Il giornalista freelance è una tipologia di lavoratore autonomo che ha bisogno di una importante riscrittura.
Sono mesi, forse ormai anni, che ci lavoro su. ll giornalista libero professionista è il motore del mondo dei media italiani e va rivalutato, rivisto, rimesso a nuovo. Il giornalista freelance non ha bisogno di spiccioli, ma di una rivisitazione del ruolo, della collocazione nel mercato del lavoro, dei trattamenti contrattuali ed economici e delle tutele. Ho guardato con attenzione, in questi periodi così difficili, l’azione della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo della Fnsi e ho più volte fatto sentire la mia voce, in modo costruttivo e nelle sedi e con le persone opportune, andando abbastanza spesso in dissonanza.
I veri bisogni del giornalista freelance
La vita del giornalista freelance la conosco diciamo benino: è la mia. Ne conosco i veri bisogni sotto il profilo professionale e penso che il sindacato debba darsi una mossa a cambiare proprio tipo di partita da giocare. Equo compenso? Si, ottimo. Però io direi anche equo rapporto contrattuale, equa corresponsione economica del giornalista freelance, eque tutele sociali quando il professionista dell’informazione autonomo perde i suoi ingaggi andando a fatturato mensile zero. Io direi anche equa formazione ed equa collocazione nel mondo dei liberi professionisti. Come è per notai, avvocati, commercialisti, anche il giornalista freelance è un prestatore d’opera qualificato che svolge un’attività dall’importante complessità e che ha bisogno che il rischio d’impresa, i costi e la struttura vengano riconosciuti in modo equo.
Perché tutto questo non succede? Perché non si comprende che un giornalista freelance vessato da paghe da fame e da tutele zero è un pericolo per tutti? Sinceramente non conosco tutti i motivi di questa situazione assurda, ma voglio andare fino in fondo alla cosa. Ho bisogno di capire… e di agire.
Giornalista freelance, ci metto la faccia
Perché tutta questa premessa? Semplice: perché mi hanno chiesto di rendermi disponibile all’elezione della nuova commissione sul lavoro autonomo. Già, ci sono le elezioni sindacali, si eleggono gli organi di rappresentanza del lavoro autonomo e io ti ho fatto più volte sapere e capire che alla rappresentanza attiva tengo. E anche molto. Il 31 ottobre alle 10 ci sono le elezioni che dovranno rinnovare la squadra di persone che farà parte dei tre organi di rappresentanza del lavoro autonomo (Assemblea Nazionale, Commissione Nazionale e Regionale) e ho deciso di metterci la faccia. Per le regole dell’elezione non sto qui a fare elenchi. Se sei un membro in regola del sindacato credo tu possa votare, ma per sicurezza leggi qui.
Ho intenzione di sbattermi per capire e di battermi per cambiare le cose. Convinto che la battaglia non sia da giocare in difesa come è successo in queste stagioni, ma all’attacco. Insomma, un equo compenso è giusto, ma io per la mia carriera da giornalista freelance voglio tutto il resto. Intanto facciamo il primo passo. Il 31 ottobre in viale Montesanto 7 a Milano passa a mettere un voto e poi cominciamo a rompere le palle. Insieme.
Il mondo dell’intelligenza artificiale è entrato ormai da mesi nel mio flusso di lavoro. In modo definitivo.
In questa prima metà di settembre del 2023 mi sono accorto che ci sono ben pochi giorni in cui mi capiti di non usarla questa benedetta intelligenza artificiale. Per i contenuti, per l’organizzazione, per la scrittura, per la gestione del business, per la cura, per la casa, anche semplicemente per digitare un messaggio. Ho avuto un piccolo godimento quando, nel mio ultimo aggiornamento del sistema operativo degli smartphone, ho visto la tastiera diventare una tastiera AI powered con suggerimento automatico delle parole e correzione automatica. La usiamo da anni, ma solo in questo periodo la percepisco come presente perché sono consapevole dei suoi usi, dei suoi concetti, dei suoi fondamentali, dei suoi schemi, dei suoi utilizzi, dei tool nei quali si esprime.
