Autore: Francesco Facchini

  • Social network: cambia il modo di usarli

    Social network: cambia il modo di usarli

    I social network ci stanno stufando.

    Lo si capisce in modo abbastanza netto da piccole o grandi cose. Per esempio lo si capisce dagli utenti di Facebook che calano o dai bilanci delle social tech company che non guadagnano come prima. Un segno di recessione. Abbastanza brusco. Da qualche giorno sto ragionando su questo segno meno davanti ai numeri della crescita di qualche social, segno negativo che compare praticamente per la prima volta dalla loro nascita.

    I social network ci hanno fregato

    Già, ci hanno fregato. Per anni, infatti, ci hanno fatto capire che bisognava usare queste piattaforme in un certo modo. Tuttavia, il modo che ci hanno infilato in testa è quello che serve ai padroni del vapore per farci stare lì. Ci hanno voluti, per anni, dentro questi ambienti virtuali senza possibilità di scampo se non per due cose: guardare gli altri (e la pubblicità) o produrre contenuti per apparire (affinché gli altri ci guardino e guardino la pubblicità).

    I social network ci hanno trattato come polli d’allevamento, come anatre da ingrassare per farci il foie gras. Eppure hanno un senso e un’importanza profonda nella nostra vita anche per altri motivi e per altre interessanti funzioni alle quali pensiamo poco. Senti, ti dico una cosa: fino qui hai letto, ora ascolta. Ascolta come si possono usare diversamente i social.

    Se li usi bene, sono importantissimi

    I social network, se li usi bene, sono importantissimi.

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  • Giornalismo e le bandierine sulla gobba del toro

    Giornalismo e le bandierine sulla gobba del toro

    Il Giornalismo ha bisogno di futuro e di nuove visioni.

    Ora posso dirti di aver dato il mio contributo al domani della mia professione, il giornalismo. Come? Ora te lo racconto. Da poche ore sono disponibili sulla piattaforma di formazione dei giornalisti italiani i due video corsi che mi ha chiesto di fare il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti nel mese di marzo. Li ho definiti come due bandierine sulla gobba del toro, ma prima ti spiego di cosa si tratta e dove li puoi trovare, se sei un collega (o una collega) pubblicista o professionista.

    Giornalismo in mobilità e giornalismo auto-imprenditoriale

    Il presidente dell’Odg Carlo Bartoli (che ringrazio) e il Consiglio Nazionale mi hanno chiesto di creare dei videocorsi intitolati “Concetti e strumenti per una nuova professionalità del giornalista” e “Fondamenti e strumenti del giornalismo in mobilità. Insomma: mi hanno chiesto di parlare di modi, strumenti, modelli e percorsi della mia professione improntati al futuro. Il giornalismo in mobilità e l’auto-imprenditorialità sono due ambiti di un nuovo vestito del giornalista di oggi, un professionista che deve lavorare in un modo diverso, con strumenti diversi e con una mente diversa. I corsi li trovi qui sotto, se sei un collega o una collega:

    Le bandierine sulla gobba del toro

    Ehi, ti guardo negli occhi e te lo dico: io di solito qui non mi lamento, non mi incenso, non mi glorio, non mi dispero, ne mi esalto. Infatti, come vedi, ti ho dato delle informazioni utili su un progetto che ho completato e che, se sei del campo, può esserti utile. Tuttavia mi permetto di dirti come mi sento: mi sento come uno che ha piantato due bandierine sulla gobba del toro, in questo caso il giornalismo, il quale è un pachiderma cornuto e duro, recalcitrante al cambiamento come pochissime altre professioni. Già, sto parlando di quel mestiere che dovrebbe raccontare onestamente il mondo che cambia. E ora, specialmente in Italia, non lo sa.

