Categoria: Mobile Content Creation

  • Recensione: Samson Go Mic Mobile, grande tecnologia per i mojo

    Recensione: Samson Go Mic Mobile, grande tecnologia per i mojo

    Recensione di un oggetto “must have” con un solo difetto.

    Ho deciso di fare la recensione di Samson Go Mic Mobile per un motivo semplice: è quello che uso ed è quello che penso sia il migliore “compromesso” tra il prezzo e la tecnologia, utile al mojo per raggiungere il miglior risultato audio possibile. Anche la leggerezza, la velocità di montaggio e la versatilità fanno del Samson Go Mic un perfetto compagno di viaggio, specialmente per coloro che lavorano nel mondo delle news e devono essere operativi in pochissimo tempo.

    Il Samson Go Mic Mobile? Soddisfa un sacco di esigenze.

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    Non negherò il difetto che ho riscontrato, vale a dire la qualità non eccellente dei materiali di fabbricazione, ma confermo il giudizio positivo dopo aver testato l’usabilità e l’audio in uscita dal Samson Go Mic Mobile, un’uscita pulita e di alta qualità sia durante le interviste (fate solo attenzione a non alzare troppo il gain del microfono, visto che è molto sensible), sia durante le dirette Facebook.

    La “convergenza”

    Insomma, il concetto principale di questa recensione del Samson Go Mic è la sua “convergenza” verso la soddisfazione di più esigenze che sono molto importanti per i mojoer: la tecnologia è di alto livello, la qualità del suono è ottima, il peso è quello ideale per continuare a fare in modo che la mojo bag resti sostanzialmente leggera, l’adattabilità a tutti gli smartphone di nuova generazione è garantita dai vari cavi presenti nella confezione, la velocità di allestimento e collegamento è quella che serve al mojo per essere operativo in pochi secondi. Insomma, il Samson Go Mic fa centro in molti settori, anzi in tutti i settori tranne uno.

    Il materiale, unico punto debole.

    La staffa con la quale il Samson Go Mic Mobile esce dalla fabbrica, non ha la femmina per il treppiede nella parte inferiore. La mia esigenza personale di metterlo sullo Shoulderpod, la maniglia per fare riprese on the go, ma anche sul teppiede stesso, ha fatto in modo che io cercassi di staccare le due miniviti che attaccavano la parte inferiore della staffa per mettere quella con la femmina universale per treppiede che c’è nella confezione di partenza come pezzo di ricambio. Ebbene, operazione complicata e vitine spanate in qualche giro di cacciavite. Se non avessi trovato un ferramenta illuminato (grazie Vito) che trovava altre due vitine nuove per la sostituzione, sarei rimasto a piedi. Questo solo per invitare la Samson a lavorare sulla qualità dei propri materiali di costruzione.

    Se l’ottimo prezzo di vendita (attorno ai 250 euro per il set gelato più mixer, cui si può aggiungere il secondo trasmettitore lavalier per un centinaio di euro in più) fosse stato un pochino più alto e tale da garantire dei materiali migliori, la mano al portafoglio ci sarebbe andata lo stesso. Spero che Samson ne tenga conto.

  • Insta360 One: la videocamera immersiva che trasforma tutti in pro

    Insta360 One: la videocamera immersiva che trasforma tutti in pro

    Insta360 One: una creatura che cambia tutto.

    Dal pomeriggio di oggi il lancio della Insta360 One, nuova creatura dell’azienda di Shenzhen famosa per la Insta 360 Nano di cui ti ho molto parlato, è diventato ufficiale. Si tratta di una videocamera a 360 gradi che rappresenta l’anello di congiunzione tra il mondo consumer e i produttori di contenuti immersivi professionali. La company cinese sta cercando di fare qualcosa di straordinario e, dalle immagini e dalle notizie che sono arrivate fino in Italia, sembra possa riuscirci proprio con la Insta360 One. Di cosa sto parlando? Della missione di rendere la produzione di video immersivi facile e accessibile a tutti.

    Una “bestia” alla portata dei consumatori.

