Categoria: App

  • Il furto della privacy? Lo permettiamo ogni giorno dal telefono

    Il furto della privacy? Lo permettiamo ogni giorno dal telefono

    Furto della privacy e dei dati: glielo permettiamo noi.

    Ti sembra una cosa strana? Guarda, ti consiglio di darti una letta a questo pezzo, una guardata al video e di prendere tutto il tempo necessario per approfondire la cosa. Nel frattempo ti do una mano grazie a un incontro che ho fatto qualche giorno fa a un convegno di un’azienda. L’argomento era il nuovo regolamento GDPR che riadeguerà in seno alle aziende la gestione dei dati della privacy e di tutto quanto gli ruota attorno. A un certo punto ha preso parola un avvocato di Vignola, Rossella Masetti, il cui sito è questo,  e ha parlato di dati personali e di privacy  come del più importante e rilevante, anche economicamente, bene immateriale della nostra epoca.

    Ho subito pensato a quanto ci fottono della nostra vita.

    Mentre la sentivo parlare pensavo al mio telefonino e alla pazzesca pervasivita del collezionamento dei dati personali che fa ogni luridissima app, perpetrandoci, col nostro ignaro consenso, il furto della privacy con cadenza giornaliera. Sono subito volato a presentarmi e l’ho fermata per farla parlare di questo e della sua ricaduta sulla nostra vita e sui nostri figli.  Già, perché se sei un genitore digitale deiv essere ben conscio di questo: ti fottono la vita (e quella di tuo figlio che gli interessa molto di più) con il tuo consenso. O, perlomeno, con il tuo silenzio. Ecco la choccante verità dell’avvocato Masetti.

    Adesso, però, non chiudiamoci in casa col telefonino spento.

    Non serve (tanto saresti tracciabile anche lì). Devi piuttosto fare attenzione a quello che stai facendo e a quello che farai quando scarichi una app. Siccome, tuttavia, il furto della privacy è praticamente inevitabile, ti rimando al link del pezzo che avevo scritto qualche tempo fa sul bike sharing a rilascio libero. Il pensiero era questo: se queste app ti perpetrano il furto della privacy senza manco chiederti il consenso e ci fanno i miliardi, perché non possiamo condividere il risultato economico? Perché, detta da poveretto, non mi cacci la lira per questo furto legalizzato della privacy? D’altronde l’avvocato Masetti sostiene, con grande senso, che i dati personali sono il bene immateriale più prezioso che hai. Vuoi cederlo? Almeno vendilo. E bene.

  • Montaggio con lo smartphone: Luma Fusion ci ha fatto superare i PC

    Montaggio con lo smartphone: Luma Fusion ci ha fatto superare i PC

    Montaggio con lo smartphone: ora ci divertiamo davvero.

    Mi viene da ridere perché un mondo intero di professionisti del visual, da giornalisti a videomaker, da montatori a tecnici, fino ai registi di chiara fama, non ha ancora compreso che il montaggio con lo smartphone è a un livello di qualità altissimo. In queste ore, poi, ha fatto un ulteriore passo in avanti e si è posizionato, a mio avviso, davanti al montaggio con il personal computer e le sue più evolute suite di montaggio. Non ci crederai, ma è così. E io lo avevo già scritto mesi fa.

    Quando parlavo di worflow, parlavo di questo…

    Nel mese di settembre del 2017, dall’IBC di Amsterdam, ho scritto del cambiamento che le due principali applicazioni di montaggio con lo smartphone stavano per fare. Se vuoi andare a riprenderti l’articolo puoi cliccare qui. Ebbene, da alcune ore, Luma Fusion ha rilasciato l’aggiornamento 1.5 che cambia per sempre l’approccio con l’editing sul telefonino e sul tablet.

