Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Caro Mentana, non faccia questo errore madornale

    Caro Mentana, non faccia questo errore madornale

    Premessa per i colleghi anglofoni.

    Enrico Mentana è uno dei più affermati giornalisti italiani ed è direttore di La7, un importante canale televisivo del panorama del Bel Paese. Poche ore fa ha postato un annuncio sulla sua pagina facebook, dicendo di voler fondare un giornale online per giovani giornalisti. Ha espresso una lodevole iniziativa, figlia, tuttavia, della cultura vetusta del nostro paese per quanto riguarda i media. Provo a inviargli una lettera pubblica per fargli capire che non è facendo un non ben precisato giornale online per giovani che si interpreta la rivoluzione digitale. Se c’è una speranza per il mondo dei giornali e dei giornalisti, questa speranza si chiama mojo.


    Carissimo Enrico le scrivo…

    Lei non sa chi sono io (nel senso vero della frase, eh), per cui è il caso di presentarsi. Sono Francesco Facchini e sono un giornalista di 47 anni. Per citare una sua immagine, gentilissimo Enrico, sono uno di quelli in piedi e senza garanzie, pur avendo 30 anni di carriera e un figlio a carico. Insomma, ho un difetto, non sono giovane.

    Ho letto con enorme interesse questo post sulla sua decisione di fondare un giornale online che sia “casa” per giovani giornalisti e che sia un modo, per lei, per ridare qualcosa a un mondo che tanto ha dato a lei. Encomiabile, lo sto facendo anche io e le dico come. Sono il divulgatore italiano (assieme a strepitosi colleghi come Nico Piro) della cultura del mobile journalism, nuova corrente della professione giornalistica.

    Uno strumento, si chiama mojo.

    Con coraggio stiamo spezzando le catene dei vecchi modi di fare video, broadcasting, tv e affini con i mezzi e i linguaggi che la tecnologia ci ha messo in tasca. Sto offrendo uno strumento: mi è capitato di insegnare questa disciplina allo Iulm, a Pavia, alla Lumsa. Mi è capitato di rappresentare l’Italia a convegni mondiali della materia. Un’Italia assente, ignorante e disinteressata della materia che mostra ogni giorno di più di non conoscere. In Italia il mobile journalism viene scambiato per “ah ma noi c’abbiamo la app…”. E si continua a non sapere cos’è o a considerarlo come un add on “quando non posso fare le cose come si deve”. Il tutto mentre il 70% del mondo vede il web da uno smartphone e non frequenta più i siti, ma arriva alle notizie dal suo social preferito. Il tutto mentre grandi tv mandano in onda produzioni fatte e montate con gli iPhone e Soderberg esce con un film (“Unsane”) che ha definito l’esperienza “più liberatoria della sua carriera”.

    Il quotidiano digitale? Morto.

    Ora lei mi stupisce positivamente quando fa una proposta del genere, ma sinceramente la trasforma in un errore madornale in poche righe. Non lo faccia la prego… e ora le spiego perché. Lei parla di quotidiano digitale, ma commette l’imprecisione di non chiarire il fatto che non è “fare un sito” quello che serve ora. Il sito, il “quotidiano digitale” è morto, è finito. Le home page non le frequenta più nessuno. Ora i lettori, ne sia testimonianza l’enorme successo del suo post, sono altrove e il “quotidiano digitale” di cui lei parla non può essere un sito e stop. Dev’essere un hub crossmediale di informazione e attraversare tutte le piattaforme di cui è dotato l’universo. Deve esserci dove ci sono i lettori e pensare che i lettori leggono da un telefonino… (comincio ad avvicinarmi al mio argomento).

    L’assistenzialismo tutto italiano…

    Poi, mi permetta la sincerità, moltiplica l’errore parlando di contributi economici, di mecenati, di iniziativa “in passivo che ripianerò io….”. Glielo dico con grande onesta: questa è un’enorme cavolata. Per un motivo molto semplice: Lei, dall’alto del suo brand, non deve proporre al pubblico un modello di business che forse diventerà profittevole. Lei a quei giovani cui si rivolge, deve dare in mano lo strumento per guadagnare.