Lo studio è durissimo, ma…
L’Intelligenza Artificiale l’hanno saputa definire chiaramente in pochi. Allora, col mio laboratorio Algoritmo Umano, ho cercato conforto in Piero Poccianti, ex presidente di Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, il quale ha staccato la seguente definizione:
Una volta che hai visto questo video penso che molte cose si mettano al loro posto nell’approccio che ognuno di noi deve nei confronti della intelligenza artificiale. In questi giorni, in questi mesi, anche ora che mi trovo a scrivere al Caffé Tommaseo a Trieste, rifugio del grande Umberto Saba, sto percependo sempre di più la magia della AI e il senso del mio rapporto con l’Intelligenza Artificiale.
L’Intelligenza Artificiale e l’uso che ne fai
Gli strumenti che utilizzo sono tanti, in tanti diversi tipi di operazioni. Il modo in cui li utilizzo, questi strumenti, mi sta diventando sempre più chiaro. In qualsiasi azione mi capiti di utilizzare l’intelligenza artificiale la spinta che mi fa usare gli strumenti di AI è sempre coadiuvante e mai “sostituente”. Mi spiego: non direi mai a un tool di AI scrivi una mail a questo o quest’altro, su questo o quest’altro. Direi a un tool di AI di generarmi parti di quel testo che servono a me per comporre il risultato della mail che ho in mente di scrivere alla persona “x” con il messaggio “y” che è il risultato di molti pezzi testuali, fra i quali ci sono mattoni costruiti con l’AI.
Insomma: non vorrei mai farmi sostituire dall’AI, ma farmi aiutare si. In ogni passaggio, per ogni fase del lavoro, in ogni processo di produzione dei miei contenuti, piuttosto che dei miei risultati, l’Intelligenza Artificiale mi serve a precisare, velocizzare, rifinire, completare, rivedere, controllare, moltiplicare.
Non mi serve a sostituire.
Il senso dell’AI ad Algoritmo Umano
Ad Algoritmo Umano sto studiando con grande profondità strumenti di intelligenza artificiale per migliorare le mie creazioni, produzioni, i miei servizi. Sto studiando anche l’implementazione di processi e strumenti di AI per altre organizzazioni. Sto studiando perfino la materia e i suoi sviluppi. Non sto studiando la “sostituzione” della necessaria operatività umana in alcuna delle cose che faccio. Ti è chiaro?
L’AI è mia amica e mi regalerà nuovo tempo, nuovo valore, nuova ricchezza. Tuttavia non è me. Ecco, l’AI ed io partiamo da qui. E tu che ne pensi?
Il razzismo sta assumendo nuove forme e sta dilagando in nuovi luoghi. Come questo.
Si, parlo di questo qui… parlo del web. Specialmente in questo periodo, specialmente in Italia, di razzismo dobbiamo parlare e dobbiamo farlo senza remore. Il contesto nel quale viviamo è diventato molto più “violento” e aggressivo contro chi si esprime fuori dalla logica dominante e ha anche aperto le porte alla creazione di differenze sociali sempre più ampie e sempre più evidenti, soprattutto in ambito digitale. Differenze di partenza, differenze che creano nuovi tipi di razzismo.
Per questo motivo, guardando cosa il Governo e il Parlamento stanno facendo alle libertà di questo paese e comprendendo bene che siamo in una situazione di allarme, ho deciso di alzarmi in piedi e dirti che dobbiamo parlare di tutte quelle situazioni delle quali quasi nemmeno ci accorgiamo e che stiamo lasciando andare in modo inconsapevole. Si tratta di fatti, accadimenti, ma anche di omissioni o silenzi che stanno sezionando in maniera chirurgica la società a seconda delle possibilità di accesso e di uso di internet, della tecnologia, del digitale, del web, dei social e, ultima ma forse più importante di tutto, dell’Intelligenza Artificiale.
Le differenze che creano razzismo
In questa riflessione ti parlo di razzismo digitale, ma lo faccio senza riferirmi a episodi singoli che lo evidenziano. Il problema della società iperconnessa che si sta creando non lo dobbiamo solo vedere quando guardiamo il fatto singolo di matrice razzista. Dobbiamo imparare a considerare le differenze di partenza tra le persone che creano distanze che non sono solo dettate dal diverso potere economico di un umano rispetto a un altro. Dobbiamo capire ora che ci sono disfunzioni genetiche della nostra società e della nostra economia che creano umani che hanno una differente possibilità di esprimersi e di evolvere attraverso la tecnologia e lo fanno… di partenza. Per questo si creano esclusioni, per questo si crea diversità, per questo si crea razzismo.
