Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Mojofest: sarò uno degli speaker con il dito puntato sul problema

    Mojofest: sarò uno degli speaker con il dito puntato sul problema

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    Mojofest mi ha insignito di un grande onore: moderare un panel che punta il dito sul problema.

    Ho saputo solo da qualche giorno che sarò tra gli speaker di Mojofest.

    Si tratta della massima espressione della comunità internazionale del mobile journalism e della mobile content creation, un evento che, non senza difficoltà, vede la luce in modo indipendente e autonomo con le modalità che ho spiegato qualche tempo fa in questo articolo. Il tutto dopo tre anni di Mojocon, la Mobile Journalism World Conference che era nata nel 2015 sotto l’egida di RTE.

    Sarò addirittura fra i moderatori di un panel che potete trovare qui. Punteremo il dito sul centro del problema, anche perché a Mojofest ci sarà davvero il nucleo della mojo community internazionale e sarà davvero importantissimo poter dire le cose come stanno. Della serie: bello il mojo, ok. Però come risolviamo il problema di metterlo davvero in campo nelle redazioni e nella vita quotidiana dei giornalisti?

    Implementing mojo.

    Ecco: questo è il titolo del mio panel. Abbiamo a disposizione un’ora per raccontare, ai quasi mille delegati di Mojofest, quali sono le vie, le esperienze, i progetti, i passi per introdurre il mojo nei paesi “ostili”, nei contesti culturali del giornalismo più difficili. Ti aspetterai che ti parli di paesi poveri e di situazioni limite e, invece, i contesti in cui è più duro introdurre il mojo sono proprio quelli di paesi occidentali come il nostro, come la Spagna, l’Argentina. Anche nel mondo anglosassone, però, non è molto più facile.  Là dove, infatti, ci sono innovatori che vanno predicando il mobile journalism, ci sono anche redazioni che gridano allo scandalo se uno fa un video con un telefonino o sindacati che si mettono di traverso. Sta succedendo e succede. Ma…

    Come superare tutto questo?

    Tutto questo si supera condividendo le esperienze e trovando il modo di cambiare le cose dal basso. Lo sta facendo la mia Italian Mojo con i suoi meet up, ma lo sta facendo, per esempio, Mojo Italia che fa corsi ed eventi come il Festival che andrà in scena a settembre. Tutti gli ostacoli si possono superare se si introduce la cultura mojo nelle scuole, nelle università. Tutto può essere guardato in modo diverso se si apre la visione a un linguaggio visuale che deve essere visto come il linguaggio comune per scambiare messaggi e, quindi, il linguaggio più importante per fare informazione.

    Un linguaggio nuovo, un mondo nuovo.

    Il mobile journalism non deve essere introdotto nelle redazioni come un avversario del modo costituito di fare contenuti, ma come un linguaggio diverso e una possibilità ulteriore. Per fare questo ho cercato di promuovere e ho cercato di portare avanti io stesso un’idea di panel che potesse mettere a disposizione di chi sarà lì (o chi in qualche modo seguirà la manifestazione) una serie di esperienze, di riflessioni e di consigli che siano utili e operativi per chi debba portare il mojo nel proprio contesto e non sa da dove cominciare.

    Il lineup del mio panel.

    Con me ci saranno uno dei leader del gruppo latino-americano dei mojoer, l’argentino Matias Amigo, autore tra l’altro di una splendida guida sul mojo che puoi trovare qui, l’amico fraterno Urbano Garcia Alonso, il “maestro” olandese del mojo Wytse Wellinga (guarda il libro meraviglioso che ha realizzato e compralo subito se vuoi sapere di mojo)  e, ultima entrata di pochi minuti fa Caroline Scott di Journalism.co.uk.

    Resta una cosa da dire.

    Ho voluto dare il mio contributo a Mojofest perché sono abituato a dare prima di pensare a ricevere. Ho creato, in questo anno o poco più, un vero movimento che è partito proprio da quello che avevo appreso a Galway nella tre giorni di Mojocon che ancora campeggia qui su questo sito. I contenuti ancora li puoi vedere. Così come puoi vedere la serie di indicazioni che l’organizzatore di Mojocon prima e Mojofest poi, Glen Mulcahy, mi aveva dato in questa intervista.

