Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Il giornalista digitale ha bisogno di etica: ci aiuta Mariagrazia Villa

    Il giornalista digitale ha bisogno di etica: ci aiuta Mariagrazia Villa

    Giornalismo digitale ed etica: binomio imprescindibile

    Ho letto “Il giornalista digitale è uno stinco di santo” (Autrice Mariagrazia Villa, editore Dario Flaccovio) e quando sono arrivato alla fine mi sono accorto di due cose, diciamo, importanti per chi vuole fare il giornalista digitale e riuscire ad andare a dormire sereno tutte le sere.

    Etica necessaria per fare e per capire 

    La prima cosa che ho capito è che questo libro, coraggiosamente dedicato a 27 virtù che deve avere un giornalista per essere vero in questo mondo liquido del web, parla di etica riportandola al centro della professione giornalistica come mai mi era capitato di vederla di recente. Le virtù, le qualità da coltivare e sviluppare se si vuole che il proprio lavoro resti di valore, sono molto importanti e ci differenziano per sempre dagli algoritmi. Per questo coraggio, disponibilità, servizio, empatia, sono attrezzi necessari se vuoi fare questo lavoro facendogli conservare la funzionalità centrale nella società. Di che funzione parlo? Di questa qui sotto.

    Ecco il ruolo del giornalista

    Parliamo di etica, quindi, anche per capire il mondo che ci circonda e che cambia in modo liquido. Dobbiamo usare l’etica perché tutto della nostra professione è cambiato, ma il ruolo di mediazione della realtà resta quello. 

    Nuovi strumenti e contesto

    Virtù dopo virtù, qualità dopo qualità, la Villa nel suo manuale capolavoro dipinge la figura del nuovo giornalista digitale come quella di una mucca viola (per dirla con Seth Godin) che si crea il ruolo e il suo posto in quel postaccio che è il web rafforzandosi con l’allenamento dedicato alle qualità che rendono una persona migliore. Per quello è una mucca viola: così, a ben vedere, son poche poche le persone che cercano ogni giorno di essere migliori…

    Già, la Villa ci dice che il giornalista digitale è uno stinco di santo perché deve esserlo per fare questo mestiere con passione e verità. Peggio è il web e migliore deve essere la persona. Ti rendi conto di quanto questo messaggio sia rivoluzionario?

    Un passaggio sulla mediazione

    La seconda cosa pazzesca

    La seconda cosa importante che ho capito da questo libro è che Mariagrazia, detta Grace, giornalista e docente eccellente, è una fuoriclasse della scrittura di questo tipo di libri.

    Con questo “Il giornalista digitale è uno stinco di santo” riesce a essere alta come una filosofa e amichevole come quella compagna di liceo dietro la quale morivi e che ti faceva i compiti perché le facevi tenerezza. Bella, divertente, profonda, leggera, scorrevole, l’amica che vorresti, la prof di cui ti innamori perdutamente anche se parla di lavatrici.

    Morale? Aprite le aule delle scuole di giornalismo e inondate le aule di questo libro e ricordati: se vuoi essere un vero stinco di santo. Sii eccellente, ogni giorno di più.

  • Gutenberg: la trasformazione mojo di Worpress

    Gutenberg: la trasformazione mojo di Worpress

    La rivoluzione di Gutenberg è arrivata.

    Non sono impazzito e non mi sto riferendo all’inventore della stampa con 500 anni di ritardo. Il mio riferimento è alla nuova versione dell’editor dei testi dei siti in wordpress, come questo, che è destinato a cambiare per sempre le abitudini di lavoro dei comunicatori e dei giornalisti, specialmente se mobile journalist.

    Il fantastico mondo dei blocchi.

    Gutenberg è già presente nel mondo di wordpress sottoforma di plugin che puoi scaricare se vai nella sezione plugin del sito. Una volta attivato, il tuo editor cambia per sempre modo di presentarsi e ti porta nel mondo dei blocchi. Il nuovo editor è quindi pensato a pezzi che compongono il mosaico dell’articolo multimediale che si dipana sulla tua colonna pensato proprio per il mondo mobile. 

    Un collage semplicissimo

    L’articolo multimediale che si compone parola dopo parola è un vero collage che si costruisce con una estrema facilità grazie ai comandi e ai bottoni dell’editor che si possono aggiungere uno dopo l’altro proprio nella modalità più moderna per scrivere un pezzo multimediale, cosa che per noi giornalisti è la normalità. Foto, tweet, filmati, poll, frasi, citazioni, elenchi: tutto viene tirato dentro con grande facilità e riducendo al minimo l’intervento coi codici di colui che scrive.

