Categoria: Mobile Content Creation

  • Guadagnare con il giornalismo? Servi una comunità come Weishi Italy

    Guadagnare con il giornalismo? Servi una comunità come Weishi Italy

    I segnali sono chiarissimi: per guadagnare con il giornalismo, oggi, bisogna individuare bene una comunità da servire. Non basta più pensare al medium, alla qualità delle notizie, al formato o al mezzo di diffusione (che oggi è principalmente il web). Oggi va progettato anche il pubblico e va progettato bene. Per questo motivo, guadagnare con il giornalismo fa rima sopratutto con individuare bene un proprio pubblico cui fornire dei servizi di informazione che soddisfino delle esigenze.

    Il caso di Micromedia Communication.

    Proprio studiando e leggendo attorno a questo argomento ho osservato con attenzione le comunità di stranieri in Italia e le loro fonti informative. Spesso attorno a fenomeni come i gruppi di persone provenienti da fuori nascono interessanti fenomeni editoriali. Siti, giornali, radio: più è grande la città, più variegato è il panorama dei media in lingue straniere. Accade ovunque, accade anche in Italia, paese nel quale una delle comunità più importanti è quella cinese. A Milano, in particolare, i cinesi sono oltre 30 mila e in Italia poco meno di 300 mila (dato Istat 2018). All’interno di questa community il caso della Micromedia Communication di Jack Jiang e Chi Hai è di straordinaria importanza.

    Il motivo? Semplice: i due giovani imprenditori hanno trovato il format per raccontare l’Italia ai cinesi e i cinesi all’Italia. Storie, tutorial, spiegazioni, informazioni: tutto improntato alla creazione di utilità e al risparmio di tempo per utenti, lettori, spettatori che devono capire molte cose in pochi minuti sul posto dove si trovano o sulla pratica importante che devono portare a termine per la loro vita.

    Guadagnare con il giornalismo: createvi la comunità.

    Jack e Chi hanno lavorato anni sui follower e hanno scelto le piattaforme giuste per evolvere. Prima Wechat, poi i social, poi il sito: ecco la roadmap, impreziosita dalla creazione di un formato particolare e dalla creazione di un nuovo mercato là dove non c’era. Pensare che è stata solo questione di punti di vista. I due imprenditori hanno individuato il target, hanno individuato il modo in cui servirlo (fungendo con il loro medium da ponte di comunicazione fra il mondo dei cinesi in Italia e l’Italia) e hanno poi creato servizi “premium” dedicati.

    In netta crescita.

    Risultato? Sono in crescita netta e attirano l’interesse dei grandi brand italiani che sanno bene come questo sito, la creatura di Micromedia Communication (si chiama Weishi Italy e lo potete trovare qui) possa rappresentare un veicolo di promozione anche verso la Cina, dove la giovane azienda cino-italiana (milanese) ha pubblico molto più vasto rispetto ai numeri italiani.

    Un pubblico, tra l’altro, giovane, con possibilità economico, innamorato dell’Italia e motivato a venire da noi. Insomma, se la mobile media economy (nella quale entra di diritto questo caso, visto che l’interazione con la sua community Weishi la sviluppa molto sugli smartphone), lo deve anche a fenomeni di costruzione della community da servire e di progettazione del medium dedicato alla stessa.

    Un’intervista con Jack Jiang e Chi Hai (Micromedia)

  • Mikme e Mikme Pocket: la via austriaca ai microfoni bluetooth

    Mikme e Mikme Pocket: la via austriaca ai microfoni bluetooth

    Completo la panoramica dei microfoni bluetooth di alta qualità parlandoti di Mikme, solido prodotto realizzato in quanto a ingegneria e software in Austria e assemblato in Germania. Un hardware bluetooth, quindi, fatto completamente nel Vecchio Continente, il quale regge benissimo la sfida di Instamic, di Memory Mic e di molti altri prodotti. E’ solido, forse un po’ grande, ma adatto e consistente per produrre molti diversi tipi di audio, perfino quello di uno o più strumenti musicali.

    Un microfono che cambia le interviste.

    Mikme cattura bene le voci, anche a una certa distanza. Non deve, quindi, essere messo addosso ai protagonisti delle tue storie. Le interviste, con hardware come questo, cambiano in modo sostanziale. Spesso continuano oltre le domande e fanno arrivare più vicino al cuore della storia, visto che il microfono spesso viene dimenticato accesso anche quando le domande sono terminate.

