Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Cecilia Sala, il giornalismo di domani è oggi

    Cecilia Sala, il giornalismo di domani è oggi

    Il caso di Cecilia Sala alla fine del 2024 è un simbolo.

    La giornalista freelance che lavora per Chora Media e Il Foglio, famosa per il suo podcast Stories, è un simbolo. Cecilia Sala è il simbolo del nuovo giornalismo italiano e internazionale. Quello fatto dalle persone, dai professionisti che, con il loro lavoro, ora contano più dei media. Già, più di giornali, radio, tv e siti.

    Il 2025 sarà finalmente il loro anno, anche in Italia. Spero che sia anche l’anno in cui Cecilia Sala viene liberata e torna a casa. E spero sia presto.

    I media sono persone

    Ho guardato i social di Cecilia Sala da vicino e ho scoperto un mondo. Notizie, vita vissuta, volti, impegno, storie, conoscenza, spiegazioni. Ho visto i suoi social come quelli di Francesco Oggiano, di Gianluca Gazzoli e del suo BSMT, di Matteo Gracis e di Ciro Pellegrino. Frequentemente visito anche gli account di Nico Piro su X o di Carmine Benincasa, di Luca Talotta o Dave Legenda. Apprezzo molto Geopop e Cronache di Spogliatoio, mi piace da matti Francesco Costa. Alcuni sono freelance. Alcuni sono firme di media più tradizionali ormai divenuti più grandi del medium stesso per il quale lavorano. Alcuni sono diventati un’azienda.

    Su X c’è l’amico Giovanni Capuano, ma mi capita di leggere anche Maurizio Pistocchi. Su Youtube non perdo mai un video di Sandro Sabatini che ritengo un giornalista davvero con la “G” maiuscola. Vogliamo poi parlare di Fabrizio Romano, ormai fenomeno mondiale? Chiudo con Fabrizio Biasin e Daniele Mari, ma potrei continuare per molte righe.

    I media di oggi sono persone. Sono straordinari umani. Il più grande di tutti è Yusuf Omar (almeno per me). Questi individui sono talmente capaci di parlare il linguaggio dei social che hanno scalzato i media ed sono diventati medium. Guarda Masala e il suo Breaking Italy… oppure Tech Dale su Youtube. Gente bravissima che è informazione.

    Cecilia Sala è un simbolo

    Cecilia Sala è un simbolo di questa generazione di giornalisti che, ora come ora, è molto più importante dei media. Trump ci ha vinto le elezioni con i podcaster repubblicani, poche storie. Ha saltato tv e giornali tradizionali per arrivare al cuore del pubblico con questi giornalisti-medium. Sono loro, ormai, a informare il pubblico sotto i 50 anni, il pubblico che decide il futuro di un paese.

    Ormai l’Italia dinamica e giovane, quella che regge il paese e caccia le tasse, si informa così. Andando diretta verso giornalisti singoli, content creator, singoli account messi tra i preferiti.

    Journalist is the new medium… e allora?

    La cosa che ti ho raccontato vale per milioni di italiani e per centinaia di milioni di persone nel mondo. I giornalisti, i content creator che fanno informazione, sono i nuovi media. E adesso che si fa?

    Semplice: si esulta! Si esulta per la morte dei media tradizionali che restano attaccati a linguaggi della notizia ormai morti anche loro. Il giornale di carta… non esiste più. La tv? La vedono solo le nonne. I tg? Rimasuglio inutile di un mondo dei media sorpassato in modo definitivo da questi nuovi media-persone.

    Prima di avviarci a un 2025 davvero entusiasmante, dobbiamo attraversare due prese di coscienza. La prima la deve prendere questo nuovo pubblico che va verso i giornalisti-medium: deve verificare… sempre. Lo saprà fare?

