Categoria: Mobile Content Creation

  • Taz Goldstein: “Hollywood ha paura degli smartphone nel cinema”

    Taz Goldstein: “Hollywood ha paura degli smartphone nel cinema”

    A Hollywood c’è un visionario di nome Taz Goldstein.

    Già, proprio un pazzo, un rivoluzionario. Sto parlando di un quieto signore americano di mezza età che risponde al nome di Taz Goldstein e che è di diritto nella storia del mobile journalism e della mobile content creation per quello che ha deciso di fare. Di cosa sto parlando? Sto parlando del fatto che ha cominciato un blog sul filmmaking con gli smartphone nel 2009 (!), che ha “catechizzato” verso la mobile content creation moltissimi videomaker indipendenti e che ha lui stesso introdotto nel suo lavoro molti criteri di produzione e realizzazione delle immagini con device e app mobili.

    Il suo blog si chiama Handeld Hollywood e da quel blog è nato un libro capolavoro (a dire la verità un minimo datato, ma ancroa di valore) che si intitola “Filmaking with an iPhone or an iPad”. Ti metto qui il link al blog che ricorda gli elementi, i concetti e le app che ha descritto nella sua presentazione di Galway nella quale ha svelato i segreti del filmmaker in mobile.

    Un signore del grande, medio e piccolissimo schermo.

    Taz Goldstein è uno che ha lavorato per Universal, Sony e Fox, lasciando la sua firma anche nel mondo delle aziende con “commercials” come Google, Adobe o Microsoft. Quello che stupisce, però, è come consideri il linguaggio visuale mojo come qualcosa di assolutamente naturale e imprescindibile per il presente e il futuro del cinema. Quando gli chiedo consigli, infatti, dimostra di essere assolutamente al servizio della cosa più importante, qualsiasi sia  lo schermo che tu stai usando per riprendere la scena che hai davanti.

    Di cosa sto parlando? “Della storia – dice -. E’ la storia che importa, non la macchina con cui la riprendi. Certo è, tuttavia, che il mobile ha dato un grande impulso alla creatività e ha “liberato” le teste. Ora, infatti, tutti sono liberi di provare, sperimentare, tentare e anche di sbagliare. Ecco, se posso dare un consiglio, dico ‘buttatevi’ e siate liberi di sbagliare! Poi aggiungo: usate il mobile, anche se non filmerete in mobile. Vi permette delle cose pazzesche anche in fase produttiva. Però la cosa che piace di più a me del girare in mobile è la possibilità di sbagliare serenamente: ecco, sbagliate e riprovate”. Un signore del grande, medio, piccolo e piccolissimo  schermo.

    Bada a dove lo metti!

    Sentire parlare Goldstein è un sollievo. “Un’altra cosa che dico – aggiunge – è di preoccuparsi di dove si mette la camera, il mobile. Già, perché gli smartphone possono darti delle prospettive uniche di una scena e puoi regalare a chi vede prospettive che non sapeva di poter avere. Direi che questo è fantastico e ti libera, quando stai creando”.

    Non ho potuto non sfruttare l’occasione di chiedere a Goldstein consigli su come un filmmaker possa “monetizzare” seriamente i suoi progetti, ora che la mobile content creation regala possibilità incredibili a costi più contenuti. “Non crediate di poterci campare da subito – dice chiaramente Taz -, ma ci sono delle opportunità nuove che fornisce il mojo e che vanno sfruttate. Io lavoro a Hollywood e vedo centinaia di storie che non vengono raccontate in cinemascope perché Hollywood lavora solo con certe logiche o avrebbero bisogno di certi macchinari per essere girare. Beh, ora questo può cambiare”.

    I soldi arrivano tra costi abbattuti e nuovi canali di pubblicazione.

    “Oggi, infatti – racconta Goldstein – le cose si stanno modificando e il fatto che puoi risparmiare sulla produzione effettiva del film usando il mobile libera delle risorse che puoi utilizzare facendo auto pubblicazione o diffusione attraverso canali diversi dal passato. Ora non hai bisogno di budget tremendi per fare un film. L’introduzione di un approccio low budget è liberating, ti apre la mente e ti fa ingegnare anche quando devi distribuire il film, visto che di piattaforme ora ce ne sono parecchie”.