    Sì, guadagnare, da subito, magari poco, ma da subito. I media italiani sono finiti in questa poltiglia perché hanno vissuto con la pancia piena per decenni e non hanno sviluppato la cultura per rinnovarsi e guadagnare. E lei propone un’iniziativa che la renderà certamente martire del portafoglio. Non lo faccia, non faccia in modo che il suo nuovo sito sia una “cassa assistenziale” per giovani senza lavoro assistiti da vecchi con una pensione da favola.

    Io ci metto il mio contributo.

    La sua figura è una di quelle che si staglia perfettamente nel panorama italiano per intelligenza e autorevolezza. Ecco, non cada in questo errore e scuota il mondo dell’informazione mettendo a frutto la sua potenza per creare un medium CHE GUADAGNI, da subito, e assuma giovani. A questo punto io, in qualità di presidente di Italian Mojo, associazione culturale che diffonde il mobile journalism, ci metto del mio e la sfido. Se lo vuole fare lo faccia con le tecniche del mobile journalism e della mobile content creation. Perché in un mondo dei media che vive grazie agli smartphone, dovremo cominciare anche a pensare ai prodotti mediatici cominciando dallo smartphone. Questo potrebbe essere il mio contributo.

    Venga al festival di Roma.

    Venga a vedere la nostra community e il nostro movimento al festival di Roma che sta organizzando la community di Nico Piro. Mi dia 10 minuti del suo tempo per spiegarle il mojo e per consegnarle la tessera numero 10 di socio onorario dell’associazione. Poi faccio di più. Mi offro per venire a insegnare mojo nel suo nuovo giornale: è il mio lavoro. Se il suo progetto avrà le caratteristiche e la prospettiva che le ho raccontato in queste righe possiamo fare anche un’introduzione gratuita alla materia (in due ore posso fa innamorare tutti, lei compreso). Perché se lei vuol dare un senso a quello che ha scritto dia ai giovani futuro, non assistenza.

    Con stima.

    Francesco Facchini

  • Snapchat e Instagram? Sono meravigliosi programmi di montaggio

    Snapchat e Instagram? Sono meravigliosi programmi di montaggio

    Snapchat, Instagram e mobile journalism, un matrimonio possibile.

    Due ragionamenti iniziali: parlare di snapchat è dura. Capire snapchat è un’ impresa.

    Fare tanta fatica per una cosa che poi non resta e sparisce in pochi secondi è una situazione che noi comunicatori di una certa età non riusciamo a sopportare. Devo ammetterlo: ho seguito i panel a Galway 2017 di Yusuf Omar e sua moglie Sumaiya, ma ne sono uscito con le ossa rotte. Ho replicato a Galway 2018, a Mojofest e mi si è aperto un mondo perché ho compreso come utilizzare queste due app in modo da creare, sia con Instagram, sia con Snapchat, un linguaggio unico.

    L’ho capito anche in molti mesi di studio del progretto Hashtag Our Stories che Yusuf e Sumaiya stanno portando avanti con risultati choccanti (naturalmente in positivo). Dal loro genio è uscito un linguaggio nuovo e inimitabile del video in verticale che parte dal presupposto che sia Snapchat, sia Instagram, sono editing tool da sfruttare a fondo per “pre-montare” video o per filmare in un modo innovativo, immediato, emozionante e “vicino”.

    Quello che ho capito di Instagram.

    Il montaggio è lineare, la storia è fatta di piccoli shot, le possibili aggiunte grafiche sono colorate, carine, qualche volta eccessive, ma efficaci. Il mondo di Intagram è un mondo che puoi vivere partendo dalle stories, filmarle con il senso di un racconto, dare loro una conseguenzialità o di senso o di tempo, per poi estrarle salvando la storia e ricevendo nel proprio rullino delle foto un pre montato, intero, di quello che è stato immesso nelle stories nelle 24 ore prima. Un modo, questo, di fare shooting di una storia vicina, viva, intima, veloce, per poi uscire dalla app e avere in dono un video (che può essere il racconto fatto e finito o una parte di qualcosa di più grande) già pronto. Instagram è in fortissima ascesa anche per la nascita di IGTV di cui ho parlato in questo articolo, ma c’è a mio avviso anche un altro motivo.

