Autore: Francesco Facchini

  • Video a 360 gradi per il giornalismo: consigli ai mojoer

    Video a 360 gradi per il giornalismo: consigli ai mojoer

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    Video a 360 gradi per il giornalismo: il secondo step del mojo.

    Sto facendo in questi mesi del 2017 i primi passi nella produzione e nell’editing di video immersivi a 360 gradi, sto entrando, quindi, nel campo del Giornalismo a 360 gradi. Ho testato, senza pubblicare, per alcuni mesi, ho avuto e rotto la mia prima telecamera, ho fatto la mia prima intervista a 360 gradi a Dan Pacheco, professore di Innovation Journalism della Syracuse University, ho fatto i primi editing, ho avuto i primi problemi di stitching.

    L’intervista (molto approssimativa), ma meravigliosa.

    A Perugia, durante il Festival Internazionale di Giornalismo, ho deciso di provocare Pacheco, dopo un suo panel, facendogli un’intervista immersiva su come si faceva un’intervista immersiva. Ne ho ricevuto in dono un pacco di consigli e di considerazioni che ti sbobino per la prima volta qui.

    “Questa intervista è per il 360 o per la Virtual Reality? – ha iniziato Pacheco -. Perché se è per la seconda devi avere un tripode per forza, per non far ammattire chi sta guardando. Ma se è per il 360, per piattaforme come Facebook o quelle tradizionali (tipo Youtube, ndb) potrebbe andare bene anche il posizionamento che sta operando, anche se l’idea del tripode io la metterei in pratica lo stesso. Anche perché potrebbe essere un buon modo per tenere anche il telefono. Ci sono le staffe, gli holders apposta che rendono tutto molto stabile”.  Nonostante il mio stile approssimativo, Pacheco ha continuato imperterrito.

    “Devi prendere delle decisioni importanti quando stai riprendendo qualcosa in immersive journalism. La cosa strana è che io sto parlando con te, ma anche con loro, quelli che grazie a questa telecamera sono completamente immersi nella situazione. Nella VR ti senti come se la tua testa fosse nella camera. Quindi devi dirigermi a parlare sia con te sia rivolgendomi chiaramente alla camera che è un altro interlocutore della situazione”. Poi ha tratteggiato un secondo stile: “Se vuoi che il secondo interlocutore si senta a suo agio completamente puoi inventarti una situazione del tipo che ti siedi a bere un caffé con l’intervistato mettendo la camera sopra un’altra sedia come se ci fosse al tavolo qualcun altro”.

    Si dice 360, ma si scrive VR.

    L’intervistato, quindi, è solo uno dei protagonisti del video, non l’unico. “Insomma – continua Pacheco – devi parlare anche alla terza persona, pensare che questa cosa sia vera e farlo capire all’intervistato, specialmente se è VR e non solo un video a 360°. Devi riflettere se sia il caso o meno di far vivere l’esperienza allo spettatore di un intervistato che li guarda fissi in camera, come se fossero lì. Potrebbe anche non essere il caso se è solo un video a 360°”.

    Poi Pacheco è andato oltre. “Nella posizione della camera devi stare attento perché la tua linea d’orizzonte – ha continuato – deve essere all’altezza del tuo spettatore principale. Se è un video per bambini la camera deve stare bassa. Per le donne ad altezza intermedia, per gli uomini più alta”. Sembra acqua calda, ma quando ci sei dentro non lo è. Per i video a 360 gradi giornalistici considerazioni come queste sono importantissime.  “Devi decidere chi è il tuo target e sto parlando proprio orientandomi più sulla Virtual Reality, che è il futuro di questo tipo di video, che sui video a 360 gradi.  Anche perché dovete pensare a dove pubblicate i video a 360. Lo fate su Facebook? E chi è il padrone di Oculus? Facebook!  Quindi è là che siamo andando, verso la VR. Quindi niente movimento se non lento, scelte chiare, immagine definita”.

    I primi passi.

