Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Come diventare giornalisti: ne parlo con Carlo Bartoli

    Come diventare giornalisti: ne parlo con Carlo Bartoli

    Sapere come diventare giornalisti è diventato difficile perché la professione è cambiata moltissimo. Per diventare giornalisti bisogna prima sapere come essere giornalisti oggi. Operazione non facile. Fare questa professione è una questione di tecnologia. E’ anche una questione di competenze molto diverse dal passato, come ho accennato in questo articolo.

    Il giornalismo ha futuro

    Parlare di questa professione è importante perché è un lavoro necessario per il futuro della nostra società. Per questo motivo ho chiesto una chiacchierata sul tema a chi custodisce il “come diventare giornalisti”. Sto parlando del Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli. Ho appuntamento con lui il 28 settembre 2024 dalle 11. La diretta della nostra chiacchierata, nel format del mio canale YouTube “Un’ora con…”, la potrai vedere anche qui sotto.

    Se ti è più comodo vedere la nostra chiacchierata sul canale YouTube potrai vederla qui.

    La pagina che stai leggendo è per me un punto di incontro. Lo stesso vale per tutti gli altri luoghi social che riguardano il mio lavoro. Per questo motivo iscriviti al canale oppure tieni d’occhio la pagina: potrai rimanere aggiornato sul mio lavoro. Se hai domande da fare al Presidente o a me, mettile qui nei commenti. Oppure mettile nei commenti al video in diretta su YouTube.

    Una professione nuovissima

    Parlar di come diventare giornalisti è un modo per raccontarti una professione nuovissima. Si sviluppa in modi e in campi che nemmeno stai immaginando. Per poterla costruire e abbracciare nel tuo futuro, ti dico due cose. Non c’è mai stato un periodo così difficile e bello per fare i giornalisti. Ti assicuro che questo lavoro è destinato ad avere un futuro lungo e possibile.

    Costruiamolo sviluppandone temi e possibilità. C’è la possiamo fare, se procediamo insieme.

  • Diventare giornalista è questione di tecnologia

    Diventare giornalista è questione di tecnologia

    Questa cosa farà inorridire i colleghi, ma è vera: la professione del giornalista è una professione tecnica.

    Se vuoi diventare giornalista devi far pace con questo: è un lavoro che è permeato totalmente dalla tecnologia.Il mondo del giornalismo italiano brilla per arretratezza è scarsa competenza tecnica dell’universo dei media che viviamo. Nella gran parte, si tratta di un mondo di professionisti. Anche bravissimi, ci mancherebbe.

    Sono attaccati, tuttavia, a metodi vecchi e recalcitranti ad approcciare nuovi applicativi e strumenti per fare questa professione.Il giornalista in Italia oggi è ancora legato al messaggio. Questo può essere scritto, video, foto o audio. È anche legato ai criteri del giornalismo. Non si affrontano nemmeno due caratteristiche importantissime della professione oggi. L’importanza dei dati è una. L’altra è l’importanza della tecnologia e dei suoi strumenti. Perché?

    Il giornalista e i social

    Il giornalista e i social network: un rapporto perlomeno difficile. Eppure in tutto questo tempo, lo schema mentale con il quale il giornalista ha affrontato le piattaforme sociali è semplice. E alquanto stupido. Le piattaforme social sono un pericolo da evitare. La realtà, tuttavia, è un’altra: i social sono il modo con il quale le persone si informano. Ecco, le piattaforme di connessione sociale hanno tre caratteristiche. Sono strumenti tecnologici (software). Consegnano una marea di dati. Vengono fruiti dagli smartphone.

    Se si vuole diventare giornalista, l’ecosistema della professione è quello lì: software, dati, hardware. E quindi che cosa ci impedisce di pensare che la professione giornalistica sia tecnica? Niente.

    Diventare giornalista è questione di mediazione

    Non pretendo certo che la preparazione di un giornalista diventi soltanto tecnica. Non riguarda solo software, hardware, smartphone, intelligenza artificiale e strumenti di registrazione multimediali. Tuttavia, diventare giornalista resta una questione di mediazione sociale. Il problema è che la mediazione che devi saper proporre è legata ai dati. Questi dati ti vengono forniti dagli strumenti (web e app) che frequentiamo ogni giorno. Li usiamo per capire le notizie, le informazioni e creare i contenuti.