    E’ una 360 che può fare video e foto a risoluzione 4k, ha una macchina fotografica da 24 megapixel in grado di arrivare al raw, può andare in livestreaming su tutte le principali piattaforme ed essere comandata via bluetooth (novità rispetto alle pari livello). Può lavorare in plug-in sul telefono (per ora solo iOS, ma è già stata annunciata la versione Android, in subacquea con la apposita case impermeabile venduta a parte (impermeabile IP68 fino a 30 metri), in remoto o da sola. E’ una bestia dalle specifiche molto potenti (70 minuti di registrazione in continuo prima che si scarichi), ma ha la capacità di rendere facili le cose a tutti. Prima di addentrarmi nelle novità di livello mondiale, tuttavia, ti dico una cavolatina simpaticissima e ti riferisco le parole del capoccia di Insta rilasciate oggi ai media. Parole che fanno pensare.

    La cazzatina simpaticissima.

    Quando attacchi la Insta360 One a un selfie stick la camera lo cancellerà dalla foto stessa dando l’impressione di eseguire delle foto aeree, funzione che, te lo racconterò fra un po’ diventerà “wow” in un particolare effetto di cui è dotata la camera stessa. Ecco, invece, le parole del Ceo e Fondatore dell’azienda che dal 2014 si è messa in testa di portare i video a 360 gradi a livello del pubblico consumer. “La Insta360 One – racconta JK Liu – è il risultato degli sforzi che abbiamo fatto per mettere a disposizione del pubblico una videocamera professionale che fosse in grado di avere caratteristiche “pro”, ma anche di essere il più facile possibile da usare. Pensiamo di esser riusciti a creare un prodotto rivoluzionario che, tra l’altro, con l’esclusiva feature Free Capture cambierà per sempre il mondo della ripresa video”.

    Free Capture: un’innovazione pazzesca.

    Free Capture è una delle due novità della Insta360 One e rischia di mandare gambe all’aria tutti i già gracili studi che ho fatto sul 360 gradi introducendo un altro linguaggio pazzesco nel modo di creare video. Di cosa si tratta? Ecco qui, te lo spiego con un video.

    Hai capito? Ok, te lo dico anche a parole, per essere sicuro che ti sia chiaro. Piazzi la camera in mezzo alla scena, la fai partire e lei va. Tu, poi, in montaggio, con la funzione Free Capture, puoi andare a prenderti gli estratti del tuo video a 360 gradi, possibilmente girato in 4k, per editarli trasformandoli in un video lineare alto 1080. Ancora non ci credi, vero? Può cambiare per sempre la percezione del montaggio di un video.

    L’effetto Bullet Time.

    Nella confezione della Insta30 One c’è anche un resistentissimo cordino cui si può attaccare la propria video camera che arriva con una definizione di 240 fps a creare un effetto pazzesco per il quale il centro della foto o del video è chi sta riprendendo la foto. Se si attacca il cordino alla camera e la si fa roteare, la Insta360 prende tutto il surround mettendoci al centro della scena e cancellando cordino e camera dalla scena stessa. Ecco manuale e risultato.

    C’e da restarne storditi.

    Certo, adesso aspetto di provare l’aggeggio, ma l’impressione è che la Insta abbia fatto centro per un oggetto che oggi costa 299 dollari ma il prezzo in euro pare un po’ più alto (340) e che puoi acquistare qui, ma forse troverai i server down perché nel mondo dei mojoer non si parla d’altro. C’è da restare storditi per il concentrato di tecnologia rappresentato dalla Insta360 One che, fra l’altro, monta anche uno stabilizzatore 6 assi e viene provvista di tutti gli accessori per farla diventare una vera sportcam a 360 gradi. Eppure il prodotto è lanciato e l’idea di mettere in mano a un pubblico potenzialmente grandissimo uno strumento pro potrebbe avere un grande impatto sul mondo visuale e sul modo di fare video.

    Il tutto secondo una filosofia che già in maggio a Galway, gli amici di Insta mi hanno spiegato così, con le parole di uno dei dirigenti del marketing: “Vogliamo rendere il video a 360 gradi facile”. Pare ci stiano riuscendo. “E’ un linguaggio nuovo – mi raccontava allora Max Richter – un linguaggio che vi invito a provare con gli strumenti di Insta che possono soddisfare la più grande varietà di esigenze. Abbiamo la Nano come entry level, ma arriviamo fino alle professionali che girano in 8K. Nella nostra gamma ce n’è per tutti i gusti e tutte le professionalità. Quello che raccomando è entrare dal basso e provare, testare, capire lo strumento e i suoi linguaggi. E poi crescere”.