Le infrastrutture e il luogo che ti frega per la vita
Nel nostro paese c’è una situazione di gravi differenze per quanto riguarda l’accesso a Internet. Uno che nasce a Pila, in Val Sesia, provincia di Vercelli, per esempio, non ha anche oggi, nel 2023, la stessa rete, la stessa velocità di dati in “upload”, in caricamento, di uno che vive in centro a Milano. Quindi significa che è più lento nell’accesso ai servizi, all’amministrazione, al lavoro, allo scambio di dati e alle possibilità tecnologiche che sono, invece, a portata di mano di un milanese.
Un tempo erano le differenze economiche e politiche, insomma, a creare umani di “razze” diverse e di dignità diverse. Adesso ci sono anche le differenze digitali.
A scuola, in tutte le scuole d’Italia, abbiamo visto con chiarezza le differenze di approccio al collegamento web quando i nostri ragazzi-bambini facevano la DAD, la mitica Didattica a Distanza. Per motivi di reddito, di costi, di opportunità, un’intera parte della società italiana non aveva al tempo del covid e ancora oggi non possiede dotazioni tecniche in casa che permettano di avere un approccio corretto e sufficientemente veloce al web. Per studiare, per conoscere, per acquistare, per avere servizi, per lavorare, per evolvere.
Il silenzio è razzista
Il tutto si svolge nell’ambito di un mercato delle linee internet e delle connessioni che è un cartello, che ha prezzi simili e alti e che beneficia dei voucher come cerotto buono per guarire uno sbudellato. Se la fibra non c’è, se le infrastrutture sono in mano a un monopolista, se la velocità è “x” a Pila e “10 volte x” a Milano, se le istituzioni non si prendono carico della necessità di parificare l’approccio alla rete e di garantirlo a tutti come un più che giusto diritto costituzionale, beh, allora dico che il silenzio del Governo attuale e di quelli precedenti è razzista. Perché? Perché esclude e crea diversità, in partenza, solo perché nasci in una valle montana, anziché nella pianura Padana (e non voglio allargare il discorso).
I social son per ricchi
I social network sono luoghi digitali che stanno cambiando con grande rapidità e che ci hanno fatto vivere una distorsione della realtà durata più o meno una ventina d’anni. Ora sono diventati posti virtuali molto diversi dal passato, ma non te ne sei nemmeno accorto, ci scommetto. Terminata la fase d’oro del furto continuo dei dati a nostro danno per fornirci la più stronza e invasiva forma di pubblicità della storia umana, ora le reti di connessione sociale sono servizi che devi pagare se vuoi continuare a usare in modo completo, ma la cosa non si ferma qui.
Tanto per parlare di differenze che creano razzismo, se paghi il servizio (il Twitter Blue o il Meta Verified) hai maggiori possibilità di vedere quello che vuoi, di avere più contenuti, di non vedere più la pubblicità, di avere un supporto dedicato. Si, hai capito bene, se ci paghi ti assistiamo, se non ci paghi no…
Traggo un altro esempio per farti comprendere come anche i social network stanno facendo differenze di razza. Se paghi Twitter Blue puoi vedere fino a qualche migliaio di Tweet al giorno. Se non lo paghi ne vedi 600.
Dobbiamo cambiare punto di vista sui social
Dobbiamo cercare di comprendere alcune cose che ritengo importanti per cambiare approccio ai social network, ma bisogna anche riflettere sul fatto che queste gigantesche reti di connessione tra umani hanno completamente trasceso la logica di un semplice prodotto (insomma Facebook non è una maglietta della Adidas che compri al negozio) e sono diventati strumenti di grande impatto sociale.
Pensare a soluzioni per ottemperare a una giustizia sociale e per salvare le leggi di mercato che vogliono le aziende orientate al profitto non è il mio mestiere, ma quello di chi governa. Io sto solo indicando il problema con il dito: ora, sui social, ci sono i ricchi che pagano e hanno in cambio visibilità, contenuti, servizi. Poi ci sono i poveri che guardano dentro le vetrate del bel mondo e fanno l’alone di alito sul vetro.