    Ma la vera bomba è un’altra

    La vera bomba è che questo Gutenberg sembra fatto apposta per la scrittura da smartphone. Io, infatti, sto scrivendo questo articolo dal mio Samsung S8 che è uno degli smartphone meno amichevoli Per quanto riguarda la digitazione. Addirittura in questo paragrafo sto utilizzando la titolazione automatica tramite Google che mi permette di aggiungere velocemente del testo al mio editor.

    In tutto il paragrafo che hai appena finito di leggere, dettato interamente al mio S8, c’è stato un solo errore di trascrizione che ho dovuto correggere a mano. È incredibile, quindi, come il mio sito diventi con Gutenberg uno strumento di creatività multimediale potentissimo.

    Ho messo qui Humans of Ny…

    E l’ho fatto per un motivo. Volevo incorporare un elemento nuovo proveniente da un social diverso per far vedere la versatilità di questo strumento. Molto mojo, anche perché uno dei fattori determinanti della costruzione del giornalista moderno è la crossmedialità. Il tutto anche se mi sembra che l’incorporamento di Instagram non sia responsivo per i cellulari come quello di Twitter qui sopra..

    Io non sono in vacanza ma ko sul divano causa influenza.

    Adesso cambia tutto e cambia anche il mio modo di lavorare. Vi rimando al mio podcast Italian Mojo Stories che stasera manderò on air spiegando tutti i retroscena di questo primo pezzo con Gutenberg fatto mentre ero ko sul divano con in mano un S8.

  • Caro Mentana, non faccia questo errore madornale

    Caro Mentana, non faccia questo errore madornale

    Premessa per i colleghi anglofoni.

    Enrico Mentana è uno dei più affermati giornalisti italiani ed è direttore di La7, un importante canale televisivo del panorama del Bel Paese. Poche ore fa ha postato un annuncio sulla sua pagina facebook, dicendo di voler fondare un giornale online per giovani giornalisti. Ha espresso una lodevole iniziativa, figlia, tuttavia, della cultura vetusta del nostro paese per quanto riguarda i media. Provo a inviargli una lettera pubblica per fargli capire che non è facendo un non ben precisato giornale online per giovani che si interpreta la rivoluzione digitale. Se c’è una speranza per il mondo dei giornali e dei giornalisti, questa speranza si chiama mojo.


    Carissimo Enrico le scrivo…

    Lei non sa chi sono io (nel senso vero della frase, eh), per cui è il caso di presentarsi. Sono Francesco Facchini e sono un giornalista di 47 anni. Per citare una sua immagine, gentilissimo Enrico, sono uno di quelli in piedi e senza garanzie, pur avendo 30 anni di carriera e un figlio a carico. Insomma, ho un difetto, non sono giovane.

    Ho letto con enorme interesse questo post sulla sua decisione di fondare un giornale online che sia “casa” per giovani giornalisti e che sia un modo, per lei, per ridare qualcosa a un mondo che tanto ha dato a lei. Encomiabile, lo sto facendo anche io e le dico come. Sono il divulgatore italiano (assieme a strepitosi colleghi come Nico Piro) della cultura del mobile journalism, nuova corrente della professione giornalistica.

    Uno strumento, si chiama mojo.

    Con coraggio stiamo spezzando le catene dei vecchi modi di fare video, broadcasting, tv e affini con i mezzi e i linguaggi che la tecnologia ci ha messo in tasca. Sto offrendo uno strumento: mi è capitato di insegnare questa disciplina allo Iulm, a Pavia, alla Lumsa. Mi è capitato di rappresentare l’Italia a convegni mondiali della materia. Un’Italia assente, ignorante e disinteressata della materia che mostra ogni giorno di più di non conoscere. In Italia il mobile journalism viene scambiato per “ah ma noi c’abbiamo la app…”. E si continua a non sapere cos’è o a considerarlo come un add on “quando non posso fare le cose come si deve”. Il tutto mentre il 70% del mondo vede il web da uno smartphone e non frequenta più i siti, ma arriva alle notizie dal suo social preferito. Il tutto mentre grandi tv mandano in onda produzioni fatte e montate con gli iPhone e Soderberg esce con un film (“Unsane”) che ha definito l’esperienza “più liberatoria della sua carriera”.

    Il quotidiano digitale? Morto.