    Qui sotto puoi trovare un video con i miglioramenti rilasciati nella nuova versione, ma è molto importante, visto che ti sto parlando di flusso di lavoro e di montaggio con lo smartphone, fare caso a questa nuova caratteristica che si nota nelle spiegazioni dell’App Store sulla creatura di Chris Demiris e Terri Morgan. Di cosa sto parlando? Di questo:”Si può esportare filmati renderizzati e archivi di progetto nella library dell’applicazione, in modo da poterli poi prendere se s vogliono effettuare passaggi di device, di hardware, mentre si monta”.

    Questo cambia proprio tutto.

    E’ arrivato, quindi, il momento in cui dal campo possiamo impostare anche il montaggio delle storie per poi passare progetto e file annessi in redazione per fare in modo che il processo sia completato dalla newsroom senza perdere un file e avendo il semilavorato aperto da chiudere, magari anche solo con la titolazione o con qualche taglio finale per farlo entrare nei format di un tg o di un rotocalco. Si può, quindi, lavorare in esterna e inviare non solo il video chiuso (che reputo la soluzione migliore sempre), ma anche il video aperto, per dare la chiusura a qualcun altro, comodamente seduto sulla scrivania.

  • Dati personali “rubati”: cara App, ci fai soldi? Bene, paga anche me

    Dati personali “rubati”: cara App, ci fai soldi? Bene, paga anche me

    Dati personali “rubati”: beh, forse ne dobbiamo parlare.

    Sarò pure un cretino, ma ho deciso di fare un pezzo sui nostri dati personali online, su tutta quella serie di informazioni che noi, ogni volta che accediamo a una app sul nostro cellulare, regaliamo, spesso inconsapevolmente, ai gestori di questi software per cellulari. Sono dati sensibili, a volte anche sensibilissimi (martedì Google Maps ha registrato la mia entrata e la mia uscita da un famoso ospedale milanese), che vengono gestiti, aggregati e riproposti sottoforma di servizi dalla App stessa, ma soprattutto vengono venduti alle aziende che, da questi big data, traggono (e fanno trarre) profitti enormi.

    Le biciclette in sharing: pedali e regali dati.

    L’argomento della gestione e della coscienza nell’amministrare i dati sensibili mi è venuto tra e mani qualche giorno fa, quando ho scritto questo pezzo sui servizi di Bike Sharing appena arrivati a Milano. La rivista Business Insider ha raccontato con molti particolari il megabusiness tutto cinese di questi velocipedi e ha ricondotto tutto al grande affare dei dati. Ho letto anche altri articoli su queste aziende e ho scoperto che fanno spallucce al fatto che il business in se sia in passivo. Il loro gran bel giochino e far soldi sui nostri dati personali online che spariamo ai loro server facendo pure la fatica di pedalare sopra i loro “registratori di dati” le biciclette.

    Le App non sono mai trasparenti.

    Nel mondo Android e nel mondo Apple ben poche si salvano. A cosa mi riferisco? Al modo in cui le App ti chiedono di poter registrare il tuo accesso e l’approdo a certi settori del tuo telefono. Certo, mi si potrà dire che senza l’accesso al mio gps la app Google Maps non può certamente indicarmi la strada. Mi si potrà pure dire che ormai sanno tutto di te, sanno chi sei e cosa fai, cosa pensi e cosa sogni, anche quando vai a fare la pipì, anche a telefono chiuso. Va bene pure questo, tuttavia il pensiero è un altro ed è semplice. Quei dati personali rubati col mio consenso (si fa per dire, perché nessuna app è assolutamente cristallina sull’uso che fa dei dati che le offro gentilmente) contribuiscono a creare valore: ecco, anche io ne voglio una parte.

    Google Maps, cambia fatturati e sposta miliardi: e io?

    Ti faccio vedere un semplicissimo video del tubo sulla precisione e sull’invasività dei dati personali che Google Maps mi ruba ogni giorno. Io sono un affezionato utente di Google Business, uso tutte le App inCloud, vivo sulla rete, lavoro nel digitale, consegno i miei dati con serena rassegnazione cercando, grazie alla tecnologia, di produrre ricchezza per me e per altri. Guarda il video, poi continuo il ragionamento.

