Autore: Francesco Facchini

  • I dubbi su Kinemaster, il razzo di Facebook

    I dubbi su Kinemaster, il razzo di Facebook

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    Kinemaster: bella, ma quanti problemi.

    Ecco alcune mojo news che possono interessarti, a partire da alcune precisazioni su Kinemaster dopo la chiacchierata live via Facebook che abbiamo fatto sull’argomento nel gruppo Italian Mojo (a proposito, vuoi iscriverti?).

    L’applicazione di Nexstreaming, l’ho riferito in questo articolo, è sicuramente la più evoluta fra quelle che fanno fare montaggio video nel mondo Android. Non mancano, tuttavia, le problematiche che impongono attenzione nell’uso della app per chi fa il mobile journalist nel mondo del robottino. La creatura coreana, infatti, non garantisce piena usabilità per qualsiasi smartphone del mondo Android.

    In questo articolo, infatti, potete vedere quali sono le device compatibili con la app, specialmente per quanto riguarda i processori montati. Se non avete uno di questi processori nel cuore del vostro telefono potete scordarvi una cosa determinante nello sviluppo di pezzi, specialmente giornalistici. Sto parlando della possibilità di gestire più layer (uno per la timeline, uno per le coperture: a esempio). Una disdetta tremenda. Un consiglio veloce: mi raccomando, prima dell’acquisto di un telefono, verifica il processore se intendi far correre Kinemaster.

    Il razzo di Facebook.

    Da qualche ora, in fondo alla vostra schermata dell’applicazione Facebook se siete iOS o vicino alle notizie se siete Android, è comparso tra le feature un razzetto che porta direttamente a un flusso di post consigliati fra le cose che non segui abitualmente, ma selezionato da un algoritmo secondo le tue preferenze. Si tratta di un test che la compagnia di Menlo Park sta effettuando per portare ai post consigliati, un nuovo feed di notizie che serve, quindi, a far “allargare” gli orizzonti di osservazione dell’utente.

    Vista alla mojo la cosa sembra diversa. E’ pensabile, infatti, che questo primo newsfeed quasi tutto orientato sui video sia il primo passo verso la App TV annunciata e sia anche un modo per veicolare “sponsored post”. Un giochino utile a Zuck per fare incassi e utile ai mojo per pensare che la via video intrapresa da Facebook possa presto portare a revenue sharing, a pagamenti per i contenuti che si metteranno sulla piattaforma di “Faccialibro”.

    Italian Mojo a Perugia.

    Ti annuncio che quella in arrivo è la settimana dell’International Journalism Festival di Perugia. Se vuoi vedere il programma puoi andare qui. Io sarò in Umbria da venerdì 7 fino a domenica 9 e posso fare da “uomo all’Avana”. Se vuoi contattarmi per invitarmi a seguire un appuntamento o suggerirmi un evento vicino agli argomenti mojo da prediligere, sono a tua disposizione. Nel gruppo di Italian Mojo si vedranno informazioni dettagliate e contenuti particolari. Se non ti disturba, quindi, ti rinnovo l’invito: iscriviti alla nuova community italiana dei mobile journalist, potremo far crescere insieme il movimento mojo nel nostro paese.

     

     

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  • On field: sette consigli mojo utili (più uno)

    On field: sette consigli mojo utili (più uno)

    1. Mobile Journalism: stare on field è una goduria.

    Ti ho parlato di immagini, ti ho parlato di kit, adesso andiamo sul campo. Che ne dici? Con la strumentazione adatta e una applicazione per la produzione di immagini che rivoluziona qualsiasi telefono (Filmic Pro, come raccontato qui), si può partire senza problemi per la prima fase del lavoro mojo: il filming on field. Sono tanti i campi su cui ti può capitare di andare, molti i posti (grandi o piccoli) nei quali puoi anche essere catapultato, anche in pochi minuti, da una telefonata del tuo capo in redazione.

    Visto che ti prepari in un quarto del tempo rispetto a chiunque e che ti muovi più leggero rispetto a chiunque, sono molte le cose che puoi fare in più rispetto a tanti altri colleghi video giornalisti classici quando sei sul posto. Ecco qualche dritta utile per rendere ancora più efficiente il tuo tempo di permanenza sul luogo dove nasce, si sviluppa, cresce una notizia o una storia. Stare sul campo così è una goduria.

