Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Is Mobile Journalism dead? A letter to Nick Garnett

    Is Mobile Journalism dead? A letter to Nick Garnett

    [Ti faccio una premessa: mi dispiace, ma devo scrivere questo post in inglese, già, nel mio inglese pieno di errori, per poter rispondere adeguatamente a questo articolo di Nick Garnett, uno dei maestri mondiali del mojo, il quale ha parlato di morte del mobile journalism con una riflessione straordinariamente interessante che ti invito a leggere. Il mobile journalism, però, va trattato con un po’ più di rispetto prima dare la notizia delle esequie che, a mio avviso non sono lontanissime, ma non vanno certamente avvicinate con questi modi.  Mobile journalism is dead? No!

    Mobile journalism id dead? My answer to Nick (and, first of all, thanks for your post)

    Dear Nick,

    first of all my excuses for the bad english that you will see in these lines, but after I read your lines in the blog I’ve heard from my heart the need to answer you. For multiple reasons, but first off all because I am one of those guys that are developing the mobile journalism culture in Italian language and the project is about at the beginning. In my opinion you putted me in a little danger writing what you wrote and now I will explain the reason why.

    The community I met in Paris.

    Thursday 8th of february I was in Paris, invited to attend at La Video Mobile conference, to tell the story about the project of Italian Mojo association and my target to import this culture in Italy, in a hostile country. When I was there, at la Cité Universitaire, I looked the community and I found a different one comparing of that one that was in front of my eyes in Galway at Mojocon 2017. I saw new countries growing,

    I saw african colleagues, I saw the absence of my country, I saw, just to tell you, the non mojo world that tries to become mojo. Reading your words was dangerous in my prespective because I am a mojo guy in a non mojo world and before telling my alumni, my colleagues, my environement that mojo is dead, I have to spread the story that mojo is born.

    Italy is not a democratic country…

    In a country that has old-fashioned market of media, old and devastated market in the journalistic job, in a country that is not a democratic country because journalism is one of the worst paid categories in job market, I can’t have the luxury chance to tell that mojo is dead but I have to carry the mojo disruptive message in the best way that I can’t and then say: Ok, this is the mojo message, but If you can look just a little more you can find that journalism has changed“.

    The Bel Paese situation.

    In Italy there are two communities that are doing a super job in Rome and in Milan. They are trying to spread the message that mojo is something new, peculiar, useful, immediately operative, something that could change careers or help freelance to gain more money from their work because of the easy, technically perfect, peculiar way to product their contents. Can you imagine what will be your announcement to this brand new mojo people??? Listen, Nick I totally agree wth you, but this was not the right way.

    Before announcing the death please allow new mojo countries to come on the field. If not, a lot of people in Italy and other nations will say You see!! I thought it was a geek game, something not serious!. This is not: this is a game changer of my job and a state of mind. Is your sentence that I usually spread to my colleagues.

    Probably the debate is another

    In my modest opinion we have to clarify many things but starting from some others point of view. I try to pose some questions to you and the community, hope someone will answer:

    How can we help the media market to find out profitable business models based on mojo? I had the first answer from this post on medium by Michael Rosenblum.

    How can we clarify what is mojo and what is not mojo? I think, to be clear, that every stuff you make passing, even for one passage, in to a personal computer before publication, is not mojo. And you? What do you think?

    How can we avoid the confusion of putting an overload of technologies on our smartphones to clarify that this (and here I agree with you) is simply a new journalism?

    Nick, thanks: I hope you’ll understand my message.

    Nick I close my post saying that I am very sorry for my horrific English and I absolutely respect your job, the things you made for us and for mojo and our community and our new friendship. But I wrote you something that I hope you will find coming from heart and soul of Italian Mojo, the guy who is trying (with a crew of other pioneers) to give the mojo in Italy see the light. I don’t want that the baby becomes in a while a baby born dead.

  • Prendere l’audio da mixer o da radiomicrofono: ecco come si fa

    Prendere l’audio da mixer o da radiomicrofono: ecco come si fa

    Prendere l’audio da un mixer con lo smartphone: non è un’impresa.

    Dico spesso nei miei corsi: il 90% di un buon video è l’audio. In questo blog hai, molto probabilmente, visto riferimenti a microfoni per smartphone (come questo) o sentito parlare, in generale, di hardware per la registrazione dell’audio con il telefonino o il tablet. Il mondo del mobile journalism, però, non si limita a questo e regala anche la possibilità di prendere l’audio da un mixer o da un radio microfono normale. Se pensi che sia un’impresa ti sbagli, ma devi comunque stare attento a quello che fai. Ecco perché…

    Ti manca solo un oggetto.