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    La prima cosa che mi viene da dire è che all’inizio o in una sezione ben chiara della App ci dovrebbe essere un lungo dislaimer sull’uso esatto che questa app fa dei dati che io le do. E’ inutile che mi inventi frottole: non c’è. Quando la app, la prima volta che la accendi, ti chiede accesso al Gps, alla macchina fotografica e all’audio, beh, sappi che lo fa per darti quel servizio, ma anche per vendere tutta una serie di dati personali rubati (con il tuo consenso) a enti terzi che gestiscono quei numeri per creare indagini o modificare valori importanti. Tu e io siamo il nulla nel grande gioco dei big data, ma se il nostro girare per la città come piccoli criceti vale miliardi di euro l’anno, beh, perché non dovrebbe valere qualche centesimo per noi?

    Facciamo un ragionamento, anzi due.

    Il fatto che dati come quelli che hai visto siano utilizzati per tarare valori di immobili o affitti, valori e prezzi delle case e delle cose circostanti o dei beni che possiamo acquistare, beh, deve imporre un ragionamento. Anzi due. Vuoi fare in modo che i dati personali che mi prendi siano rubati con la mia serena consapevolezza? Bene, lo ribadisco: spiegami come li usi dalla a alla zeta. A me, ma magari mi sbaglierò, non è mai comparso davanti un modulo di trattamento dei dati di Google Maps. Tuttavia so che c’è e so che fa parte del gioco e io questo gioco non lo voglio fermare, anzi.

    Voglio fare un ragionamento folle come tutti i miei ragionamenti sulla vita digitale. I dati personali che ora mi vengono rubati con una mia parziale consapevolezza, siano presi come prima, magari anche di più. Però a una condizione: valutateli economicamente in un modo ragionevole, non dandomi qualche bicicletta gialla su cui pedalare (tra l’altro fornendovi ulteriori dati).

    Stiamo mettendo addosso un numero sempre maggiore di sensori, stiamo consegnando alla rete un numero impressionante di… numeri. Ormai la creazione di valori, di tariffe, di prezzi, di servizi, di previsioni, di premi… si basa sui dati che tutti noi forniamo tutti i giorni in qualsiasi angolo del mondo. Sembra che quello che da queste app riceviamo in cambio sia molto: traffico, i posti dove siamo stati, gli orari migliori per andare nei negozi. Sembra un mondo alla portata di un click. Però il valore aggiunto che i dati aggregati di cui io e te siamo un’infinitesima parte contribuiscono a creare è notevolmente superiore.

    Se il watch di Apple… parla del nostro cuore.

    Ho avuto una strana sensazione quando ho visto la presentazione del Watch tre di Apple. Tutta quella attenzione legata ai dati del nostro cuore, quella possibilità di chiamare aiuto in caso di heart asttack… Mah, mi sono detto… se quei dati, quei numeretti che arrivano da ogni Watch di Apple sulla terra, andassero in mano alle assicurazioni, cosa succederebbe? Possono dirmi quanto vogliono che i server di quei dati sono inaccessibili anche all’FBI o alla NSA, ma non ne sono proprio convinto, perché non ne sono certo.

    Per questo dico: è ora di parlare, tutti insieme, di dati personali che online mi vengono “rubati” con una consapevolezza parziale da parte mia. Ok, fatelo pure, ma da oggi mi batterò per due cose:

    1. Ditemi con chiarezza che uso fate di quei dati, a chi li date, a chi li vendete e perché. Care App, siate chiare nel trattare il cliente, basta mezze verità: sappiamo che quando ci chiedere di accedere al microfono non è solo per avere la possibilità di registrare i nostri audiomessaggi, ma anche per sentire dove siamo e cosa stiamo dicendo o facendo
    2. Volete rubare i miei dati personali? Ecco, fatelo. Però dobbiamo parlare del valore che questi dati hanno sotto il profilo economico. Non è certo il valore di quei centesimi che mi elargite ogni tanto.