    Avendo realizzato buona parte dei sogni che mi aveva messo davanti ho deciso di lavorare per dare anche io qualcosa a quella community internazionale che molto ha dato a me. Così ho proposto questo panel che è stato accettato. E’ il mio modo di ridare qualcosa a chi mi ha dato molto. In Italia, però, ancora non ho visto crescere questo tipo di atteggiamento per poter rinnovare la cultura della professione giornalistica. Forse perché non si riesce, vista la crisi, a dare. Si cerca solo di ricevere. Questo non porta a nulla, nemmeno alla sopravvivenza. Cos’ si muore, lentamente, ma si muore.

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  • Montaggio su Android: l’esperienza degli spagnoli di Videona

    Montaggio su Android: l’esperienza degli spagnoli di Videona

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    A Madrid ho incontrato i ragazzi di Videona: ecco dalle loro parole cosa vuol dire sfidare il mercato del montaggio su Android.

    Ecco gli outsider di ViMojo.

    Sono in vacanza a Madrid. Ok, lo so, non dovrei rompere le scatole con dei nuovi post, ma ti devo confessare che scrivere mi fa stare bene anche quando non lavoro. Lo faccio perché amo farlo, così come amo perdermi nelle città straniere che visito, specialmente se è per la prima volta, magari facendo diventare reali amicizie virtuali della community mojo. Questo giro, nella capitale spagnola, sono stato a trovare dei ragazzi di Videona, la start up iberica che con l’applicazione ViMojo si sta ritagliando un ruolo di rispetto nel mondo dei programmi di montaggio su Android.

    Una sfida affascinante.

    In un mercato dominato dall’applicazione Kinemaster, l’esperienza di ViMojo è una sfida affascinante. Ho provato già qualche tempo fa la app e la prova la puoi vedere qui sotto. Si tratta di un buon starting point per chi voglia fare montaggio su Android. Ha un buon ambiente per filmare, un ambiente basico per montare in lineare e poche soluzioni di grafica per favorire l’aspetto del montaggio veloce e lineare con obiettivo di andare a pubblicazione in modo veloce.

    Nella mia visita ho incontrato i due fondatori.

    Si tratta di Pablo Fernandez Maquieira e di Iago Fdez Cedron, due professionisti del digitale e due visionari. Ho fatto con loro una lunga chiacchierata e ho trovato che ha un grande senso il percorso “basic” della loro applicazione. Il motivo? Ha una missione molto interessante, rivelata da Pablo nella chiacchierata che vedi qui sotto. “L’obiettivo che vogliamo raggiungere con ViMojo è semplice – ha rivelato il giovane professionista della start up che è ospitata a Campus Madrid – ed è quello di far imparare a tutti la scrittura del linguaggio video”. Boom, questa frase mi è risuonata nella testa per ore e rappresenta bene VimoJo e le sue potenzialità, potenzialità che cercherò di aiutare a rivelare al mondo visto che sono stato “nominato” dai ragazzi Advisor della applicazione. Potenzialità che i ragazzi stanno tentando di esprimere anche nell’ambiente iOS, nonostante la concentrazione dei loro sviluppatori sia tutta focalizzata sul lato Android.

    Mi hanno regalato 10 codici di licenza gratuita.

    A questo proposito i primi 10 che si metteranno in contatto con me riceveranno, se sono del mondo Android in particolare modo, 10 codici di licenza di questa app. Si, hai letto bene, di licenza gratuita. Fatti sotto.

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  • Come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism

    Come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism

    Vuoi sapere come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism?