    2. Quando arrivi sul posto, prenditi tempo per guardare.

    Arrivato sul luogo della notizia, dato che non devi poi metter giù chissà quale strumentazione per essere operativo, avrai più tempo per guardare. Metti la tua attrezzatura in un angolo sicuro e gira per il locale, per la stanza, per la piazza, per il posto in cui sei. A cosa serve? A trovare l’inquadratura di partenza per un’intervista? A scovare tre particolari curiosi? A capire qual è il flusso delle persone? A trovare tre close up di particolari per le coperture? Questi sono solo alcuni dei perché possibili, ma ce n’è molti altri.

    3. Audio buono e audio ambiente.

    Se sei a un evento programmato guarda subito dov’è la sorgente audio e attaccati. Se, tuttavia, la tua è una storia, durante il tuo giretto iniziale, oltre ad annotarti le inquadrature, ascolta l’audio ambiente.  Alcuni di quei suoni possono servirti per il pezzo. Oppure potresti decidere che tutto il pezzo, magari in un luogo movimentato e ad alta tensione, può essere registrato in audio ambiente. Certamente se devi fare una storia su un pronto soccorso, le interviste tipo National Geografic rendono molto male la vita che si vive in quel posto.

    4. Fai l’aggressivo (senza se e senza ma)

    Quando sei sul campo a fare una storia, ricordati di essere aggressivo (in guanto di velluto). Fai in modo che i protagonisti intervistati seguano le tue indicazioni soprattutto quando imposti un’inquadratura. Più molli il colpo, peggio verrà l’inquadratura e, di conseguenza, l’intervista. Se le frasi dell’intervistato scivolano via, interrompi. Fai economia di parole nella domanda, come chi risponde deve farlo nella risposta.

    Se sei nelle news e finisci in mezzo a una tonnara, ricordati che hai un apparecchio piccolissimo da gestire e, quindi, esita per pochi secondi quando l’intervistato esce allo scoperto. Quando la massa di telecamere si acquieta, puoi inserire il braccio con il cellulare in un anfratto impossibile a qualsiasi handy e tirar fuori il primo piano giusto.

    5. Calmati e filma soltanto se è perfetto.

    Miseriaccia la fretta. Certo quando sei sulle news c’è poco da fare i filosofi e magari ti fa male il costato per qualche gomito di troppo preso tentando di farsi largo e di recuperare un posto per prendere la maledetta voce, magari attesa per ore (qualche volta vanamente). La fretta di filmare, però, fa rima con la più che possibile distruzione del lavoro. Quindi sulle news lavora in economia (prendi la voce, cinque coperture del luogo e scappa), ma sulla storia cerca di respirare a fondo e prendere quella inquadratura. Si, sto parlando di quella che ti serve, non un frame di più, ma neanche uno in meno.

    6. Check in e check out

    Quando arrivi fai il check di quello che ti sei portato e quando vai via fai il check di quello che ti riporti a casa. Lavori più velocemente degli altri perché, probabilmente, sei arrivato prima sul posto e vai via prima dal posto, ma proprio per questo la possibilità di perderti dei pezzi (che sono tutti mediamente piccoli) è molto alta. Sembra una cazzata, ma alla fine fan centinaia di euro annui di cose lasciate in giro.

    7. Two is megl che uan

    Due è meglio di uno. Era una reclame di un gelato di tanto tempo fa, ma il concetto è interessante. Se sei sul campo a filmare una storia che non puoi sbagliare e che non puoi andare a riprendere un’altra volta, un consiglio saggio è portarti dietro anche il cellulare personale, quello che usi per chiamare mamma, per fare in modo di avere una macchina di backup.

    7+1. Fai personal branding: sempre!

    Se sei un mojo on field devi lavorare anche per te, proprio nel medesimo tempo in cui lavori per il committente oppure nel tempo in cui produci una storia che può interessare quel committente. Come fai? La paurona, grossa, specialmente in Italia, paese per antonomasia di “fregatori” di idee, è scoprirsi troppo, rivelare troppo della notizia che si sta seguendo, in modo da ingolosire testate o colleghi concorrenti.