    Già, non ti manca molto. Ti manca solo un oggetto per creare l’interazione giusta tra una fonte audio che esce con un cavo xrl e il tuo telefono che ha un jack 3,5 oppure, addirittura una lightning. L’oggetto che ti manca è un pre-amplificatore, che per prendere l’audio da un xrl è un apparecchio determinante. Il segnale che arriva da quei cavi, infatti, è amplificato e va ridirezionato verso la ricezione audio del device che usi.

    Il migliore su piazza è senza dubbio l’ultimo nato della IK Multimedia, sto parlando dell’ IRig Pre Hd, una device che regola molto fedelmente l’entrata dell’audio nel telefono e che dispone della phantom, del controllo del gain e di un sistema a led che cambia colore se va in distorsione. Per farti vedere i facilissimi passaggi di montaggio e farti capire la resa e la differenza del suono, davvero notevole, ho fatto una breve diretta ieri sulla fan page che puoi vedere qui sotto. I procedimenti ci sono tutti e la resa è ottimale e adeguatamente controllata (e controllabile).

    Un piccolo consiglio ulteriore.

    Per prendere l’audio da mixer è un’operazione che fai molto spesso se sei un giornalista che fa news e deve andare a una conferenza stampa. Ascolta uno stupido, come diceva mio padre: ti serve anche questo qui, un signor cavo molto lungo. Con questo sarà affrontabile il posizionamento in qualsiasi sala più vicino al tavolo della conferenza stampa rispetto agli altri colleghi, magari laterale o magari seduto in prima fila tenendo il telefono basso per non impallare i colleghi.

  • Switcher Studio una app che regala un mercato

    Switcher Studio una app che regala un mercato

    Switcher Studio: le mani sopra mi fanno pensare.

    Sono antipatico, non seguo costumi, abbatto i luoghi comuni, rompo indugi, diplomazie, modi, etichette, qualifiche. Non so se sono un giornalista, ma mi sento un giornalista. Sono un producer, uno che attraversa qualsiasi mezzo e comunica, racconta, parla, scrive, riprende. Guardo il mondo del giornalismo e mi metto a pensare spesso che sono fuori posto.

    Succede ogni volta che cambio (e in questo periodo basta guardarmi negli occhi per capire che cambio proprio velocemente), ma anche ogni volta che metto le mani su uno strumento nuovo o su una app nuova.  Con Switcher Studio è stato così: mi sono sentito fuori posto e ho cominciato a studiarla, a metterci le mani sopra e a pensare..

    Switcher Studio è solo un modo per essere diversi.

    Con questa applicazione puoi proporre diversi tipi di prodotti e andare a piazzarli sul mercato, ma soprattutto, con le occasioni che Swticher Studio regala, puoi essere diverso tu. Se sei un videomaker o un giornalista in senso classico, sederti dietro un iPad per governare due iPhone e riprendere un evento con un buon audio, è soltanto un modo diverso di produrre quello che hai sempre fatto e di farlo in diretta.

    Il resto deve essere un processo che ti fa cambiare abitudini, clienti, modi, marciapiedi, gruppi, ambienti in cui ti proponi come giornalista in maniera moderna. Già, perché forse il giornalista, quel giornalista che hai in testa, è una figura che non esiste più. Ora c’è il producer. Uno che fa video, sì, ma anche testi, foto o audio. Uno che governa o prova dirette live di Facebook, le titola, le graficizza, le rende professionali e, soprattutto, le vende. Ti fa schifo la prospettiva? A me no e visto che ci sono posso dirti che sto per far entrare le dirette Facebook formattate anche nel mio nuovo ufficio stampa di cui ho scritto qui.

    Scopri una app? Pensa se è un prodotto.

    Mii preme sottolineare una cosa: il live è un prodotto, ma i prodotti sono potenzialmente infiniti. Lo dico perché possono essere l’incrocio tra la tua professionalità, le app e gli strumenti nuovi che hai e l’esigenza del cliente. Per cominciare a venderli basta fare due cose: la prima è smettere di essere come sei stato. E’ stato bello, ma quel mondo che hai in testa è morto. La seconda è che a ogni app che scopri, puoi scoprire anche un prodotto. Pensaci.