    Quando parlo di dati personali rubati, lo faccio mettendo in campo una provocazione. Però è ora di cambiare registro: se volete davvero i miei dati, cacciate la lira, care le mie App.

  • Editing mobile: il miracolo Luma Fusion

    Editing mobile: il miracolo Luma Fusion

    Editing su mobile: quando una app è un software professionale.

    Luma Fusion è la creazione che ha cambiato il gioco del montaggio con i telefonini, è la app che ha colmato il gap tra l’editing su mobile e l’editing su personal computer (fissi o portatili che siano). Non c’è nulla di meglio che farsi spiegare questo miracolo, arrivato ormai oltre la versione 1.3 con importantissimi update rispetto alla partenza, da uno dei suoi creatori. Chi? Chris Demiris, incontrato lo scorso maggio a Galway in occasione di Mojocon 2017.

    La nostra chiacchierata.

    Cambiando un po’ il format delle interviste raccolte a Mojocon, questa te la sbobinerò traducendo domanda e risposta, per chiarificare ogni passaggio.

    Chris, innanzitutto ci racconti da vicino questa app che ci ha fatto diventare tutti “montatori” professionisti con un telefonino, colmando il gap con i computer…

    Beh, grazie. La verità è che tutto, con la mia partner Terri Morgan, è iniziato dal fatto che entrambi abbiamo cominciato la nostra attività nell’industria del video 30 anni or sono. Entrambi conoscevamo bene i video, sapevamo quali erano i bisogni dei video editor. Per questo motivo siamo partiti dicendoci: vogliamo una app che sia veramente per video editor professionisti. Non per i consumatori come può essere una iMovie o una Clips.  Abbiamo cominciato a lavorare su Luma Fusion 3 anni fa e onestamente ci siamo molto basati sulle conoscenze sviluppate lavorando su Pinnacle Studio prima di questa nostra esperienza.

    Tre anni fa, comunque, abbiamo cominciato il percorso con una nuova tecnologia e cercando tutto l’appoggio possibile da Apple per fare la migliore editing app che potessimo fare. E lavorando al top su Luma, il nostro sistema di effetti, le possibilità di editing, la sincronizzazione, tutto quello che potevamo fare per fare la migliore app possibile lo abbiamo fatto. Valorizzando anche i nostri utenti che ci danno preziosissimi feedback come accadeva con Pinnacle Studio. Ecco in Luma Fusion abbiamo portato tutto questo a sintesi.

    E’ un momento interessante per le applicazioni di editing su mobile perché Kinemaster è venuta nel vostro mondo iOS. Ho scritto e sostengo che la vostra è la migliore app di editing su mobile per Apple, la loro è la migliore possibile su Android. Tuttavia questa competizione aperta, questa sfida farà in modo che cerchiate ora di migliorare il tutto ancora di più perché siete anche nello stesso “campo” d’azione. 

    Beh, è assolutamente giusto. Onestamente avere due buonissime applicazioni di editing su mobile nello stesso campo è una cosa che ci farà fare meglio il nostro lavoro entrambi, ma va detto che ci orientiamo verso due target di consumatori diversi. Noi abbiamo più esperienza sugli editor pro che sono sempre stati su iOS mentre loro hanno pù valore sui consumer normali. A ogni modo stare insieme in un campo ci farà bene. Ci stimoleremo a vicenda.

    Una delle cose interessanti che si stanno sviluppando ora è il montaggio dei contenuti a 360 gradi. Cosa mi puoi dire su questo? E’ possibile e quali tipi di consigli vuoi dare a chi si affacci  questo tipo di montaggio?