    La seconda presa di coscenza la devono operare i media, gli editori e i giornalisti. Parlo di quelli che ancora non fanno parte di questo nuovo mondo. I media tradizionali devono accorgersi che sono morti nell’interesse del pubblico se non cambiano registro. Gli editori devono prendere atto che la generazione delle Cecilia Sala non la possono più trattare con sufficienza. Possono allearsi, ma con regole giuste, pagamenti e protezioni adeguate. Non possono più sconfiggerli perché questa generazione di produttori di contenuti di informazione è diventata grande. E può fare a meno di loro.

    I media sono morti, evviva i media

    In un mondo in cui c’è un social gestito da una sola persona (X), è difficile sapere cosa sia vero. Non è facile capire cosa non lo sia. In questo casino i media sono stati travolti dalla loro supponenza, dal pensiero che sarebbero sempre esistiti. Invece sono morti. Nel mare dell’informazione, ora, ci sono altri porti cui attraccare. Sono quelli dei giornalisti-medium che fanno un lavoro splendido. Alcuni sono talmente importanti che cominciano a parlare con le istituzioni. Alcuni straparlano o fomentano disinformazione, ma sta a te capire. Insomma, arriva il 2025 e ci porta il nuovo ecosistema dei media da interpretare. Fatto di persone come Cecilia Sala. Persone di cui abbiamo bisogno per capire quello che i media tradizionali hanno smesso di farci comprendere. Beh, sono morti, tutti. E sinceramente non mi mancheranno.

    Quello che va fatto, però, è ben altro. Ora l’informazione, le istituzioni dei media, il giornalismo, li deve riconoscere come fonti e li deve aiutare. Tutti quelli che ho menzionato in questo articolo e anche quelli che, se vuoi, puoi mettermi nei commenti, sono giornalisti. E sono importantissimi per il malandato concetto di democrazia e per i giovani, per il nostro futuro. Per cui liberate Cecilia Sala. Adesso. Buon 2025.

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    Il giornalista è una media company

  • Come diventare giornalisti: ne parlo con Carlo Bartoli

    Come diventare giornalisti: ne parlo con Carlo Bartoli

    Sapere come diventare giornalisti è diventato difficile perché la professione è cambiata moltissimo. Per diventare giornalisti bisogna prima sapere come essere giornalisti oggi. Operazione non facile. Fare questa professione è una questione di tecnologia. E’ anche una questione di competenze molto diverse dal passato, come ho accennato in questo articolo.

    Il giornalismo ha futuro

    Parlare di questa professione è importante perché è un lavoro necessario per il futuro della nostra società. Per questo motivo ho chiesto una chiacchierata sul tema a chi custodisce il “come diventare giornalisti”. Sto parlando del Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli. Ho appuntamento con lui il 28 settembre 2024 dalle 11. La diretta della nostra chiacchierata, nel format del mio canale YouTube “Un’ora con…”, la potrai vedere anche qui sotto.

    Se ti è più comodo vedere la nostra chiacchierata sul canale YouTube potrai vederla qui.

    La pagina che stai leggendo è per me un punto di incontro. Lo stesso vale per tutti gli altri luoghi social che riguardano il mio lavoro. Per questo motivo iscriviti al canale oppure tieni d’occhio la pagina: potrai rimanere aggiornato sul mio lavoro. Se hai domande da fare al Presidente o a me, mettile qui nei commenti. Oppure mettile nei commenti al video in diretta su YouTube.

    Una professione nuovissima

    Parlar di come diventare giornalisti è un modo per raccontarti una professione nuovissima. Si sviluppa in modi e in campi che nemmeno stai immaginando. Per poterla costruire e abbracciare nel tuo futuro, ti dico due cose. Non c’è mai stato un periodo così difficile e bello per fare i giornalisti. Ti assicuro che questo lavoro è destinato ad avere un futuro lungo e possibile.

    Costruiamolo sviluppandone temi e possibilità. C’è la possiamo fare, se procediamo insieme.