    “Certo, non ci fai tonnellate di soldi – continua -, ma ci sono iniziali esempi brillantissimi come Tangerine (film girato con iPhone 5s nel 2015). Anche in quel film, però, come ho già accennato, era la storia bellissima a comandare. Poi il regista Sean Baker è stato bravo, perché non ha badato ad altro che ha “massimizzare” la resa degli iPhone mentre riprendeva, senza pensare che erano iPhone”.

    E poi è arrivata la meteora Soderbergh.

    Beh, si, ok. Ci sono stati degli esploratori, come Goldstein stesso, come Koerbel e come Baker, ma a aun certo punto è arrivato un tale di nome Steven Soderberg con il suo Unsane, girato con iPhone 7 Plus. “Le reazioni sono state di due tipi – mi ha raccontato Goldstein -. Quella dei registi è stata timidamente incuriosita: tutti hanno pensato alle potenzialità che offre il mezzo, alle nuove inquadrature e ai nuovi linguaggi e molti hanno detto “mmm, quasi quasi ci provo”.

    “Poi c’è stata la gelida reazione dei produttori – aggiunge -, quelli che devono continuare a badare alla loro macchina da cinema così vecchia e costosa. Quelli hanno fatto finta che il film non esistesse… attanagliati dalla paura di dover cambiare e fare a meno di tutta quella costosissima macchina produttiva che hanno sulle spalle. Eh, ma il problema è che prima o poi dovranno rendersi conto che la rivoluzione è cominciata”.

    Si, ok, ma sti diavolo di produttori di telefonini continuano a occuparsi di foto.

    Ho chiesto a Goldstein di chiarirmi come vede la tendenza del mercato dei produttori di telefoni che fanno fotocamere pazzesche, ma non si dedicano alla parte video. Geniale la sua risposta: “Penso che sia perché il consumatore ha paura – ha raccontato chiudendo la nostra chiacchierata – perché tutti si sentono capaci di fare una foto, ma in pochi si sentono in grado di fare un buon video. Vedrete, però, che la generazione dei nostri figli spazzerà via tutto. Il motivo? Loro parlano con i video, loro sanno fare video senza che nessuno glielo spieghi. Loro sono dei videographer nati e lo sono… con lo smartphone”. Mi sento decisamente meglio.

    L’intervista a Taz Goldstein.

  • Mojofest 2018: la lezione di Glen Mulcahy e il futuro del nostro mestiere

    Mojofest 2018: la lezione di Glen Mulcahy e il futuro del nostro mestiere

    Sono tornato in Italia dopo il Mojofest 2018.

    Ho portato a casa una profonda lezione su questa professione e un nuovo percorso. Avrai presto notizie, ma mi permetto di iniziare da qualche appunto utile per tutti e da qualche provocazione

    La community vale sempre di più.

    La grande lezione del Mojofest e di Glen Mulcahy, il suo fondatore, è legata al valore della comunità. Quello che è successo a Mojofest, infatti, è per me una conferma. Vuoi sapere a cosa penso? Penso alla quantità di scambi, di consigli, di insegnamenti dati e ricevuti, che si sono sviluppati in quell’evento, con persone di tutto il mondo,  in quella città, in quelle sale, con quei magnifici esponenti della community mojo di tutto il mondo.

    Una quantità enorme che mi ha fatto tornare a casa con un tale tesoro di nozioni e informazioni che mi basterà per un anno intero, aumenterà la mia ricchezza personale ed economica, amplierà la mia rete di contatti e le opzioni per far crescere il mobile journalism in Italia. Provo un sincero dispiacere per chi non c’era. Provo un sincero dispiacere anche per chi, nei gruppi che frequento, sta a guardare senza agire, prende senza dare. Io so dove sto andando e vedo anche dove va il giornalismo italiano. Probabilmente, almeno per ora, abbiamo due direzioni diverse.