    Abbiamo rilasciato da poco la possibilità, nelle versioni dalla 1.3, di lavorare video a 360 gradi con i loro metadati. Con questi supportiamo la Aspect Ratio giusta. Adesso quello che puoi fare è prendere il tuo video, fatto magari con una Insta 360 e importarlo in Luma ed editarlo tranquillamente. Questo significa che puoi fare tagli, puoi aggiungere effetti, puoi editare titoli. Ci si può divertire molto e, quando esporti, puoi farlo direttamente verso Youtube o Facebook che sono quelle piattaforme che reggono questa tecnologia semplicemente flaggando i bottoni giusti. Saranno disponibili subito in 360 e con i giusti metadati per quelle piattaforme.

    Quindi questo vale a dire che dalla versione 1.3 Luma Fusion fa lo stitching da sola in modo efficace…

    Non fa esattamente lo stitching, ma conserva i metadati se questi vengono direttamente dalla camera che ha fatto il video. Abbiamo semplificato il workflow per trattare quei video, ma non facciamo esattamente lo stitching classico. Parleremo molto con gli amici di Insta 360 per implementare questa cosa, ma va comunque detto che molte delle camere fanno lo stitching interno e rilasciano contenuti immediatamente fruibili.

  • Kinemaster va all’attacco: è sbarcata sul pianeta iOS

    Kinemaster va all’attacco: è sbarcata sul pianeta iOS

     Kinemaster: debutto a luci spente.

    La comunità di coloro che sviluppano il mobile journalism mondiale se n’è accorta da sola,  anche se non si è nemmeno visto un lancio vero e proprio della notizia, dopo il periodo beta. Di cosa sto parlando? Del clamoroso sbarco di Kinemaster nel pianeta Apple, avvenuto nemmeno 36 ore fa in completa sordina, a fari spenti, con il rilascio nell’App Store di Cupertino. Rilascio che non è stato nemmeno pubblicizzato da un tweet dell’account ufficiale dell’applicazione, sviluppata dalla coreana Nexstreaming. Te lo sto scrivendo con tale anticipo che nemmeno il sito di Kinemaster, che puoi trovare qui, ha messo, almeno fino al momento in cui sto battendo sulla tastiera, il bottone del rilascio della sua nuova creatura per il sistema operativo della mela morsicata e delle sue device.

    Il gioco cambia, di molto.

    Già mesi fa ti avevo anticipato che Nexstreaming sarebbe andata nel campo nemico, nel campo dominato, in questo momento, da Luma Touch. Lo avevo anticipato in questo post che puoi andare a rileggere perché spiega bene la grande battaglia che si sta verificando tra Kinemaster e Luma Fusion. Lo sbarco di Kinemaster in iOS, con pregi e difetti, obbliga tutti a fare un passo in avanti nelle applicazioni cross platform per il montaggio video da device mobili.

    Trainer liberi!

    Nel contempo libera anche i mojo trainer dal dover fare un corso che abbia differenze tra il mondo iOS e il mondo Android. Come? Proprio attraverso il punto di contatto che, in questo momento, è solo Kinemaster. Il gioco cambia, di molto. Tutti ne beneficeranno e ho già visto due nuove app che potrebbero rendere più serrata la battaglia.

    I mojoer l’hanno provata subito (compreso me).

    E’ stato Marc Blanc Settle, mojo guru della BBC, a mettere fuori l’avviso che aveva trovato Kinemaster nell’App Store. Da quel momento in poi è stato un florilegio di commenti, pareti, test, prove. Ci ho messo le mani anche io e l’ho trovata quasi uguale al modello Android, con i suoi pregi e i suoi difetti. Compreso il drag and drop difficoltoso, la titolazione limitata e poco intuitiva. Comprese, anche, alcune features nascoste e macchinose come il cropping. E’ rimasta la versatilità nelle transizioni e in alcuni layout.

