tre indicazioni molto forti. Riassumo: il giornalista deve cercare i lettori, conoscerli, interagire con loro (fino a Snapchat e oltre, rassegnati); con il mobile journalism si possono fare eccellenti format con eccellenti immagini; il campo del rapporto con le aziende per la valorizzazione di storytelling e brand journalism è assolutamente ampio e libero.

    Snapchat da conoscere, ma…

    Io scrivo tutti i giorni (o quasi) di innovazione nel mondo del giornalismo, per questo motivo tutto quello che rappresenta un canale nuovo per dare notizie mi interessa.

    Nella mattinata di ieri è stato, diciamo, frizzante e simpatico, perché mi ha fatto conoscere uno strumento che interessa i lettori giovani e che può rappresentare un elemento importantissimo per comprendere come proporre le notizie. Su questo CNN e il collega Yusuf Omar di cui ti ho già parlato spesso, hanno lavorato benissimo. Il panel era pieno di straordinarie professioniste e ottimi case studi, ma mi ha fatto pensare. A parte il motivo della conoscenza dei nuovi modi di usufruire delle notizie che hanno i giovani, cosa da conoscere e da sapere, ho subito visto che Snapchat è praticamente impossibile da praticare per la mia figura di riferimento del lettore: il giornalista freelance. Semplice il motivo: non ci puoi guadagnare. Nei prossimi giorni tornerò sull’argomento, ma non ci puoi guadagnare…

    Le immagini di un iPhone? Superbe.

    Nel pomeriggio un panel sul long form storytelling mi ha aperto un mondo. Tanti, tantissimi consigli tecnici su come fare storie per il mobile journalism. Il segreto sta lì: nell’infinita possibilità di trovare storie da vendere. E si può fare con meno di mille euro e con un risultato super professionale. E’ stato folgorante sentire parlare il professor Mike Castellucci, di Michigan State. Un vero maestro dell’immagine e del format che puoi trovare in questo sito e che io ho incontrato. Ti farò sapere tutto nei prossimi giorni, ma i consigli che ha dato sono interessantissimi e convincenti.

  • Mojocon Day One: il giornalismo è morto, ma sta benissimo

    Mojocon Day One: il giornalismo è morto, ma sta benissimo

    Mojocon: il futuro è qui.

    Finisce il primo giorno di Mojocon 2017, la Mobile Journalism World Conference and Content Creation che si sta svolgendo a Galway, sulla costa atlantica dell’Irlanda e le sollecitazioni da raccontare sono molte, moltissime. La prima? Il futuro del giornalismo è mojo e passa da qui, da queste centinaia di innovatori e pionieri della cultura del mobile journalism che RTE, la televisione di stato irlandese, grazie alla fenomenale lungimiranza di Glen Mulcahy, ha creato nel 2015 e che quest’anno ha portato nel mondo dei video a 360 gradi.

    La mattina del funerale.

    Abbiamo passato la mattina a fare il funerale al giornalismo, anche perché, insomma, il cadavere puzza. I mojoer, infatti, sono quelli che possono ribaltare la situazione, ma solo dopo aver rotto gli indugi, i linguaggi, il consueto modo di produrre e di distribuire contenuti di informazione. Solo dopo aver fatto, quindi, il funerale al giornalismo come lo abbiamo conosciuto fino a ora.

    Nel panel con Michael Rosenblum, Ilicco Elia, Samamtha Barry di CNN, Montaser Marai di Al Jaazera e Mark Joyella si sono evidenziate due fazioni con una spaccatura in mezzo. La prima, rappresentata bene da Rosenblum e da Ilicco Elia (ex Reuters), ha parlato apertamente di un giornalismo morto grazie al web, morto per suicidio perché non si è accorto che tutto il  mondo attorno all’ecosistema dell’informazione cambiava. La seconda, ben diretta da Samantha Barry, che ha parlato di un giornalismo in perfetta salute, ma comunque detenuto dalle news organization che condizionano, comunque, il mercato.

    Il pomeriggio a fare immersione.