    Se vogliamo trovargli un difetto dico che il fatto che passi dalla app proprietaria (come Memory Mic) non mi piace, ma in questo caso, va fatto un distinguo. Di cosa parlo? Parlo di questo.

    https://www.instagram.com/p/Bwy6HH5lqWf/?utm_source=ig_web_copy_link

    C’è qualcosa di nuovo in arrivo.

    A proposito di microfoni bluetooth, però, c’è da registrare che Mikme sta per lanciare il suo Mikme Pocket che è una versione del prodotto austriaco con lavallier che può essere messa in pari con lo smartphone con due apparecchi in contemporanea. Questo significa maggiore libertà e maggiore funzionalità per interviste e stand up e video anche in posizioni lontane dallo smartphone. Ecco un video di prova del pocket realizzato con il boss di Mikme Philip Sonnleitner.

  • Hashtag our stories sta diventando grande

    Hashtag our stories sta diventando grande

    Format, missione, visione, anche business. Hashtag our stories sta diventando grande.

    Nel mio recente viaggio a Londra ho avuto l’occasione di parlare con uno dei team leader del format Hashtag our Stories che il pluripremiato giornalista Yusuf Omar sta portando avanti dalla fine del 2017 con risultati di enorme valore. Ho fatto due chiacchiere con Andy Burgess, videoaker e storyteller che si è unito al gruppo qualche tempo fa, nella seconda parte del 2018, per dare potenza al montaggio verticale del quale è un autentico mago.

    La crescita del fenomeno Hos

    Mi incuriosisce molto la crescita del fenomeno Hashtag our Stories, perché sono un tifoso di questo grande esperimento di innovazione del linguaggio giornalistico, perché ho una sincera ammirazione per Yusuf e per sua moglie e perché credo che questo format liquido sia uno dei pochi messaggi dirompenti che ho visto in questo periodo nei media visuali. Hos ha incontrato un partner stabile in Snapchat che ne ha aiutato la formazione e probabilmente lo sta facendo ancora, in cambio di uno splendido show che i ragazzi stanno tenendo a suon di snap sul social del fantasmino. Centocinquantamila dollari per cominciare a crescere e insediarsi negli Stati Uniti, dopo il primo round di finanziamenti che la start up di Yusuf aveva ricevuto da un incubatore di start up a Durban, in Sudafrica.

    Non solo venture capital, ma molto altro.

    E’ interessante vedere come si sta sviluppando Hashtag our Stories, aldilà del classico ricorso al Venture Capital. Yusuf e i suoi sostengono la loro azione con un grande messaggio sociale, andando ai quattro angoli del pianeta a insegnare mobile journalism a comunità che hanno bisogno di far sentire la loro voce, oltre ogni ragionamento economico. Il tutto animato dai principi del giornalismo costruttivo che aiuta queste comunità raccontando le loro storie con prospettive positive e trovando soluzioni a problemi.

    Per questo valore Hos, questa l’abbreviazione di Hashtag our Stories, non si rivolge al mercato finanziario, ma viene valutato dal mondo delle donazioni come una ONG quale in realtà è. Attraverso il racconto da più prospettive, infatti, Hos regala consapevolezza a questi mondi aprendoli al miglioramento. Per questo crea un valore economico che va sostenuto. Ecco, quindi la chiacchierata fatta con Andy a Londra per farmi raccontare il momento del team e del format.

  • Switcher Studio e Linkedin: ecco il live business

    Switcher Studio e Linkedin: ecco il live business

    Linkedin ha deciso di sbarcare nel mondo delle trasmissioni live via social.

    Si tratta di una mossa interessante e destinata a cambiare il mercato. Ecco cosa c’è dietro e, sopratutto, chi c’è dietro. Sto parlando di Switcher Studio, company americana specializzata nel live multicamera e creatrice della app più professionale che esista (almeno nel mondo iOS) per coloro che vogliano realizzare produzioni dal vivo di qualità televisiva con le device mobili. Del prodotto, la app Switcher Studio, ne avevo già parlato in questo articolo. Nick Mattingly e il suo team sono stati fenomenali nello sviluppo delle potenzialità di questo sotfware per fare dirette, ma hanno proprio cambiato il passo in questi giorni diventando uno dei partner privilegiati per le dirette “business” di Linkedin. Sta nascendo, quindi, il mercato dei “live business” per i produttori di contenuti e sembra naturale pensare che sarà diverso.

    Le parole del CEO di Switcher.