    Ho piantato due banderillas sulla gobba del toro e ho concluso il mio viaggio, facendo sapere a 93 mila giornalisti che il cambiamento, nel giornalismo, è possibile. Insomma, il mio l’ho fatto. Ho fatto sanguinare il vecchio giornalismo conficcandogli nella schiena qualcosa di nuovo. Non so se riuscirò a fare altro, ma anche soltanto questo lo trovo un bel segnale. Una specie di capolavoro. Non so se riuscirò a fare altro perché ti lascio solo immaginare quali difficoltà, alcune schifose da sopportare, mi sono trovato davanti e ancora mi trovo ad affrontare. Già, perché chi cambia le cose fa spavento. E a me, te lo dico, sta bene e da un po’ di tempo so di non dovermi aspettare nulla.

    Grazie a chi mi ha permesso di disegnarlo questo capolavoro e a me che l’ho disegnato. Ora riparto e ho bisogno di un altro confine da raggiungere. La missione, col giornalismo, è completa. Ce ne vuole un’altra.

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  • Social audio grandi creatori di community

    Social audio grandi creatori di community

    I social audio sono strepitosi strumenti di creazione della comunità.

    Il problema è sapere come usarli. Siccome mi sono un filo stancato di teorizzare l’uso di valore dei social audio ho deciso di mettermi a fare. Con il collega e amico Fabio Ranfi (clicca qui per sapere chi è) ho creato un club su Clubhouse che si chiama Fat Walkers Club e ha come obiettivo quello di aiutare i grassi sedentari come me (e forse come te, ma giudicalo tu) ad alzarsi dalla scrivania e cominciare a camminare. Abbiamo fatto solo la puntata zero e si è scatenata già una piccola comunità impallinata, desiderosa (lo dicono i messaggi che ho ricevuto dopo la puntata zero) di ricominciare a camminare presto.

    Usare il doppio luogo

    Quando smetteranno di usare i social audio come un posto dove si eruttano le solite stupidaggini, sarà un bel momento. Progettando col Fabio il club FWC, ho puntato tutta la costruzione del format sul doppio luogo. Vuoi sapere cosa intendo? Intendo una cosa semplice: il valore con i social audio si crea se sfrutti il luogo digitale rappresentato dalla stanza audio e, contemporaneamente, i luoghi dove sono gli ascoltatori, luoghi nei quali li inviti a fare qualcosa.

    I social audio sono un consesso sociale

    E quindi impongono degli obblighi. Quello del Fat Walkers Club è semplice: queste stanze ti obbligano a essere lì a camminare e, piano piano, ti inculcano una specie di obbligo sociale a tornare, a esserci anche la volta successiva.

    Gli elementi per la costruzione del format devono essere semplici e ripetibili. Gli speaker devono portare i presenti a partecipare attivamente alla stanza, devono ripetere loro quali sono gli elementi che costruiscono il modo di stare insieme dentro il luogo digitale, devono creare il ritmo, le interesse, le sorprese lungo il percorso. Nel tempo il format va coltivato e sperimentato. All’FWC, per esempio, voglio far partecipare dei personaggi, degli Algoritmi Umani, degli esperti, degli sportivi, degli specialisti della salute e della medicina. Naturalmente gli incontri e gli avvenimenti che vivremo dentro il club saranno coerenti con il progetto editoriale che ti sei proposto.

    Social audio: il Fat Walkers Club è pronto a tornare

    Questo club come è di ritorno il 2 maggio 2022 alle ore 8.40 con un tema classico: pagare l’abbonamento alla palestra è una cagata pazzesca. Ti aspetto a camminare e a pensare che il mondo del social audio è un mondo che ti offre delle grandi opportunità se fai leva sulle possibilità del mezzo per trasformarle in una “scusa” per far fare qualcosa alle persone che sono presenti nella stanza audio. E pensa che questa è solo una delle cose possibili. Il resto, se lo vuoi sentire, te lo racconterò nelle stanze del Fat Walkers Club. Buona camminata.

    Ti faccio risentire il debutto della stanza zero… e ti aspetto a camminare. Davvero.

  • Ithaca resta lontana, il viaggio continua

    Ithaca resta lontana, il viaggio continua

    Ithaca è un sogno…rimandato.

    Lo so da qualche giorno, ma te lo racconto solo oggi perché ho visto il sorriso dell’amico, collega e mentore professionale Anthony comparire sui suoi account con una bellissima notizia.

