Autore: Francesco Facchini

  • La crisi energetica, la comunicazione e la forbice

    La crisi energetica, la comunicazione e la forbice

    Crisi energetica, è iniziata l’accelerazione.

    Da alcuni giorni sto lavorando al 2023 di Algoritmo Umano. Un 2023 che si annuncia interessante, sfidante e difficile. Pianificare il modo con il quale ti inventerai lo stipendio per i prossimi 12 mesi sempre un’operazione difficoltosa per un libero professionista. Un questo periodo, oltretutto, le difficoltà sono acuite dalla crisi energetica e politica che il mondo sta attraversando. Una crisi sulla quale, a naso, marciano in molti. Iniziata l’accelerazione di questa situazione critica, sono iniziati anche i primi problemi nel settore della comunicazione e nella produzione di contenuti.

    La forbice per tagliare

    In più di qualche telefonata di tipo commerciale mi sono sentito dire: “Francesco, grazie, ma le bollette ci hanno messo in ginocchio. Nel 2023 non investiremo in comunicazione”. Insomma, la forbice dei tagli va per prima alla lettera “C”. Viviamo ancora in un mondo del business e delle aziende per il quale la comunicazione è intesa come una necessità, come un costo. La stragrande maggioranza degli imprenditori e dei manager, attanagliata certamente da preoccupazioni gravi, valuta l’interazione di un’impresa con l’esterno (o anche al suo interno) come qualcosa di non necessario. Insomma una cosa che si deve fare, ma si può pure fare a meno.

    Tagliando la comunicazione queste aziende tagliano anche il loro futuro. Già, perché mentre in Italia “il sito lo facciamo l’anno prossimo”, in giro per il mondo comunicare e produrre contenuti, per un’azienda, è ritenuto un asset imprescindibile.

    La crisi energetica e la necessità di valore

    Si, sto parlando di asset, cioè di un valore, un bene immateriale di un’azienda. La comunicazione e l’interazione con il cliente è costruzione di valore del proprio brand. La capacità di un’impresa di parlare al suo mondo e di ascoltarlo si trasforma in coinvolgimento e il coinvolgimento in rafforzamento del mercato (e quindi dei ricavi). Ecco perché talune aziende mettono a bilancio la valutazione della propria reputazione: perché vale soldi.

    Oltretutto proprio in questo momento di crisi energetica le aziende, anche piccole, dovrebbero raccontarsi e raccontare le loro scelte. Svelare le difficoltà e far capire come le risolvono.

    L’Italia ha un grande tessuto economico di aziende piccole mediamente arretrate sul digitale e sui social. La cultura imprenditoriale italiana ha fatto in modo che il sito restasse un peso e i social una roba per il cugino a 150 euro al mese. E gli effetti si vedono nella diversa velocità alla quale vanno le imprese rispetto a quello che c’è fuori da Bardonecchia, Chiasso o Trieste.

    Il rimedio nello smartphone

    Sono anni che mi sbatto per far capire che i device mobili sono ormai macchine potenti e performanti per produrre contenuti. Sono anni che lo faccio.

    A coloro che tagliano a partire dalla “C” di comunicazione dico solo una cosa. Farlo ora avrà questa conseguenza: se sorpasserete il tunnel della crisi, una volta fuori, tutti parleranno e voi sarete in silenzio. Tutti avranno trovato e fatto crescere le loro comunità di persone interessate e i loro mercati, mentre voi dovrete ancora cominciare.

    Sinceramente non posso insegnare a guardare nel futuro perché non sono Mago Merlino. Tuttavia sono sicuro che, chi supererà la crisi energetica sarà quello che più coraggiosamente risponde al cambiamento del contesto dei costi e non smette di guardare l’orizzonte e di parlare al suo pubblico. C’è un rimedio per questo: usare lo smartphone per raccontare un’azienda, un’attività, una carriera, un’impresa grande o piccola che sia.

  • Da dove inizia il cambiamento?

    Da dove inizia il cambiamento?

    Cambiamento, una parola che è parte di me.

    Sto cambiando anche ora. Iniziare un cambiamento è un’impresa e più si va avanti con gli anni, più l’impresa diventa complicata. Togliersi dalla zona di comfort per andare verso quella dell’’evoluzione personale è un’operazione che costa tantissima fatica. Se hai più o meno la mia età, te ne sarai reso conto in molte differenti situazioni, dalle più piccole alle più grandi.