  • Diventare giornalista è questione di tecnologia

    Diventare giornalista è questione di tecnologia

    Questa cosa farà inorridire i colleghi, ma è vera: la professione del giornalista è una professione tecnica.

    Se vuoi diventare giornalista devi far pace con questo: è un lavoro che è permeato totalmente dalla tecnologia.Il mondo del giornalismo italiano brilla per arretratezza è scarsa competenza tecnica dell’universo dei media che viviamo. Nella gran parte, si tratta di un mondo di professionisti. Anche bravissimi, ci mancherebbe.

    Sono attaccati, tuttavia, a metodi vecchi e recalcitranti ad approcciare nuovi applicativi e strumenti per fare questa professione.Il giornalista in Italia oggi è ancora legato al messaggio. Questo può essere scritto, video, foto o audio. È anche legato ai criteri del giornalismo. Non si affrontano nemmeno due caratteristiche importantissime della professione oggi. L’importanza dei dati è una. L’altra è l’importanza della tecnologia e dei suoi strumenti. Perché?

    Il giornalista e i social

    Il giornalista e i social network: un rapporto perlomeno difficile. Eppure in tutto questo tempo, lo schema mentale con il quale il giornalista ha affrontato le piattaforme sociali è semplice. E alquanto stupido. Le piattaforme social sono un pericolo da evitare. La realtà, tuttavia, è un’altra: i social sono il modo con il quale le persone si informano. Ecco, le piattaforme di connessione sociale hanno tre caratteristiche. Sono strumenti tecnologici (software). Consegnano una marea di dati. Vengono fruiti dagli smartphone.

    Se si vuole diventare giornalista, l’ecosistema della professione è quello lì: software, dati, hardware. E quindi che cosa ci impedisce di pensare che la professione giornalistica sia tecnica? Niente.

    Diventare giornalista è questione di mediazione

    Non pretendo certo che la preparazione di un giornalista diventi soltanto tecnica. Non riguarda solo software, hardware, smartphone, intelligenza artificiale e strumenti di registrazione multimediali. Tuttavia, diventare giornalista resta una questione di mediazione sociale. Il problema è che la mediazione che devi saper proporre è legata ai dati. Questi dati ti vengono forniti dagli strumenti (web e app) che frequentiamo ogni giorno. Li usiamo per capire le notizie, le informazioni e creare i contenuti.

    Ti rivelo una tendenza: il lavoro dell’innovatore del giornalismo Francesco Marconi (di cui puoi leggere qui) si sta indirizzando verso la “previsione” delle notizie. Già, hai letto bene: l’intelligenza artificiale ci permetterà di prevedere una notizia prima che diventi tale. Come? Non con la magia nera… con i dati.

    Per questo sostengo questa idea: diventare giornalista è una sfida che fa rima con la tecnologia. La mia è una professione totalmente rivoluzionata dalla tecnologia. Resta una cosa: il fattore umano. Non c’è strumento artificiale che ti fa trasferire valore agli altri. Ci vuole l’umanità.

    Se vuoi approfondire il futuro del giornalismo ti confermo che il numero uno al mondo è lui: Francesco Marconi. Clicca qui per andare a curiosare nel suo sito internet.

  • Giornalista: ora sei una media company

    Giornalista: ora sei una media company

    Il lavoro del giornalista sta cambiando.

    Prima, però, ti spiego. è una frase divenuta famosa in un altro ambito e con un altro soggetto. La frase è questa: every company is a media company. E’ una delle frasi che fondano una disciplina della mia formazione, il giornalismo d’impresa. Ho cambiato il protagonista di questa frase mettendo la parola giornalista perché è un’epoca decisiva per la mia professione: un’epoca che stravolgerà per sempre il mio lavoro. Allora bisogna avere il coraggio di parlarne.