    Su questo sono obbligato a fare una parentesi e a dire che nell’epoca in cui viviamo è, a mio personale avviso, assurdo pensare di vivere questa ansia individualista. Ormai sono ben pochi i margini per fare uno scoop ed è chiaro che se ti trovi proprio in quella situazione è il caso che tu stia in modalità “silenziosa”. Le storie, tuttavia, sono infinite e se tu twitti qualcosa su una tua storia mentre la stai facendo è perché la preda l’hai già azzannata. Oltretutto la tua capacità di rendere quella storia resta unica quindi altri non la faranno come la fai tu.

    E’ molto più importante, tuttavia, che tu crei comunità attorno a te e che tu lo faccia anche con del materiale trasferito dal campo ai tuoi follower, in modo che sappiano su quale ottima storia stai lavorando. Le testate, poi, sono come le persone: ce ne sono di corrette e di scorrette. Quindi chi è corretto ti chiamerà per chiederti della storia, chi è scorretto, in ogni caso, cercherà di derubarti. ma tu avrai sempre una traccia e una data per screditare chi ti ruba il materiale.

    La tua pubblicità è molto importante

    In ogni caso il campo è sempre un modo di attirare l’attenzione e di fare personal branding, cercando di raccontare quello che stai facendo con due obiettivi alternati. Il primo: alzare la curiosità senza svelare. Esempio: intervisti un calciatore che ti rivela pratiche di doping? Certamente non twitti “Pincoballo bomber si dopava!”, ma “Intervista a Pincopallo, dichiarazioni choc. #staytuned”.

    Il secondo è quello di raccontare come stai facendo il tuo lavoro. Inquadrature, nuovi modi, creatività, anche soltanto un racconto di quello che fai, sono un ottimo manifesto di quello che sei. Sono la tua pubblicità a costo zero (o meglio al solo costo del tuo lavoro di progettazione coerente del tuo modo di raccontarti e della produzione dei content che userai per farlo). Otterrai due obiettivi: una comunità comincerà a seguirti e chi vuole comprarti saprà bene con quale professionalità avrai fatto il tuo lavoro. E dovrà comprare anche quella. Altrimenti c’è sempre il suo vicino di url…

  • Mobile Journalism: tutti i segreti della borsa di un mojo (più uno)

    Mobile Journalism: tutti i segreti della borsa di un mojo (più uno)

    [fusion_builder_container hundred_percent=”no” equal_height_columns=”no” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” background_position=”center center” background_repeat=”no-repeat” fade=”no” background_parallax=”none” parallax_speed=”0.3″ video_aspect_ratio=”16:9″ video_loop=”yes” video_mute=”yes” overlay_opacity=”0.5″ border_style=”solid”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ layout=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” border_position=”all” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” center_content=”no” last=”no” min_height=”” hover_type=”none” link=””][fusion_text]

    Mobile journalism: a ognuno il suo kit.

    Fare il mobile journalism è poco una questione di kit e tanto una questione di testa. Per questo motivo penso che dare indicazioni sull’hardware da portarsi dietro quando si va a filmare sia importante, ma sia ancora più importante focalizzarsi su un paio di concetti che non hanno proprio a che fare con gli strumenti con cui si lavora, ma con il modo con il quale si lavora.

    Per questo la cosa più importante della borsa del mojo è che sia… leggera. Deve contenere il poco che basta a fare le immagini (perfette) che vi servono e a raccogliere un audio di qualità. Il resto è fuffa. Sembra quasi assurdo quello che ti sto scrivendo, perché il video giornalismo classico fa rima con una miriade di accessori che rendono pesante il proprio zaino. Però è così: meno porti, meglio fai il mojo.

    Perché magro è bello (l’altro segreto).

    Pur essendo un convinto assertore della buona tavola, come dimostrano spesso le tre cifre che compaiono ogni volta che salgo sulla bilancia, penso che la tua borsa debba mettersi a dieta. Il motivo lo capirai quando sarai sul campo e, con le tecniche di ripresa e di acquisizione immagini del mobile journalism, avrai effetti immediati e positivi sulla qualità di quello che riprendi e sul tempo nel quale riprendi. Libero da pesi e da timori di perdere i pezzi dell’attrezzatura, ti ritroverai ad avere margine operativo più importante, con la filosofia del mobile journalism, per raccontare liberamente, con inquadrature spiazzanti e linguaggio inedito, il soggetto che stai riprendendo, la storia che stai costruendo.

    The italian way.