    Ora lei mi stupisce positivamente quando fa una proposta del genere, ma sinceramente la trasforma in un errore madornale in poche righe. Non lo faccia la prego… e ora le spiego perché. Lei parla di quotidiano digitale, ma commette l’imprecisione di non chiarire il fatto che non è “fare un sito” quello che serve ora. Il sito, il “quotidiano digitale” è morto, è finito. Le home page non le frequenta più nessuno. Ora i lettori, ne sia testimonianza l’enorme successo del suo post, sono altrove e il “quotidiano digitale” di cui lei parla non può essere un sito e stop. Dev’essere un hub crossmediale di informazione e attraversare tutte le piattaforme di cui è dotato l’universo. Deve esserci dove ci sono i lettori e pensare che i lettori leggono da un telefonino… (comincio ad avvicinarmi al mio argomento).

    L’assistenzialismo tutto italiano…

    Poi, mi permetta la sincerità, moltiplica l’errore parlando di contributi economici, di mecenati, di iniziativa “in passivo che ripianerò io….”. Glielo dico con grande onesta: questa è un’enorme cavolata. Per un motivo molto semplice: Lei, dall’alto del suo brand, non deve proporre al pubblico un modello di business che forse diventerà profittevole. Lei a quei giovani cui si rivolge, deve dare in mano lo strumento per guadagnare.

    Sì, guadagnare, da subito, magari poco, ma da subito. I media italiani sono finiti in questa poltiglia perché hanno vissuto con la pancia piena per decenni e non hanno sviluppato la cultura per rinnovarsi e guadagnare. E lei propone un’iniziativa che la renderà certamente martire del portafoglio. Non lo faccia, non faccia in modo che il suo nuovo sito sia una “cassa assistenziale” per giovani senza lavoro assistiti da vecchi con una pensione da favola.

    Io ci metto il mio contributo.

    La sua figura è una di quelle che si staglia perfettamente nel panorama italiano per intelligenza e autorevolezza. Ecco, non cada in questo errore e scuota il mondo dell’informazione mettendo a frutto la sua potenza per creare un medium CHE GUADAGNI, da subito, e assuma giovani. A questo punto io, in qualità di presidente di Italian Mojo, associazione culturale che diffonde il mobile journalism, ci metto del mio e la sfido. Se lo vuole fare lo faccia con le tecniche del mobile journalism e della mobile content creation. Perché in un mondo dei media che vive grazie agli smartphone, dovremo cominciare anche a pensare ai prodotti mediatici cominciando dallo smartphone. Questo potrebbe essere il mio contributo.

    Venga al festival di Roma.

    Venga a vedere la nostra community e il nostro movimento al festival di Roma che sta organizzando la community di Nico Piro. Mi dia 10 minuti del suo tempo per spiegarle il mojo e per consegnarle la tessera numero 10 di socio onorario dell’associazione. Poi faccio di più. Mi offro per venire a insegnare mojo nel suo nuovo giornale: è il mio lavoro. Se il suo progetto avrà le caratteristiche e la prospettiva che le ho raccontato in queste righe possiamo fare anche un’introduzione gratuita alla materia (in due ore posso fa innamorare tutti, lei compreso). Perché se lei vuol dare un senso a quello che ha scritto dia ai giovani futuro, non assistenza.

    Con stima.

    Francesco Facchini

  • Snapchat e Instagram? Sono meravigliosi programmi di montaggio

    Snapchat e Instagram? Sono meravigliosi programmi di montaggio

    Snapchat, Instagram e mobile journalism, un matrimonio possibile.

    Due ragionamenti iniziali: parlare di snapchat è dura. Capire snapchat è un’ impresa.

    Fare tanta fatica per una cosa che poi non resta e sparisce in pochi secondi è una situazione che noi comunicatori di una certa età non riusciamo a sopportare. Devo ammetterlo: ho seguito i panel a Galway 2017 di Yusuf Omar e sua moglie Sumaiya, ma ne sono uscito con le ossa rotte. Ho replicato a Galway 2018, a Mojofest e mi si è aperto un mondo perché ho compreso come utilizzare queste due app in modo da creare, sia con Instagram, sia con Snapchat, un linguaggio unico.

    L’ho capito anche in molti mesi di studio del progretto Hashtag Our Stories che Yusuf e Sumaiya stanno portando avanti con risultati choccanti (naturalmente in positivo). Dal loro genio è uscito un linguaggio nuovo e inimitabile del video in verticale che parte dal presupposto che sia Snapchat, sia Instagram, sono editing tool da sfruttare a fondo per “pre-montare” video o per filmare in un modo innovativo, immediato, emozionante e “vicino”.

