Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Business model e mobile journalism: alcuni consigli utili

    Business model e mobile journalism: alcuni consigli utili

    Business model: il grande boh del giornalismo e dei giornalisti.

    Me lo chiedono sempre, probabilmente me lo hai chiesto anche tu se ci conosciamo di persona. Cosa? La domanda suona più o meno così:

    “Si, ok, mojo, tutto fico, ma come ci campo?”

    Ecco, parlare di business model ai giornalisti e a chi fa professioni visuali come la mia, sembra una sorta di delirio. Però te lo dico: è la domanda che tutti, specialmente i freelance, dovrebbero farsi ogni mattina prima di inventarsi qualcosa per lavorare e pagare le bollette e la spesa. In questo articolo provo a suggerirti consigli utili e notizie che ti facciano collegare i punti tra le cose per creare proposte di servizi e di prodotti che possano rappresentare un business model sostenibile, un modo di lavorare che ti faccia guadagnare.

    Cambia modo di pensare.

    Ricordo molto bene quando facevo il collaboratore di giornali e il mio capo mi chiamava dicendo “Hai 40 righe”. Ora mi viene da dirti che se sei in quella situazione dovresti scappare a gambe levate. La prima cosa che devi fare per avere un business model vincente nella tua attività giornalistica, quindi, è cambiare il modo in cui pensi il tuo lavoro e il modo in cui lo fai. Devi andare a cercare i soldi perché solo con quelli puoi andare avanti e devi farlo scardinando i comuni binari dell’editoria che hanno portato a situazioni devastanti come quella che puoi leggere qui, egregiamente affrontata dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia nella persona del Presidente Alessandro Galimberti.  Per mettere in atto il tuo “follow” the money devi smettere di pensarti come un giornalista e basta e iniziare a pensarti come un produttore di contenuti.

    Il cliente di un giornalista? Chiunque.

    Se smetti di pensarti come qualcuno che deve lavorare in un Ufficio Stampa-Tv-Giornale-Sito-Ente-Istituzione e cominci a pensarti come qualcuno che può lavorare per chiunque (viste le rivoluzioni avvenute con il marketing di contenuto e con il giornalismo di brand), perfino per i tuoi colleghi o per chiunque voglia avere una corretta immagine pubblica. Pensati come qualcuno che possa fare da facilitatore o da produttore, da insegnante o normalizzatore, da creatore di progetti editoriali a scrittore, da videomaker ad audiomaker.

    Nelle mie fatture dello scorso anno ci sono servizi di consulenza editoriale per persone fisiche e corsi di formazione, produzioni di brand journalism e realizzazioni video per campagne di crowdfunding. Ti può bastare come esempio? Il tuo business model deve essere basato su due concetti: o vendi la tua unicità o vendi servizi che puoi e sai fare bene in mercati che non sono il tuo o in modi non classici di prendere il denaro da qualche parte. Come? Pensaci. Pensa chi può avere bisogno dei tuoi servizi o chi (o cosa) possa darti talmente tanto seguito da rappresentare un driver di traffico tale che le tue piattaforme possano generare guadagni o le tue pubblicazioni essere vendute attraverso qualche servizio di direct publishing.

    Le piattaforme di pubblicazione? Creano per te dei business model.

    Già molto tempo fa avevo parlato del mondo del self publishing in questo articolo nel quale c’è una ottima intervista a Giulia Poli, al tempo (e forse ancora) Head of Kindle Content per l’Italia. Quel tipo di business model, quello che arriva dal pensarsi come un editore piccolissimo, è uno di quelli che sta iniziando a funzionare e funzionerà sempre di più. Ce ne sono molti altri e molti passano anche dagli stessi meccanismi che hanno arricchito gli Youtuber. Se ce la fanno loro, anche la tua professionalità può dare al tuo pubblico prodotti per i quali vale la pena pagare. Le piattaforme di pubblicazione, quindi, creano per te dei business model interessanti. Io, per esempio, ho aperto proprio in questi minuti Gumroad, che è una piattaforma che facilita la distribuzione di contenuti a pagamento verso il tuo pubblico. Il consiglio che ti do, tuttavia, è quello di essere tu protagonista nella ricerca dei canali che ti fanno creare il tuo business model sostenibile e duraturo. Altrimenti resterai sempre in difetto in un atteggiamento fondamentale della professione, specialmente ora. Di cosa sto parlando? Del cambiamento continuo sul quale devi “basare” la tua professionalità e il tuo lavoro di ogni giorno.

    Guarda fuori, guarda al mondo.

    Analizza le situazioni e i nuovi prodotti proposti dai media di tutto il mondo. Ti dico di più analizza gli errori. Te ne spiego uno che riguarda Snapchat e una delle televisioni più importanti del mondo, la CNN. Il network di Ted Turner ha chiuso il suo canale di storie via Snapchat.

    Business model e social: un mondo da esplorare
    Se cerchi la CNN su Snapchat non la trovi più

    La CNN fa flop su Snap.