    Abbiamo un gap di conoscenza terrificante, noi italiani, per quanto riguarda il mobile journalism. Abbiamo, tuttavia, anche un vantaggio schiacciante che potrebbe portarci alla pari con il resto del mondo in poco tempo in questi periodi di rivoluzione mojo. Quale? La creatività. Se vai in giro leggero, lo capirai. Viene da sola.

     

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  • Mobile journalism: ti svelo il segreto di un video perfetto

    Mobile journalism: ti svelo il segreto di un video perfetto

    Mobile journalism: questione di immagine

    Mi avete chiesto in tanti, forse anche tu, quali siano le applicazioni migliori per fare mobile journalism. Finalmente entro nello specifico e dico quello che penso per quanto riguarda l’acquisizione di immagini. Ogni buon mojo sa che la prima regola è “fai con quello che hai”. Per cui a questa domanda, risuonata nelle mie orecchie decine e decine di volte, rispondo così: la migliore applicazione per fare immagini con il telefonino è… nessuna.

    Già, perché quello che il mojo predica e predica assai bene è la necessità di valorizzare l’esistente, di evitare qualsiasi spesa possa essere evitata. Allora la migliore app per fare delle immagini meravigliose è la macchina fotografica nativa del vostro telefonino. Ormai siamo a livelli altissimi e con funzionalità meravigliose, quindi migliore è il vostro telefono e minore sarà la necessità di acquistare una applicazione specifica per la registrazione delle immagini.

    Una macchina fotografica, due mondi diversi

    La vera differenza, però, sembra un particolare secondario dell’apparato fotografico dei vostri smartphone, ma è assolutamente dirimente. A cosa mi sto riferendo? A una funzione che nel mondo Android c’è e nel mondo iPhone non c’è. Dando per scontato che il miglior iPhone e il miglior aggeggio del Robottino, una volta schiacciato “rec” scodellano immagini da film, un piccolo innocuo tastino stravolge completamente i modi di lavorare se sei della mela o di Android. La Mela infatti quella funzione non ce l’ha. Ok, la finisco con la suspence. Sto parlando della funzione start and stop che i telefoni con il sistema operativo del Robot hanno e che quelli con iOS, invece, non hanno. Da una macchina fotografica nativa, quindi, nascono due mondi diversi. Già, perché è diverso il mindset che bisogna avere nell’affrontare la produzione delle immagini se si usa la camera nativa.

    Il sistema iOS.

    Partendo dalla macchina fotografica, o meglio dal suo modulo montato sugli iPhone, va detto che se è unico il file dell’intervista portante che realizzate, finiscono con l’essere molti i file delle coperture, quelle che, in inglese, si chiamano B-Roll. Se la mentalità mojo, quindi, parte dal non acquistare quello che non è strettamente necessario, va detto che con un iPhone tra le mani il lavoro si complicherà quando dai 4-5-6 minuti di intervista, dovrete poi passare ai file multipli degli shoot di copertura. Il mobile journalism regala tecniche precise di filming con sistema iOS, ma per raccontarle ci vorrebbe il capitolo di un libro (peraltro lo sto scrivendo). Riassumendo tutto in un concetto, sarai portato a fare coperture con una sola filosofia: filma quello che è necessario, non un frame di più.

    Il mondo Android.

    mobile journalism

    Se con una device Apple, facendo mobile journalism, ti ritrovi ad avere un file principale e una manciata di file di copertura, il vantaggio del fare immagini con un Android è regalato da quel bottoncino “pausa”. Quando fai le coperture, infatti, restando ferma la necessità di raffinare le tecniche, per non produrre fuffa, il vantaggio enorme sarà che, specialmente se lavori sulle news, quindi devi andare veloce, che il file di B-Roll sarà uno solo. Verrà enormemente facilitato il montaggio e la resa della device sarà migliore, rispetto alla gestione di 15-20 file che sei costretto a fare con l’iPhone. Capito la differenza? Un giochetto non da poco.

    La soluzione per video perfetti? E’ Filmic Pro

    Della mia app per fare le immagini, te lo ricordo, io appartengo ad iOS, ti parlo comunque molto volentieri e in termini entusiastici. E’ Filmic Pro, un software sviluppato dalla Filmic Inc di Seattle, grazie alla visione del fondatore e Ceo Neill Barham. Trasforma il telefono in una macchina professionale con estremo controllo su esposizione, fuoco, bilanciamento dei colori e quanto altro serva a stabilizzare il modulo fotografico del vostro smartphone. E’ in vendita, per il mondo iOS a 9,99 euro, mentre la versione Android sale a 11,99. Attenzione, non è compatibile con tutti i telefoni del Robot e, infatti, la Filmic ne ha rilasciato una versione ridotta che si chiama Plus a 6,49 euro.