    Conosco un modo

    Le esperienze personali e professionali di questi ultimi anni mi hanno regalato alcune indicazioni interessanti sulla chimica del cambiamento. Di solito, quando parto per un nuovo viaggio, faccio la valigia. La fai anche tu. Ho in mente una rotta e, se sono fortunato, anche una destinazione. La cosa più importante, in quel momento, è fare la conta delle cose che hai dentro. Energia, passione, lucidità, capacità di analisi, ascolto, forza. Io, per esempio, ho tutto, tranne la forza, perché ho vissuto un’estate intensa, ma stancante.

    Sapere che mi aspetta il cambiamento mi spaventa. Inutile negarlo. I dubbi di farcela, i dubbi di avere capito bene che è il momento esatto per evolvere. Gli imprevisti del percorso, la cattiveria degli altri: tutto questo pacchetto è da prendere e da accettare. Non solo. A questa serie di ostacoli c’è da opporre tutta quella teoria di qualità che hai e che ti permetteranno di arrivare a destinazione. Il modo che conosco per operare il cambiamento inizia da qui.

    Cambiamento e sottrazione

    Dopo la fase di analisi della situazione c’è quella di analisi dell’equipaggiamento per partire. Per andare nel posto dove voglio andare, ho bisogno di uno zaino leggero da portare con me. Molte volte un cambiamento di successo parte da una revisione dei pesi che hai addosso e dei costi che affronti.

    Quando cambi devi togliere, devi sottrarre.

    Lo sto facendo a piccole dosi. Ti faccio un esempio. Ho deciso di creare immagini con degli hardware più piccoli di un telefono e meno costosi. Ecco, fai tante piccole scelte di questo tipo. Giovati della tecnologia per alleggerire, rendi virtuale tutto quello che puoi rendere virtuale. Altro esempio: per le mie prossime collaborazioni potrebbe servirmi una macchina. Poi passo le ore sui car sharing o sulle macchine a noleggio e penso: no, non ne ho bisogno. Ho bisogno di sottrarre, non di aggiungere.

    C’è qualcosa da aggiungere

    Già, c’è un settore del tuo lavoro e della tua vita dove devi sempre aggiungere. E’ quello dello studio, della ricerca, della formazione. Per sapere cose ignote, per fare diversamente cose note. Lì carica: guarda, leggi, studia, ama, odia, disperati, rallegrati. Dacci dentro come se non ci fosse un domani.

    Tutto questo non è frutto della mia immaginazione, ma frutto del lavoro dei due creatori della ”Strategia dell’Oceano Blu, Chan e Mauborgne. Se vuoi leggerlo lo trovi qui. Il cambiamento per un interprete della libera professione come me è uguale a quello che può realizzare un’azienda. Secondo la teoria dell’Oceano Blu per creare un nuovo mercato, bisogna rivedere i costi e puntare a un’innovazione di valore. Esattamente quello che sto facendo io: togliere pesi e costi, alleggerire la valigia, puntare a un nuovo luogo della conoscenza e della professionalità dove sviluppare valore.

    Dove sto andando? Beh, questo ancora non lo dico. Lo dirò fra 6-8 mesi. Prima tolgo , tolgo, tolgo da una parte, poi aggiungo, aggiungo, aggiungo… dall’altra.

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    Piccolo manuale di resilienza digitale

  • Campagna elettorale: parlateci dei freelance

    Campagna elettorale: parlateci dei freelance

    Campagna elettorale: non voglio parlare di politica, ma…

    voglio parlare di noi. Sulla campagna elettorale è meglio non pronunciarsi. Tuttavia mi tocca notare, anche se spero di poter essere smentito, che non si parla di libera professione, di freelance. Siamo milioni, già, il famoso popolo delle partite iva. Ebbene, nei discorsi acchiappavoti valiamo zero.

    Una parentesi: il mio nuovo sito

    Prima di addentrarmi nell’argomento ti racconto del mio nuovo sito. Questa volta ho scelto di essere ancora più essenziale e di prediligere il racconto. Per questo ho reso questo luogo digitale un luogo minimo. Il mio intento è quello di sedermi, di tanto in tanto, a ragionare insieme a te giocando con le parole. Incontro dopo incontro, esperienza dopo esperienza, riflessione dopo riflessione. Sul mio mondo, sul mio lavoro, sul mio percorso. Voglio farlo scrivendo testi che stiano su, che siano buoni ora o fra 6 mesi, o due anni (tanto di campagna elettorale ce ne sarà presto un’altra, poi un’altra, poi un’altra…).