    Quello che ho capito di Instagram.

    Il montaggio è lineare, la storia è fatta di piccoli shot, le possibili aggiunte grafiche sono colorate, carine, qualche volta eccessive, ma efficaci. Il mondo di Intagram è un mondo che puoi vivere partendo dalle stories, filmarle con il senso di un racconto, dare loro una conseguenzialità o di senso o di tempo, per poi estrarle salvando la storia e ricevendo nel proprio rullino delle foto un pre montato, intero, di quello che è stato immesso nelle stories nelle 24 ore prima. Un modo, questo, di fare shooting di una storia vicina, viva, intima, veloce, per poi uscire dalla app e avere in dono un video (che può essere il racconto fatto e finito o una parte di qualcosa di più grande) già pronto. Instagram è in fortissima ascesa anche per la nascita di IGTV di cui ho parlato in questo articolo, ma c’è a mio avviso anche un altro motivo.

    La tendenza “positiva” di Instagram.

    Parlo di una tendenza di questo social che impone di postare più positività. Semplice il motivo: essendo, di base, un social visuale, non riusciamo tanto facilmente a buttare in pasto al web una foto negativa, tanto quanto, invece, ci viene facile vomitare un testo negativo. Facebook, invece, essendo nato testuale, ci viene più naturale usarlo come sfogatoio di quanto di peggio ci passi per la testa. Semplicemente perché dobbiamo mettere prima il testo e poi la foto, non prima la foto e poi il testo. Non è un discorso trascurabile e non è secondario pensare che Instagram, come editing tool, ci tocchi più da vicino perché ci impone positività.

    Snapchat, però, batte tutti.

    Pochi hanno capito la visionarietà di Snapchat per quanto riguarda il linguaggio video. Molti, me compreso, fanno fatica a capire perché devo smanettare così tanto su una app per far un video che dopo poco sparisce e comunque non ha un affaccio pubblico, a meno che tu noi sia un fenomeno. Eppure gli shot di Snaptchat sono i più colorabili, arricchibili, gestibili. La grande cosa che è capitata in queste ore è molto ben spiegata in questo moment di Twitter.

    Di cosa si tratta? Si tratta di un significativo passo avanti fatto fare agli Spectacles, finora considerati un gadget di poco conto. Ora uno snap girato con gli occhialetti può essere passato sul telefono ed esportato dalla applicazione in diversi formati. Uno di questi è a schermo pieno e può essere inserito nelle storie che si producono anche con montaggio normale e nel vecchio e caro 16/9. Con una mossa, che spero diventi una tendenza, hanno salvato dalla muffa migliaia di occhiali che stanno ancora nei loro magazzini e trasformato Snapchat, definitivamente in una magnifica editing tool al pari di Instagram e oltre.

  • Video con i droni: c’è bisogno di una grammatica

    Video con i droni: c’è bisogno di una grammatica

    Video con i droni: sono in mezzo alle scartoffie.

    Ho controllato ora e posso dirlo: da poche ore, esattamente da ieri, sono un Operatore Sapr (attenzione, non dire mai che sei un pilota perché quelli che hanno preso il patentino si arrabbiano) con il mio Spark ufficialmente registrato all’Ente Nazionale dell’Aviazione Civile sotto il nome di “Davide2012”.

    Beh, sono molto contento, anche se le carte non sono finite. Diventare operatore di volo con i droni è complicato, ma mi stupirei se non fosse così visto che hai tra le mani un aeromobile che può provocare tantissimi danni se non lo sai usare adeguatamente e se non rispetti le regole di volo.

    Sto continuando a guardarmi intorno.

    La mia entrata nel mondo dei droni è un’entrata davvero piena di entusiasmo e del senso di meraviglia per le potenzialità di questi apparecchi tecnologici che, al prezzo di poche centinaia di euro, offrono delle qualità pazzesche per la produzione di immagini. Ho letto siti, guardato articoli, ammirato molti video, ma ho subito notato che c’è un vizio persistente nella videografia dei droni.

    Vuoi sapere quale? Il mezzo con il quale si fanno le immagini, vista la grande potenza evocativa dei ritratti visivi che riesce a fare, diventa il fine di un intero video. Ho visto decine e decine di video tutti omologati nel replicare immagini molto alte, di splendidi paesaggi, di contesti stupendi e legati a doppia mandata con la replica visiva artificiale di un ancestrale desiderio dell’uomo. Quale? Ma quello di volare, naturalmente.