    Io, per esempio, ho in questo periodo un Huawei P8 e non posso nemmeno scaricare la versione Pro. Notizia delle notizie. Filmic rilascerà il 16 marzo una release completamente rinnovata che avrà, fra le nuove caratteristiche, degli slider ovali per il controllo contemporaneo di fuoco ed esposizione, delle feature per controllare sovraesposizione e sottoesposizione dell’inquadratura, delle funzioni per verificare con colorazioni specifiche l’esposizione su tutta l’immagine e le ombre, ma anche tanto altro. Lascio al mitico Eliot Fitzroy l’incombenza di portarvi in questo mondo e vi ribadisco: la soluzione è Filmic. In attesa di nuove sorprese.

    Il vero motore dell’immagine, tuttavia, resti tu. E le tecniche mojo possono aiutarti a fare l’inquadratura necessaria, senza sprecare un frame di troppo.

  • Guadagnare col mobile journalism: sette consigli utili

    Guadagnare col mobile journalism: sette consigli utili

    Guadagnare di più con il mobile journalism: si può.

    Si, ma come faccio a guadagnare di più? Ecco la domanda più ricorrente che mi fanno quando parlo del mobile journalism. Ti presento alcune risposte, ma alla fine ti farò anche io una domanda: continua a leggere. Mi sembra doveroso premettere una cosa, l’ho capita qualche giorno fa guardando un video del collega, appena “acquisito” da Cnn International, Yusuf Omar. Nel suo primo giro via Snapchat della redazione nella quale era appena entrato, Yusuf ha incontrato Christiane Amanpour.

    Mi ha impressionato una frase: “Il giornalismo sta benissimo e, proprio in questo periodo, è successa una cosa che ha addirittura migliorato la sua salute: è l’elezione di Trump. Ecco, proprio in questo momento, il giornalismo ha l’opportunità migliore di rivelare la sua vera funzione. Forse la migliore della storia“. Sai, ne sono convinto: il giornalismo non è per nulla in crisi, anzi scoppia di salute. In crisi, perlomeno in Italia, sono i giornalisti e gli editori, che non sanno da che parte andare…

    La direzione è mojo.

    Mi ha molto rallegrato quella frase, nel panorama di una situazione del lavoro giornalistico italiano che definire avvilente è eufemistico. Il mojo è la direzione verso la quale andare per ritornare ad avere valore con i linguaggi e i tempi che impone il mercato di oggi. E’, sinceramente, una delle poche soluzioni praticabili e la migliore in quanto a possibilità di ritornare a essere, come giornalisti, decisivi. Non sono uno studioso di economia, ma solo un cronista che ha imparato da alcuni errori e ha studiato. Quindi i principi che ti racconterò in questo articolo non hanno la presunzione di essere dogmi, ma ragionamenti basati sulla ricerca e sull’esperienza che potrai utilizzare declinandoli come ti viene meglio nella tua vita professionale.

    Consiglio uno: l’attrezzatura e i sotfware costano meno

    Il mobile journalism ha un costo pari a un terzo del video giornalismo normale. Con 1000 euro si può costruire un kit (e presto te ne parlerò) che ha la possibilità di riprendere immagini in 4k e un audio perfetto. Se poi vuoi esagerare ne puoi spendere anche 3000, ma con 3000 euro, se il tuo obiettivo è il semplice giornalismo, ci prendi solo una telecamera professionale. Ecco le differenze di scala del prezzo. In un’economia come la nostra, tuttavia, è importante il ragionamento che sta alla base. Il tuo hardware ce l’hai già nella tasca della giacca: qualunque telefonino moderno, con un processore un po’ decente, può rappresentare per te già l’inizio della possibilità di vendere dei contenuti realizzati con una device mobile.