    Anthony è in viaggio verso una nuova esperienza professionale come professor e department chair a New House School of Communication di Syracuse University e io sono felicissimo per lui.

    Lo incontrerò presto, ma voglio esprimergli pubblicamente i miei complimenti per il nuovo percorso.

    Anzi mi rivolgo a te Anthony, direttamente: grazie perché il tuo lavoro è stato ed è così importante per me da aver inciso sul mio modo di essere giornalista e di pensare al giornalismo. Per me sei un punto di riferimento, un mentore. Per questo ogni tuo successo lo trovo meritato e giusto.

    Quando Anthony mi ha comunicato questa cosa me ne ha comunicata anche un’altra: il viaggio a Ithaca College si ferma prima di cominciare. Normale e giusto che sia così.

    Mi rivolgo ancora a Te Anthony: grazie per avermi dato questa possibilità anche solo di sognare questo viaggio e questo corso.

    La sfida è esaltante

    Ti confesso una cosa, la confesso a te che leggi. Ho avuto due pensieri quando l’ho saputo. Un po’ di dispiacere per un sogno toccato per un istante e poi diventato più lontano. Poi ho sorriso….

    Già perché il sogno è solo rimandato, i #socialaudio sono un universo da esplorare e avere più tempo per farlo mi esalta e mi regala una sfida.

    E a me le sfide piacciono da morire.

    #ilovemyjob

  • “Snapchat non è un social network”

    “Snapchat non è un social network”

    I social network sono strani mondi e Snapchat è indubbiamente uno dei più strani.

    Snapchat è un coso digitale che io non ho mai capito fino a qualche giorno fa. Per me era un social network. Anzi, dirò di più: per me era il social network dei ragazzini americani. Pensando a Snapchat mi fissavo sulla parte di messaging e di post dei vari Snap e non capivo: come mai un social network, che ti fa pure produrre dei contenuti, che ti fa mandare dei messaggi, fa sparire tutto in pochi secondi? Non comprendevo. Per anni ho lasciato stare. Mi sono detto, “mah, prima o poi muore”.

    Poi è arrivato Yusuf

    Ok, magari ti ho già parlato dell’amico Yusuf Omar, mobile videomaker impareggiabile e fondatore del progetto Hashtag Our Stories. Magari ti ho già stressato su quanto sia stato importante per me incontrarlo e lavorare con lui. A un certo punto, lui che è uno dei creatori di Snapchat fra i più famosi al mondo, mi ha detto una cosa piuttosto illuminante:

    “Snapchat non è un social network”

    OMG, Oh My God, ho pensato. Ma come… poi ha precisato un altro concetto.

    “Snapchat è una camera company”

    In quel momento, almeno su Snapchat, tutto è diventato più chiaro. Ho iniziato a capire come funziona quella app, ma soprattutto ho iniziato a comprendere perché funziona così. Ed è stata una scoperta davvero molto interessante.

    Come funziona Snapchat

    La app del fantasmino ha due aree. La prima è quella dell’interazione con gli altri, principalmente via chat o via snap. Parlo di quelle foto o contenuti che pubblichi sul tuo profilo (e da poco ce l’hai anche pubblico, il profilo). Tutto effimero, per quanto riguarda i messaggi. Spariscono dopo la lettura, come le parole di un discorso. Diverso è per i contenuti che posti, per gli Snap che ora sostano nelle tue mappe e sul tuo profilo come una geografia dei tuoi ricordi. Questa parte è una parte che fa assomigliare Snapchat a un qualsiasi altro social network, ma è quella sulla quale non punta.

    Perché “è una camera company”

    E’ una camera company perché è proprio il software di fotocamera a rappresentare qualcosa di unico che Snapchat ha e gli altri non hanno. Effetti, lenti, realtà aumentata, mix, titoli, grafica, musica, linea di montaggio, strumenti di miglioramento di tutte le caratteristiche del video o della foto che stai facendo. E poi… un grande tasto “Salva”. Quello più importante.