    Il panel più pratico, dopo una divagazione “religiosa” di una conferenza nella quale si discuteva della divisione tra mondo iOS e mondo Android, è stato quello del pomeriggio, con Sarah Hill di Story Up (guarda il sito, ti conviene), con Sarah Jones, con Louis Jebb di Immersivly, con Robert Hernandez della University of Southern California e Max Richter di Insta 360. Il motivo? Beh, semplice. Ha regalato un’enormità di consigli pratici e anche dei consigli su come monetizzare i contenuti. Uno? Guardate qui cosa si può fare e vendere con thinklink.

  • Kinemaster va all’attacco: è sbarcata sul pianeta iOS

    Kinemaster va all’attacco: è sbarcata sul pianeta iOS

     Kinemaster: debutto a luci spente.

    La comunità di coloro che sviluppano il mobile journalism mondiale se n’è accorta da sola,  anche se non si è nemmeno visto un lancio vero e proprio della notizia, dopo il periodo beta. Di cosa sto parlando? Del clamoroso sbarco di Kinemaster nel pianeta Apple, avvenuto nemmeno 36 ore fa in completa sordina, a fari spenti, con il rilascio nell’App Store di Cupertino. Rilascio che non è stato nemmeno pubblicizzato da un tweet dell’account ufficiale dell’applicazione, sviluppata dalla coreana Nexstreaming. Te lo sto scrivendo con tale anticipo che nemmeno il sito di Kinemaster, che puoi trovare qui, ha messo, almeno fino al momento in cui sto battendo sulla tastiera, il bottone del rilascio della sua nuova creatura per il sistema operativo della mela morsicata e delle sue device.

    Il gioco cambia, di molto.

    Già mesi fa ti avevo anticipato che Nexstreaming sarebbe andata nel campo nemico, nel campo dominato, in questo momento, da Luma Touch. Lo avevo anticipato in questo post che puoi andare a rileggere perché spiega bene la grande battaglia che si sta verificando tra Kinemaster e Luma Fusion. Lo sbarco di Kinemaster in iOS, con pregi e difetti, obbliga tutti a fare un passo in avanti nelle applicazioni cross platform per il montaggio video da device mobili.

    Trainer liberi!

    Nel contempo libera anche i mojo trainer dal dover fare un corso che abbia differenze tra il mondo iOS e il mondo Android. Come? Proprio attraverso il punto di contatto che, in questo momento, è solo Kinemaster. Il gioco cambia, di molto. Tutti ne beneficeranno e ho già visto due nuove app che potrebbero rendere più serrata la battaglia.

    I mojoer l’hanno provata subito (compreso me).

    E’ stato Marc Blanc Settle, mojo guru della BBC, a mettere fuori l’avviso che aveva trovato Kinemaster nell’App Store. Da quel momento in poi è stato un florilegio di commenti, pareti, test, prove. Ci ho messo le mani anche io e l’ho trovata quasi uguale al modello Android, con i suoi pregi e i suoi difetti. Compreso il drag and drop difficoltoso, la titolazione limitata e poco intuitiva. Comprese, anche, alcune features nascoste e macchinose come il cropping. E’ rimasta la versatilità nelle transizioni e in alcuni layout.

    Lo stramaledettissimo problema…

    Il problema è il costo, il folle costo che, alla richiesta del passaggio a pro, parla di 4,99 dollari al mese e 39,99 in quota annua. Porcaccia miseria, ma allora quelli di Luma Touch cosa sono, dei pirla? Avrò modo di incontrare gli sviluppatori di  Kinemaster a Galway per Mojocon 2017 e glielo chiederò. Venti dollari in tutto di Luma Fusion contro 40 anni di Kinemaster sono un divario enorme. Chiudo dicendoti solo una cosa. Ti ribadisco che questi giorni e questi sviluppi sono importantissimi per il mondo del mobile journalism. Così facendo, il mojo si esprime al massimo anche nell’editing visto che tra montaggio pc e montaggio mobile, ormai, non c’è più differenza. Ah, un’altra cosa: la prossima super app in arrivo parlerà francese…

    [/fusion_text][/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container][:it]

    Kinemaster: debutto a luci spente.