  • Editing mobile: il miracolo Luma Fusion

    Editing mobile: il miracolo Luma Fusion

    Editing su mobile: quando una app è un software professionale.

    Luma Fusion è la creazione che ha cambiato il gioco del montaggio con i telefonini, è la app che ha colmato il gap tra l’editing su mobile e l’editing su personal computer (fissi o portatili che siano). Non c’è nulla di meglio che farsi spiegare questo miracolo, arrivato ormai oltre la versione 1.3 con importantissimi update rispetto alla partenza, da uno dei suoi creatori. Chi? Chris Demiris, incontrato lo scorso maggio a Galway in occasione di Mojocon 2017.

    La nostra chiacchierata.

    Cambiando un po’ il format delle interviste raccolte a Mojocon, questa te la sbobinerò traducendo domanda e risposta, per chiarificare ogni passaggio.

    Chris, innanzitutto ci racconti da vicino questa app che ci ha fatto diventare tutti “montatori” professionisti con un telefonino, colmando il gap con i computer…

    Beh, grazie. La verità è che tutto, con la mia partner Terri Morgan, è iniziato dal fatto che entrambi abbiamo cominciato la nostra attività nell’industria del video 30 anni or sono. Entrambi conoscevamo bene i video, sapevamo quali erano i bisogni dei video editor. Per questo motivo siamo partiti dicendoci: vogliamo una app che sia veramente per video editor professionisti. Non per i consumatori come può essere una iMovie o una Clips.  Abbiamo cominciato a lavorare su Luma Fusion 3 anni fa e onestamente ci siamo molto basati sulle conoscenze sviluppate lavorando su Pinnacle Studio prima di questa nostra esperienza.

    Tre anni fa, comunque, abbiamo cominciato il percorso con una nuova tecnologia e cercando tutto l’appoggio possibile da Apple per fare la migliore editing app che potessimo fare. E lavorando al top su Luma, il nostro sistema di effetti, le possibilità di editing, la sincronizzazione, tutto quello che potevamo fare per fare la migliore app possibile lo abbiamo fatto. Valorizzando anche i nostri utenti che ci danno preziosissimi feedback come accadeva con Pinnacle Studio. Ecco in Luma Fusion abbiamo portato tutto questo a sintesi.

    E’ un momento interessante per le applicazioni di editing su mobile perché Kinemaster è venuta nel vostro mondo iOS. Ho scritto e sostengo che la vostra è la migliore app di editing su mobile per Apple, la loro è la migliore possibile su Android. Tuttavia questa competizione aperta, questa sfida farà in modo che cerchiate ora di migliorare il tutto ancora di più perché siete anche nello stesso “campo” d’azione. 

    Beh, è assolutamente giusto. Onestamente avere due buonissime applicazioni di editing su mobile nello stesso campo è una cosa che ci farà fare meglio il nostro lavoro entrambi, ma va detto che ci orientiamo verso due target di consumatori diversi. Noi abbiamo più esperienza sugli editor pro che sono sempre stati su iOS mentre loro hanno pù valore sui consumer normali. A ogni modo stare insieme in un campo ci farà bene. Ci stimoleremo a vicenda.

    Una delle cose interessanti che si stanno sviluppando ora è il montaggio dei contenuti a 360 gradi. Cosa mi puoi dire su questo? E’ possibile e quali tipi di consigli vuoi dare a chi si affacci  questo tipo di montaggio?

    Abbiamo rilasciato da poco la possibilità, nelle versioni dalla 1.3, di lavorare video a 360 gradi con i loro metadati. Con questi supportiamo la Aspect Ratio giusta. Adesso quello che puoi fare è prendere il tuo video, fatto magari con una Insta 360 e importarlo in Luma ed editarlo tranquillamente. Questo significa che puoi fare tagli, puoi aggiungere effetti, puoi editare titoli. Ci si può divertire molto e, quando esporti, puoi farlo direttamente verso Youtube o Facebook che sono quelle piattaforme che reggono questa tecnologia semplicemente flaggando i bottoni giusti. Saranno disponibili subito in 360 e con i giusti metadati per quelle piattaforme.