    Questi mesi di test sono mesi di studio. Per i video a 360 gradi per il giornalismo, infatti, l’epoca è ancora di esplorazione. Basti pensare che il video di riferimento, del cui comitato scientifico fa parte proprio Pacheco, è questo. Ti chiede di registrarti per dirgli come stai facendo video a 360 gradi per cercare di codificare la materia. Ok, ti ho fatto fare i primi passi, ma è solo l’inizio. Il motivo? Semplice: manca una settimana a Mojocon, la Mobile Journalism World Conference di Galway che racconterà tutte le novità proprio sui video a 360 gradi. Io sarò là e te la racconterò. Ogni viaggio, tuttavia, comincia con il primo passo. E dal primo passo dovevamo iniziare.

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  • Stati Generali dell’Informazione: conclusioni e documenti

    Stati Generali dell’Informazione: conclusioni e documenti

    Stati Generali dell’Informazione: finalmente il futuro.

    Si sono conclusi da qualche ora gli Stati Generali dell’Informazione in Lombardia, evento che su due giorni ha offerto uno sguardo sul presente e sul futuro del giornalismo nella mia regione di importanza notevole. Una due giorni divisa nel corso di formazione della mattina di sabato 22 aprile (a proposito, grazie per il grande interesse mostrato nei confronti del mobile journalism e del mio speech del quale ti giro la presentazione) e le conclusioni andate in scena nella mattinata di oggi dopo il lavoro svolto ieri dai tavoli tematici sulla professione.

    E’ stato un momento importante, nel quale ho avuto la netta impressione di poter contare nell’operazione di “riscrittura” del futuro della professione giornalistica, almeno nell’ambiente a me più contiguo. E’ stato un lavoro molto duro, portato avanti, dallo staff degli Stati Generali e dalle Autorità Regionali che hanno aiutato la riuscita della manifestazione, con il preciso obiettivo di mettere mani al cambiamento del mondo dell’informazione.

    Abbiamo tirato una riga.

    Abbiamo tirato una riga, sintetizzando delle proposte in un documento ufficiale che verrà portato in seno alle massime istituzioni giornalistiche. Si è concluso il primo atto di un lavoro che è iniziato oggi, non certo finito oggi. E il mobile journalism è al centro del cambiamento. Le slide di riassunto del documento le puoi trovare qui, ma ti assicuro che la redazione del documento, letta pubblicamente nella Sala Solari del Palazzo delle Stelline, supera di gran lunga il riassunto del power point. Non te la giro ora perché attendo dallo staff la versione finale, ma si è parlato con puntualità e impegno di molti “nuovi modi” di fare giornalismo e di molte nuove necessità da soddisfare per vincere la sfida della rivoluzione digitale.

    Freelance, prima di tutto.

    Finalmente si è parlato di freelance e in modo profondo: le loro esigenze sono quelle che vanno soddisfatte per prime: noi freelance siamo la colonna portante del lavoro giornalistico. Poche balle. Finalmente si è lasciata da parte la questione politica per fare posto alle reali esigenze del giornalismo che cambia. Io c’ero e ho lavorato a questo progetto per questo motivo: poche chiacchiere, tanti fatti. Ecco le voci conclusive della manifestazione, una sorta di resoconto per immagini.

    Ora comincia il lavoro.

    Comincia il lavoro in altre sedi: deve portare al cambiamento e al far diventare stabili gli Stati Generali. Per fare la fotografia dello stato delle cose e per pensare ai cambiamenti da fare nel futuro. Il motivo? Il giornalismo deve restare al passo con l’evoluzione della società e la società cambia ogni giorno. Quindi anche il giornalismo lo deve fare. Deve cambiare ogni giorno.

    Mi prendo la briga di chiudere polemicamente. Chi non era seduto a quei tavoli, non critichi. Poteva venire a sedersi e dire la sua. L’ho già scritto, ma te lo risottolineo: il giornalismo si cambia stando dentro, non certo da fuori. Alla marea di colleghi che sembrano avere la soluzione in tasca, dico solo una cosa: vi state sbagliando, di grosso. L’unica via per cambiare il giornalismo è farlo insieme.

  • Mobile Journalism: la parola chiave è il mindset

    Mobile Journalism: la parola chiave è il mindset

    Mobile Journalism: la chiave è il settaggio della mente.