    Il senso di una frase

    Prima ti spiego la frase (pensata mentre ero in moto). Il giornalista oggi è in grado, grazie all’intelligenza artificiale, di produrre i risultati del suo lavoro con la qualità, la complessità, la performance che, fino a poco tempo fa, appartenevano a un’intera azienda editoriale. Può creare e aggiornare un sito da solo, può creare un video senza muoversi da casa, può produrre un podcast, può tenere aggiornate più piattaforme social.

    Ha, insomma, potenzialità enormemente più grandi di prima.

    L’altra caratteristica di questa frase è questa: ora un singolo giornalista può essere capace, ora come ora, di proporsi al mercato come un vero editore… di se stesso. C’è un collega che rappresenta molto bene questo aspetto: si chiama Fabrizio Romano. E’ il giornalista più influente al mondo sui social ed è una vera e propria media company. Parla di calciomercato ed è una fonte internazionale quasi primaria. Spero (per lui) e credo che il suo fatturato sia da piccola azienda. E’ bravo, se lo merita.

    Il suo post dopo aver preso il premio Best Journalist 2023 ai Global Soccer Awards a Dubai

    Il giornalista ritorna al centro

    Questa opportunità apre scenari inaspettati soprattutto per la libera professione, anche grazie alla possibilità di mettersi sul mercato, direttamente, dei prodotti editoriali, grazie alle piattaforme di pagamento cui si può facilmente accedere. Il giornalista, quindi, ha la possibilità di mettersi al centro dell’industria dei media diventando una “one man” media company.

    Il cambiamento, l’evoluzione di questa situazione, corre velocissima e la mia categoria di lavoratori fatica a stare al passo con questo stravolgimento. Io vedo chiaramente questa cosa e la riconosco in molti passaggi: l’organizzazione della produzione, la progettazione del contenuto, la produzione delle immagini, la post produzione, la pubblicazione. Tutto questo, però, crea grossi problemi per il futuro di questo lavoro.

    La situazione nasconde problemi

    Il giornalista, quindi, diventa editore in via definitiva. Può pensare alla sua carriera senza dipendere da qualcuno e proiettandosi avanti. Il giudice del suo lavoro può essere il mercato.

    Tuttavia la cosa ha risvolti inquietanti.

    Il giornalista editore non ha, in questo momento, procedure chiare per dichiarare i suoi guadagni derivanti dalla produzione diretta dei suoi contenuti e sulla proposizione degli stessi al mercato attraverso le piattaforme web. E’ un problema, va risolto. C’è di peggio, c’è di… molto peggio.

    Il giornalista libero professionista inserito nelle redazioni viene coinvolto, durante la produzione, nell’uso di applicativi con IA che sono utilizzati nel processo realizzativo del contenuto e sottopongono il lavoratore a un considerevole aumento dell’apporto professionale conferito. Senza che questo venga pagato. L’editore fa passare nelle procedure normali di creazione dell’articolo o del video il passaggio (per controllo o per verifica, per creazione o per modifica) del contenuto del giornalista nei software con IA.

    Non esiste.

    Lo sputtanamento del valore del lavoro va contrastato

    Dopo tutto il depauperamento di valore del lavoro del giornalista non può diventare normale fregare altre ore a tutti i lavoratori perché un articolo deve passare dentro un applicativo per sapere se è aggiornato, se è corretto, se è SEO oriented. Ne ho già parlato con i colleghi nella Commissione Lavoro Autonomo nazionale della FNSI, il sindacato dei giornalisti. Metteremo il problema sul tavolo: non può passare in cavalleria. Il giornalista deve poter diventare potente come una media company, ma deve anche smettere di essere trattato come uno schiavo.

  • Scrivere per il web:  è ora di essere trasversali

    Scrivere per il web: è ora di essere trasversali

    Sto cercando il Santo Graal della scrittura.

    Vorrei che un giorno, quello che scrivo anche qui, raggiungesse uno stile, una forma e delle parole adatte a qualsiasi mezzo tecnologico di comunicazione. Vorrei che scrivere per il web non mi facesse piegare le parole all’esigenza della singola piattaforma, ma ne facesse nascere di nuove. Vorrei che la scrittura su web e social diventasse sempre più mia.