    Ti rivelo una tendenza: il lavoro dell’innovatore del giornalismo Francesco Marconi (di cui puoi leggere qui) si sta indirizzando verso la “previsione” delle notizie. Già, hai letto bene: l’intelligenza artificiale ci permetterà di prevedere una notizia prima che diventi tale. Come? Non con la magia nera… con i dati.

    Per questo sostengo questa idea: diventare giornalista è una sfida che fa rima con la tecnologia. La mia è una professione totalmente rivoluzionata dalla tecnologia. Resta una cosa: il fattore umano. Non c’è strumento artificiale che ti fa trasferire valore agli altri. Ci vuole l’umanità.

    Se vuoi approfondire il futuro del giornalismo ti confermo che il numero uno al mondo è lui: Francesco Marconi. Clicca qui per andare a curiosare nel suo sito internet.

  • Giornalista: ora sei una media company

    Giornalista: ora sei una media company

    Il lavoro del giornalista sta cambiando.

    Prima, però, ti spiego. è una frase divenuta famosa in un altro ambito e con un altro soggetto. La frase è questa: every company is a media company. E’ una delle frasi che fondano una disciplina della mia formazione, il giornalismo d’impresa. Ho cambiato il protagonista di questa frase mettendo la parola giornalista perché è un’epoca decisiva per la mia professione: un’epoca che stravolgerà per sempre il mio lavoro. Allora bisogna avere il coraggio di parlarne.

    Il senso di una frase

    Prima ti spiego la frase (pensata mentre ero in moto). Il giornalista oggi è in grado, grazie all’intelligenza artificiale, di produrre i risultati del suo lavoro con la qualità, la complessità, la performance che, fino a poco tempo fa, appartenevano a un’intera azienda editoriale. Può creare e aggiornare un sito da solo, può creare un video senza muoversi da casa, può produrre un podcast, può tenere aggiornate più piattaforme social.

    Ha, insomma, potenzialità enormemente più grandi di prima.

    L’altra caratteristica di questa frase è questa: ora un singolo giornalista può essere capace, ora come ora, di proporsi al mercato come un vero editore… di se stesso. C’è un collega che rappresenta molto bene questo aspetto: si chiama Fabrizio Romano. E’ il giornalista più influente al mondo sui social ed è una vera e propria media company. Parla di calciomercato ed è una fonte internazionale quasi primaria. Spero (per lui) e credo che il suo fatturato sia da piccola azienda. E’ bravo, se lo merita.

    Il suo post dopo aver preso il premio Best Journalist 2023 ai Global Soccer Awards a Dubai

    Il giornalista ritorna al centro

    Questa opportunità apre scenari inaspettati soprattutto per la libera professione, anche grazie alla possibilità di mettersi sul mercato, direttamente, dei prodotti editoriali, grazie alle piattaforme di pagamento cui si può facilmente accedere. Il giornalista, quindi, ha la possibilità di mettersi al centro dell’industria dei media diventando una “one man” media company.

    Il cambiamento, l’evoluzione di questa situazione, corre velocissima e la mia categoria di lavoratori fatica a stare al passo con questo stravolgimento. Io vedo chiaramente questa cosa e la riconosco in molti passaggi: l’organizzazione della produzione, la progettazione del contenuto, la produzione delle immagini, la post produzione, la pubblicazione. Tutto questo, però, crea grossi problemi per il futuro di questo lavoro.

    La situazione nasconde problemi

    Il giornalista, quindi, diventa editore in via definitiva. Può pensare alla sua carriera senza dipendere da qualcuno e proiettandosi avanti. Il giudice del suo lavoro può essere il mercato.

    Tuttavia la cosa ha risvolti inquietanti.

    Il giornalista editore non ha, in questo momento, procedure chiare per dichiarare i suoi guadagni derivanti dalla produzione diretta dei suoi contenuti e sulla proposizione degli stessi al mercato attraverso le piattaforme web. E’ un problema, va risolto. C’è di peggio, c’è di… molto peggio.

    Il giornalista libero professionista inserito nelle redazioni viene coinvolto, durante la produzione, nell’uso di applicativi con IA che sono utilizzati nel processo realizzativo del contenuto e sottopongono il lavoratore a un considerevole aumento dell’apporto professionale conferito. Senza che questo venga pagato. L’editore fa passare nelle procedure normali di creazione dell’articolo o del video il passaggio (per controllo o per verifica, per creazione o per modifica) del contenuto del giornalista nei software con IA.

    Non esiste.