    La comunità di coloro che sviluppano il mobile journalism mondiale se n’è accorta da sola,  anche se non si è nemmeno visto un lancio vero e proprio della notizia, dopo il periodo beta. Di cosa sto parlando? Del clamoroso sbarco di Kinemaster nel pianeta Apple, avvenuto nemmeno 36 ore fa in completa sordina, a fari spenti, con il rilascio nell’App Store di Cupertino. Rilascio che non è stato nemmeno pubblicizzato da un tweet dell’account ufficiale dell’applicazione, sviluppata dalla coreana Nexstreaming. Te lo sto scrivendo con tale anticipo che nemmeno il sito di Kinemaster, che puoi trovare qui, ha messo, almeno fino al momento in cui sto battendo sulla tastiera, il bottone del rilascio della sua nuova creatura per il sistema operativo della mela morsicata e delle sue device.

    Il gioco cambia, di molto.

    Già mesi fa ti avevo anticipato che Nexstreaming sarebbe andata nel campo nemico, nel campo dominato, in questo momento, da Luma Touch. Lo avevo anticipato in questo post che puoi andare a rileggere perché spiega bene la grande battaglia che si sta verificando tra Kinemaster e Luma Fusion. Lo sbarco di Kinemaster in iOS, con pregi e difetti, obbliga tutti a fare un passo in avanti nelle applicazioni cross platform per il montaggio video da device mobili.

    Trainer liberi!

    Nel contempo libera anche i mojo trainer dal dover fare un corso che abbia differenze tra il mondo iOS e il mondo Android. Come? Proprio attraverso il punto di contatto che, in questo momento, è solo Kinemaster. Il gioco cambia, di molto. Tutti ne beneficeranno e ho già visto due nuove app che potrebbero rendere più serrata la battaglia.

    I mojoer l’hanno provata subito (compreso me).

    E’ stato Marc Blanc Settle, mojo guru della BBC, a mettere fuori l’avviso che aveva trovato Kinemaster nell’App Store. Da quel momento in poi è stato un florilegio di commenti, pareti, test, prove. Ci ho messo le mani anche io e l’ho trovata quasi uguale al modello Android, con i suoi pregi e i suoi difetti. Compreso il drag and drop difficoltoso, la titolazione limitata e poco intuitiva. Comprese, anche, alcune features nascoste e macchinose come il cropping. E’ rimasta la versatilità nelle transizioni e in alcuni layout.

    Lo stramaledettissimo problema…

    Il problema è il costo, il folle costo che, alla richiesta del passaggio a pro, parla di 4,99 dollari al mese e 39,99 in quota annua. Porcaccia miseria, ma allora quelli di Luma Touch cosa sono, dei pirla? Avrò modo di incontrare gli sviluppatori di  Kinemaster a Galway per Mojocon 2017 e glielo chiederò. Venti dollari in tutto di Luma Fusion contro 40 anni di Kinemaster sono un divario enorme. Chiudo dicendoti solo una cosa. Ti ribadisco che questi giorni e questi sviluppi sono importantissimi per il mondo del mobile journalism. Così facendo, il mojo si esprime al massimo anche nell’editing visto che tra montaggio pc e montaggio mobile, ormai, non c’è più differenza. Ah, un’altra cosa: la prossima super app in arrivo parlerà francese…[:]

  • Video a 360 gradi per il giornalismo: consigli ai mojoer

    Video a 360 gradi per il giornalismo: consigli ai mojoer

    [fusion_builder_container hundred_percent=”no” equal_height_columns=”no” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” background_position=”center center” background_repeat=”no-repeat” fade=”no” background_parallax=”none” parallax_speed=”0.3″ video_aspect_ratio=”16:9″ video_loop=”yes” video_mute=”yes” overlay_opacity=”0.5″ border_style=”solid”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ layout=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” border_position=”all” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” center_content=”no” last=”no” min_height=”” hover_type=”none” link=””][fusion_text]

    Video a 360 gradi per il giornalismo: il secondo step del mojo.