    La tendenza “positiva” di Instagram.

    Parlo di una tendenza di questo social che impone di postare più positività. Semplice il motivo: essendo, di base, un social visuale, non riusciamo tanto facilmente a buttare in pasto al web una foto negativa, tanto quanto, invece, ci viene facile vomitare un testo negativo. Facebook, invece, essendo nato testuale, ci viene più naturale usarlo come sfogatoio di quanto di peggio ci passi per la testa. Semplicemente perché dobbiamo mettere prima il testo e poi la foto, non prima la foto e poi il testo. Non è un discorso trascurabile e non è secondario pensare che Instagram, come editing tool, ci tocchi più da vicino perché ci impone positività.

    Snapchat, però, batte tutti.

    Pochi hanno capito la visionarietà di Snapchat per quanto riguarda il linguaggio video. Molti, me compreso, fanno fatica a capire perché devo smanettare così tanto su una app per far un video che dopo poco sparisce e comunque non ha un affaccio pubblico, a meno che tu noi sia un fenomeno. Eppure gli shot di Snaptchat sono i più colorabili, arricchibili, gestibili. La grande cosa che è capitata in queste ore è molto ben spiegata in questo moment di Twitter.

    Di cosa si tratta? Si tratta di un significativo passo avanti fatto fare agli Spectacles, finora considerati un gadget di poco conto. Ora uno snap girato con gli occhialetti può essere passato sul telefono ed esportato dalla applicazione in diversi formati. Uno di questi è a schermo pieno e può essere inserito nelle storie che si producono anche con montaggio normale e nel vecchio e caro 16/9. Con una mossa, che spero diventi una tendenza, hanno salvato dalla muffa migliaia di occhiali che stanno ancora nei loro magazzini e trasformato Snapchat, definitivamente in una magnifica editing tool al pari di Instagram e oltre.

  • Video con i droni: c’è bisogno di una grammatica

    Video con i droni: c’è bisogno di una grammatica

    Video con i droni: sono in mezzo alle scartoffie.

    Ho controllato ora e posso dirlo: da poche ore, esattamente da ieri, sono un Operatore Sapr (attenzione, non dire mai che sei un pilota perché quelli che hanno preso il patentino si arrabbiano) con il mio Spark ufficialmente registrato all’Ente Nazionale dell’Aviazione Civile sotto il nome di “Davide2012”.

    Beh, sono molto contento, anche se le carte non sono finite. Diventare operatore di volo con i droni è complicato, ma mi stupirei se non fosse così visto che hai tra le mani un aeromobile che può provocare tantissimi danni se non lo sai usare adeguatamente e se non rispetti le regole di volo.

    Sto continuando a guardarmi intorno.

    La mia entrata nel mondo dei droni è un’entrata davvero piena di entusiasmo e del senso di meraviglia per le potenzialità di questi apparecchi tecnologici che, al prezzo di poche centinaia di euro, offrono delle qualità pazzesche per la produzione di immagini. Ho letto siti, guardato articoli, ammirato molti video, ma ho subito notato che c’è un vizio persistente nella videografia dei droni.

    Vuoi sapere quale? Il mezzo con il quale si fanno le immagini, vista la grande potenza evocativa dei ritratti visivi che riesce a fare, diventa il fine di un intero video. Ho visto decine e decine di video tutti omologati nel replicare immagini molto alte, di splendidi paesaggi, di contesti stupendi e legati a doppia mandata con la replica visiva artificiale di un ancestrale desiderio dell’uomo. Quale? Ma quello di volare, naturalmente.

    Raccontami una storia, che diamine.

    Non sono riuscito, davvero, a trovare un video che raccontasse, per mezzo delle immagini del drone, una storia compiuta. Non sono riuscito a capire se ci sia davvero qualcuno che prenda il drone (mezzo) per massimizzare un racconto (fine) e non faccia diventare il fine della sua storia visuale il drone stesso. L’essenza del mobile journalism è questa: valorizzare mezzi inconsueti per scrivere storie non usuali. Senza mai far diventare il mezzo troppo protagonista. Dalle mie prime escursioni da spettatore, quindi, è stato più volte lisciato il pelo dell’Icaro che c’è in me, ma non mi è mai stata raccontata una storia compiuta e resa ancora più unica dalle immagini girate da un drone.