    Strano, ma vero: non ho mai risposto a questa domanda sul blog.Eppure mi sono sentito fare questa domanda centinaia di volte. “Francesco, che telefono mi consigli? Francesco, questo xxx va bene? Francesco ma c’è in offerta questo telefono: cosa faccio, lo prendo?”: ho ricevuto decine e decine di messaggi come questo, ma ho risposto prima in inglese che in Italiano. Già, perché nel mio account di Medium sto allestendo alcuni discorsi sul mobile journalism per “Dummies”, per impediti, e una delle domande cui ho deciso di dare risposta subito e proprio questa sul come acquistare lo smartphone giusto. Però l’ho fatto in inglese. Ora riparo il guaio e te lo racconto anche in italiano, la qual cosa può essere utile specialmente se capiti da queste parti per la prima volta.

    Regola numero uno: mai un telefono nuovo.

    Ti chiederai perché, ma la risposta è molto semplice. Il telefono nuovo costa e, sinceramente, visto che fai o vuoi fare il mobile journalist, le possibilità che ti cada o ti venga rubato sono molte di più rispetto a quelle di un possessore normale.  Oltretutto i telefoni più rodati sono anche più stabili e meno “sottoposti” a eventuali crash di tenuta del sistema operativo. In certi casi, poi, cambiano addirittura le gesture e i modi d’uso del telefono stesso (vedi l-iPhone X). Di conseguenza potrebbe essere difficile riabituarsi. Io ti consiglio una cosa del genere: se esce l’ultimo modello è il momento, se proprio devi cambiare il telefono, di prendere quello prima.

    Android o iOS?

    In Italia il 70 per centro dei telefonini che girano è Android, il 30%  è Apple. Se desideri che ti aiuti a scegliere come acquistare lo smartphone giusto per te ti suggerisco di capire prima che tipo di mobile journalist sei. Se hai una necessità di qualità dell’immagine, sia fotografica, sia video, ti posso dire che gli Android battono gli iPhone.

    Se vuoi invece avere più possibilità di lavorare meglio l’immagine dopo, con migliori applicazioni di montaggio, prendi uno smartphone della mela. Nella bibbia su come acquistare lo smartphone giusto, però, devo mettere un altro distinguo. Per il montaggio delle immagini, l’applicazione più importante del mondo Android è Kinemaster. Ecco, se vuoi acquistare lo smartphone Android, bada che sia compatibile con Kinemaster in tutte le sue funzioni. Per farla breve: se sei più fotografo acquista Android, se sei un videomaker mojo acquista Apple.

     Il processore e la Ram.

    Siccome vuoi fare il mobile journalism devi avere, comunque, a disposizione una macchina di ultima generazione, affinché i processori e la Ram ti garantiscano una buona velocità di operazione soprattutto quando stai editando un video e muovi tanti dati. Gli iPhone, con l’A11, sono arrivati a una potenza di calcolo degna di un palazzo della IBM dentro un palmo di una mano. Nel mondo Android, invece, gli ultimi processori Snapdragon (montati sui Samsung) e gli ultimi Kirin (come il 970 montato su Huawei P20) sono il massimo. Certamente la ram deve essere da tre in su, ma questo è quasi un assunto.

    Gli ultimi sistemi operativi.

    Nel percorso su come acquistare lo smartphone giusto va anche evitato l’ultimo sistema operativo (almeno dove possibile). L’ultimo OS, infatti, è solitamente causa di chiusure inaspettate e salti di app che possono mettere a repentaglio il lavoro che hai fatto. L’ultimo sistema operativo, oltretutto, può essere un vero mangia batteria Se l’hardware che prendi non è di ultima generazione. Sul mio S8 Samsung senti un po’ cosa è successo.

    Il budget, la memoria e i pensieri affini.

    Se la batteria è ko dopo due ore, quindi, sei ko anche tu. Il cellulare, naturalmente, deve anche essere resistente agli urti e non deve preoccuparti troppo come protezioni e manutenzioni. Il ragionamento centrale, poi, è quello che riguarda il budget. Siamo freelance e dobbiamo ragionare come un’azienda: allora per sapere come acquistare lo smartphone giusto per il mobile journalism bisogna anche partire dal budget.

    Penso che entro i 550 euro si può restare tranquillamente e ce ne restano ancora un paio di centinaia per aquistare un buon microfono professionale, spesso attrezzo più importante per il videomaker mojo del telefono stesso. Un altro criterio importante è la memoria, grazie alla quale possiamo avere più o meno libertà operativa. Dai 64 giga in tu è tutto buono, meno è un casino. Pensaci.