    Sto facendo in questi mesi del 2017 i primi passi nella produzione e nell’editing di video immersivi a 360 gradi, sto entrando, quindi, nel campo del Giornalismo a 360 gradi. Ho testato, senza pubblicare, per alcuni mesi, ho avuto e rotto la mia prima telecamera, ho fatto la mia prima intervista a 360 gradi a Dan Pacheco, professore di Innovation Journalism della Syracuse University, ho fatto i primi editing, ho avuto i primi problemi di stitching.

    L’intervista (molto approssimativa), ma meravigliosa.

    A Perugia, durante il Festival Internazionale di Giornalismo, ho deciso di provocare Pacheco, dopo un suo panel, facendogli un’intervista immersiva su come si faceva un’intervista immersiva. Ne ho ricevuto in dono un pacco di consigli e di considerazioni che ti sbobino per la prima volta qui.

    “Questa intervista è per il 360 o per la Virtual Reality? – ha iniziato Pacheco -. Perché se è per la seconda devi avere un tripode per forza, per non far ammattire chi sta guardando. Ma se è per il 360, per piattaforme come Facebook o quelle tradizionali (tipo Youtube, ndb) potrebbe andare bene anche il posizionamento che sta operando, anche se l’idea del tripode io la metterei in pratica lo stesso. Anche perché potrebbe essere un buon modo per tenere anche il telefono. Ci sono le staffe, gli holders apposta che rendono tutto molto stabile”.  Nonostante il mio stile approssimativo, Pacheco ha continuato imperterrito.

    “Devi prendere delle decisioni importanti quando stai riprendendo qualcosa in immersive journalism. La cosa strana è che io sto parlando con te, ma anche con loro, quelli che grazie a questa telecamera sono completamente immersi nella situazione. Nella VR ti senti come se la tua testa fosse nella camera. Quindi devi dirigermi a parlare sia con te sia rivolgendomi chiaramente alla camera che è un altro interlocutore della situazione”. Poi ha tratteggiato un secondo stile: “Se vuoi che il secondo interlocutore si senta a suo agio completamente puoi inventarti una situazione del tipo che ti siedi a bere un caffé con l’intervistato mettendo la camera sopra un’altra sedia come se ci fosse al tavolo qualcun altro”.

    Si dice 360, ma si scrive VR.

    L’intervistato, quindi, è solo uno dei protagonisti del video, non l’unico. “Insomma – continua Pacheco – devi parlare anche alla terza persona, pensare che questa cosa sia vera e farlo capire all’intervistato, specialmente se è VR e non solo un video a 360°. Devi riflettere se sia il caso o meno di far vivere l’esperienza allo spettatore di un intervistato che li guarda fissi in camera, come se fossero lì. Potrebbe anche non essere il caso se è solo un video a 360°”.

    Poi Pacheco è andato oltre. “Nella posizione della camera devi stare attento perché la tua linea d’orizzonte – ha continuato – deve essere all’altezza del tuo spettatore principale. Se è un video per bambini la camera deve stare bassa. Per le donne ad altezza intermedia, per gli uomini più alta”. Sembra acqua calda, ma quando ci sei dentro non lo è. Per i video a 360 gradi giornalistici considerazioni come queste sono importantissime.  “Devi decidere chi è il tuo target e sto parlando proprio orientandomi più sulla Virtual Reality, che è il futuro di questo tipo di video, che sui video a 360 gradi.  Anche perché dovete pensare a dove pubblicate i video a 360. Lo fate su Facebook? E chi è il padrone di Oculus? Facebook!  Quindi è là che siamo andando, verso la VR. Quindi niente movimento se non lento, scelte chiare, immagine definita”.

    I primi passi.