    Quindi questo vale a dire che dalla versione 1.3 Luma Fusion fa lo stitching da sola in modo efficace…

    Non fa esattamente lo stitching, ma conserva i metadati se questi vengono direttamente dalla camera che ha fatto il video. Abbiamo semplificato il workflow per trattare quei video, ma non facciamo esattamente lo stitching classico. Parleremo molto con gli amici di Insta 360 per implementare questa cosa, ma va comunque detto che molte delle camere fanno lo stitching interno e rilasciano contenuti immediatamente fruibili.

  • Business storytelling, Mark Egan: “Mojo do it better”

    Business storytelling, Mark Egan: “Mojo do it better”

    Business storytelling: una grande opportunità.

    Il business storytelling è un’opportunità che i mobile journalist devono saper cogliere. Lo spiega molto bene il giornalista inglese Mark Egan, ex firma della BBC e ora boss di Purple Bridge Media. Egan è no dei più importanti innovatori della cultura del mobile journalism al mondo. Parla di un cambio epocale del modo di fare advertising che è anche una clamorosa opportunità per i giornalisti, specialmente per i mojo.

    Una volta era pubblicità, ora è racconto.

    “Una volta – mi ha raccontato – le aziende avevano dei canali “rigidi” per comunicare i loro prodotti, dei modelli preconfezionati. Andavano verso le tv, i giornali, le radio, i siti e acquistavano lo spazio necessario per poter portare i loro messaggi ai clienti. Ora è tutto diverso: ora la pubblicità è diventata racconto. L’avvento dei social netwrok, oltretutto, ha dato alle stesse aziende dei canali diretti profilati e precisi per arrivare al loro pubblico. Di conseguenza è arrivata una scelta naturale, vale a dire quella delle aziende di farsi una propria redazione “online” per costruire la propria comunicazione. Così possono arrivare al cliente da sole”. Beh, da lì ad assumere giornalisti il passo è breve.

    I mojo lo fanno meglio.

    Sintetizzandolo si potrebbe dire così: “Mojo do it better”. Non sono parole di Mark Egan nell’intervista rilasciata nel corso di Mojocon 2017, ma è una buona sintesi: “I mobile journalist – racconta Egan – hanno un linguaggio particolare. Con quello possono creare contenuti unici per un business, contenuti più caldi e appassionati, più vicini alla gente”.

    L’intervista non è stata sottotitolata o “speakerata” in italiano per un motivo molto semplice: fa parte di quelle interviste sulla cultura del mobile journalism che, se tradotte, perdono di profondità. Oltretutto desidero che questo sito, sebbene scritto in italiano e per gli italiani, sia utile anche per gli stranieri. Il mojo, infatti, è una comunità che non ha confini e la sua lingua madre è l’inglese.

  • Vendere un format, Castellucci: “La chiave resta la storia”

    Vendere un format, Castellucci: “La chiave resta la storia”

     

    Vendere un format: un momento magico.

    Ho venduto tanti contenuti giornalistici nella mia carriera e ho capito che, per vendere un format, non esiste una regola o una legge, ma un momento magico. Durante la Mobile Journalism World Conference di Galway, sui ho partecipato ormai una decina di giorni fa, ho assistito a un panel che parlava di documentari e long form storytelling fatto con le tecniche del mobile journalism. E ho trovato sulla mia strada un maestro di livello mondiale. Si tratta del 45enne Mike Castellucci, professore di giornalismo della Michigan State University di East Lansing, vincitore di 20 Emmy per la Tv con i suoi format come “Open Mike” o “Phoning it” grazie ai quali ha imposto al grande pubblico americano il suo linguaggio visivo mojo e la sua straordinaria verve nel far parlare i protagonisti delle sue splendide storie minime.

    Ho cercato di derubarlo.