    Lo sputtanamento del valore del lavoro va contrastato

    Dopo tutto il depauperamento di valore del lavoro del giornalista non può diventare normale fregare altre ore a tutti i lavoratori perché un articolo deve passare dentro un applicativo per sapere se è aggiornato, se è corretto, se è SEO oriented. Ne ho già parlato con i colleghi nella Commissione Lavoro Autonomo nazionale della FNSI, il sindacato dei giornalisti. Metteremo il problema sul tavolo: non può passare in cavalleria. Il giornalista deve poter diventare potente come una media company, ma deve anche smettere di essere trattato come uno schiavo.

  • Scrivere per il web:  è ora di essere trasversali

    Scrivere per il web: è ora di essere trasversali

    Sto cercando il Santo Graal della scrittura.

    Vorrei che un giorno, quello che scrivo anche qui, raggiungesse uno stile, una forma e delle parole adatte a qualsiasi mezzo tecnologico di comunicazione. Vorrei che scrivere per il web non mi facesse piegare le parole all’esigenza della singola piattaforma, ma ne facesse nascere di nuove. Vorrei che la scrittura su web e social diventasse sempre più mia.

    Scrivere per il web? Si inizia studiando

    Come al solito, quando mi metto in testa una cosa, inizio studiando. In questo caso particolare ho iniziato spacchettando le piattaforme web e social che frequento per capire le singole regole. Scrivere per il web è dominato dalla SEO, cioè da quella materia che ti da delle direttive per fare in modo che l’algoritmo dei motori di ricerca ti trovi. Anche scrivere per i social ha le sue regole: l’uso dello spazio, l’uso degli emoticon, l’uso degli elementi multimediali.

    E’ una giungla dalla quale spesso esci stordito. Sembra che ci sia un te simpatico che scrive su Instagram, un te fazioso che scrive su Facebook e un te professionale che scrive su LinkedIn.

    Ma come si fa a rivendicare il diritto che tu sia tu su ogni piattaforma?

    La risposta è difficile, ma non impossibile

    Scrivere per il web è scrivere collegando molti media. Devo saper scrivere immaginando le scene che potrebbero diventare un video. Devo saper scrivere tacendo attenzione agli elementi temporali e alle frasi descrittive: già, perché quello che posso far vedere in un video non posso dare per scontato in un audio. Anche le foto devono essere un elemento della scrittura perché possono rappresentare dense frasi di un discorso che ha del testo prima e del testo dopo.

    Quando scrivo devo pensare a chi ho davanti. Spiegare le cose, raccontare le storie è quello che vince quando scrivi per il web. La struttura stessa delle frasi, però, deve rispettare tutte queste dinamiche:

    • Deve essere semplice, perché io la possa trasformare in un’immagine.
    • Deve essere chiara, perché io riesca a spiegare a qualcuno quello che intendo.
    • Deve essere capace di valorizzare un video e un audio contemporaneamente.
    • Deve tenere conto della formattazione del testo.
    • Deve unire gli elementi multimediali.
    • Deve inserirsi nel mondo ed essere linkabile ad altri contenuti.

    Scrivere per il web e per i social è una sfida

    La SEO (di cui puoi leggere la definizione qui) ha regole che sembrano sbarre di una prigione. I social hanno regole differenti a seconda della piattaforma. Scrivere per il web e per i social è una sfida, ma coglierla è una grande opportunità. Già, perché sotto questo mare di regole c’è la volontà di farti diventare efficace in una cosa che penso sia una delle ultime speranze che ci resta. Quale? Connetterti con le altre persone e diffondere bene, conoscenza, informazione, ispirazione, suggestione. Certo, si può diffondere anche il falso, ma se sei qui la cosa non ti riguarda. E non riguarda me.

    Non ho la risposta definitiva su come si debba scrivere per il web, ma so una cosa: se unisci i puntini e scopri gli ambiti di creatività pura che ogni piattaforma ti può dare, scoprirai che c’è il modo di farlo. C’è il modo di scrivere per il web affinché dalle parole si capisca bene che tu… sei tu.

    Leggi anche: Social network: cambia il modo di usarli.

    Un altro punto di vista: Se ami scrivere è perché sai cosa scrivere

  • Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Effettivamente è un po’ che non racconto lo stato dell’arte del mobile journalism.