Concetti sparsi che concimano il razzismo
Metto in fila alcune cose. Hai notato che, quando parlavo della rete, parlavo di velocità di upload e non di download? Ti spiego perché tutti parlano di download, ma è l’upload l’unico valore importante per l’utente. Il download o scaricamento dei dati è necessario se tu vuoi fruire di un contenuto, quindi se hai un approccio passivo al web e a quello che c’è dentro: guardi, ascolti, leggi, senti (e paghi). Il caricamento di dati è importante, invece, per te: se sei un lavoratore digitale e fai un video da un giga, beh, è determinante per te poter mandare quel giga di video in pochi secondi anziché in 10 minuti. Se devi lavorare col web devi avere potenza del segnale di rete quanto carichi dati, non quando scarichi…
Ecco: e perché nessuno ne parla e lo mette come priorità nei suoi servizi?
Le bolle che creano razzismo
Seconda cosetta sparsa: se i social network sono diventati il posto che ho descritto nel paragrafo precedente, sai cosa succede? Succede che vedi sempre meno contatti, amici e li vedi sempre più simili a te e ai tuoi interessi. Per essere chiari: le bolle, le camere social nelle quali siamo chiusi sono una delle maggiori cause delle manifestazioni del razzismo digitale. Se il fascista o il razzista è contornato dai suoi simili che gonfiano ulteriormente il suo ego, sarà ancora più facile che questo crei testi, video, foto che contengono messaggi fascisti o razzisti visto che attorno a lui ci sarà sempre di più gentaglia che risponde solo ai suoi modi di vedere il mondo.
Terza constatazione: negli ultimi tempi c’è stato un caso che ha creato, diciamo, una divisione netta tra “chi può e chi non può” ed è quello di Threads, nuova applicazione di Meta lanciata un po’ dappertutto, ma non nei paesi europei (e per certi versi mi viene da dire per fortuna). Ecco la questione riassunta in un video del canale YouTube di Algoritmo Umano.
Social network: ora l’America ci evita
Con il caso Threads è successo qualcosa che non era mai successo prima. Per la prima volta una app non è stata nemmeno rilasciata in un’area del mondo e la decisione è stata presa a priori. Ok, a causa delle leggi europee sulla protezione dei dati personali (e questa è una grande cosa, te lo assicuro), ma ha comunque creato una deliberata distinzione tra paesi che potevano toccare con mano la novità tecnologica e paesi che non lo potevano fare.
Questa americanocentricità della tecnologia è davvero inquietante per tutto l’approccio al web, ai social, alle innovazioni. Per non parlare del monopolio mondiale della ricerca sul web di un’azienda sola che, se volesse, potrebbe cancellare interi paesi dalla faccia della terra in un’istante. Si parlo di un giorno ipotetico nel quale un capoccia di Google si sveglia e dice: cancelliamo l’Italia dai nostri server. Cosa succederebbe?
Il mondo dell’intelligenza artificiale e il razzismo digitale
Anche il mondo della AI ha vissuto la stessa cosa, almeno per quanto riguarda l’Italia, successa con i social network quando è uscito Threads. Per molti mesi Bard, il Large Language Model di Google, non era utilizzabile nel nostro paese. Decisione anche in questo caso presa a priori da Google per il problemi di rapporto tra queste piattaforme (che gestiscono assai allegramente i dati) e le nostre ottime legge sulla privacy. Ora si presenta così:
Quello che devo notare, dopo averti raccontato questo caso, è che stiamo assistendo ad alcuni processi, nel mondo della AI, che creano i presupposti per delle importanti conseguenze di tipo razzista. Non mettere il mondo connesso alla pari facendo accedere contemporaneamente tutti gli umani internauti a un innovazione avrà anche i suoi giustificati motivi, ma crea differenze. Le quali si aggiungono alle differenze sociali ed economiche che ci sono già e che spingono da molto tempo lontano dal mondo digitale che stiamo creano un umano che ha la sola colpa di nascere a Ouagadougou e non a Milano.
Il mondo delle aziende AI, il peggio del peggio
Oltretutto il mondo dell’AI, o meglio delle aziende AI, è quanto di peggio possa esprimere la tecnologia per quanto riguarda la creazione dei presupposti del razzismo digitale. Lo dico chiaro: le varie fondazioni o aziende che hanno iniziato la corsa modello Far West alle nuove ricchezze derivanti da questa tecnologia non hanno fatto capire praticamente nulla agli internauti e agli utenti.