    L’ultima riflessione è per un pensiero laterale che mi viene ogni volta che faccio questi pezzi. Non spendere troppo, perché la vera differenza la farà la storia che finirà dentro il telefono. Certamente non il telefono stesso.

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  • Trovare lavoro: i dieci libri che possono cambiarti la carriera

    Trovare lavoro: i dieci libri che possono cambiarti la carriera

    Trovare lavoro: è una questione di studio e cambiamento.

    In questi giorni ho ricominciato lo studio la scrittura per portare a compimento il progetto di scrivere un libro sul mobile journalism e per realizzare la didattica dei miei primi corsi avanzati. Studiare è per me una necessità primaria e lo è per poter trovare il lavoro e far crescere il lavoro. Rituffandomi nei libri ho capito che sto studiando dei volumi che mi regalano tali e tante informazioni, tali e tanti stimoli da cambiarmi come persona. Ho una bibliografia vasta, tutta nel mio iPad, la quale mi deve aiutare a far crescere alcuni aspetti del mio lavoro e dei miei progetti, ma mi sono accordo che si tratta di volumi che possono cambiare la vita e la carriera di chiunque. Fatto questo pensiero ho deciso di girarteli, con la speranza che sortiscano su di te l’effetto che hanno sortito su di me. Ti avviso che i riferimenti precisi li troverai cliccando sui titoli dei libri stessi.

    1. Più dai, più hai. Adam Grant.

    Trovare lavoro significa raggiungere un obiettivo. Per raggiungere un obiettivo che finora non hai raggiunto devi cambiare. Ti devi spogliare di qualsiasi egoismo e imparare a dare, molto prima di ricevere. Questo libro del giovane psicologo americano rivoluziona i comportamenti sul lavoro e fa capire molto bene a noi italiani, popolo di stronzi egoisti, che se vogliamo andare avanti, dobbiamo smettere di prendere e cominciare a dare. Il geniale Grant, che trovi qui, è psicologo e ha lavorato alla Wharton School of Economics prima di diventare milionario con i suoi libri (spero per lui). Ha il merito di essere semplice, chiaro e didascalico. Ha il merito di cambiarti e di farlo sulla base di teorie economiche ben precise.

    2. E non dimenticarti di essere felice. Christophe André.

    Un altro psicologo, esattamente il papà della psicologia positiva. Il dottore francese propone un breviario di esercizi che mi è davvero servito quando la situazione non era facile e non sapevo come tirar fuori soldi per campare. Mi ha fatto imparare che la felicità è una scelta, anche nel campo del lavoro. Mi ha fatto capire come essere felice dei miei si, ma anche dei miei no. Ha dentro un alfabeto della felicità che segna davvero un cambiamento, se lo vuoi ascoltare.

    3. iPhone millionaire. Michael Rosenblum

    Per un decennio ho studiato e lavorato sui telefonini, per un decennio ho pensato che quell’aggeggio che avevo tra le mani poteva darmi da mangiare e cambiare la vita. Poi ho trovato la mojo community e ho capito che non ero il solo stronzo ad aver fatto questo ragionamento. Ho incontrato e conosciuto tutti i grandi del mobile journalism e ho iniziato a studiare. Il padre di tutti i libri sul mojo? E’ quello di Michael Rosenblum che insegna idee, tecnica, accorgimenti, business model, comportamenti e modi per diventare un mobile journalist e fare soldi con il tuosmartphone.

    4. The Mojo Handbook. Burum e Quinn

    E’ il manuale di riferimento del mobile journalism ed è il libro che regala una visione di insieme chiara e di carattere accademico sulla materia. Ivo Burum e Stephen Quinn ne sono gli autori e sono coloro che, per primi, hanno messo ordine nel mojo, il quale, essendo una rivoluzione culturale partita dal basso, è per sua natura disordinato e ondivago. Si tratta di un manuale universitario che è di tale importanza da dividere il tempo dei mojo in prima di questo libro e dopo questo libro.