    Per comprendere fino in fondo le potenzialità del mobile journalism c’è una parola chiave da mandare a memoria: si tratta del mindset. Abbiamo visto che le fasi della produzione di un contenuto mojo hanno regole precise e precise dinamiche. C’è un filo rosso che le accomuna tutte ed è il settaggio mentale nel quale il giornalista si deve mettere per avere il massimo da quello che fa. Quando si costruisce la borsa degli attrezzi hai visto che gli acquisti vanno mirati a seconda delle proprie esigenze. Quando sei sul campo, invece, ci sono precise tecniche per le inquadrature, precise indicazioni per il montaggio, precise direttive per lo storage e il delivery. Il linguaggio e la grammatica visiva sono diversi, così come sono diverse perfino le tecniche per trovare una storia, per tirar fuori dall’enorme flusso di notizie che ci massacra ogni giorno un diamante da vendere.

    Il pensiero laterale, sempre.

    Anche nei modi in cui si scovano le storie bisogna cambiare mindset. Osservare i lati del fiume di news è utile, così come lo è l’esercizio che ho fatto oggi pomeriggio andando a Tempo di Libri, la fiera dell’Editoria italiana in scena a Rho fino a domenica. In fiere ed eventi grandi come quelli la marea di storie laterali si trova negli stand più piccoli o nelle sale più sperdute, là dove è possibile fare gli incontri più interessanti che poi nascondono la possibilità di arrivare a immagini molto interessanti.  Investire su quegli eventi è sempre un’ottima idea per la quantità di spunti che questi possono dare in una volta sola. Si incontra, si chiede un appuntamento per fare un’intervista, raccontare la storia. Poi si scheda il contatto, ci si scrive un paio di note sulla possibile “sceneggiatura” da sviluppare e si va al successivo “incrocio”, alla successiva suggestione.

    La mente deve stare aperta.

    Il mojo deve rimanere attento e aperto e deve studiare, tutti i giorni. Le tecniche, l’hardware, i prodotti, le tendenze, la grammatica visuale. Tutto quello che attiene alla cultura mojo deve essere oggetto di una continua evoluzione, e di un’apertura mentale costante per vedere cosa sta succedendo attorno a te.

  • Mobile Journalism e self publishing: il matrimonio spiegato da Amazon

    Mobile Journalism e self publishing: il matrimonio spiegato da Amazon

    Self publishing, stumento da conoscere approfonditamente.

    Come avrai capito, bado molto alle problematiche economiche del lavoro da giornalista (specialmente freelance) e alle possibilità che il mobile journalism regala per migliorare il riconoscimento tra lo sforzo fatto e la paga ricevuta per farlo. A Perugia ho partecipato a un lungo panel sul self publishing e non potevo non approfittarne per aprire a questo argomento anche sul blog. Il ragionamento è semplice quanto importante: il mobiel journalist, quando produce, produce quattro tipi di file in uno (video, audio, testo e foto), ma ha anche necessità di dare valore a quanto raccoglie e magari non vende subito o a quanto rappresenta il suo archivio, magari in modi nuovi e forme nuove. Esistono strade primarie come la vendita di più contenuti che escono dalla stessa produzione e strade secondarie come il self publishing che è uno strumento da conoscere approfonditamente.

    Ragiona come un’azienda, perché lo sei.

    Questi ragionamenti, a mio avviso, valgono più di un tutotial di una app o dell’ultima prova delle lenti della Zeiss per iPhone (e comunque se ti serve una recensione sulle lenti Zeiss eccola qui). Sono legati al fatto che tu, caro mobile journalist, ti devi comportate come un’azienda, come una piccola compagnia di produzione nella quale, grazie alla tecnologia, unisci tutti i reparti in una persona sola. Se sei un’azienda devi pensare a massimizzare la redditività della tua produzione cercando ricavi in più modi possibili da una sola uscita, da un solo prodotto. Per dirla in modo banale, è un po’ un’economia modello Ikea, l’azienda svedese di mobili componibili che è partita dalla libreria Billy (nel tuo caso il tuo video) per costruire mobili buoni per arredare mezza casa (!). Per rendere più accessibile e più pratico il ragionamento ho sviluppato questo breve video.

    Un’ulteriore strada è il Self Publishing.

    Quando vivi i tuoi giorni da mojo, spesso non ti accorgi che le giornate passano via con un tasso di redditività molto basso sui prodotti che fai. Di solito sei quasi costretto ad andare in un posto, fare un video, montare velocemente, mandare il pezzo e poi liberarti delle immagini inutili perché il tempo e la necessità di fare altro per cercare di “sfangarsela” fracassano tutto il resto. Tuttavia, se ci pensi bene, i tuoi argomenti, le tue linee di interesse, i servizi che ti vengono commissionati, le storie che segui, possono essere rivalorizzate anche a tempo lungo (sentito nel video qui sopra la storia degli imprenditori che mollano tutto e cambiano vita?).