    Mi metto in gioco. Voglio aiutare il movimento dei dronisti italiani ad ampliare il discorso tecnico per costruire una grammatica visuale e creativa dei video con i droni che, da quanto mi pare di aver capito, manca. Desidero davvero che ascese, discese, avvitamenti, cerchi, piani sequenza bassi e alti, immagini in verticale e carrellate a 360 gradi diventino un linguaggio grammaticalmente coerente con quello del racconto visuale e possano essere movimenti ripetibili e inseribili in un discorso. Non dobbiamo insegnare ai droni a mostrarsi, ma per fare video con i droni dobbiamo insegnare ai loro operatori a scrivere.

    Le app non ci devono togliere il lavoro.

    Anche in questo caso, come in tutti gli altri hardware, le app di editing non devono toglierci il lavoro di montaggio e di scrittura per immagini di una storia. E’ un’altra cosa che non mi piace. Davvero negativa. Insomma lo strumento drone non può essere reso ancora più protagonista dai montaggi delle app dei costruttori, le quali continuano a rendere protagonista soltanto lo strumento, togliendo ancora di più autonomia a chi lo usa. Insomma, c’è un vizio di forma che va riparato ed è l’assenza di una grammatica visuale del drone, di un vero e proprio alfabeto del video con i droni. E’ ora di costruirlo.

     

  • Adornato: “Giornalisti e mojo, si può vivere senza editori”

    Adornato: “Giornalisti e mojo, si può vivere senza editori”

    Giornalisti e mojo: c’è una via per esistere anche senza editori.

    Ho avuto la fortuna di incontrare di persona l’amico ed eminente professore di Ithaca College Anthony Adornato. Il docente e scrittore (qui puoi trovare la sua straordinaria opera di cui ho già fatto una review) sta sviluppando una didattica di insegnamento della disciplina del giornalismo del tutto innovativa, prendendo come concetto principale l’idea di insegnare ai nuovi giornalisti a produrre contenuti e prodotti editoriali per il mondo delle news con i mezzi del mobile al fine di destinare il proprio lavoro a tutti i tipi di piattaforme. Il cuore dell’intervista? C’è un modo per essere giornalisti senza passare per forza dagli editori.

    Lo smartphone resta al centro.

    Nella lunga chat che puoi trovare qui sotto, Adornato ha affrontato alcuni temi centrali del nuovo modo di lavorare che devono avere i giornalisti di oggi. “Insegniamo ai nostri ragazzi come gestire una storia – ha raccontato Adornato – per tutte le piattaforme di destinazione possibili, perché ora è questo il nostro lavoro. I giornalisti devono saper dialogare con i lettori e creare fiducia e credibilità. Prima eravamo noi a stabilire quale è la news del giorno, ora il giornalismo è una conversazione e il giovane giornalista deve essere consapevole di questo. Naturalmente facciamo questo percorso didattico facendo rimanere al centro del lavoro dei giornalisti lo smartphone, strumento centrale del lavoro di giornalista ora”.

    Creare una comunità per vivere senza un editore.

    “Saper creare una comunità è anche saper creare fiducia. Questo è il primo passaggio – ha sottolineato Adornato – per essere riconosciuti quali giornalisti come fonte di informazione autorevole e diretta. Il tutto se si è capaci di creare una community che ci segue attorno a un determinato argomento. Noi imponiamo questo passaggio ai nostri studenti, vale a dire che creino la propria nicchia per essere seguiti e riconosciuti, per diventare un brand del campo specifico nel quale si devono specializzare. Questo serve per pubblicare senza aver bisogno di un editore, ma anche per essere adocchiati dagli editori che vogliono ‘prendere’ un determinato giornalista proprio per la community che ha e che lo segue”. Il resto? Goditi la chiacchierata.