Ci hanno solo resi fruitori passivi di queste tecnologie e utenti paganti. Insomma ci hanno messo subito le mani nel portafoglio promettendoci grandi cose o impaurendoci con potenti pericoli, ma senza costruire cultura, dare un approccio, fornire indicazioni non solo operative, ma anche etiche. Il prodromo più classico del razzismo.
Come se non bastasse, poi, gli LLM come Chat Gpt o Bard si riforniscono con scarsa attenzione quando ti generano i contenuti attingendo ad algoritmi predittivi e probabilistici (quindi non intelligenti). Sto parlando del fatto che violentano il materiale altrui protetto dai diritti d’autore e si alimentano con testi e fonti che sono ancora piede d’odio, come afferma Wired in questo pezzo di qualche tempo fa.
Il razzismo tecnologico esiste e va fermato
Magari questa lunga riflessione sul razzismo tecnologico e digitale ti potrà essere sembrata incoerente. Tuttavia queste considerazioni cominciano a fare un quadro sempre più chiaro di quello che sta succedendo e di quello che stiamo subendo senza accorgerci di nulla, beatamente ignoranti. Fino a quando non protesteremo per l’infrastruttura di rete che in Italia non va ed è presa di un cartello di aziende che orientano il mercato a piacimento, fino a quando abboccheremo a stupidaggini come il 5G (ancora oggi il 5G è un bluff e un miraggio che viene pagato dagli utenti), fino a quando non rifletteremo il da farsi sul mondo dei social e della tecnologia, fino a quando non faremo chiarezza e cultura sulla AI e sul suo corretto uso, allora saremo preda del razzismo digitale e delle disuguaglianze che crea. E te lo dico: saranno benzina sul fuoco delle disuguaglianze sociali che già esistono.
Io il mio l’ho detto, ora è il tuo turno. Che fai, agisci?
Un’estate strana. Alcune evoluzioni del percorso di questo 2023 mi hanno cambiato i giorni e le carte in tavola.
Hai in mente quando tu progetti le cose, il lavoro, le prospettive, quando lavori sul calendario, riempi i giorni, sviluppi i progetti, i rapporti coi clienti… e poi un paio di eventi ti squadernano tutto? Ecco, mi è successa questa cosa: un classico della vita da freelance. Non ti nego che la cosa mi ha creato qualche giorno di sbandamento, ma in pochissimo tempo ho tirato fuori le unghie e… rilanciato.
Gli imprevisti del mestiere
Nei progetti professionali e in quelli personali, questa cosa può capitare. Non vivo da solo, non vivi da solo. Per questo semplice motivo tu puoi orchestrare delle cose, ma gli altri possono mettere in campo altre scelte e andare contro ai tuoi desideri, alle tue azioni, al tuo intento.
In quel momento hai bisogno di resilienza, cioè di quella capacità di trasformare la difficoltà in opportunità. Credo di averne parlato l’anno scorso, leggi qui. Nel momento esatto in cui accade ciò che non ti attendevi, devi cercare di chiudere rapidamente l’angolo di visione delle tue cose. Se lo lasci ampio, ti prende lo sconforto. Se consideri la situazione nel suo insieme, hai la tentazione di guardare indietro, di pensare a tutto il tempo che hai impiegato a organizzare le cose in un certo modo e che non è andato a frutto perché è successo qualcosa. Qualcosa che non era previsto, un imprevisto. Attaccati ferocemente a questa parola per pensare che, se non era prevedibile, non hai responsabilità dirette sull’accaduto. E’ successo, basta: è un imprevisto del mestiere.
Guarda davanti, ma non troppo
Insomma, quando i tuoi piani vanno a carte 48, specialmente se fai vita da freelance, è il momento di stringere lo sguardo e concentrarsi su quello che hai davanti pensando alle opportunità che ti può dare. Ti spiego quello che ho fatto io: Mi si è aperta l’agenda. Sono giorni che è vuota. Ho inserito la creazione di un canale Youtube e lo studio di questo social che non avevo mai curato per bene (guarda qui e dimmi se ti piace). Ho inserito il nuoto bisettimanale tra le mie attività, ho terminato il lavoro di restyling del sito di Algoritmo Umano e l’ho rimesso in vita, mi sono dedicato alla creazione di nuovi progetti didattici da proporre a nuovi clienti, ho formattato nuovi servizi e fatto esperimenti sul campo del live streaming.