    Scrivere per il web? Si inizia studiando

    Come al solito, quando mi metto in testa una cosa, inizio studiando. In questo caso particolare ho iniziato spacchettando le piattaforme web e social che frequento per capire le singole regole. Scrivere per il web è dominato dalla SEO, cioè da quella materia che ti da delle direttive per fare in modo che l’algoritmo dei motori di ricerca ti trovi. Anche scrivere per i social ha le sue regole: l’uso dello spazio, l’uso degli emoticon, l’uso degli elementi multimediali.

    E’ una giungla dalla quale spesso esci stordito. Sembra che ci sia un te simpatico che scrive su Instagram, un te fazioso che scrive su Facebook e un te professionale che scrive su LinkedIn.

    Ma come si fa a rivendicare il diritto che tu sia tu su ogni piattaforma?

    La risposta è difficile, ma non impossibile

    Scrivere per il web è scrivere collegando molti media. Devo saper scrivere immaginando le scene che potrebbero diventare un video. Devo saper scrivere tacendo attenzione agli elementi temporali e alle frasi descrittive: già, perché quello che posso far vedere in un video non posso dare per scontato in un audio. Anche le foto devono essere un elemento della scrittura perché possono rappresentare dense frasi di un discorso che ha del testo prima e del testo dopo.

    Quando scrivo devo pensare a chi ho davanti. Spiegare le cose, raccontare le storie è quello che vince quando scrivi per il web. La struttura stessa delle frasi, però, deve rispettare tutte queste dinamiche:

    • Deve essere semplice, perché io la possa trasformare in un’immagine.
    • Deve essere chiara, perché io riesca a spiegare a qualcuno quello che intendo.
    • Deve essere capace di valorizzare un video e un audio contemporaneamente.
    • Deve tenere conto della formattazione del testo.
    • Deve unire gli elementi multimediali.
    • Deve inserirsi nel mondo ed essere linkabile ad altri contenuti.

    Scrivere per il web e per i social è una sfida

    La SEO (di cui puoi leggere la definizione qui) ha regole che sembrano sbarre di una prigione. I social hanno regole differenti a seconda della piattaforma. Scrivere per il web e per i social è una sfida, ma coglierla è una grande opportunità. Già, perché sotto questo mare di regole c’è la volontà di farti diventare efficace in una cosa che penso sia una delle ultime speranze che ci resta. Quale? Connetterti con le altre persone e diffondere bene, conoscenza, informazione, ispirazione, suggestione. Certo, si può diffondere anche il falso, ma se sei qui la cosa non ti riguarda. E non riguarda me.

    Non ho la risposta definitiva su come si debba scrivere per il web, ma so una cosa: se unisci i puntini e scopri gli ambiti di creatività pura che ogni piattaforma ti può dare, scoprirai che c’è il modo di farlo. C’è il modo di scrivere per il web affinché dalle parole si capisca bene che tu… sei tu.

    Leggi anche: Social network: cambia il modo di usarli.

    Un altro punto di vista: Se ami scrivere è perché sai cosa scrivere

  • Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Mobile journalism 2024: il giornalista si trasforma

    Effettivamente è un po’ che non racconto lo stato dell’arte del mobile journalism.

    Prendo spunto dal fatto che il mio fraterno amico Matias Amigo, uno tra i più importanti esponenti del mobile journalism sudamericano, mi ha chiesto un aggiornamento sulle pagine che mi riguardano nella sua “Mentes Mòviles“, splendida guida al giornalismo in mobilità in spagnolo, per dare uno sguardo in giro e cercare di fotografare il momento della cultura che ho divulgato negli ultimi 7-8 anni.