    Prendo spunto dal fatto che il mio fraterno amico Matias Amigo, uno tra i più importanti esponenti del mobile journalism sudamericano, mi ha chiesto un aggiornamento sulle pagine che mi riguardano nella sua “Mentes Mòviles“, splendida guida al giornalismo in mobilità in spagnolo, per dare uno sguardo in giro e cercare di fotografare il momento della cultura che ho divulgato negli ultimi 7-8 anni.

    L’evoluzione del mobile journalism

    La fase pionieristica del mobile journalism, quella nella quale strani innovatori creavano contenuti visuali per l’informazione utilizzando gli smartphone per girare e montare, sembra sia finita. Anzi è finita. Se si pensa al giornalismo mobile come a una spinta culturale che puntava a cambiare i modelli della professione giornalistica, va detto che quella fase è terminata e il motivo è semplice.

    Il mojo è stato un movimento coraggioso e oltraggioso quando è cominciato, con la community di Mojocon poi diventata Mojofest. Poi si è diffuso come un virus nelle redazioni ai quattro angoli del pianeta mettendosi di fianco al modo normale che avevamo di produrre contenuti, principalmente video, ma non solo, per le nostre media company. La potenza di calcolo degli smartphone, la tecnologia del comparto fotografico, la velocità di connessione sono aumentate in modo velocissimo portando lo smartphone dall’essere una “seconda soluzione” di emergenza per riprendere un immagine… all’unico hardware per la ripresa con cui molti giornalisti lavorano tutti i giorni.

    Dalla pandemia in poi, ancora più veloci

    Il cambiamento del rapporto tra uomo e smartphone, in generale, è diventato realtà con la pandemia di Covid-19. Tutti abbiamo capito che il nostro device può farci fare cose importantissime, non solo distrarci con qualche video su YouTube o qualche messaggio di un amico su WhatsApp.

    Se è cambiato il rapporto delle persone normali con il telefonino, non poteva non cambiare quello dei giornalisti. Dal Covid in poi andare live con uno smartphone, filmare con uno smartphone, editare con uno smartphone e pubblicare con uno smartphone è diventato la normalità della professione del giornalista. Dal Covid in poi siamo andati ancora più veloci.

    Lo smartphone è anche diventato uno straordinario terminale di software in cloud per lo storage e l’editing dei video. Grande parte delle app di filming sono diventate capaci di collegarsi a cloud (vedi Filmic Pro con Frame.io di Adobe o l’ecosistema di Blacmagic Camera) regalandoci la possibilità di creare nuovi modi, nuovi flussi di lavoro e nuove possibilità di business.

    Il mobile journalism e le redazioni virtuali

    Con questo mondo di smartphone potentissimi, app per creare contenuti velocissime e cloud performanti sono successe due cose.

    La prima: il mobile journalism si è fuso con il giornalismo multimediale digitale e broadcast moderno. Si fanno trasmissioni tv, format, film, documentari, videonews con lo smartphone e ormai non ce ne accorgiamo più. La seconda: con una manciata di telefonini, una manciata di app e un sito, si possono creare redazioni virtuali e quindi media che possono diventare profittevoli in poco tempo. Ecco che cosa fa il mobile journalism nel 2024: crea business e nuovi media.

    Il mojo e l’intelligenza artificiale

    Già, in tutto questo ragionamento manca l’intelligenza artificiale: nelle app di filming e di editing dei nostri smartphone è entrata di prepotenza da un po’, ma dal 2024 diventerà strutturale. Non tanto nel creare immagini artificiali da mettere nei video, quando nel potenziare tutte le fasi del montaggio per far diventare un video creato con lo smartphone tecnicamente identico, se non superiore, a quello creato con il processo ideografico classico videocamera+computer.

    I giornalisti freelance (in generale i giornalisti) ne usciranno trasformati per sempre. Se tecnicamente erano in grado di fare cose meravigliose con smartphone, software e poco altro, ora, con app come Captions, Capcut e altre saranno in grado di fare magie. Semplice il motivo: alla tecnica di base e agli hardware, assommeranno applicativi in grado di pulire il suono, i colori, le immagini, la grafica tali da trasformare in un prodotto di qualità broadcast ogni maledetto contenuto multimediale (il discorso, infatti, vale anche per l’audio) che uscirà dai nostri smartphone.

    Pronti alla sfida? Pronti a trasformarvi in giornalisti in grado di creare gli stessi contenuti multimediali di una media company intera?

    Leggi anche: Altman e il problema del giornalismo italiano

  • Altman e il problema del giornalismo italiano

    Altman e il problema del giornalismo italiano

    Altman e il giornalismo italiano: come fanno a stare insieme?