    Anche il software costa meno, visto che per acquistare una app per immagini perfette ci vogliono, al massimo, 11,9 euro (dalla parte del mondo Android), mentre il prezzo di Kinemaster è attorno ai 30 euro annui (ti sto dicendo sempre il costo più alto. Dal lato della mela, invece, il prezzo di Luma Fusion, dell’azienda Luma Touch è di poco sotto i 40 euro, ma per sempre. Vuoi comparare questi prezzi con quelli dei software di montaggio per Mac o PC? Te ne dico uno. Per la licenza mensile da acquistare online la Adobe cede il suo Premiere Pro CC a 36 euro mese. Ripeto 36 euro mese: può bastare come economia di scala?

    Consiglio due: linguaggio è unico (e va venduto come tale)

    Da quello che vedo e che sperimento, il linguaggio del mobile journalism è unico, particolare, difficilmente replicabile con gli strumenti classici del videogiornalismo normale se non con costi tremendamente superiori. Per questo motivo una delle caratteristiche del prodotto che riuscirai a fare con il mojo è la sua particolarità di linguaggio visivo. Va venduta anche quella, cercando di produrre, nei propri video, una buona quantità di immagini pensate e realizzate portando al limite l’attrezzo. Ti faccio un esempio di un mojo reportage che è molto più facile realizzare con il mojo che con il vj. E’ del mojo Philipp Bromwell di Rte, la televisione di stato irlandese.

    Il video di Philip Bromwell
    Guadagnare
    Un’inquadratura tipicamente mojo del servizio di Philipp Bromwell.

    Alla fine qualsiasi telecamera potrebbe arrivare allo stesso linguaggio, ma con dispersione di tempo e di risorse almeno doppia. Quella che vedi qui, per esempio, è una delle inquadrature classiche della narrativa del mobile journalism che con un iPhone 7 può essere fatta con maggiore velocità, minori risorse (filtri, supporti, etc) e minore impatto sul soggetto ripreso rispetto a quanto si può ottenere con una camera, per piccola che sia. Ecco perché il linguaggio del mojo è diverso e va venduto come particolare. Vale di più, nel senso che può andare oltre i limiti dell’inquadratura classica e costa di meno. Naturalmente dipende dalla notizia, dalla storia, dal modo in cui viene narrata, ma chi fa mojo deve saper vendere anche la diversità del mobile journalism rispetto al linguaggio visivo classico che si può vedere oggi nella maggior parte dei lavori.

    Consiglio tre: due video nel tempo di uno.

    Anni di esperienza mi hanno fatto capire che 3 minuti montati dal campo e chiusi con la tecnica del mobile journalism ti portano via 2 ore circa, tra arrivo sul campo, produzione immagini, montaggio e deliver. Succede quindi molto spesso che il mojoer consegni il lavoro già quando il videogiornalista classico sta riversando il materiale e iniziando a montare. Il video giornalista normale sta quasi il doppio del tempo. Faccio il conto della serva. Per un servizio base i siti nazionali danno un’ottantina di euro, quando va bene. Non è la paga giusta per il lavoro, ma se io nello stesso tempo di un video giornalista normale ne faccio due di video (tenendo allo stesso livello la qualità e liberando il linguaggio), beh, la mia paga comincia a rinormalizzarsi.

    Consiglio quattro: sto facendo più prodotti contemporaneamente

    Il mojoer, quando produce una cosa sul campo, la produce e la pensa in modo multimediale. Con un’operazione facilissima può scattare foto mentre filma, con la stessa operazione di acquisizione di un’intervista sta facendo anche un’audio di qualità. Per questo motivo, per eccesso, mentre un mojoer fa un video, potrebbe riconiugare lo stesso materiale in un pezzo per una radio e un testo con fotografie di qualità per un giornale o un sito che gli chieda un articolo scritto. Il video, quindi, è l’equivalente della storica libreria Billy, scheletro iniziale sul quale la mitica Ikea costruisce oltre la metà dei suoi prodotti di arredamento. Chiamalo giornalismo Ikea, ma comincia a stratificare le tue collaborazioni. Ora lo puoi fare.

    Consiglio cinque: il self publishing

    Con le tecniche del mojo è anche più facile autoprodursi e diventare editori del proprio lavoro. I primi 4 principi, infatti, permettono a tutti di diventare giornalisti e le piattaforme di diffusione dei contenuti aiutano tutti a diventare editori. Certamente in questo campo entrano dinamiche differenti, ma se si riesce a essere un punto di riferimento in un determinato campo o a coltivare un proprio brand, non è lontano il momento (anzi posso dire che è già presente) nel quale puoi diventare editore dei tuoi contenuti e farti pagare per questo. Nel blogging o nei canali Youtube avviene già da tempo, ma con la conversione verso il video di tante altre piattaforme, come Facebook, le opportunità di guadagno aumenteranno considerevolmente.