    L’evoluzione del mobile journalism

    La fase pionieristica del mobile journalism, quella nella quale strani innovatori creavano contenuti visuali per l’informazione utilizzando gli smartphone per girare e montare, sembra sia finita. Anzi è finita. Se si pensa al giornalismo mobile come a una spinta culturale che puntava a cambiare i modelli della professione giornalistica, va detto che quella fase è terminata e il motivo è semplice.

    Il mojo è stato un movimento coraggioso e oltraggioso quando è cominciato, con la community di Mojocon poi diventata Mojofest. Poi si è diffuso come un virus nelle redazioni ai quattro angoli del pianeta mettendosi di fianco al modo normale che avevamo di produrre contenuti, principalmente video, ma non solo, per le nostre media company. La potenza di calcolo degli smartphone, la tecnologia del comparto fotografico, la velocità di connessione sono aumentate in modo velocissimo portando lo smartphone dall’essere una “seconda soluzione” di emergenza per riprendere un immagine… all’unico hardware per la ripresa con cui molti giornalisti lavorano tutti i giorni.

    Dalla pandemia in poi, ancora più veloci

    Il cambiamento del rapporto tra uomo e smartphone, in generale, è diventato realtà con la pandemia di Covid-19. Tutti abbiamo capito che il nostro device può farci fare cose importantissime, non solo distrarci con qualche video su YouTube o qualche messaggio di un amico su WhatsApp.

    Se è cambiato il rapporto delle persone normali con il telefonino, non poteva non cambiare quello dei giornalisti. Dal Covid in poi andare live con uno smartphone, filmare con uno smartphone, editare con uno smartphone e pubblicare con uno smartphone è diventato la normalità della professione del giornalista. Dal Covid in poi siamo andati ancora più veloci.

    Lo smartphone è anche diventato uno straordinario terminale di software in cloud per lo storage e l’editing dei video. Grande parte delle app di filming sono diventate capaci di collegarsi a cloud (vedi Filmic Pro con Frame.io di Adobe o l’ecosistema di Blacmagic Camera) regalandoci la possibilità di creare nuovi modi, nuovi flussi di lavoro e nuove possibilità di business.

    Il mobile journalism e le redazioni virtuali

    Con questo mondo di smartphone potentissimi, app per creare contenuti velocissime e cloud performanti sono successe due cose.

    La prima: il mobile journalism si è fuso con il giornalismo multimediale digitale e broadcast moderno. Si fanno trasmissioni tv, format, film, documentari, videonews con lo smartphone e ormai non ce ne accorgiamo più. La seconda: con una manciata di telefonini, una manciata di app e un sito, si possono creare redazioni virtuali e quindi media che possono diventare profittevoli in poco tempo. Ecco che cosa fa il mobile journalism nel 2024: crea business e nuovi media.

    Il mojo e l’intelligenza artificiale

    Già, in tutto questo ragionamento manca l’intelligenza artificiale: nelle app di filming e di editing dei nostri smartphone è entrata di prepotenza da un po’, ma dal 2024 diventerà strutturale. Non tanto nel creare immagini artificiali da mettere nei video, quando nel potenziare tutte le fasi del montaggio per far diventare un video creato con lo smartphone tecnicamente identico, se non superiore, a quello creato con il processo ideografico classico videocamera+computer.

    I giornalisti freelance (in generale i giornalisti) ne usciranno trasformati per sempre. Se tecnicamente erano in grado di fare cose meravigliose con smartphone, software e poco altro, ora, con app come Captions, Capcut e altre saranno in grado di fare magie. Semplice il motivo: alla tecnica di base e agli hardware, assommeranno applicativi in grado di pulire il suono, i colori, le immagini, la grafica tali da trasformare in un prodotto di qualità broadcast ogni maledetto contenuto multimediale (il discorso, infatti, vale anche per l’audio) che uscirà dai nostri smartphone.

    Pronti alla sfida? Pronti a trasformarvi in giornalisti in grado di creare gli stessi contenuti multimediali di una media company intera?

    Leggi anche: Altman e il problema del giornalismo italiano