    Pensavo fosse paura

    Cavolaccio, pensavo che la community di Mojofest si parlasse addosso un po’ troppo e avevo paura. Lo confesso, ho pensato che fossimo una bolla dalla quale dovevamo uscire, dobbiamo uscire. Lo penso ancora per quanto riguarda la necessità di aprire il dialogo sulla mobile content creation ad attori che non erano presenti alla conferenza. Non vedendo media company, non vedendo dirigenti di compagnie telefoniche, non vedendo studiosi e accademici, andavo in giro ripetendomi “Manca qualcuno qui..”. Per un certo verso è vero e spero che Glen Mulcahy apra tavoli di discussione con le media company, con tv, siti e giornali di tutto il mondo per espandere la comunità e creare un nuovo mondo dei media.

    Invece è altro.

    Però da questa intervista di Glen Mulcahy alla nostra Giulia Bassanese di Italian Mojo ho capito che la mia paura è altro. Prima di scriverti quello che penso ti estraggo la frase chiave:

    Abbiamo incontrato molti giornalisti mojoer, ma quasi nessuno lavora per i principali player dell’informazione. Una questione di snobismo o i grandi editori continuano a non voler sentire parlare di mobile journalism?

    Domanda interessante. Certamente le tecniche e la filosofia mojo contageranno anche i grandi player dell’informazione in futuro, ma è un percorso lungo. Non credo vedremo molti rappresentanti dei media mainstream neppure alla prossima edizione. Anche per questo motivo ho intenzione di includere ancora più sessioni indirizzate ai business, magari introducendo una giornata dedicata esclusivamente alle imprese. La sfida per me è riuscire a creare dei panel quanto più diversificati possibile, senza tagliare quella fetta di mercato come i content creator, che hanno formato il nucleo storico di Mojofest.

    Le aziende sono media company.

    Capito l’antifona? Io mi sbagliavo e pensavo ai media che non c’erano. Lui ha già guardato in questa edizione e nella prossima guarderà ancora di più alle aziende. Ha ragione lui. I media non guardano da questa parte per paura. Loro sì hanno paura, io avevo paura perché guardavo la cosa dallo stesso punto di vista rimanendo smarrito davanti all’assenza delle aziende editoriali a Mojofest. Mi sbagliavo. I media sono assenti perché temono questo cambiamento. Quando il 5g spazzerà via tutto, vedremo cosa rimane. In quel momento le aziende ne avranno già approfittato e i media forse saranno meno utili di prima. Non so se è un bello scenario, ma è lo scenario.

    Cerco una scuola di giornalismo.

    Sono tornato in Italia e sono pronto a operare alcuni cambiamenti. A partire da questo blog, a partire dal linguaggio e dalle operazioni che ruotano attorno a me e all’associazione Italian Mojo. Il primo passo è la ricerca di una scuola di giornalismo o di comunicazione, un’accademia, insomma, che mi dia modo di espandere la tipologia di corso di mobile journalism che ho improntato finora e che ho intenzione di cambiare, puntando a una netta evoluzione.

    In questo senso registro che le istituzioni dell’Ordine Lombardo, sebbene io mi faccia sentire spesso, non danno risposte e seguito a quanto più volte accennato. Non c’è problema, si va avanti. Punto a raffinare ulteriori contatti avuti in questo periodo e sono disponibile a parlare con chiunque voglia approntare una casa accademica del mobile journalism assieme a me. Non ho tempo di aspettare. Devo trovare un posto dove costruire il futuro di una professione che è morta in Italia. Altrimenti ho già pronte altre vie.

    Il mio incontro con Nico Piro.

    Ho passato l’esperienza di Mojofest con Nico Piro, giornalista di Rai Tre che condivide con me l’esperienza di essere leader di questa materia in Italia. Ho dato molto a Nico e Nico ha dato molto a me e stiamo lavorando già per unificare il più possibile la comunità italiana del mobile journalism e della mobile content creation. Ci saranno indubbiamente delle novità, ma per ora mi limito a condividere un pensiero.