    5. Le 42 leggi del digital carisma, Rudy Bandiera. 

    Ho letto questo libro quando non sapevo ancora che immagine digitale volevo costruire di me. Beh, si è rivelato un breviario indispensabile per costruire una parte della figura professionale determinante se vuoi fare il giornalista oggi. Di cosa sto parlando? Sto parlando del personal branding. Il grande Rudy, però, non c’azzecca alcunché con i video o col giornalismo, ma regala un manuale strepitoso di comportamento e di atteggiamento online che tutti coloro che fanno giornalismo e comunicazione adesso, devono leggere.

    6. Fai di te stesso un brand. Riccardo Scandellari.

    Il massimo esperto di Presonal Branding in Italia è lui e non puoi fare a meno di passare da questo libro se desideri costruirti un brand che ti faccia riconoscere nel digitale e trovare lavoro o crescere professionalmente. Se hai qualcosa da comunicare, qualsiasi coda, questo lo devi tenere sotto il cuscino. Il Personal Branding che ti costruisci è la strada principale della tua carriera. Grazie a questo libro cominci a smettere, se lo metti in pratica, di inseguire il lavoro e fai in modo che il lavoro insegua te.

    7. Resisto, dunque sono. Pietro Trabucchi.

    Se hai bisogno di una mappa per sapere la direzione dove andare in questo nostro campo di lavoro così massacrato e incerto ti serve il Trabucchi. Questo libro è il manuale italiano di resilienza più importante e io ne ho già parlato su questo blog l’anno scorso. Se hai bisogno di capire in modo più approfondito di cosa di tratta ti rimando alla recensione che ne feci nel luglio del 2017. La feci da papà, pensando alle difficoltà che si affrontano quando sei un genitore single come me, ma va bene anche per il lavoro. Devi essere più forte della mediocrità, della rassegnazione, della fatica, della frustrazione e questo libro ti serve eccome.

    8. Live like Fiction. Francesco Paulo Marconi. 

    Ok, hai imparato come si costruisce un Personal Brand? Ecco, adesso trasformati nella superstar che sei e che non sapevi di essere. Il percorso di Francesco Paulo Marconi, capo della Research and Development del WSJ, è un percorso che dura nel tempo e ti indica esercizi e tecniche per diventare il sucesso che sei… Si, hai letto bene, non sto sparando minchiate. Diventa l’uomo di successo che sei e fallo raccontando e vivendo la tua vita come una fiction. La tua vera fiction. E non sto parlando di fare il fenomeno, ma semplicemente di esprimere pubblicamente la realizzazione del tuo percorso. Trovare lavoro diventerà una cosa che, forse, nemmeno di serve più.

    9 Rock and Blog. Riccardo Scandellari. 

    Sto ragazzo l’ha fatta grossa. Ha sfidato il drago e ha vinto e, dopo aver fatto esperienza con la grande Flaccovio, è andato a giocare in Champions League. E l’ha vinta facendo un libro che sta due piani più su di quanto stessero gli altri. Lo aspettavo al varco, mi aspettavo una delusione. Ha strabattuto tutte le mie titubanze, tanto che ne parlerò anche nei prossimi giorni, quando avrò finito di mangiarlo. E’ un libro che se vuoi trovare lavoro, ti fa prima trovare te, poi il lavoro che ti serve.

    10. Mobile Storytelling: A journalist´s guide to the smartphone galaxy

    Il libro di  Bjorn Staschen e Wytse Vellinga fa diventare il mobile journalism materia universitaria di primo livello tra quelle che si studiano nel giornalismo (o meglio che si dovrebbero studiare,  visto che in Italia non siamo ancora in grado di poter dire che si studia mojo nelle scuole di giornalismo). C’è tutto if you want to be a mojo. Anche di questo libro farò una precisa recensione staccata da questa lista quando avrò finito di studiare. 

    Naturalmente se guardo nella mia biblioteca nell’ipad c’è altro. Altrettanto naturalmente ti dico che nei prossimi mesi aggiungerò dei pezzi. Dividere la conoscenza arricchisce. In tutti i sensi, anche economicamente.