    Mentre tutti gli chiedevano i segreti delle immagini (un miscuglio di talento americano e di faccia da culo italiana) io gli ho chiesto banalmente come si riesce  vendere un format. Come diavolo si fa a creare quella magica interazione con il compratore che, di solito, se acquista acquista in pochissimi secondi quello che gli proponi (50-60 mediamente). Quando con un capoccia cui proponi un pezzo, devi parlare, infatti, più di un minuto, solitamente non ti piglia nulla. Se scrivi una mail di più di dieci righe, il capoccia non la leggerà.

    Ho cercato di rubare il segreto a Castellucci che ha prodotto e pensato con lo smartphone prodotti da urlo e poi li ha venduti (certo in un mercato diverso dal tuo e dal mio). “La risposta non ce l’ho – ha detto il prof -, ma so che la gente cui vendo il mio lavoro lo vede e gli piace. E gli piace perché in qualche maniera riesco a raccontare una storia e questo è tutto quello che vogliono. Racconta una storia e se è una gran storia, se è ben scritta, se è interessante, se mi coinvolge, allora la gente la comprerà”

    La risposta filosofica

    Comunque in qualche modo ha risposto: “La cosa che dovete fare è darvi una risposta filosofica alla vostra domanda – ha continuato il videomaker -. La vostra risposta deve essere la storia, non la tecnica. Come si fa a trovarla? Una delle ultime domande che mi sono state fatte durante Mojocon era di una donna che mi ha detto ‘non riesco a trovare il grande soggetto’. Ho risposto: sfidatevi. Sfidatevi perché tutti hanno una storia da raccontare. Davvero tutti. E questa storia è interessante, coinvolgente e qualche volta anche emozionante. Potrebbe non essere sopra la superficie come una collezione di bambole (il riferimento è al format di RTE The Collectors, ndb). Quella è un’idea molto facile. Tuttavia vi garantisco che se voi andate da ognuna delle persone che vi stanno intorno hanno una splendida storia da dirvi. Devi solo sapere come metterla giù”.

    E come diavolo si fa a vendere?

    Castellucci non ha ricette magiche, ma parla. Tuttavia mi ha detto come fa. “Di solito vai da un boss e gli dici ‘Ho una gran storia per lei’ e non ti crede. Di solito non ti presta attenzione e non la vuole vedere. Ebbene, vi dico che in qualche diavolo di modo dovete cercare di fargliela vedere. Un minuto: non di più! Dico anche un’altra cosa. Ho progettato il mio flusso di lavoro sapendo di quel minuto da fare e di voler essere sicuro che quando schiacciano il tasto play per vederlo quello è il minuto migliore. In qualsiasi lavoro, quindi, quel minuto, il primo minuto, deve essere il più bello. Lavoro a piramide rovesciata: il bello davanti e poi a scendere. Certo vorrei che tutto il lavoro fosse bello alla pari, ma spesso non ci si riesce”.

    Le informazioni per seguire Castellucci

    Se volete vendere un format o un contenuto, quindi, seguirlo a vista è assolutamente interessante. Il professore, che mi ha rivelato di avere il 100% di sangue italiano ha chiuso così la chiacchierata: “Il mojo è una cultura: questo è il punto. E’ qualcosa che può cambiare la carriera dei freelance perché non hanno bisogno di equipaggiamenti da centomila euro per fare grandi lavori. La mia attrezzatura ne costa mille. Non buttatevi nel fuoco con grandi spese. Questa attrezzatura mobile fa sentire anche liberi perché è leggera. Se ì l’onda del futuro? Non lo so, ma per me la cosa che so è che posso uscire con questa, andare in un’altra città, trovare una persona che ha una storia da raccontare e catturarla”. Il blog per seguirlo è questo: fallo.

  • Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è mojo

    Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è mojo

     


    Gigabit Society in arrivo.

    Con l’arrivo della connessione mobile di quinta generazione, il 5G di cui ho già parlato in questo pezzo, la società che conosciamo diventerà la Gigabit Society. Cambierà tutto, cambierà anche il mondo dei media. Se sei un editore e capiti qui, specialmente se hai una tv, siediti, mettiti comodo, che ti dico una cosa. Fai parte del sindacato? Mettiti ancora più comodo che dobbiamo parlare. Sei un giornalista? Diventa un mobile journalist che ti conviene. Questione di sopravvivenza.