  • Il montaggio lineare: linguaggio di vita e di mojo

    Il montaggio lineare: linguaggio di vita e di mojo

    [fusion_builder_container hundred_percent=”no” equal_height_columns=”no” menu_anchor=”” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” class=”” id=”” background_color=”” background_image=”” background_position=”center center” background_repeat=”no-repeat” fade=”no” background_parallax=”none” parallax_speed=”0.3″ video_mp4=”” video_webm=”” video_ogv=”” video_url=”” video_aspect_ratio=”16:9″ video_loop=”yes” video_mute=”yes” overlay_color=”” video_preview_image=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” padding_top=”” padding_bottom=”” padding_left=”” padding_right=””][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ layout=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” border_position=”all” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding_top=”” padding_right=”” padding_bottom=”” padding_left=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” center_content=”no” last=”no” min_height=”” hover_type=”none” link=””][fusion_text]

    Montaggio Lineare, questo sconosciuto.

    Dai, te lo confesso, di montaggio lineare ne so poco. Però ci sto mettendo mano e mi rendo conto che è un metodo che produce un linguaggio visuale, produce dei video, che sono come lo sguardo che i nostri occhi danno alla vita reale. Per questo motivo è molto mojo ed è molto importante avere padronanza di tutti i fondamentali del montaggio lineare e dei punti di vista che questo costringe a coltivare. Il montaggio lineare è la realtà raccontata con la stessa successione cronologica e non può sfuggire da questo senso di marcia temporale e dall’uso dei tagli e dell’audio direttamente conseguente a chiudere lo sviluppo nello spazio e nel tempo di un’azione.

    E’ il più importante linguaggio di editing per il mobile journalism.

    Certo, non è il linguaggio visuale che abbiamo imparato a conoscere nelle redazioni o in tv dove l’accompagnamento con le coperture di voci a supporto della storia ha fatto allontanare i video dal logico susseguirsi di fatti e di eventi. In questo senso si vede ben poco nei siti di informazione italiani o nelle tv che non sia NON lineare. Anzi, il montaggio lineare viene considerato come qualcosa di inferiore rispetto al montaggio asincrono, quasi di basico. Eh, c’è un problemino, però: il montaggio lineare è il montaggio con il quale ci scorre davanti la vita. Quindi?

    Roba da totalmojo.

    E’ con il montaggio lineare che crei storie che abbiano un ritmo parallelo alla vita che ci piomba nello smartphone. I video così sono i pezzi del nostro racconto, delle notizie, del nostro modo di essere storyteller che, poi, devono essere piazzati sul mercato. Il montaggio lineare e quel vedere e vivere anche la fase di produzione delle immagini come un flusso, magari alternato tra campi stretti e larghi, nel quale io, per raccontare una storia devo solo seguirla e fare due cose. Sapere quando schiacciare “Rec”, sapere quando schiacciare “Stop”. Il montaggio lineare, di conseguenza è l’apriscatole per aprire il vaso di pandora del proprio stile di montaggio. Se non ti confronti con quello non sei ancora dentro il mondo del mobile journalism fino al collo.

    Il montaggio lineare ti regala due possibilità.

    Il montaggio lineare ti regala sue possibilità. La prima è quella di prepararti e, come ho già scritto in questo post qui, la cosa è molto importante se sei un mojoer. La facilità della traccia, specialmente se a sviluppo cronologico, ti permette di sapere bene, quando sei sul campol, cosa devi riprendere e come. La seconda è che il montaggio lineare ti dona la possibilità di inciampare….

    Già sto parlando proprio di quello: imbattersi, scontrarti. Solo se stai seguendo un montaggio lineare e sei su una strada di Bristol, in Inghilterra, nella quale stai raccontando la storia di un quartiere che chiude una vita per far giocare i bambini una volta alla settimana, puoi accorgerti con facilità di questo, di quello di cui si è accorto il genio del mobile journalist Dougal Shaw. Preciso che lui non ha fatto un montaggio lineare, ma nel servizio precedente a quello che vedi, che ha provocato questo, la linearità della sua storia ha fatto in modo che potesse prendersi anche il tempo per ascoltare, col cuore e con le immagini, quest’altra.

    Sono praticamente certo (e mi baso su una trentina d’anni di lavoro scarsi) che un montaggio non lineare avrebbe tenuto occupata la testa di Dousgal in modo sufficiente a fargli ciccare questa storia. O forse avrebbe, di fatto complicato la sua possibilità.