    Lo stramaledettissimo problema…

    Il problema è il costo, il folle costo che, alla richiesta del passaggio a pro, parla di 4,99 dollari al mese e 39,99 in quota annua. Porcaccia miseria, ma allora quelli di Luma Touch cosa sono, dei pirla? Avrò modo di incontrare gli sviluppatori di  Kinemaster a Galway per Mojocon 2017 e glielo chiederò. Venti dollari in tutto di Luma Fusion contro 40 anni di Kinemaster sono un divario enorme. Chiudo dicendoti solo una cosa. Ti ribadisco che questi giorni e questi sviluppi sono importantissimi per il mondo del mobile journalism. Così facendo, il mojo si esprime al massimo anche nell’editing visto che tra montaggio pc e montaggio mobile, ormai, non c’è più differenza. Ah, un’altra cosa: la prossima super app in arrivo parlerà francese…

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    Kinemaster: debutto a luci spente.

    La comunità di coloro che sviluppano il mobile journalism mondiale se n’è accorta da sola,  anche se non si è nemmeno visto un lancio vero e proprio della notizia, dopo il periodo beta. Di cosa sto parlando? Del clamoroso sbarco di Kinemaster nel pianeta Apple, avvenuto nemmeno 36 ore fa in completa sordina, a fari spenti, con il rilascio nell’App Store di Cupertino. Rilascio che non è stato nemmeno pubblicizzato da un tweet dell’account ufficiale dell’applicazione, sviluppata dalla coreana Nexstreaming. Te lo sto scrivendo con tale anticipo che nemmeno il sito di Kinemaster, che puoi trovare qui, ha messo, almeno fino al momento in cui sto battendo sulla tastiera, il bottone del rilascio della sua nuova creatura per il sistema operativo della mela morsicata e delle sue device.

    Il gioco cambia, di molto.

    Già mesi fa ti avevo anticipato che Nexstreaming sarebbe andata nel campo nemico, nel campo dominato, in questo momento, da Luma Touch. Lo avevo anticipato in questo post che puoi andare a rileggere perché spiega bene la grande battaglia che si sta verificando tra Kinemaster e Luma Fusion. Lo sbarco di Kinemaster in iOS, con pregi e difetti, obbliga tutti a fare un passo in avanti nelle applicazioni cross platform per il montaggio video da device mobili.

    Trainer liberi!

    Nel contempo libera anche i mojo trainer dal dover fare un corso che abbia differenze tra il mondo iOS e il mondo Android. Come? Proprio attraverso il punto di contatto che, in questo momento, è solo Kinemaster. Il gioco cambia, di molto. Tutti ne beneficeranno e ho già visto due nuove app che potrebbero rendere più serrata la battaglia.

    I mojoer l’hanno provata subito (compreso me).

    E’ stato Marc Blanc Settle, mojo guru della BBC, a mettere fuori l’avviso che aveva trovato Kinemaster nell’App Store. Da quel momento in poi è stato un florilegio di commenti, pareti, test, prove. Ci ho messo le mani anche io e l’ho trovata quasi uguale al modello Android, con i suoi pregi e i suoi difetti. Compreso il drag and drop difficoltoso, la titolazione limitata e poco intuitiva. Comprese, anche, alcune features nascoste e macchinose come il cropping. E’ rimasta la versatilità nelle transizioni e in alcuni layout.

    Lo stramaledettissimo problema…

    Il problema è il costo, il folle costo che, alla richiesta del passaggio a pro, parla di 4,99 dollari al mese e 39,99 in quota annua. Porcaccia miseria, ma allora quelli di Luma Touch cosa sono, dei pirla? Avrò modo di incontrare gli sviluppatori di  Kinemaster a Galway per Mojocon 2017 e glielo chiederò. Venti dollari in tutto di Luma Fusion contro 40 anni di Kinemaster sono un divario enorme. Chiudo dicendoti solo una cosa. Ti ribadisco che questi giorni e questi sviluppi sono importantissimi per il mondo del mobile journalism. Così facendo, il mojo si esprime al massimo anche nell’editing visto che tra montaggio pc e montaggio mobile, ormai, non c’è più differenza. Ah, un’altra cosa: la prossima super app in arrivo parlerà francese…[:]