    Quando ho visto questo documento, non ci credevo.

    Mojocon 2017, la Mobile Journalism World Conference cui ho preso parte dal 4 al 6 maggio, è iniziata con una keynote di Richard Swinford, Head of Telecommunications, Information, Media & Entertainment (TIME) Practice, UK, di Arthur D. Little, uno dei più grandi studi mondiali di consulenza. Al centro le caratteristiche della Gigabit Society, la società che vivremo tutti quando avremo a disposizione il 5G.

    Il suo discorso è partito dallo studio commissionato da Vodafone alla sua azienda per descrivere e disegnare in modo particolareggiato il nuovo tessuto sociale che la connessione superveloce in mobilità potrà regalare. Il motivo per cui si è aperta così la Mobile Journalism Conference è semplice: dentro questa nuova società i media avranno una configurazione completamente diversa, in tutti i loro aspetti. Produzione, distribuzione, fruizione, canali, ecosistema. Tutto irrimediabilmente diverso.

    Prenditi tempo per leggere.

    Non so se hai abbastanza tempo per leggere questo report di Richard Swinford,  Camille Demyttenaere ed Eric Stok. Se non ce l’hai trovalo. Sinceramente ti conviene. Cambieranno trasporti, conoscenza, medicina, agricoltura, industria, commercio, finanza, scuola. La Internet of Things diventerà cosa comune.

    Cambieranno i media, perché si vivrà in un ecosistema in grado di bypassare completamente il dinosauro rappresentato dal broadcasting televisivo classico, partendo da produzioni in mobilità e arrivando a fruitori in grado di vedere, tramite le loro device, contenuti in 4k o in realtà aumentata.

    Vai a pagina 19 del report per comprendere meglio quali saranno le potenzialità del 5G  nei media, di un 5G che avrà la velocità da 1 a 20 giga al secondo, che potrà far lavorare alla stessa velocità 1 milione di oggetti connessi in un 1km quadrato, che potrà essere fruita anche a 500 km orari in movimento, che avrà una latenza inferiore al millisecondo.

    Ecosistema senza editori?

    Si trasferiranno in un secondo video da un giga, in una manciata di secondi film visibili in 4k senza tempo di attesa. In questo nuovo mondo gli editori non potranno non ridiscutere il loro ruolo. Ci sarà un ecosistema che, dalla produzione al delivery potrebbe anche fare a meno di loro. Ne parla apertamente Glen Mulcahy, capo di Mojocon in questa intervista che ha rilasciato a me qualche giorno fa.

    Dal proprio telefonino, passando per le piattaforme come Youtube e Vimeo, già in grado di consegnare streaming in 4k, si arriverà ai fruitori dei video senza passaggio intermedio dalla tv. Almeno che questi attori dell’editoria non si siedano con i produttori di contenuti e con le piattaforme. C’è da ricodificare il mondo dell’informazione. La rivoluzione è impossibile da fermare, bisogna salirci sopra e cercare di guidarla in modo inclusivo, mettendosi tutti in discussione e dandosi nuovi traguardi. Insieme.

    Messaggio a Ordine e Sindacato.

    Se sei dell’Ordine o se sei del sindacato, della FNSI, scaricati questo report e pensaci su. Tutto deve cambiare, a partire dalla parola stessa, giornalista, vecchia come il cucù. Lo dice Michael Rosemblum, il padre del videogiornalismo mondiale: il giornalismo è morto, perché si è suicidato. Se non si attrezza per la società a 5G non risorge…

    Per questo gli attori del giornalismo italiano, Ordine e Sindacato, devono accorgersi della situazione e mettere gli editori di fronte a un fatto. Devono ridiscutere tutta la realtà dell’industria giornalistica nazionale. Non c’è possibilità alternativa. Se non quella di diventare un paese assolutamente periferico e decadente rispetto alla rivoluzione mondiale del mondo dei media. D’altronde se CNN e Al Jazeera, tanto per dirne due, hanno iniziato a salire su questo toro imbizzarrito del cambiamento, un motivo ci deve essere. Ecco, aspetto la Rai, Mediaset, La7, il Corriere, la Repubblica. Vi prego, prendete il mojo per le corna. Altrimenti vi disarcionerà.