    Lineare come la vita, impreciso come i nostri giorni.

    Ho cominciato (dovresti farlo anche tu) a pensare che il montaggio classico imparato e anche insegnato ai mojoer in questo primo anno vada completamente ripensato. Io devo ricominciare da zero a pensare al montaggio. Il nostro linguaggio video è quello del film, ma quello che vediamo non è un film, è la realtà. Quindi ragazzo, te lo dico: mi sono sbagliato…

    Nel cinema degli anni ’50 si faceva così.

    Dai, no, scherzi a parte, il montaggio asincrono e gli strumenti per farlo in mobile che ho insegnato in questo anno passato sono gli strumenti principali con cui lavorano i colleghi giornalisti e con cui rispondono alle esigenze dei loro clienti. Mi sono, però messo in discussione quando ho visto come sta cambiando il nostro modo di fruire certi contenuti, anche di base.

    Li vediamo dal cellulare e non abbiamo bisogno di essere presi per il culo da una replica in piccolo del linguaggio video da tg. Abbiamo bisogno di verità. Abbiamo bisogno di quella linearità che vediamo con gli occhi tutti i giorni e quella imprecisione che nei nostri giorni è la normalità. Con l’overload di comunicazione che riceviamo, infatti, la vita di sottopone a continui riadattamenti e a modificazioni dei programmi. Inciampi, imprevisti e sorprese che solo la cronologicità del racconto video con montaggio lineare può regalare. D’altronde, se ci pensi, anche con il cinema era così, quando si lavorava in pellicola. Monta così. d’ora in poi: lineare e impreciso. Nei prossimi post ti dirò qualcosa anche sugli strumenti.

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  • Il lato B del mobile journalism: la solitudine

    Il lato B del mobile journalism: la solitudine

    Lato B: questa volta ne parlo male…

    Sai, mi sono accorto stamani che non parlo mai male del mobile journalism e della mobile content creation. Ecco, lo faccio ora, dopo che sono andato da un cliente rimediando una sontuosa figura di merda e non per colpa mia. Per fortuna il cliente è una persona a me amica e la cosa è passata via senza danni. Tuttavia proprio in questo periodo, che ricominciano le attività di Italianmojo, che il movimento cresce, che l’attenzione sulla community italiana sta per accendersi anche dall’estero, ho deciso di parlar male del mio amato mojo.

    Il grosso dilemma si chiama…

    Ci ho pensato e ho pensato all’effetto boomerang sulla materia che il mio pezzetto che stai leggendo può avere. Poi ho anche pensato ai mojo enthusiasts che ho conosciuto, alla passione dei miei corsisti, dei miei studenti, delle istituzioni e degli ambienti che sono venuti a contatto con la mobile content creation e ho pensato che una bella sproloquiata in negativo sulla mobile content creation andava fatta. Anche perché è una materia così bella, nuova, chiara e semplice che se non avesse un lato negativo, un lato b, sarebbe finta. Vuoi sapere qual è quel suo maledetto lato negativo? E’ la solitudine. Già, la solitudine maledetta del mojoer.

    Non mi riferisco alla solitudine mentre lavori, ma a ben altro.

    Quando parlo di solitudine del mobile journalist non mi riferisco alla solitudine del lavoro. D’altronde il mio mobile è talmente semplice e basico che quando sono in produzione mi sento davvero nel mood di chi crea, senza badare a tecnicismi o alla “pesantezza” operativa delle macchine. Pensa che l’ultimo lavoro l’ho fatto con due cellulari contemporaneamente per campo e controcampo…

    Mi riferisco a situazioni come la figura di merda che ho appena vissuto. Vado a trovare il cliente, un importante studio di commercialista di Milano, per la realizzazione di alcuni video. Mi preparo, monto, faccio brigo, disfo e il risultato è una serie di video con una valanga di problemi di frequenze, di muto, di salti. Ecco, quello è il punto: la solitudine del mobile journalist inizia lì.

    Ti salva soltanto una cosa che io non ho: la logica.

    In quelle situazioni non sai che fare e non puoi nemmeno dare una giustificazione sensata, se non con dovizia di particolari, al cliente. Ti salva soltanto la capacità di risalire indietro nel tempo e ripensare che cosa è successo. Vuoi sapere cosa è successo? La mia app di filming aveva perso, chissà come mai, tutti i settaggi corretti. Non contenta, faceva fatica a riconoscere (cosa che riesce sempre molto bene) il microfono digitale.