    Per dare nuova linfa alla redditività dei tuoi prodotti, anzi, più esattamente, per migliorare l’efficienza della struttura di costi che già sostieni, la strada maestra è quella dell’archiviazione del tuo lavoro e della riproposizione in altri tipi di pubblicazioni di taglio lungo e diverso. A Perugia ho fermato Giulia Poli, Head of Kindle Content di Amazon per farmi spiegare tutti gli strumenti possibili che il gigante americano mette a disposizione per giornalisti che vogliano, con un delta di lavoro in più per l’allestimento del prodotto ebook, vedere pubblicate le loro storie di taglio lungo.

    Il mondo del self publishing è un mondo in fermento e molti sono gli strumenti messi a disposizione delle aziende. Quello di Amazon, per ora, ha il difetto di non prevedere contenuti multimediali, ma ha grandi potenzialità. Il sito di Kindle lo trovi qui. Mettiti al lavoro che sono molte le storie che hai nel cassetto e che aspettano di essere pubblicate.

  • Festival del Giornalismo di Perugia: impressioni di un mojo

    Festival del Giornalismo di Perugia: impressioni di un mojo

    Festival del Giornalismo di Perugia: a place to be.

    Sono tornato a Milano da poche ore e ho ancora negli occhi le impressioni forti che mi ha regalato il Festival Internazionale di Giornalismo a Perugia, edizione 2017. Per chi vuol fare innovazione in questa professione è una autentica “place to be”, un posto dove essere. Ogni anno, per vedere la professione che cambia e i confini del possibile, dei nuovi linguaggi, dei nuovi strumenti, che si allontanano un po’ e la terra da correre e da conoscere che diventa più larga, più lunga e più sconosciuta. Quindi da esplorare. Per la nostra professione, in Italia, va quindi considerato come un imprescindibile punto di riferimento per conoscere lo stato delle cose, ma soprattutto per inventarsi un futuro. La prima impressione, ma quasi il primo appello che faccio, è che il calendario ha offerto anche troppo lasciandomi l’impressione di avere assaggiato più cibi senza riuscire a mangiarne veramente uno.

    Quello che non ho apprezzato.

    Ho visto tanto mondo in poco tempo nelle aule e nei corridoi di questo bellissimo festival, di questa manifestazione di grande respiro. Ho visto anche tanti colleghi che si parlano addosso, tantissima autoreferenzialità, tanta supponenza. Mi sono molto divertito a passare fuori dalle sale dove avvenivano i panel e a sentire frasi come “O, ‘sto qua che parlava non mi ha detto niente che non sapessi”. Poi ho visto capi e capetti, colleghini e collegoni discettare del futuro della professione senza averne alba. Ho evitato di salutare tutti quelli che conoscevo, scientemente. Il motivo per cui ero lì non era quello di parlare con qualche capoccia di qualche giornale che conosco per sapere quanto male va il giornalismo. Il  motivo per cui ero lì era imparare.

    Ero lì per imparare.

    Ho evitato come la peste, infatti, panel con i signori del giornalismo italiano e non ho partecipato a panel su argomenti conosciuti, grandi fatti, grandi eventi del nostro tempo. Mi sarebbe piaciuto partecipare a eventi del secondo genere, ma non l’ho fatto perché ho pensato che il Festival fosse un modo di imparare, una vetrina per imparare quello che non so o avere strumenti ulteriori per migliorare il mio futuro professionale e quello di chi segue la comunità italiana di mojoer che dirigo. Per questo ho scelto solo panel su argomenti che riguardano il domani e gli strumenti per rinnovarsi e ho fatto domande. Ovunque. Già, perché se non sei al IJF2017 per fare domande, mi dici per che motivo ci sei andato?

    Le major del web mettiamole in difficoltà.