  • Luma Fusion: le cose che ho scoperto studiando per un nuovo corso

    Luma Fusion: le cose che ho scoperto studiando per un nuovo corso

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    Luma Fusion: la Ferrari delle applicazioni di montaggio.

    Con l’associazione Italian Mojo sto preparando il primo corso della mia giovane storia di docente mirato su una delle più importanti applicazioni per il mobile journalism: Luma Fusion. Se segui questo blog te ne avevo già parlato. Questo, per esempio, è il post nel quale raccontavo le ultime novità della release più recente. Tuttavia ho sempre seguito l’app realizzata da Terri Morgan e Chris Demiris come un riferimento importantissimo della cultura del mobile journalism.

    Premiere o Final Cut? No, molto meglio.

    Io non ho lavorato in Final Cut e ho lavorato molto in ambiente Premiere. So per quel che ho visto e per quel che ho vissuto sulla punta del mio mouse che Luma Fusion è meglio ed è più facile da vivere, da interpretare. L’intuitività dei comandi di base, ma anche dei piccoli trucchi segreti, mi ha sempre sorpreso e mi ha sempre fatto fare le cose che facevo con il software di Adobe nella metà del tempo. Per questo ho raccontato Luma Fusion come l’app che ha, di fatto, annullato la differenza tra il montaggio con smartphone e Tablet e il montaggio via pc.

    Ora sto studiando e me la faccio sotto…

    Dai scherzo, anche se un po’ è vero. Sto studiando in questi giorni la didattica del corso e me la faccio un po’ sotto perché Luma Fusion è una creatura che evolve con il cambiare della cultura mojo. I suoi creatori, infatti, la tengono talmente aggiornata che non era possibile che mi mettessi prima a fare la didattica di questo corso. Il motivo? L’avrei fatta su una versione vecchia. Allora devo usare, come te, d’altronde, la principale arma dell’essere mojo. Sto parlando dello studio, della ricerca, delle conoscenze, delle fonti e dei modi per andare a capire questa applicazione e le sue aree di intervento nel modo più efficace.

    Le cose che ho scoperto

    Poi il resto lo farà il cuore e la passione, ma anche il desiderio di comunicare a chi verrà che Luma Fusion non è un fine, ma un mezzo per raccontare storie. Per farti entrare nell’argomento posso girarti da dove sono partito io per lo studio, ma certamente non ti dirò dove sono arrivato. Te lo dico al corso, quando ci vediamo. Fra le cose che ho scoperto la più importante è questa: la curiosità e il desiderio di sapere sono le due armi più importanti di un mojo. A qualunque livello egli sia.

    https://youtu.be/9X6g5FypO9o

    Ci vediamo, se ti va, il 19 maggio alle 10. Per informazioni e iscrizioni puoi cliccare  su questo link.

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  • Faceblock: la grande fuga da Facebook è cominciata. Ma i mojoer?

    Faceblock: la grande fuga da Facebook è cominciata. Ma i mojoer?

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    Faceblock: il primo sciopero anti Zuck va in scena.

    Quello che irrita la rete, più degli scandali come quello di Cambridge Analytica o la porcata che ho descritto io in questo link, è la faccia da “bue contrito” di Mark Zuckerberg. Sto scrivendo questo pezzo mentre il bimbo d’oro dei social mondiali è in audizione al Senato Americano. Ha una faccia da cane bastonato e si scusa ogni due per tre, anche se ammette candidamente che sono gli utenti di Facebook a consegnare incondizionatamente al mostruoso social i loro dati. Quella è la cosa che fa incazzare i suoi 2 billions di utenti: si scusa…

    Non è possibile che se la cavi con delle scuse, può fare meglio. Per questo motivo, con questo semplice assunto è nato e va in scena oggi #Faceblock, movimento spontaneo che sta cercando di convincere la rete, oggi 11 aprile, proprio nella notte in cui Zuck è impallinato dal Governo americano, a non usare per 24 ore il social network di Menlo Park. Insomma, Faccialibro sta attraversando la peggiore crisi della propria storia e non riesce a venire fuori dall’angolo in cui è finito dopo lo scandalo dei profili falsi e della vendita dei dati.