    Nei nostri due gruppi, nel lavoro di Nico e mio, nelle mie relazioni internazionali, nella sua conoscenza della materia e nella cultura che stiamo diffondendo c’è molto del rinnovamento della professione giornalistica in Italia. Penso fermamente che sia il caso che Ordine, scuole, università e accademie di ogni tipo, lo sappiano e lo sfruttino. Prima che sia troppo tardi. E’ proprio il caso di smettere di preparare i nuovi giornalisti con le apparecchiature del broadcasting televisivo che impongono un modo di fare la professione che sta per morire. Gli atenei che mi hanno accolto (e che ringrazio) lo hanno capito, ma ora è il momento di prendere la nostra conoscenza, quella mia e di Nico, per sparpagliarla in ogni dannato corso di giornalismo. Prima che sia troppo tardi. Per te.[:]

  • Microfono per Smartphone?  iRig Mic HD2, soluzione perfetta per le news

    Microfono per Smartphone? iRig Mic HD2, soluzione perfetta per le news

     Microfono per smartphone: l’offerta si fa sempre più ricca.

    La questione dell’audio, te l’ho sempre detto, è assolutamente centrale se vuoi fare mobile journalism seriamente.

    Dall’inizio di questo progetto fino a oggi mi è capitato di avere per le mani molte soluzioni microfoniche che hanno soddisfatto diversi tipi di necessità di un mobile journalist o di un mobile videomaker.

    Oggi ti parlo di iRig Mic HD2, evoluzione dei microfoni a filo della iK Multimedia, azienda italiana che sta facendo uno strepitoso lavoro negli hardware di acquisizione audio, soprattutto nell’ambito della musica.

    Ho incrociato la strada di questa azienda molte volte per più di un tipo di supporto per il mojo. Treppiedi, amplificatori microfoni lavallier (i mitici iRig Mic Lav di cui parlo spesso nei miei corsi). Ora arriva il microfono per smartphone perfetto se fai il cronista di strada e hai bisogno di registrare velocemente.

    Il controllo assoluto del suono

    Se segui questo sito lo sai: anche per questo microfono per smartphone, come per gli altri sponsored post, non mi va di fare l’unboxing. Per cui ti dico che nella scatola trovi il microfono, l’astuccio, il filo di connessione al PC (comunque a USB) e il filo con la presa lightning per adattare questo microfono per smartphone a tutti i telefoni del mondo iOS.

    Grazie a convertitori a 24 bit di alta qualità, sample rate fino a 96kHz, un preamplificatore con bassissimo rumore di fondo, una nuova capsula gold-sputtered a condensatore e un’uscita cuffie integrata per il monitoring, iRig Mic HD 2 offre qualità e versatilità senza rivali ad un prezzo imbattibile

    I suoi ampi ambiti di utilizzo.

    La iK multimedia ne descrive così le caratteristiche principali che fanno di questo microfono lo strumento ideale per le news, per le interviste, per veloci stand up in primo piano, per registrazioni audio, per podcast, per live via social, ma anche . Il suo preamplificatore (con segnalatore multicolore a led) e la sua uscita cuffie fanno poi in modo che, se lo usi, tu abbia completa consapevolezza di quello che sta accadendo al tuo audio mentre lo registri. Nota ulteriore: ha la phantom e quindi prende energia dal telefono stesso.

    Con una controindicazione: ho verificato che, nel momento in cui parte lo standby del telefono, l’energia di alimentazione del microfono viene meno. Se non fai attenzione, quindi, specialmente quando stai registrando cose lunghe (in audio) potresti perdere pezzi. Ho fatto video, interviste, interviste con gente lontana, Facebook live.

    L’unico difetto…

    La resa mi sembra di quelle da urlo per un microfono per smartphone che ha un solo vero difetto. Volete sapere quale? Non è per telefoni Android e per come è messo il mercato italiano dei telefoni mi sembra una cazzata. Cara iK Multimedia, ti prego fanne una versione che sia “comprensiva” di un cavo Android (micro usb? Usb C?).

    Sono comunque ammirato da questo microfono per smartphone: da quando ho iniziato a produrre materiale per le mie Italian Mojo Stories non sono mai più uscito senza. Vale la pena, anche se il prezzo non è dei più bassi.