    La chiacchierata con Nick Mattingly di qualche tempo fa

    Questo video è stato registrato un po’ di tempo fa, quando è stata lanciata la versione 1.8 della app con importanti aggiornamenti. Nel periodo successivo, Switcher ha iniziato i test di diretta con Linkedin che, per il momento sono solo a inviti e utilizzabili solo negli Stati Uniti. “Siamo contentissimi – ha riferito Nick Mattingly – che Linkedin ci abbia scelto come provider del servizio live. I video in diretta stanno già cambiando il modo in cui uomini d’affari e professionisti interagiscono. Poter fare video live nel luogo dove i business si sviluppano, Linkedin appunto, gioverà molto alla cura delle conversazioni con partner e clienti”. Come saranno questi live? Beh, alcune idee le ho e sono idee che possono essere proposte come servizio a clienti corporate in modo davvero interessante. Stay tuned che ne parliamo presto…

  • Mobile media economy: il valore economico della conversazione

    Mobile media economy: il valore economico della conversazione

    Il viaggio a Londra mi ha fatto scoprire un mondo: il mondo della mobile media economy.

    In questa definizione centrano poco gli smartphone, le app, le lenti, i microfoni e tutte le diavolerie che usiamo per fare la mobile content creation. La definizione di mobile media economy si riferisce a quei media business che si sviluppano puntando sullo smartphone. Come osservatore e studioso del mondo della mobile content creation, ho deciso di approfondire una strada che porta alla codifica dei modelli di business vincenti che hanno lo smartphone, come produttore dei contenuti, come veicolo di fruizione e come ponte di interazione con i members di una community di lettori che il medium decide scientemente di servire.

    La conversazione vale soldi: il caso Tortoise.

    A Londra ho fatto visita alla redazione di Tortoise Media e sono stato ospitato a un loro Thinkin, una specie di riunione di redazione su un tema specifico cui partecipano anche i lettori. Ho osservato molto bene le tantissime dinamiche di creazione del valore economico da un asset immateriale, ma importantissimo nel mondo dei media oggi.

    Di cosa sto parlando? Sto parlando dell’interazione con i lettori che pagano per poter usufruire della produzione editoriale del medium. Ne ho parlato con la co-fondatrice di Tortoise Kathie Vanneck Smith che, in 20 minuti di intervista, mi ha raccontato tutta l’impalcatura che c’è nel loro progetto di medium. Una rivoluzione, un caso di scuola, l’inizio di una nuova cultura. Ecco come si sviluppa, in Tortoise, la conversazione con i members ed ecco come viene portata a essere un valore economico per la crescita del media business.

  • “Lo smartphone è la penna del nostro tempo”

    “Lo smartphone è la penna del nostro tempo”

    Il mio viaggio di studio a Londra si è rivelato pieno di suggestioni.

    Mi ha regalato un mare di idee buone per la didattica dei corsi di formazione e per il mio patrimonio di conoscenze professionali. Viaggiare per motivi di studio è un’esperienza che ti cambia nel profondo e che rimette in discussione quello che pensi e quello che vedi. In queste ore posso dire di aver ricevuto, dagli incontri che ho avuto e dalla realtà che ho osservato, la conferma che esiste una forte crescita di quella che io chiamo mobile media economy e che dobbiamo parlarne proprio noi che facciamo giornalismo mobile.

    La ri-definizione della materia.

    Cosa intendo per mobile media economy? Tutto sommato si tratta di dare dignità unitaria a tutti quei processi che creano ricchezza grazie a prodotti, servizi e contenuti che vengono realizzati, distribuiti, visti, consumati con lo smartphone. Al centro di questa economia ci sono i produttori di contenuti che, grazie allo smartphone, possono creare valore aggiunto in modo diretto, magari intermediato soltanto da una piattaforma di distribuzione del contenuto. Detto in modo semplice: insegnare mobile content creation è solo metà del mio progetto. L’altra metà è insegnare gli strumenti che, dallo smartphone fanno partire quelle operazioni che creano ricchezza.

    Lo smartphone è la nostra penna, il video la nostra lingua.

    Dove voglio arrivare? Semplice. Appreso il mojo come strumento, ognuno di noi è in grado di fare contenuti di valore editoriale. Il fine di questi contenuti è il più vario e va dal miglioramento della propria immagine alla vendita del contenuto, alla progettazione di un vero e proprio business dei media. Già, perché un hub di informazione per il quale il pubblico voglia pagare potresti anche crearlo da solo. Con uno smartphone. Perché lo smartphone “è la penna della nostra epoca e il video è il nostro linguaggio – dice il direttore dell’innovazione e della formazione di Thomson Foundation Hosam El Nagar -. Dobbiamo saperlo usare bene e riuscire a entrare in questo ecosistema che, ormai, vede tutti noi informarsi proprio grazie allo smartphone”. Qui sotto la versione integrale della nostra intervista.