    Questi mesi di test sono mesi di studio. Per i video a 360 gradi per il giornalismo, infatti, l’epoca è ancora di esplorazione. Basti pensare che il video di riferimento, del cui comitato scientifico fa parte proprio Pacheco, è questo. Ti chiede di registrarti per dirgli come stai facendo video a 360 gradi per cercare di codificare la materia. Ok, ti ho fatto fare i primi passi, ma è solo l’inizio. Il motivo? Semplice: manca una settimana a Mojocon, la Mobile Journalism World Conference di Galway che racconterà tutte le novità proprio sui video a 360 gradi. Io sarò là e te la racconterò. Ogni viaggio, tuttavia, comincia con il primo passo. E dal primo passo dovevamo iniziare.

    [/fusion_text][/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]

  • Stati Generali dell’Informazione: conclusioni e documenti

    Stati Generali dell’Informazione: conclusioni e documenti

    Stati Generali dell’Informazione: finalmente il futuro.

    Si sono conclusi da qualche ora gli Stati Generali dell’Informazione in Lombardia, evento che su due giorni ha offerto uno sguardo sul presente e sul futuro del giornalismo nella mia regione di importanza notevole. Una due giorni divisa nel corso di formazione della mattina di sabato 22 aprile (a proposito, grazie per il grande interesse mostrato nei confronti del mobile journalism e del mio speech del quale ti giro la presentazione) e le conclusioni andate in scena nella mattinata di oggi dopo il lavoro svolto ieri dai tavoli tematici sulla professione.

    E’ stato un momento importante, nel quale ho avuto la netta impressione di poter contare nell’operazione di “riscrittura” del futuro della professione giornalistica, almeno nell’ambiente a me più contiguo. E’ stato un lavoro molto duro, portato avanti, dallo staff degli Stati Generali e dalle Autorità Regionali che hanno aiutato la riuscita della manifestazione, con il preciso obiettivo di mettere mani al cambiamento del mondo dell’informazione.

    Abbiamo tirato una riga.

    Abbiamo tirato una riga, sintetizzando delle proposte in un documento ufficiale che verrà portato in seno alle massime istituzioni giornalistiche. Si è concluso il primo atto di un lavoro che è iniziato oggi, non certo finito oggi. E il mobile journalism è al centro del cambiamento. Le slide di riassunto del documento le puoi trovare qui, ma ti assicuro che la redazione del documento, letta pubblicamente nella Sala Solari del Palazzo delle Stelline, supera di gran lunga il riassunto del power point. Non te la giro ora perché attendo dallo staff la versione finale, ma si è parlato con puntualità e impegno di molti “nuovi modi” di fare giornalismo e di molte nuove necessità da soddisfare per vincere la sfida della rivoluzione digitale.

    Freelance, prima di tutto.

    Finalmente si è parlato di freelance e in modo profondo: le loro esigenze sono quelle che vanno soddisfatte per prime: noi freelance siamo la colonna portante del lavoro giornalistico. Poche balle. Finalmente si è lasciata da parte la questione politica per fare posto alle reali esigenze del giornalismo che cambia. Io c’ero e ho lavorato a questo progetto per questo motivo: poche chiacchiere, tanti fatti. Ecco le voci conclusive della manifestazione, una sorta di resoconto per immagini.

    Ora comincia il lavoro.

    Comincia il lavoro in altre sedi: deve portare al cambiamento e al far diventare stabili gli Stati Generali. Per fare la fotografia dello stato delle cose e per pensare ai cambiamenti da fare nel futuro. Il motivo? Il giornalismo deve restare al passo con l’evoluzione della società e la società cambia ogni giorno. Quindi anche il giornalismo lo deve fare. Deve cambiare ogni giorno.

    Mi prendo la briga di chiudere polemicamente. Chi non era seduto a quei tavoli, non critichi. Poteva venire a sedersi e dire la sua. L’ho già scritto, ma te lo risottolineo: il giornalismo si cambia stando dentro, non certo da fuori. Alla marea di colleghi che sembrano avere la soluzione in tasca, dico solo una cosa: vi state sbagliando, di grosso. L’unica via per cambiare il giornalismo è farlo insieme.