    Tu sei un’azienda

    Tu sei un’azienda. Noi siamo aziende. Paghiamo le tasse, produciamo ricchezza, creiamo lavoro. Eppure zero. Siamo lo zero. Credo fermamente nelle possibilità, credo nella capacità, nel merito. Però lo Stato e la politica continuano, anche in questa campagna elettorale, a fare finta che i freelance, le partite iva, non esistano.

    Non mi riferisco a misure a raggio stretto, a qualche sgravietto buono per comprarsi le sigarette, a qualche deduzione in più. Mi riferisco alla struttura delle cose. I freelance non possono crescere, non hanno accesso al credito, non hanno ammortizzatori sociali, non hanno protezioni da infortunio (e io lo so bene, se leggi qui). Non possono programmare, avere figli (se non tra mille rischi), avere infrastrutture per lavorare. Non possono fare un mutuo (a me ridono in faccia ogni volta che ci provo). Niente formazione, nessuna preparazione ad affrontare i rischi della libera professione…

    Campagna elettorale: desolazione

    Al di là delle questioni politiche (che mi avviliscono), il panorama degli argomenti è desolante. Il vuoto cosmico che regna attorno alle partite iva fa pensare che presto, noi freelance avremo da faticare ancora di più in questo mercato del lavoro atomizzato, precarizzato, sminuzzato. I clienti avranno mani libere per tirare ancora di più il cappio dei prezzi, dei tempi di pagamento. Dallo Stato non avremo risposte, strutture, protezioni. Forse nemmeno quelle ossa spolpate che sono i bonus una tantum che i precedenti governi ci hanno dato. I nuvoloni neri sono in arrivo, perché questa campagna elettorale è così vuota di contenuti che fa spavento.

    Per favore parlateci dei freelance. Così, a spanne, sono una ventina di milioni. Proprio come quelli che non votano. Vuoi vedere che… son gli stessi? Mai vista una campagna elettorale così scema, quindi non ho speranze. Però lo chiedo lo stesso, anzi lo richiedo: parlateci degli autonomi, parlateci dei freelance.

  • Piccolo manuale di resilienza digitale

    Piccolo manuale di resilienza digitale

    Ho messo alla prova la mia resilienza.

    Ho avuto e ho un serio problema di salute. No, non te ne parlo, ti dico solo che sono passati 14 giorni e sono già sulla via del recupero. Ho pensato molto a cosa potevo dirti di questa difficoltà che sto attraversando e ho concluso una cosa: posso raccontarti come ho messo alla prova la mia resilienza e di come questo possa esserti utile nel lavoro. Di questa capacità dell’uomo di trarre vantaggio immediato dalle difficoltà ho parlato qui, ma anche qui.

    Decidere subito

    Dopo il fatto imprevisto che mi ha portato questo problema ho dovuto prendere una decisione in pochi minuti. La messa in campo della resilienza comincia dal momento in cui prendi quella decisione. La domanda cui devi rispondere è questa: dopo questo fatto, da che parte vai? Che direzione prendi? Ok, accogli il fatto, guardando davanti a te e non dietro. Insomma, quello che è successo è successo, tu puoi incidere solo su quello che succederà. La decisione di pensare a quello che succederà devi prenderla subito. E poi fermarti.

    La resilienza è analisi

    Se il fatto te lo permette, devi analizzare l’accaduto per capire se c’è una tua responsabilità, poi mettere in fila le cose che devi fare per iniziare il percorso di ripristino della realtà che avevi. Non è una cosa facile, perché magari il fatto ti condiziona. Ho un rimedio: chi è dotato di resilienza in questi momenti spezza il problemone in tanti piccoli problemini. Risolvi il primo, poi il secondo, poi il terzo e via così. Non guardare la cosa nell’insieme, ma in pezzi piccoli. Conta le cose risolte, osserva i passi avanti.