  • L’incredibile giorno della morte della tv (e delle homepage… e dei feed)

    L’incredibile giorno della morte della tv (e delle homepage… e dei feed)

    E’ morta la tv, ma non sembra se ne siano accorti in tantissimi…

    Oggi è il giorno in cui è morta la televisione, ma tutto sembra andare bene. Oggi è il giorno in cui il telefonino ha deciso di restare verticale e di costringere tutti a diventare… dritti e non orizzontali come siamo sempre stati. Oggi è il giorno in cui va in pensione in modo permanente la preminenza (era ora) di un modo di vedere e di fare i video che è figlio della tv.

    La tv è morta oggi e si è portata dietro il punto di vista che abbiamo sempre avuto, quel 16/9 che ha sempre ripetuto l’immagine acquisita, appunto, dall’occhio umano che vede, a causa del doppio campo visivo, in orizzontale e non… verticale. Oggi il mondo, però è andato a mettersi in piedi e ha liberato tutti dalla necessità di avere davanti gli schermi in orizzontale. Ma cosa è successo? Dai che lo sai…

    E’ nata IGTV

    Ieri a San Francisco, ma era già oggi in Italia, Kevin Stystrom, fondatore e CEO di Instagram, ha ribaltato il mondo dei social media annunciando il raggiungimento del miliardo di iscritti da parte del social più visuale, ma ha fatto anche di più. In un evento live su Instagram che puoi trovare qui, ha presentato a tutti IGTV, una applicazione di Instagram stand alone che è una vera televisione multicanale piena di contenuti magnifici e di canali creati in queste ore dalle star della rete per dare ai nuovi video addicted un portfolio di possibilità davvero impressionanti. Con IGTV si possono caricare video anche fino a un’ora, pre montati, e creano, assieme alle dirette, il proprio canale video su Instagram.

    L’era degli schermi verticali.

    Nelle ore in cui sbarca in Italia Youtube Music Instagram (di proprietà di Facebook) è andato a intaccare il regno dei video che è del social di Google. Bene, si muove tutto l’universo, ma resta il messaggio chiaro. Quale? Il moto dei video a diventare verticale subirà un’accelerazione violenta e metterà in crisi anche tutto quell’apparato delle TV che ha dettato legge finora.

    Perché adesso è chiaro ed è sancito dal secondo più importante social del mondo: i video si guardano in verticale.

    Tutta la grammatica che abbiamo conosciuto fino a oggi possiamo metterla nel cassetto. Gli schermi che guardiamo più spesso sono in verticale. Bisognerà adeguarsi. D’altronde andate in giro e trovatemi una persona che tiene il telefonino in orizzontale per vedere una cosa: non c’è.

    La televisione è morta oggi, spero le facciano il funerale, perché insomma, mi ha fatto piacere viverla per un po’. Ora facciamo senza.

    Bisogna avere un’idea.

    Per stare su IGTV, però, bisogna avere un’idea e averla precisa. Sai qual è il successo di Instagram? Semplice: dal punto di vista della narrazione della nostra storia o delle storie ci ha regalato la cosa più importante: una porta per entrare nella vita degli altri, ma davvero.

    Per questo se vuoi inventare qualcosa di nuovo devi avere bene in mente come far entrare dentro la porta di casa tua chi ti segue. Io ho deciso di farlo con lo strumento degli Spectacles per raccontare storie, incontri, avventure e giornate mojo. Se vuoi mi trovi su IGVT all’indirizzo @frafacchini. Ti farò vedere anche come costruirò il mio linguaggio verticale proprio grazie a Instagram.

    Il perché del decesso della tv.

    Questa provocazione della morte della tv non è mia ma è di Rudy Bandiera che ha aperto anche lui le danze su IGTV facendo questa boutade, ma motivandola non solo con il cambiamento dell’inquadratura, ma anche con il trionfo dei contenuti a richiesta che IGTV sviluppa. Già, perché in questa niuova finestra sul mondo vedi quello che vuoi tu e quando lo vuoi tu. Dopo Netflix, quindi, la nascita di questa app che ha ribaldato l’inquadratura e fatto esplodere le possibilità di contenuti da vedere in un giorno, c’è da decretare il decesso della tv anche perché nessuno vorrà più aspettare l’orario per vedere una cosa che potrà e vorrà vedere, da oggi sempre di più e sempre in verticale, quando desidera.