  • Accessori per il mobile journalism: il Dreamgrip Universal Transformer Rig

    Accessori per il mobile journalism: il Dreamgrip Universal Transformer Rig

    Accessori per il mobile journalism: Dreamgrip, soluzione resistente e intelligente.

    Ordine dei Giornalisti
    Il presidente Odg Lombardia Alessandro Galimberti.

    Quando ho visto Yegor Denisov a Parigi con questa sua soluzione palmare per sostenere il telefono e i suoi accessori per il lavoro del mobile journalist, confesso che mi ha stranito. Per mostrare questo suo pezzo pieno di accessori per il mobile journalism, l’imprenditore e creatore di questo Dreamgrip Universal Transformer Rig aveva messo, nel suo piccolo spazio alla conferenza Video Mobile cui ho partecipato nel febbraio 2018, tutto il mettibile su questo suo esoscheletro palmare che rende lo smartphone invincibile. Poi è venuto a parlarmi e ho scoperto un imprenditore serio e creativo, il quale mi ha presentato un supporto per il lavoro molto efficace, leggero e pensato in modo intelligente per il mojo.

    Io non amo troppe cose sul telefono, ma…

    Sono totalmojo e, per questo motivo, sono anche molto legato al fatto che non voglio molti accessori per il mobile journalism addosso al mio iPhone 7 Plus. Un po’ di tempo fa, per esempio, ho sconfessato l’uso dello stabilizer perché, a mio avviso, falsava il linguaggio visuale del mobile journalism. Per me, alla fin fine, gli sforzi di chi vuole prendere accessori per il mobile journalism dovrebbero essere concentrati su audio, telefono e poco altro. Questo Dreamgrip, però, mi ha fatto cambiare idea. Può interpretare un esoscheletro leggero, resistente e versatile per ogni tipo di utilizzo.

    Dentro la scatola magica ci sono un sacco di trucchi.

    La soluzione che si vede nella scatola della foto in evidenza è davvero una scatola magica. Dentro la confezione del Dreamgrip si trovano, oltre allo scheletro da montare, viti, cold shoes, supporti, due luci e un microfono shotgun che, sinceramente, è l’unico aspetto migliorabile del pacchetto. Il motivo? Non è di grande qualità. Il resto, invece, una volta composto, si rivela un accessorio magico. Volete vedere il montaggio? A Italian Mojo abbiamo filmato il primo hands up. Eccolo:

    https://youtu.be/vSUgULqNCMc

    Nella lista degli accessori importanti per il mobile journalism, quindi, questo Dreamgrip Universal Transformer Rig ci può andare, per la sua solidità e per la quantità di soluzioni che apporta ai problemi quotidiani del mojoer. Ci vogliono ancora due distinguo prima di chiudere: il volume del Dreamgrip impone il fatto che venga montato e poi lasciato montato se si lavora nelle news.

    Certamente non è un aggeggio che si può riporre smontato nella borsa e poi tirare fuori al volo. Nella classifica degli accessori per il mobile journalism, però, diventa assolutamente importante e necessario quando si fanno cose statiche o interviste posate. In questi casi e in questi modi è l’accessorio numero uno. Bravo Yegor.

  • Il furto della privacy? Lo permettiamo ogni giorno dal telefono

    Il furto della privacy? Lo permettiamo ogni giorno dal telefono

    Furto della privacy e dei dati: glielo permettiamo noi.

    Ti sembra una cosa strana? Guarda, ti consiglio di darti una letta a questo pezzo, una guardata al video e di prendere tutto il tempo necessario per approfondire la cosa. Nel frattempo ti do una mano grazie a un incontro che ho fatto qualche giorno fa a un convegno di un’azienda. L’argomento era il nuovo regolamento GDPR che riadeguerà in seno alle aziende la gestione dei dati della privacy e di tutto quanto gli ruota attorno. A un certo punto ha preso parola un avvocato di Vignola, Rossella Masetti, il cui sito è questo,  e ha parlato di dati personali e di privacy  come del più importante e rilevante, anche economicamente, bene immateriale della nostra epoca.