    Elimina tutto quello che non è indispensabile

    La resilienza è anche l’arte di viaggiare leggeri. Se hai perso quota a causa di un fatto inaspettato, per ricominciare a volare devi buttare tutti i pesi non indispensabili. Stabilisci anche delle perdite sostenibili fra le cose che potrebbero essere importanti, ma sta attento a conservare tutto quello che ti sarà indispensabile per tornare alla quota di volo che avevi prima. Se il fatto accaduto ti fa perdere soldi, clienti, lavoro, non puoi farci molto. Imposta prima il tuo recupero, poi il tuo ritorno.

    La tecnologia aiuta

    Se le condizioni in cui ti trovi ti hanno fatto perdere determinate parti della tua operatività, ricordati che c’è sempre la tecnologia che può aiutarti. Il momento in cui subisce un inaspettato stop a causa di un fatto, è anche il momento in cui puoi imparare cose nuove e puoi imparare a fare il tuo lavoro in un modo nuovo. Costretto dalla necessità, infatti, devi saper elaborare dei workaround per ottenere gli stessi risultati e per fare le stesse cose che facevi prima, magari senza poter approfittare della tua condizione ottimale. Il fatto di essere obbligato, a causa della necessità, a trovare nuove soluzioni, ti cambierà per sempre. E’ lì che chi ha resilienza dà il meglio di sé.

    Chiedi aiuto, ma…

    Magari il fatto che ti è accaduto ti obbliga a chiedere aiuto. Non è assolutamente una cosa brutta. Fallo, è liberatorio e ti fa scoprire le persone importanti che ci sono attorno a te. Però ti do un avvertimento: cerca di fare da solo tutte le cose che riesci a fare da solo, anche soffrendo un po’. Saranno il tuo miglior allenamento per ritornare a le condizioni di partenza oppure per diventare migliore.

    Se saprai usare adeguatamente la resilienza dopo un fatto inaspettato, in qualunque campo della tua vita, che ti mette in difficoltà, scoprirai anche molte cose nuove su di te e sul tuo modo di affrontare i problemi. Ognuno di noi attraversa situazioni di questo tipo e deve avere la capacità di reagire contando su quello che può fare per ritornare al punto di partenza, alla quota di volo che aveva prima, oppure a una migliore, una nella quale il viaggio sarà ancora più bello di quanto era prima.

    Lascia stare i social

    Ti faccio un ultimo, accorato appello.lascia stare i social network.in questo periodo il problema che ho avuto e che riguarda la mia salute avrebbe potuto essere, da parte mia, oggetto di tante pubblicazioni per attirarmi un po’ di benevolenza da parte di amici e conoscenti che mi osservano da lontano tramite le piattaforme di connessione sociale. Ho evitato categoricamente di mettere qualsiasi accenno, così come peraltro ho fatto qui lungo questa colonna di testo, che riguardasse la mia salute. In cambio ho riscoperto il valore dei contatti autentici e la possibilità di continuare senza discontinuità a raccontare quello che sono e quello che faccio…

    I social infatti sono spesso presi come vetrina della propria esistenza, ma devono diventare sempre di più la piattaforma con la quale ti racconti i racconti la tua progettualità. Il problema di salute, il brusco stop causato da altre difficoltà, l’imprevisto sul lavoro, la repentina deviazione dal tuo percorso non devono e non possono cambiare in senso di quello che sei stato, sei e sarai.

    Mostrare la tua difficoltà per attirare un pochino di considerazione in momenti difficili, è un segno di debolezza che non possiamo permetterci anche perché il percorso di una vita e di un lavoro tra il proprio in questi momenti il meglio per diventare nuovo e più forte.

    Pensaci e, se puoi, lascia fuori le difficoltà della tua vita dalle vetrine dei social network.

  • Sindacato giornalisti: ne abbiamo tutti bisogno

    Sindacato giornalisti: ne abbiamo tutti bisogno

    Nel giornalismo, italiano in particolare, stiamo vivendo un momento di crisi senza fine.

    E senza precedenti. Devo essere particolarmente fortunato. Già, perché proprio nello stesso periodo ho cercato di rimettermi in piedi dopo una pesante crisi professionale. Fino qui tutto bene, sembrerebbe. Se mi leggi, forse lo sai: sono uno che non si accontenta e che non ama le mezze misure. Per questo sono particolarmente apprezzato, oppure particolarmente odiato. Bene. Detto l’antefatto posso dirti che voglio di più. Mi hanno chiesto di impegnarmi per il cambiamento della mia professione. L’ho fatto, lo sto facendo e lo farò. Anche dentro il sindacato giornalisti.