Ho pensato a cose che avevo davanti, ho pensato al futuro, ho pensato a riempire il vuoto, ho pensato a rilanciare. Ho fatto passi piccoli e mi sono trovato davanti qualcosa di grande e grosso. Una ripartenza del mio lavoro in grande stile. Certo è tutto, ancora in fase embrionale, ma diavolo…
Vita da freelance: agire stretto, pensare larghissimo
L’arte del rilancio è questa: è una serie di azioni strette, atte ad approfittare delle possibilità che apre un imprevisto, per realizzare obiettivi medi e completare piccole sfide accessibili, per poi avere il modo di pensare in maniera molto ampia al fatto che questi nuovi traguardi (una cosa imparata, il sito rifatto, l’attività fisica rimessa in modo, la cura di cose piccole, ma importanti) possa aprirti di nuovo le opportunità che l’imprevisto aveva fatto sparire dalla tua scrivania.
Nella vita da freelance questo accade, più spesso di quanto te lo aspetti. A te la possibilità di reagire. Ti ho raccontato quello che ho fatto io solo perché ti può servire e perché è ancora una volta questione di resilienza. La parola più bella del vocabolario.
Non sono un content creator, ma lo voglio diventare.
Al limite questo lavoro ho cercato di farlo fare a qualcuno trasferendogli le conoscenze che ho sulla content creation con device mobili. Ho deciso di cambiare radicalmente: voglio diventare anche io un content creator. Di contenuti ne ho prodotti molti, per altri, ma i miei sono sempre stati confinati a tempi residuali delle mie giornate e sono stati pubblicati in modi e formati approssimativi. Insomma, io che ho insegnato come si fanno i contenuti sono sempre stato un “calzolaio con le scarpe rotte” per quanto riguarda i miei video, i miei podcast, i miei testi, le mie foto, i miei audio. Ecco, adesso basta.
Content creator con la pancia a 50 anni
Voglio fare il content creator anche col corpaccione, la facciona, i denti brutti e i pochi capelli in testa. Già, perché penso che alla mia età non si debba essere belli, se si compare in video, ma bravi. Iniziare questo percorso a oltre 50 anni è un’operazione sfidante, ma questa sfida, sinceramente, mi piace moltissimo. Il motivo che c’è dietro è chiaro: ho accumulato talmente tanta conoscenza che penso sia arrivato il momento di farla diventare fruttuosa anche per me, non solo per gli altri.
I primi format
I miei primi format, i miei primi video su Youtube sono iniziati, ma prima voglio raccontarti, per punti, quali sono i miei obiettivi:
Voglio produrre in proprio molti dei corsi che ho erogato. Ho tanto materiale e desidero sfruttarne le potenzialità di business.
Desidero finalmente creare una comunità attorno a questi argomenti.
Desidero verificare le potenzialità di tutte le piattaforme digitali che permettono la proposta al pubblico di prodotti editoriali.
Il mio obiettivo dei prossimi anni, più che diventare un content creator, è diventare editore di me stesso. Voglio vedere se ci riesco e come ci riesco in termini economici.
Tutte cose che non ho mai fatto
Creare una comunità, sviluppare una strategia digitale e social, diventare content creator sono tutte cose che ho studiato per anni e di cui conosco ogni virgola, ma che non ho mai messo in campo per me. Tutte queste cose sono una sfida che voglio affrontare in modo definitivo per creare una base economica che supporti il mio lavoro e la mia crescita professionale. I mondi che riguardano i media e la comunicazione stanno cambiando velocemente e l’idea di mettermi a spiegare in modo semplice le cose che succedono mi affascina molto. Anche l’idea di diventare un producer mi sconfinfera parecchio. Sul mondo della mia cultura (il mobile), sul mio strumento (lo smartphone), sull’intelligenza artificiale, sul metaverso, sui contenuti, sulle app, sugli hardware utili al lavoro e ai progetti, sull’evoluzione di questi mondi c’è molto da dire.
Un content creator che non c’è
Devo fare molte cose prima di considerarmi un content creator appena decente. Devo crearmi uno stile, devo pensare alla grafica, creare una sigla, sviluppare dei formati, pensare a progetti editoriali, a calendari editoriali, a un piano social consistente, organizzato e costante. Però mi sembra di aver individuato che, nel panorama di chi parla di tecnologia, di media, di contenuti, di hardware e software mobile, di applicativi che ci aiutano a stare meglio, non c’è quel content creator che voglio diventare.