    Risultato: un disastro. Niente di perso se non qualche ora di lavoro, ma non ti dico le prove, le mail, le chiacchierate con i colleghi di ogni parte del mondo. Motivo? A quanto si è capito il motivo è stato l’ultimo aggiornamento di iOS 11, quello anti Spectre, per intenderci.

    Il grosso grasso problemone mojo

    In sintesi, qual è il problema? E’ questo: questa cultura sta beneficiando del genio di grandi sviluppatori di software e di hardware che stanno rivoluzionando mercato e modi di fare content creation. Questi sviluppatori, tuttavia, vanno sempre un pochino oltre il limite delle macchine, ma soprattutto si scontrano con i limiti dei sistemi operativi del mondo di cui fanno parte. A ogni rilascio di sistema nuovo, quindi, le applicazioni che girano sul tuo telefono devono essere adeguate, riprogettate, upgradate (che parola di merda…). Ecco il grosso grasso problemone mojo: quando finisci nel contrasto tra l’ultimo aggiornamento del tuo OS e la tua app magari non ancora messa alla pari, succedono i disastri. E ti senti solo.

    Se sei italiano la solitudine è doppia.

    Ti senti solo soprattutto se sei italiano e stai lottando per la crescita di una nuova cultura del lavoro giornalistico. Già, perché la community ancora riceve molto e poca interfaccia regala, quando c’è da discutere un problema.

    Per fortuna i colleghi stranieri, gli amici delle App, i colleghi delle aziende, non sono italiani e condividono. Specialmente quando qualcuno è nei guai: lo sa bene il mio amico Bill Booz di Somerset in Pennsylvania con cui h chiacchierato perché aveva anche lui problemi similari.

    Oh, ti basta come lato b? Ecco, mi sono sforzato di parlarne male (infatti anche in occasioni come queste mi diverto come un pazzo per trovare rimedi): adesso basta.

     

  • Facebook: cambia algoritmo, meno news e più mobile journalism

    Facebook: cambia algoritmo, meno news e più mobile journalism

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    Facebook cambia algoritmo: una splendida notizia (anche se tutti pensano il contrario)

    Hai letto bene, che Facebook cambi algoritmo e lo faccia privilegiando il giro degli amici rispetto ai contenuti che arrivano da entità seconde o terze rispetto a noi, è una notizia pazzesca in positivo che, a una prima lettura, suona come il de profundis del mondo dei media che si sono occupati di eseguire reiterate genuflessioni al gigante di Menlo Park in questi periodi. Effettivamente son qui che picchio sui tasti e ridacchio pensando ai numeri di traffico dei siti e alla loro drammatica contrazione nei prossimi giorni, almeno per quanto riguarda l’arrivo di click regalato dagli amici di Faccialibro con copiosa generosità in questi anni. Mi vien da dire? Cosa faranno ora i media? Si, voglio proprio chiedermelo, ora che Facebook gli ha dato il benservito.

    I media devono svegliarsi.

    Ecco, adesso che non c’è mamma Facebook voglio davvero capire dove minchia vanno a parare siti, giornali e televisioni di mezzo mondo, dopo aver fatto traffico senza sporcarsi le mani per farlo. Penso che sarà il caso, per loro, di ricominciare a fare prodotti editoriali di qualità e sostenibili, format profondi, innovativi, fatti di esperienza sul web, se appena, appena vogliono riprendersi un pubblico. Lo penso e lo dico perché se non sarà così, Facebook razzierà il mercato dell’utente “permanente” ancora di più chiudendo i suoi due miliardi di avventori nelle bolle autoriferite delle loro cerchie. Con l’obiettivo di non farli più uscire da li. Ti ricordo (e l’ho scritto nell’articolo che puoi leggere qui) che Facebook sta lanciando Watch e sta entrando nel mercato degli hardware per la visione dei suoi contenuti.

    La più grande media company del mondo.

    Facebook è il più grande spacciatore di video del mondo ed è la più grande media company del mondo. Adesso vuole i suoi adepti intenti a stare seduti a passare i pop corn ai parenti, mentre ti propone quello che dice lei: vale a dire chi paga o chi fa parte del circo scelto dal giro Watch o simili. Vedrai che andrà così. Siccome la più grande media company del mondo è anche una delle più ricche aziende del pianeta, chi si stupisce del movimento di questo algoritmo, le cui nuove funzionalità sono sotto test dallo scorso ottobre, è una verginella che scende dalle montagne del sapone. Sono disposto a rischiare il mio braccio sinistro che andrà così, ma ci sono un paio di risvolti molto interessanti.