    Servo il cambiamento

    Il sindacato giornalisti esiste. Te lo volevo dire, cara lettrice, caro lettore. Esiste ed è vivo. Si chiama FNSI, Federazione Nazionale della Stampa italiana. Ha una storia lunga. Di impegno, di cambiamento, di passione, di valori. Anche di passaggi a vuoto e di sbagli. Una storia che anche io conosco poco, ma voglio rimediare. Con l’impegno e lo sguardo di un pivello che si affaccia dentro un mondo sconosciuto. Anche se ho fatto la mia parte, anche se del sindacato giornalisti faccio parte. Anche se qualche volta non ne capisco più il senso.

    Mossa pericolosa, lo so. Tuttavia mossa che mi ha aperto le porte alla conoscenza e all’amicizia di persone, di colleghi, di valore enorme. In mezzo alla tempesta di questa crisi anche questa istituzione democratica appare, dal di fuori, devastata dai cambiamenti, dalla mancanza di denaro, dalla mancanza di cultura, di identità, di tempo. Ho amici nel sindacato strizzati da ritmi iniqui e intenti a cercare di salvare centinaia di colleghi dai licenziamenti e dalla falce di chi tratta giornali, siti, radio, tv, testate, come luoghi da devastare in nome del ragionamento meno costi, più ricavi. Senza pensare ad altro.

    Ho visto le facce stanche

    Io appartengo a una parte del sindacato che si chiama Nuova Informazione. Puoi trovare qui il loro sito. Finalmente, con grande fatica e tanta professionalità, lo hanno rinnovato.

    Il sindacato giornalisti è uno in Italia, ma ha molte correnti. Sembra un esempio di vetero-politica, ma io lo vedo così. E’ un insieme di persone che si battono per l’esistenza della nostra professione. Io appartengo a Nuova Informazione non perché ho qualche tessera, qualche convenienza, qualche utilità. Anzi, ho avuto più danni che benefici. E continuerò ad averne. Appartengo a loro perché sono brave persone, perché aiutano quando c’è bisogno, specialmente quando sei nella merda.

    Li ho incontrati sabato 25 giugno 2022 in una riunione all’auditorium di Radio Popolare a Milano. Avevano facce molto stanche, un classico di chi fa sindacato giornalisti. Sembravano anche sfiduciati, ma… ho visto molto altro. Molto. Ho visto lucidità, impegno, passione, competenza, visione, sacrificio, a volte duri scontri, ma alla fine anche chiarimenti.

    Parti prima tu

    Ho imparato molto, ho portato la mia esperienza. Ho pensato che il sindacato giornalisti deve cambiare e che io posso aiutarlo a cambiare. Ho pensato che la parola sindacato deve scrollarsi di dosso quell’idea di lotta del passato per darsi una nuova collocazione. Se sei una collega, un collega, starai pensando: “Il sindacato non serve a un cazzo”. Per molti di noi i fatti dicono questo. Se il sindacato trovasse una nuova posizione, nuovi linguaggi, nuovi modi di essere utile, forse qualche cosa succederebbe. Per farlo cambiare, mi sono detto, devi partire prima tu. Già, mi rivolgo a me, ma anche a te.

    Sindacato giornalisti: chiarirsi le idee

    Non faccio promesse. Sono molto impegnato con lo sviluppo di Algoritmo Umano. L’obiettivo, tuttavia, è quello di imparare e di chiarire nella mia testa (e nella tua) qual è il ruolo del sindacato giornalisti e quale dev’essere il suo ruolo domani. Non voglio addentrarmi nelle curve di quello che è stato, voglio sapere quello che è il sindacato giornalisti e quello che sarà. Il giornalista è una figura professionale dotata di tecnica e di creatività che interpreta il suo ruolo nel mondo dei media e della comunicazione, per qualsiasi committente e su qualsiasi piattaforma, con i principi della professione richiamati dalle leggi costitutive e dall’etica. Per questo deve avere una nuova definizione. Per questo deve avere un nuovo sindacato al suo fianco che ne segua l’evoluzione e si batta affinché questa sia poi codificata in leggi, regolamenti e contratti.