    Un altro piccolo appunto. Nell’evento sono entrare Amazon, Google e Facebook, ma spero che l’evento stesso non si pieghi troppo alle logiche di questi grandi player del web e sappia metterli in difficoltà creando un confronto che migliori il mondo delle news in senso democratico e che cerchi di far emergere qualsiasi producer serio di notizie che meriti attenzione. Non solo quelli che pagano le inserzioni….

    Quello che ho apprezzato.

    Beh, i panel che ho messo nel programma e cui ho partecipato mi hanno regalato molte indicazioni operative, molte suggestioni, molti strumenti. Erano tutti sul futuro, sulle novità della produzione di contenuti, sugli strumenti professionali per vivere meglio la professione, per elevarla, per migliorarne la redditività economica. Ho amato molto le chiacchierare con i mojoer stranieri che ho incrociato, i quali mi hanno fatto vedere importanti ricerche e nuovi stimolanti orizzonti. Ho apprezzato molto anche la conoscenza fatta con i colleghi mojoer della nostra comunità che mi hanno regalato feedback sul lavoro che sto facendo. E’ stato bellissimo venire via senza salutare alcuna faccia conosciuta e portandone via molte mai viste prima.

  • Mobile Journalism: a Perugia tra mojo e Virtual Reality

    Mobile Journalism: a Perugia tra mojo e Virtual Reality

    Perugia, l’impressione di un assaggio

    Il mio primo giorno al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia (a proposito, la città è meravigliosa) è passato con il mirino puntato su tutto quanto poteva essere vicino al mobile journalism. Se sono venuto qui è per imparare, mi sono detto più volte, mentre camminavo su corso Vannucci. Beh, qualcosa ho portato a casa, per me e forse anche per te, anche se i panel di un’ora cui ho partecipato mi hanno lasciato l’impressione di un assaggio e non di veri e propri workshop dai quali poter attingere conoscenza.

    Due chiacchiere con Facebook

    Dopo l’arrivo in Umbria sono riuscito a infilarmi in un panel sul Visual Storytelling nei quali erano presenti Mark Wrenn, head of news partnership EMEA Facebook, assieme a Mark Frankel, social media editor della BBC. Wrenn ha parlato dell’introduzione di Advertising su Facebook che io avevo anticipato in questo articolo del mio blog che spero tu abbia voglia di rileggere. Il movimento che sta facendo Facebook sulla App Tv, infatti, rivoluzionerà il mercato della televisione per come lo conosciamo. Certo è un po’ dura, per chi fa il mojo poter beneficiare di questa possibilità perché le pagine che potranno avere il bottone di pubblicità, che comunque potrai utilizzare o meno a seconda delle tue esigenze,  dovranno avere sopra i 5 mila fan ed essere certificate. Un discorso elitario e difficile per chi fa il mojo, ma non devono tremare le vene dei polsi: con un buon lavoro di personal branding e la produzione di contenuti di qualità si può fare.

    Gingras, di Google News, parla di qualità (e la fa facile).

    Ho anche preso parte a un incontro-intervista con Richard Gingras, vice presidente di Google News, cercando di capire se poteva darci spunti sulla possibilità di fare revenue in modo migliore con le loro piattaforme. Gli ho fatto una domanda diretta in tal senso (ho fatto domande ovunque, altrimenti cosa ci sto a fare qui?) e ho ricevuto una risposta, che puoi vedere nel video, legata naturalmente alla qualità dei contenuti e al fatto che si possono iniziare esperienze di self publishing e di microbusiness con un certo successo. Basta saper fornire ai lettori contenuti qualitativi e, soprattutto, utili. Ragionamenti diplomatici e un po’ troppo facili da parte di Gingras visto che Google rappresenta si una piattaforma tecnologica, ma anche la vita (monopolistica), che tutti devono fare per arrivare al lettore. Ci vorrebbe più democrazia e meno business.

    Immersive Journalism, cosa nuova anche per Google.

    Sul workshop finale della mia giornata, sempre con Google News e il suo esponente italiano Elisabetta Tola, desidero prendermi un ulteriore tempo per approfondire. Io stesso non ho prodotto contenuti multimediali perché non volevo perdermi un frame di questo incontro e comprendere la ricerca che è stata fatta e che viene fatta sul giornalismo immersivo e sulle sue possibilità. Google offre strumenti interessanti, ma racconta anche di un tipo di giornalismo che ha bisogno di sperimentazione perché è nuovissimo e non facile da capire.