    Consiglio sei: usi diversi dalla produzione giornalistica

    Con le tecniche del mojo è possibile creare uffici stampa multimediali ad alta resa per creare contenuti adatti a qualsiasi necessità di un’azienda o, in generale, di un business. Una volta diventato patrone del mobile journalism, per guadagnare meglio, potrai proporre ad aziende di costruire lo storytelling del loro business in un modo unico e davvero particolare. Con gli strumenti del mojoer, infatti, potrai tirar fuori dalle immagini più calore e coinvolgimento per i clienti di qualsiasi videomaker classico. Potrai portare il cellulare in stanze, su tavoli e in posti delle aziende dove una telecamera ci va con molta più difficoltà e far raccontare il business che si sta sviluppando in una maniera più informale e, a tempo lungo, vincente. Nella consulenza di comunicazione politica, ma anche nei servizi a youtuber o public speaker, il mobile journalism può avere un ruolo innovativo, veloce e qualitativo. E tu ci puoi guadagnare.

    Consiglio sette: la realtà è immersiva. E tu?

    Il mojoer ha dimestichezza con i prodotti visuali a realtà immersiva e con le nuove tecniche di VR, ma anche con la fornitura di servizi per il live su tutte le piattaforme. Questi sono servizi che si possono integrare con la tua produzione giornalistica ed editoriale. Non te lo dimenticare. Video a 360 gradi, se fatti bene, possono avere prezzi molto alti e tu ci puoi guadagnare. Finalmente.

    Il giornalismo sta benissimo, sono i giornalisti e gli editori italiani che non stanno molto bene. Il mobile journalism, però, può far guadagnare te e guadagnare loro. Vale la pena provarci.

    L’ultima domanda: sai qual è, tuttavia, il fattore che fa la differenza nel mobile journalism per poter guadagnare di più? Io sì. Sei tu.

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  • Mobile World Congress fra 5G, super slow motion e due big

    Mobile World Congress fra 5G, super slow motion e due big

    Mobile World Congress: un’edizione interessante.

    Quella che si chiude il 2 marzo del 2017 a Barcellona è un’edizione del Mobile World Congress assolutamente interessante per chi fa mobile journalism e mobile videomaking. All’appuntamento europeo della tecnologia mobile, dopo il Ces di Las Vegas sotto tono, si sono scatenate almeno un paio di compagnie, la LG e la Huawei, ma sono state portate alla luce alcune novità che possono cambiare il gioco del mobile journalism per sempre. Ecco di cosa si tratta.

    Il 5G sta arrivando

    Il momento in cui il mojo diventerà un linguaggio predominante della produzione giornalistica è, praticamente, domani mattina. L’International Telcommunication Union (ITU), l’ente mondiale che si occupa della regolamentazione delle telecomunicazioni ha messo le carte sul tavolo per quanto riguarda la prossima generazione di connessione internet mobile e ha fatto vedere molto chiaramente di che cosa sarà fatto il nostro futuro.

    Il 5G, secondo la GSMA, associazione che unisce le più grandi aziende della telefonia mobile, la quale ha diffuso a Barcellona uno studio dal titolo eloquente “The 5G era: Age of boundless connectivity and intelligent automation”, avrà caratteristiche stravolgenti rispetto alla velocità di connessione telefonica a internet che abbiamo ora. Le promesse sono quelle di  10 Gbit/s  che, detta in soldoni, faranno andare la nostra possibilità di condividere file su internet a una velocità centinaia di volte superiore a quella dell’odierno 4G (200 volte più veloce garantite).

    La connessione sarà stabilissima grazie al fatto che una cella potrà servire un milione di apparecchi collegati ogni chilometro quadrato e si potrà utilizzare anche mentre ci si sposta fino a una velocità di 500 km orari. Ti potrai scordare, quindi, quegli allucinanti viaggi sul Milano-Roma in cui ci metti 15 minuti a mandare una mail. Sempre che tu ci riesca. I video in 4k ultra hd, la Internet of things, tutta una serie di processi di automazione delle industrie e una definitiva entrata nella nostra vita delle auto senza guidatore diventeranno realtà.