    Sindacato giornalisti: un nuovo scenario

    Il giornalismo ha bisogno di un nuovo sindacato e il sindacato giornalisti ha bisogno di capire dove deve stare e come deve agire. Mi va di impegnarmi per questo cercando di riaprire le porte di questo luogo chiuso, appesantito, fiaccato dalla crisi e dalle battaglie. Ci provo e ti tengo aggiornato. Ti va?

    Ti rivelo un ultima cosa: abbiamo tanto bisogno di sindacato giornalisti e il perché me lo ha detto la ricerca della keyword che ho usato per questo pezzo. “Sindacato giornalisti” è stata cercata, in Italia, 70 volte nell’ultimo mese. Pochissimo. Ecco, questo è il senso del problema che abbiamo. Ormai, noi giornalisti, il sindacato non lo cerchiamo più. A questo punto invito il sindacato a cercare un dialogo coi colleghi.

  • Lavoro: le grandi cose non le fai da solo

    Lavoro: le grandi cose non le fai da solo

    Riflessioni dopo un corso di formazione.

    L’Ordine dei giornalisti della Toscana mi dà una grande opportunità. Di cosa si tratta? Da alcuni mesi, forse poco più di un anno, faccio corsi di formazione online per giornalisti sotto l’egida di questo ordine regionale. E’ un’esperienza pazzesca. Li faccio di sabato mattina e ho la grande opportunità di trovarmi davanti un mosaico di 50-60 persone (ogni volta) che arrivano da tutta Italia. Generalmente attraverso la penisola dal Trentino alla Sicilia. Questo contatto con i colleghi che condividono il mio stesso mondo del lavoro è un grande regalo. Vedo energia, qualità voglia, desiderio di riscatto, di una categoria come quella dei giornalisti che è stata travolta dai cambiamenti e stritolata dalle problematiche piuttosto importanti delle nostre democrazie. Ok, non voglio volar alto. Resto a questo bellissimo mosaico di colleghi che mi trovo davanti.

    Un’insolita richiesta

    Alla fine dell’ultimo corso che ho fatto, sabato 18 giugno 2022, mi sono sentito ricapitare un’insolita richiesta pubblica. “Teniamoci in contatto, creiamo qualcosa insieme, cerchiamo di fare sistema”. Ecco, nel lavoro di oggi, per evolvere e fare grandi cose, devi stare insieme ad altri, devi fare sistema.

    Io ho subito risposto: “Ci sto”. Ho messo a disposizione il mio gruppo di Whatsapp con link a invito di cui ho parlato sulla mia piattaforma di lavoro, Algoritmo Umano, qui. Il link di invito dei gruppi di Whatsapp è uno strumento nuovo che nemmeno io capisco bene. Tuttavia lo voglio sperimentare proprio per dare consistenza a questa insolita richiesta di fare sistema insieme. Aiutandosi, condividendo informazioni, documenti, libri, spunti, sguardi sul presente e visioni del futuro.

    Lavoro tra il male (poco) e il bene (tanto)

    Se sei pronto a fare sistema per migliorare nella vita e nel lavoro, ti devi preparare al male. C’è chi succhierà questa tua caratteristica senza dare niente. Ho imparato a convivere con la cosa perché il tempo, poi, pareggia i conti. I free rider (quelli che non pagano il biglietto) prima o poi si perdono. Quelli che non sono giver prima di taker, prima o poi, si autoeliminano. Nel lavoro, però, lo dice Adam Grant nel suo magnifico “Più dai, più hai“, chi contribuisce al miglioramento del contesto del lavoro che vive è quello che poi raccoglie i risultati migliori, conservando attorno a se l’armonia dell’ambiente.

    Nel condividere sul lavoro, tuttavia, c’è molto… bene da guadagnare. Volendo essere pragmatici è una grande forma di marketing. La migliore. Poi si genera facilmente la catena della gratitudine che ci fa diventare un riferimento per colleghi, conoscenti, amici e legami deboli come quelli che guadagnano sui social network. Oltretutto proprio i social stanno diventando i posti in cui si cercano finalmente connessioni di valore e non numeri. Te lo spiego con un video.

    I social, mezzo per fare sistema

    Il lavoro, dunque, può tornare a essere un campo dove troviamo espressione piena, proprio grazie agli strumenti digitali che abbiamo a disposizione. Basta smettere di preoccuparsi dell’apparire per ritornare a essere. Basta capire che se vuoi fare grandi cose, non le puoi fare da solo.