    Raccontami una storia, che diamine.

    Non sono riuscito, davvero, a trovare un video che raccontasse, per mezzo delle immagini del drone, una storia compiuta. Non sono riuscito a capire se ci sia davvero qualcuno che prenda il drone (mezzo) per massimizzare un racconto (fine) e non faccia diventare il fine della sua storia visuale il drone stesso. L’essenza del mobile journalism è questa: valorizzare mezzi inconsueti per scrivere storie non usuali. Senza mai far diventare il mezzo troppo protagonista. Dalle mie prime escursioni da spettatore, quindi, è stato più volte lisciato il pelo dell’Icaro che c’è in me, ma non mi è mai stata raccontata una storia compiuta e resa ancora più unica dalle immagini girate da un drone.

    Mi metto in gioco. Voglio aiutare il movimento dei dronisti italiani ad ampliare il discorso tecnico per costruire una grammatica visuale e creativa dei video con i droni che, da quanto mi pare di aver capito, manca. Desidero davvero che ascese, discese, avvitamenti, cerchi, piani sequenza bassi e alti, immagini in verticale e carrellate a 360 gradi diventino un linguaggio grammaticalmente coerente con quello del racconto visuale e possano essere movimenti ripetibili e inseribili in un discorso. Non dobbiamo insegnare ai droni a mostrarsi, ma per fare video con i droni dobbiamo insegnare ai loro operatori a scrivere.

    Le app non ci devono togliere il lavoro.

    Anche in questo caso, come in tutti gli altri hardware, le app di editing non devono toglierci il lavoro di montaggio e di scrittura per immagini di una storia. E’ un’altra cosa che non mi piace. Davvero negativa. Insomma lo strumento drone non può essere reso ancora più protagonista dai montaggi delle app dei costruttori, le quali continuano a rendere protagonista soltanto lo strumento, togliendo ancora di più autonomia a chi lo usa. Insomma, c’è un vizio di forma che va riparato ed è l’assenza di una grammatica visuale del drone, di un vero e proprio alfabeto del video con i droni. E’ ora di costruirlo.

     

  • Adornato: “Giornalisti e mojo, si può vivere senza editori”

    Adornato: “Giornalisti e mojo, si può vivere senza editori”

    Giornalisti e mojo: c’è una via per esistere anche senza editori.

    Ho avuto la fortuna di incontrare di persona l’amico ed eminente professore di Ithaca College Anthony Adornato. Il docente e scrittore (qui puoi trovare la sua straordinaria opera di cui ho già fatto una review) sta sviluppando una didattica di insegnamento della disciplina del giornalismo del tutto innovativa, prendendo come concetto principale l’idea di insegnare ai nuovi giornalisti a produrre contenuti e prodotti editoriali per il mondo delle news con i mezzi del mobile al fine di destinare il proprio lavoro a tutti i tipi di piattaforme. Il cuore dell’intervista? C’è un modo per essere giornalisti senza passare per forza dagli editori.

    Lo smartphone resta al centro.

    Nella lunga chat che puoi trovare qui sotto, Adornato ha affrontato alcuni temi centrali del nuovo modo di lavorare che devono avere i giornalisti di oggi. “Insegniamo ai nostri ragazzi come gestire una storia – ha raccontato Adornato – per tutte le piattaforme di destinazione possibili, perché ora è questo il nostro lavoro. I giornalisti devono saper dialogare con i lettori e creare fiducia e credibilità. Prima eravamo noi a stabilire quale è la news del giorno, ora il giornalismo è una conversazione e il giovane giornalista deve essere consapevole di questo. Naturalmente facciamo questo percorso didattico facendo rimanere al centro del lavoro dei giornalisti lo smartphone, strumento centrale del lavoro di giornalista ora”.

    Creare una comunità per vivere senza un editore.

    “Saper creare una comunità è anche saper creare fiducia. Questo è il primo passaggio – ha sottolineato Adornato – per essere riconosciuti quali giornalisti come fonte di informazione autorevole e diretta. Il tutto se si è capaci di creare una community che ci segue attorno a un determinato argomento. Noi imponiamo questo passaggio ai nostri studenti, vale a dire che creino la propria nicchia per essere seguiti e riconosciuti, per diventare un brand del campo specifico nel quale si devono specializzare. Questo serve per pubblicare senza aver bisogno di un editore, ma anche per essere adocchiati dagli editori che vogliono ‘prendere’ un determinato giornalista proprio per la community che ha e che lo segue”. Il resto? Goditi la chiacchierata.