    Ti mando tutto in tempo reale

    Il tutto con una latenza nell’ordine dei millisecondi. Tanto per essere chiari, per latenza si intende “il tempo impiegato da uno o più pacchetti ICMP a raggiungere un altro computer o server in rete (sia essa Internet o LAN)”, come recita Wikipedia. Quindi, sempre per dirtela in soldoni, trasferimento di un giga di video in pochi istanti. Ti piace come idea, caro il mio mojoer? Le aziende del 5G prevedono di mettere a disposizione di 1,1 miliardi di connessioni la rete nuova entro il 2025. Già nel 2020, tuttavia, dovrebbe entrare massivamente sul mercato. A Barcellona è uscita la notizia che Verizon testerà il 5G in 11 città degli Stati Uniti già quest’anno. Lo riporta la Reuters.

    Aggeggi 5G e telefonini con effetti “wow”

    A Barcellona, per passare dalla rete ai cellulari, alcune case hanno messo in mostra aggeggi che ragionano già in 5g come i modem della Qualcomm della gamma  Snapdragon X50. E’ il primo passo per un futuro che è vicinissimo e che vede il primo step nel 2020 con gli attori italiani del mercato quasi tutti indietro tranne Tim. Nelle sale della fiera, tuttavia, hanno tenuto banco alcuni aggeggi che possono cambiare il modo di lavorare per chi fa il mobile journalism o il mobile video making.

    Il primo di questi, dotato di vero effetto wow che può far cascare in adorazione qualsiasi mojoer, è il nuovo Sony Xperia XZ Premium. Il gigante giapponese ha fatto vedere su un solo prototipo in tutto lo stand l’effetto Super Slow Motion a 960 fps. Guarda attentamente questo video, che mostra anche come l’apparato ottico del telefonino in questione abbia anche una funzione di cattura predittiva (già hai capito bene, prima del tuo click) per farti prendere la foto migliore.

    La dotazione hardware comprende anche un processore octa core Snapdragon 835, 4 GB di RAM e 64 GB di memoria flash UFS, espandibili con schede microSD fino a 256 GB. La connettività è garantita dai moduli WiFi 802.11ac, Bluetooth 5.0, GPS, NFC e LTE Cat. 16 (download fino a 1 Gbps, già qui, per intenderci, siamo a un poì di più che 4G). Lo smartphone supporta anche le tecnologie WiFi Miracast, DLNA e Google Cast. La batteria da 3.230 mAh supporta la ricarica rapida Quick Charge 3.0. L’ottica è un fenomenale 19 megapixel con sistema Motion Eye  il quale prevede l’uso di memoria DRAM. La frontale è da 13 mega e diventa perfetta per piani americani e live col telefonino.

    Il G6, aggeggino mica male

    Anche la LG si è impegnata, sebbene tutti, nei corridoi del MWC, parlassero del grande assente, il Samsung S8, il quale verrà presentato il 29 marzo con un evento dedicato a New York. Il player coreano ha messo giù tutti i suoi assi per riscattare la non brillantissima performance del G5. Ecco la presentazione ufficiale.

    La cosa più importante, a parte le caratteristiche tecniche, è la nuova rivoluzionaria proporzione dello schermo 18/9, quindi 2/1. Perfetta per il multitasking, ma anche per la ripresa delle immagini, un vero gamechanger per la possibilità di fare video, pane quotidiano per il mojoer. Così, per fare i fighi, farà lo scanner dell’iride… Per una dettagliata recensione puoi andare qui

    Leica dual camera, una libidine.

    La Huawei ha lanciato il P10, ponendo una particolare attenzione all’ottica, comparto che per il mobile journalism è determinante. Il sensore monocromatico da 20 megapixel e un sensore RGB da 12 megapixel, sfruttando la tecnologia sviluppata da Huawei e Leica, smazzano foto perfette in qualsiasi condizione. Il prezzo tra i 679 euro e gli 829 per il P10 Plus (ancora più dotato nel comparto ottico) fanno del gingillo griffato Huawei un prodotto interessante anche per chi lavora da mojoer nel mondo Android, ma non vuole svenarsi per avere un telefonino “pro” in quanto a immagini.