    Tanti giornalisti, pochi editori.

    Boh, non so se l’ho detto o l’ho scritto qui su queste colonne, ma lo riscrivo. Sogno un mondo pieno di giornalisti e senza editori. Ecco, con la svolta di Facebook più dedito alle sue bolle (echo chambers, per dirla come quelli fighi), ci sarà lavoro per i mobile journalist come mai ce n’è stato prima. Anzi potrebbe esserci proprio una nuova categoria di giornalisti, vale a dire quella che dovrà interpretare, dentro queste community, il ruolo di chi deve far comprendere la realtà. Mi spiego meglio e dico che i giornalisti avranno il compito sempre più importante, nelle loro comunità di Facebook, di rappresentare la corretta informazione e di invitare a uscire dalle bolle. Come? Con la conversazione. Estraggo due passaggi di un pezzo di Jeff Jarvis su Medium. Molto interessanti:

    I wish that Facebook would work with journalists to help them learn how to use Facebook natively to inform the public conversation where and when it occurs. Until now, Facebook has tried to suck up to media companies (and by extension politicians) by providing distribution and monetization opportunties through Instant Articles and video. Oh, well. So much for that. Now I want to see Facebook help news media make sharable journalism and help them make money through that. But I worry that news organizations will be gun-shy of even trying, sans rug.

    Il giornalismo è conversazione, te lo ricordi?

    Questo il primo contributo di Jarvis, preso da un articolo che riporta in auge il fatto che il giornalismo, in questo momento, è diventato una conversazione. Allora dobbiamo conversare. Se poi Facebook dice che abbiamo a disposizione le nostre bolle per farlo e per ingenerare una nuova cultura, beh, allora abbiamo anche il campo di conversazione. Già, perché il lavoro del giornalista, proprio nella definizione di Jarvis, esce un filo diverso dal consueto cliche che eri abituato a vedere finora. Ecco la definizione, adattissima per i mojoer stante l’agilità dello strumento.

    My new definition of journalism: convening communities into civil, informed, and productive conversation, reducing polarization and building trust through helping citizens find common ground in facts and understanding.

    Si possono anche fare affari.

    Se il nostro nuovo lavoro sarà questo, beh allora posso dire che il nuovo Facebook ci mette nelle migliori condizioni per poterlo fare e per farci anche qualche soldino onestamente. La creazione delle comunity attorno a noi sarà molto importante e ci sono i metodi per renderla profittevole. Con il mobile journalism, poi, ci sarà da trottare per raccontare le storie di chi non ha voce.

    Faccio un ultimo passaggio prima di chiudere. Si paventano scenari gotici dell’aumento dell’importanza delle fake news, nonostante la riduzione del numero che provocherà il cambiamento dell’algoritmo. Contro questo c’è solo la cultura, ma anche l’idea di poter prendere, finalmente, sul serio quello che è un social network come quello di Menlo Park. Un moltiplicatore di relazioni che crea valore se gli si consegna valore.

    Solo le aziende sveglie sopravviveranno.

    I miei amici agenti immobiliari spero lo comprendano presto visto che proprio nelle loro cerchie, piene di legami deboli, c’è il cliente che gli darà un mandato a vendere. E con un video lo farà più voltentieri.

    Dico questo come spero anche che le aziende comprendano presto che se Facebook non è più gratuito loro dovranno imparare a dialogare con i loro clienti in modo diretto scambiando valore e calore. Già, perché solo così si è visti senza aggiungere denaro. Altrimenti si tace e si paga: Facebook non è una onlus. In questa ottica per i mojoer brand journalist c’è trippa. Tanta.

    Concludo con una frase del Fatto Quotidiano, strepitosa:

    L’ultimo aggiornamento del News Feed ci ricorda che i social network per sopravvivere devono restare luoghi di conversazione tra persone. Le aziende che riusciranno a umanizzarsi si inseriranno in questa conversazione per trarne i frutti, senza disturbare. Tutte le altre resteranno a piangere sui cambiamenti di Facebook, dimenticando che in casa degli altri non si comanda. Al massimo si ringrazia per l’ospitalità

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