    Lo vedi il tasto Salva qui in basso verso sinistra??? (Snapchat)

    Quel tasto è il segreto di Snapchat che si rivela per quello che è. Nell’ambiente di creazione del contenuto puoi fare quello che vuoi. Hai veramente grandi potenzialità nell’ambito della produzione di video e foto verticali. Con gli Spectacles, poi, puoi creare video con splendide visuali orizzontali (e di tutti gli altri formati). Poi puoi salvare e pubblicare altrove. Snapchat è una camera company e una AR, Augmented Reality, company.

    Un cambiamento di prospettiva

    Se c’è una cosa importante che Yusuf mi ha insegnato dicendomi questa casetta su Snapchat non è quello che mi ha detto su questa app. E’ quello che mi ha detto su tutti i social. Ogni applicazione di connessione sociale va esaminata per quello che veramente ti può dare. I social network, principalmente, non ti danno una cosa (o perlomeno te la nascondono il più possibile). Vuoi sapere cosa? Ti nascondono la possibilità di uscire dalla piattaforma, quasi te la vietano, perché il loro obiettivo è farti restare dentro il flusso per spararti la più performante, invasiva e stronza pubblicità possibile.

    Snapchat non è così. Snapchat ti offre contenuti, ti fa produrre contenuti, ti fa creare connessioni, ma soprattutto ti offre una fotocamera incredibile con la quale puoi creare, salvare e far uscire creazioni dalla piattaforma. Liberamente. Per farne l’uso che vuoi tu. Snapchat non è un social network, è un grande strumento di produzione del contenuto.

  • Reel Instagram: ti spiego come usare lo smartphone

    Reel Instagram: ti spiego come usare lo smartphone

    Reel Instagram: un mondo da scoprire.

    Sono un vecchietto e con i video verticali ci ho sempre avuto poco a che fare. Il mio formato classico, quello cui sono abituato da sempre, è quello in orizzontale, per farti capire, quello della tv. Ok. Poi un giorno mi è capitato di incontrare un vero fuoriclasse dei video verticali, Yusuf Omar, un grande collega mobile journalist e fondatore del progetto Hashtag Our Stories che puoi trovare se clicchi qui. E tutto è cambiato. Sono giorni che sto sperimentando il mondo dei Reel Instagram con l’obiettivo di creare contenuti per darti qualche dritta su come usare lo smartphone e, in particolare, le sue camere, per fare immagini.

    Reel Instagram: un nuovo linguaggio.

    Dei Reel non avevo capito nulla. Non sapevo nulla. I giorni passati assieme al mio collega australiano mi hanno fatto entrare dentro un nuovo mondo e creare un nuovo linguaggio. Secco, veloce, immediato, verticale, ritmato: i Reel Instagram sono uno strumento di grande potenzialità. Lo sono per due motivi, uno straordinario e uno un po’ malefico. Prima di dirti cosa si tratta, però, ti faccio vedere il mio ultimo Reel con il linguaggio delle storie di Google che ho appena inserito nel mio blog.

    Instagram spinge i Reel come un matto

    Ti dicevo di due motivi per cui i Reel sono davvero fenomenali. Il primo è il pubblico: raggiungi un pubblico giovane e riesci a catturare senza dubbio la sua attenzione. Il motivo? Beh, sono brevi e chi guarda quei contenuti li guarda tutti.

    Il secondo motivo è molto meno nobile. Instragram sta spingendo i suoi Reel come un pazzo. Non riesco a immaginarmi, infatti, un motivo serio per cui un pirla come me faccia migliaia di visualizzazioni ai primi Reel Instagram, se non una volontà precisa del social medium di spingere sull’uso di quel tipo di contenuto. Perché? Facile, per fregare utenti a Tiktok. Dai.

    Reel: ti spiego cosa faccio

    Mi è venuta un’idea e te la giro. Se ti va, da ora in poi e per qualche settimana, ci saranno dei Reel sul mio account che ti raccontano come utilizzare bene le varie camere dello smartphone e come fare video a smartphone libero. Insomma, ho rubato l’arte di Yusuf Omar e ho deciso di metterla subito in piazza.

    Se vuoi vedere i miei Reel e seguirmi su quel social medium, magari per chiacchierare insieme su come utilizzare questo linguaggio, mi trovi qui sotto.

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    Come riempire un silenzio sui social