    Ecosistema mobile, ma anche i post sono morti (e le homepage)

    Poi va detta anche questa: con questa apertura delle storie a video precaricati di un’ora e visibili solo sulla app per smartphone, l’ecosistema mobile ha, di fatto, creato un mondo che della tv non ha bisogno, ma ha anche messo in pensione i feed, visto che ora sono molto più importanti le stories dei post. Anche il Feed, quindi, è morto, -assieme alle home page dei siti che, ormai, non servono più a nulla. Lo dicevo nel 2015 e oggi si è abbondantemente realizzato il destino delle  pagine iniziali dei siti web che, ormai, non frequenta più nessuno. Ormai andiamo diretti alla fonte o al contenuto passando dai social o guardando chi vogliamo noi, all’ora che vogliamo noi, sullo schermo mobile che vogliamo noi, possibilmente in verticale. Siamo nell’era della post televisione. Benissimo. E’ un’era mojo.

  • Drone per imparare? Il DJI Tello, palestra per un nuovo lavoro

    Drone per imparare? Il DJI Tello, palestra per un nuovo lavoro

    Ho scoperto qual è il drone per imparare davvero: è il Dji Tello, non ha avversari.

    Il drone per imparare era ed è una mia fissa, dopo che ho iniziato questo percorso per diventare un #drojo (drone journalist) di cui forse hai letto (o vuoi leggere) la mia prima puntata.

    Il motivo per cui penso che sia utile, anzi necessario, avere un drone giocattolo con cui “farsi le ossa” è molto semplice. Mi sto avvicinando a questo mondo con gli occhi liberi da pregiudizi e da idee di casta o di combriccola che spesso valgono molto in contesti come questi. Penso che ci siano molte cose dette male, molte cose che non si conoscono, molte storture e molta negatività in un mondo che potrebbe essere una grande opportunità professionale e di passione perché vive con le immagini.

    Avrai letto, forse, che ho già fatto un minimo di chiarezza.

    Nel primo pezzetto che ho fatto sull’argomento, questo qui, ho già messo in fila alcune nozioni sul mondo dei droni che sconfessano luoghi comuni, sfatano miti e smontano leggende. Più sono andato avanti negli esercizi, però, è più mi è sembrato chiaro che avere una palestra in piccolo di quello che poi ti fa fare lo Spark, serviva e serve. Molto. Anche in questo mondo e in questo particolare linguaggio delle immagini, quello che conta e conterà nella mia divulgazione della materia non è la tecnologia, ma il modo con cui si racconta una storia. Nel mondo dei droni, però, la tecnologia, visto che parliamo di macchine volanti, conta e molto.

    Dopo tanti fallimenti ho trovato il divertimento vero.

    Ho presto tre tipi di drone diversi tra i 32 e i 59 euro, comprati tutti su Amazon. Ebbene, si sono rivelati tutti un fallimento, rotti al primo urto o “uccisi” dalla loro scarsa qualità. Ho provato a sparare più in alto e, con 109 euro (ma su Amazon si trova a qualche cosina meno, ho trovato la perfetta palestra per il mio percorso da neofita del drone. Sto parlando del Dji Tello, il nuovo arrivato “basic” di casa Dji. E’ un drone fatto in collaborazione con la Ryze Electronics che monta circuiti della Intel, ha una macchina fotografica da 5 megapixel in grado di fare tranquillamente video 1280×720.

    L’esperienza di volo, specialmente se fatta con il controller Gamesir T1d, è da urlo.

    Essendo molto fedele alle manovre, con il Dji Tello viene facile fare in piccolo tutti quei movimenti di camera che sono utili per fare delle buone riprese aeree. E’ resistente, piccolo, fermo in volo e leggero. E’ un vero spasso, ma per chi vuole fare il drone journalism una tappa obbligata per capire come si fa. L’ho provato, vissuto, smontato, rimontato. Ebbene: ho trovato la palestra perfetta per fare allenamento e quello che ci vuole per imparare a volare con suo fratello maggiore, lo Spark.