    La question più importante.

    “La domanda sui dati è quella centrale – dice il prode Zuckerberg proprio in questo istante -. Quando le persone vanno su Facebook per connettersi con altri devono rendersi conto che, una volta entrate, noi riceviamo i contenuti e li utilizziamo per rendere loro un servizio. Comunque loro controllano quando postano e quando cancellano i contenuti (mi viene da dire, ma durante? Nda)”. Come dire, i dati ce li date voi. E come dire: voi controllate quanto caricate e quanto togliete una cosa, ma nel frattempo la gestiamo noi… Beh inutile negarlo.

    La tecnica diversiva.

    Zuck è sotto il fuoco di fila dei senatori della Commissione Energia e Commercio del Senato Usa da qualche ora e sta rispondendo a domande con domande o con spostamenti dell’asse dell’argomento. Viene una voglia matta di aderire a Faceblock quando viene pressato sulla gestione dei dati e della corretta richiesta di permesso esercitata da parte di Facebook e sostanzialmente non risponde, rilanciando con un “non vedo l’ora di metterle a disposizione, Senator, il mio team per lavorare su quello che lei sta dicendo”. Viene da dire, quindi, che non è chiaro e protettivo nei confronti dell’utente Facebook quello che può fare affinché non siano venduti in giro i suoi dati o non sia creato condizionamento nel contesto dove vive da milioni di finti profili che esercitano pressioni e condizionamenti ambientali per motivi politici.

    Faceblock avrà un discreto successo.

    Due considerazioni. Faceblock avrà un discreto successo perché l’umanità sta cominciando a comprendere le distorsioni dello straordinario social network inventato dal giovanotto Zuck. Ha compreso che ci vuole molta attenzione a non farsi chiudere dentro una realtà che non faccia altro che rimandarci la fotografia di quello che i nostri occhi vogliono vedere, non di quello che vedono. Faceblock avrà un discreto successo anche perché la gente ha capito, proprio con Cambridge Analytica, che può essere volgarmente venduta come un prodotto. Fin nei propri snodi più personali. Spero, va detto, che la gente faccia il suo Faceblock anche per uscirne depurata.

    Spero, infine, che i mobile Journalist facciano #Faceblock per capire, alla fine del rehab, come è il caso di rientrarci e perché è il caso di farlo. Quello che ti consiglio è di valutare, magari prendendoti il tempo per respirare proprio non postando per un giorno, come devi tornare a essere presente sul social network di Menlo Park. Mi piace molto l’idea di fermarsi per far capire a Zuck e alla sua banda che l’hanno fatta veramente grossa e che la devono smettere di trattare 2 miliardi di persone comune fossero dentro un grande acquario nel quale possono essere pescate e messe in padella come merce da mangiare dal primo che butti la canna.

    I mojoer devono andare… e tornare: con qualche social in più.

    Io Facebook lo userò anche domani per monitorare quello che sta succedendo e anche per osservare, da ricercatore e da studioso dei fenomeni social, come si comportano gli utenti italiani con Faceblock e quanto comprendono di quello che sta capitando. Sono convinto, comunque, che la grande fuga da Facebook è già iniziata, ma per i mojoer non sia proprio il caso di muoversi da un posto dove ci sono 2 miliardi di persone vogliose di sapere come gira il mondo. E’ compito dei giornalisti spiegarlo, con i mezzi e con i modi delle comunità social.

    Infine con l’aspettativa legittima di far smettere questo monopolio social del caro Zuck. Come? Ok te lo dico: fossi un semplice mojoer e non uno studioso, oggi impiegherei tutto il giorno e per cominciare a fare altri progetti editoriali su altri social. Per fare in modo che la mia vita digitale, il mio brand personale e la mia storia professionale non dipenda più da un solo medium. Altrimenti sei fritto. Messaggio finale, quindi: Faceblock è da fare, ma per tornare il giorno dopo i su Facebook a vedere cosa è successo.

    Qualcosa, sicuramente, succederà.

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