    Ho subito pensato a quanto ci fottono della nostra vita.

    Mentre la sentivo parlare pensavo al mio telefonino e alla pazzesca pervasivita del collezionamento dei dati personali che fa ogni luridissima app, perpetrandoci, col nostro ignaro consenso, il furto della privacy con cadenza giornaliera. Sono subito volato a presentarmi e l’ho fermata per farla parlare di questo e della sua ricaduta sulla nostra vita e sui nostri figli.  Già, perché se sei un genitore digitale deiv essere ben conscio di questo: ti fottono la vita (e quella di tuo figlio che gli interessa molto di più) con il tuo consenso. O, perlomeno, con il tuo silenzio. Ecco la choccante verità dell’avvocato Masetti.

    Adesso, però, non chiudiamoci in casa col telefonino spento.

    Non serve (tanto saresti tracciabile anche lì). Devi piuttosto fare attenzione a quello che stai facendo e a quello che farai quando scarichi una app. Siccome, tuttavia, il furto della privacy è praticamente inevitabile, ti rimando al link del pezzo che avevo scritto qualche tempo fa sul bike sharing a rilascio libero. Il pensiero era questo: se queste app ti perpetrano il furto della privacy senza manco chiederti il consenso e ci fanno i miliardi, perché non possiamo condividere il risultato economico? Perché, detta da poveretto, non mi cacci la lira per questo furto legalizzato della privacy? D’altronde l’avvocato Masetti sostiene, con grande senso, che i dati personali sono il bene immateriale più prezioso che hai. Vuoi cederlo? Almeno vendilo. E bene.

  • Montaggio con lo smartphone: Luma Fusion ci ha fatto superare i PC

    Montaggio con lo smartphone: Luma Fusion ci ha fatto superare i PC

    Montaggio con lo smartphone: ora ci divertiamo davvero.

    Mi viene da ridere perché un mondo intero di professionisti del visual, da giornalisti a videomaker, da montatori a tecnici, fino ai registi di chiara fama, non ha ancora compreso che il montaggio con lo smartphone è a un livello di qualità altissimo. In queste ore, poi, ha fatto un ulteriore passo in avanti e si è posizionato, a mio avviso, davanti al montaggio con il personal computer e le sue più evolute suite di montaggio. Non ci crederai, ma è così. E io lo avevo già scritto mesi fa.

    Quando parlavo di worflow, parlavo di questo…

    Nel mese di settembre del 2017, dall’IBC di Amsterdam, ho scritto del cambiamento che le due principali applicazioni di montaggio con lo smartphone stavano per fare. Se vuoi andare a riprenderti l’articolo puoi cliccare qui. Ebbene, da alcune ore, Luma Fusion ha rilasciato l’aggiornamento 1.5 che cambia per sempre l’approccio con l’editing sul telefonino e sul tablet.

    Qui sotto puoi trovare un video con i miglioramenti rilasciati nella nuova versione, ma è molto importante, visto che ti sto parlando di flusso di lavoro e di montaggio con lo smartphone, fare caso a questa nuova caratteristica che si nota nelle spiegazioni dell’App Store sulla creatura di Chris Demiris e Terri Morgan. Di cosa sto parlando? Di questo:”Si può esportare filmati renderizzati e archivi di progetto nella library dell’applicazione, in modo da poterli poi prendere se s vogliono effettuare passaggi di device, di hardware, mentre si monta”.

    Questo cambia proprio tutto.

    E’ arrivato, quindi, il momento in cui dal campo possiamo impostare anche il montaggio delle storie per poi passare progetto e file annessi in redazione per fare in modo che il processo sia completato dalla newsroom senza perdere un file e avendo il semilavorato aperto da chiudere, magari anche solo con la titolazione o con qualche taglio finale per farlo entrare nei format di un tg o di un rotocalco. Si può, quindi, lavorare in esterna e inviare non solo il video chiuso (che reputo la soluzione migliore sempre), ma anche il video aperto, per dare la chiusura a qualcun altro, comodamente seduto sulla scrivania.