Ok, dette le premesse e chiariti gli obiettivi, posso anche dirti che questa strada da content creator la intraprenderò in modo molto trasparente. Non voglio celare alcunché e non voglio farmi prendere dalla sindrome del perfettino. Pubblicherò molto, naturalmente lavorando sulla qualità del contenuto. Senza nascondere imprecisioni o cambiamenti, evoluzioni e precisazioni. Di stile, di immagini, di linguaggio.
Non voglio che i miei contenuti video ti sembrino finti e costruiti. Voglio che ti appaiano veri, magari anche un po’ grezzi, ma veri. Devono uscire dai miei giorni, avere le mie parole, la mia faccia, il mio modo di raccontarti le cose. Devono dirti cose utili a rischio di dirti cose banali, ma devono anche raccontarti il vero senso di tutta questa tecnologia che ci circonda e che può davvero cambiarci la vita in meglio… ma anche in peggio.
Mi viene un po’ da ridere perché mi trovo brutto e vecchio, ma ho tante cose da dirti. Che fai vieni con me? Da grande farò il content creator: comincio da qui.
La prima puntata di AI Essentials, la mia prima “prova” da content creator.
Seminare non è un lavoro che fanno soltanto gli agricoltori. Lo fai anche tu.
In questi giorni sto riallineando il mio lavoro a nuovi obiettivi, cambiando la mia immagine digitale e social e modificando il racconto del mio percorso. È un momento bellissimo e anche un po’ pauroso perché quando cominci a fare queste operazioni di riallineamento dell’asse puoi anche scoprire cose molto brutte su di te.
La fotografia
In momenti come questo io faccio la fotografia di quello che sono come professionista e del lavoro che sto facendo. Cerco anche di guardarmi da fuori e di capire se la percezione che si ha di me è quella che io voglio che sia. Spesso scopro errori, spesso scopro che io stesso non ho immagine personale e digitale allineate. Spesso capisco che non si capisce dai miei social e dal mio sito chi veramente sono e cosa veramente faccio. E questa fotografia mi mette a nudo, mi fa incazzare con me stesso e mi fa iniziare un nuovo cambiamento. Il progetto professionale che sto sviluppando in questi anni mi ha regalato delle soddisfazioni enormi e ha inciso (in positivo) sulla vita di tante persone e sulla mia. La fotografia che ho fatto, però, mi ha presentato un ritratto digitale di me ancora sfocato. E non va bene.
Le scarpe rotte
Sono un calzolaio con le scarpe rotte e, a questo punto del progetto, non può andare bene che sia così. Guadagnandomi da vivere con i contenuti che faccio per altri mi è capitato di trascurare i miei. E non deve più succedere. Così mi sono messo di buzzo buono a iniziare una nuova semina. Già, perché si tratta di semina. Ogni traccia che lasci di te, online o offline che sia, deve rispondere sempre in modo adeguato al progetto che hai e alla percezione che vuoi dare di te. I contenuti creati da me in questi anni sono sempre stati confinati a momenti rubati del mio tempo, ai sacrifici della domenica mattina o della sera tardi. E’ stato un indubitabile e naturale errore per uno che è sempre vissuto con i contenuti creati affinché altri ne godessero i risultati.
Fai attenzione a gettare semi
Il percorso, quindi, cambia. Cambia perché i miei contenuti per te e per la comunità di persone che seguono il mio lavoro verranno posizionati più in alto nella tabella delle priorità giornaliere. Cambia perché seminerò diversamente le percezioni della mia immagine e del mio lavoro. Si modifica perché seminerò anche nel mondo digitale con la stessa cura con la quale gestisco rapporti, relazioni e scambi di valore nel mondo reale. Quando incontro le persone getto dei semi usando le parole e i gesti con cura. Scambio con profondità informazioni, sensazioni, stati d’animo e sentimenti. Senza lesinare le forze. Dev’essere così dal primo articolo di questo sito all’ultimo dei miei post social. Con l’idea che quando getto semi la cura che ci metto migliorerà il raccolto. Fallo anche tu. Fai attenzione a gettare semi, parole, contenuti. Ovunque. Ti posso dire già ora che il raccolto sarà migliore.