    Sam Altman è stato licenziato venerdì e nella notte italiana di sabato è già in talks per essere riassunto nel ruolo che aveva, quello di Ceo di Open AI. Come c’azzecca questo fatto con il futuro del giornalismo italiano e magari anche con il suo presente? Provo a mettere insieme i puntini. Il nostro è l’amministratore delegato di un’azienda (ex fondazione) che sta lavorando nel campo dell’intelligenza artificiale e che ha sconvolto il mondo con l’introduzione al pubblico di Chat Gpt, il modello di intelligenza artificiale conversazione e generativa testuale più famoso del pianeta. Licenziato in tronco con un Google Meet (chissà come si saranno incazzati a Microsoft che investe 13 miliardi in Open AI), Altman è già stato richiamato in poche ore dai suoi colleghi i quali lo pregano di tornare.

    Un thriller vero e proprio

    Il siluramento di Altman è una cosa da film. Minuto dopo minuto si susseguono voci sui motivi che partono da quel comunicato con il quale Open AI definiva “poco trasparente il suo modo di relazionarsi al consiglio di amministrazione”. Si sono scatenate furiose teorie: dal suo imprudente desiderio di spingere per per la presentazione di una nuova AI ancora più potente che doveva essere frenato, a sue malefatte, a suoi conflitti di interesse, fino a… una minaccia di un esodo di massa. Ecco: buona l’ultima. Nelle stesse ore, infatti, si scatenava una corsa a lasciare Open AI che ha fatto venire i capelli dritti a Microsoft e a tutti i miliardari investitori della compagnia. Così chi ha messo il grano ha preso il CDA dell’azienda per le orecchie e gli ha detto: fate tornare Altman.

    Altman, l’Oppenheimer dell’AI

    Lo chiamano così Sam Altman. Ormai un’icona del mondo dell’intelligenza artificiale che va velocissimo. A colpi di 2 ore in 2 ore, si susseguono notizie e voci. L’intelligenza artificiale è solo all’inizio e il suo mondo va velocissimo, mentre l’industria Italiana del giornalismo rallenta sempre di più (e i giornalisti vanno sempre più giù). Questa differenza di velocità sta provocando effetti disastrosi nei media italiani con un grave impoverimento dei contenuti che vengono forniti a utenti e internati.

    Tuttavia, guardando quello che sta succedendo, sussiste un problema più grosso di altri: è culturale. I media italiani stanno prendendo a piene mani dall’AI per realizzare contenuti, ma vicino a questi sta crescendo la possibilità per il singolo giornalista di essere, grazie all’AI, molto più potente e performante. Cioè, detto semplice: ora un singolo può creare un prodotto giornalistico equivalente a un’intera media company. E allora sussiste un problema da affrontare. Ma quale?

    Gli ultimi rantolii dei media nell’era di Altman

    Insomma: Sam Altman è lassù con tutto il suo mondo, noi quaggiù con questo problema. Le aziende media continuano imperterrite a suonare la loro musichetta, mentre i giornalisti salgono a un livello, grazie alla tecnologia e all’AI, che può metterli alla pari di un’azienda intera. A me capita tutti i giorni. Se le strade di editori e giornalisti continueranno a divergere l’effetto sarà dirompente. Da una parte le media company che usano l’AI senza costrutto e in maniera massiccia, ma che hanno anche il problema di giustificare le loro strutture costosissime. Dall’altra i giornalisti che, con gli strumenti AI, realizzano video, audio, dirette, collegamenti, connessioni, foto, testi con una produttività e una qualità pari a quelle di un’azienda. Nasceranno due mondi dell’editoria italiana: uno delle aziende, l’altro dei singoli. E gli utenti non sapranno più da quale parte andare. Urge un patto etico e prospettico, una pax che metta tutti insieme a lavorare su un mondo dei media diverso.

    Ce la faremo? Non lo so davvero, ma dovremmo. Altrimenti la mia strada e la tua sono segnate. Diventeremo editori di noi stessi rivolgendoci direttamente al pubblico. E questo farà collassare molti media e fracasserà il sistema definitivamente. O ripariamo la situazione o Altman e il suo mondo si staccheranno definitivamente da noi e dal nostro piccolo universo antico. Insomma, guarda bene cosa sta succedendo negli Usa attorno a Open AI perché ti riguarda. E fa attenzione a cosa succede qui.

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