    Istintivamente ti verrebbe da pensare: se la CNN ha chiuso, allora non vale la pena sprecare parole o atti per cercare. Ecco: è esattamente vero il contrario perché i grandi media stanno sbagliando tutto, a cominciare dai linguaggi. Per questo val la pena guardarli e guardare le loro mosse e la loro incapacità di cambiare linguaggio, per vedere e verificare dove la nuova domanda di lavori e di prodotti strani incontrerà la tua offerta. Perché sbaglia la CNN che, come vedi da questa foto, ha chiuso la sua finestra su Snapchat? Perché voleva replicare su Snapchat i linguaggi della tv. Ecco, appunto. E chiedersi prima cosa gliene poteva fregare ai ragazzi che snappano di un tg della CNN, no?

    Conosci Facebook Watch?

    In generale sai che sogno un mondo pieno di giornalisti e senza editori. Ecco uno dei modi per realizzare questo sogno è Facebook Watch di cui il professor Quinn aveva dissertato con me nel pezzo che puoi leggere qui. Se non lo conosci sarà il caso che tu ti sforzi, perché potrebbe cambiare molte cose, proprio nei giorni in cui Facebook riduce le speranze delle pagine delle aziende di comparire “da sole” (cioè senza pagare) nelle timeline dei clienti.

    Alcuni stanno già gufando…

    Su Facebook Watch ci sono tam tam che raccontano di nasi storti e di un business che stenta a decollare, come puoi vedere qui. Il fenomeno, però, è talmente embrionale che giudicarlo frettolosamente rischia di essere una cantonata. Ti racconto un paio di cosette in più sul fenomeno. Ebbene, le revenue saranno del 55% per il creatore di video e del 45% per il social, quindi se riesci ad avere i numeri per entrare nel giro avrai Zuck come socio di minoranza! Scherzi a parte questa app va nella direzione che è ben delineata nella testa del ragazzotto di Menlo Park. Una direzione che porta alla replica di Youtube e alla sostituzione, assieme allo stesso tubo, ai colossi dello streaming e a Amazon, dell’intero ecosistema della tv.

    Non sei ancora convinto? Sai che Amazon ha creato Echo Show e Facebook ha già iniziato a rispondere? Ti sembrano farneticazioni? Spiegoti e chiudo qui, invitandoti a pensare il business model in modo diverso. Da subito. Allora, il riccastro Jeff Bezos ha trasformato il suo spacciatore di contenuti di Amazon, Eco, in un diffusore di contenuti con lo schermo, il quale si chiama Echo Show.  Ebbene, ti do per certo che Facebook risponderà con Portal, un hardware che apre lo scrigno dei contenuti di Faccia Libro. Penso che tu ne abbia abbastanza per pensare business model vincenti da qui al 2090.

  • Social network live: la verità italiana? Nessuno ci sa fare

    Social network live: la verità italiana? Nessuno ci sa fare

    Social network live e altre storie sulle dirette.

    Sto testando Switcher Studio e tutte le sue applicazioni possibili, specialmente per formattare il servizio di dirette via social network (da Facebook live a Periscope, fino a Youtube live) al fine di poterlo vendere ai clienti. Di cosa sto parlando? Sto parlando di una delle migliori app per gestire dirette via piattaforme social in commercio. Se vuoi scoprire qualcosa in merito passa da qui (è un referral link).  Presto farò una approfondita review live di questo prodotto, parlando con i miei lettori delle sue “applicazioni” per la produzione e la vendita. Come sai qui parlo del mestiere e del futuro, della cultura mojo e di tante altre cose, sempre con un occhio alle cose che si possono fare per campare meglio. Guadagnando di più…

    Prima di raccontare di questo prodotto, però, mi sono trovato a pensare come si fanno in Italia i Facebook Live e le dirette social in genere. Beh, male. Io stesso non sono un granché, anche se nelle vacanze di Natale ho fatto dei lavoretti e dei piccoli investimenti per migliorare i miei live, visto che nel 2018 andrò live spessissimo. Ho esaminato con attenzione il panorama dei live di Facebook e affini, prodotto che nel nostro paese viene trattato in due modi, entrambi pessimi.

    Le scimmiottate della tv.

    Purtroppo le pagine Facebook delle maggiori testate italiane o i big della rete, in generale, riproducono dei loro live via reti sociali i format della televisione come talk show o telegiornali. Oppure danno dirette televisive come fossero un broadcaster normale. Quando non è così i giornalisti prendono in mano la situazione producendo contenuti mobile journalism, (magari durante le breaking news) che sono di qualità pessima e infinitamente più bassa rispetto alle volte in cui il segnale del social network live trasmette qualcosa di formattato. Queste scimmiottate della tv che spesso fanno poco conto (o troppo conto) dell’interazione con i lettori, sono davvero un pessimo modo di fare social network live.

    Oppure andare in diretta così, a caso…

    L’altra tendenza, soprattutto delle mezze figure del web o degli account social, è quella di schiacchiare il tasto live a capocchia. Già, hai letto bene: a cazzo. Magari senza mettere nemmeno un titolo accattivante alla propria performance, magari fatta in accappatoio uscendo dalla doccia. Lo fanno i tapini come me e te, ma lo fanno anche i grandi che vanno a braccio per minuti, per poi lasciare la netta impressione di non aver detto un beneamato ciufolo. Ecco, allora perché fare la stupidaggine di andare live senza motivo e magari senza titolo. Se lo fai è una mancanza di rispetto verso chi ti segue.

    Se vuoi andare live devi “essere un format”.

    Lo avevo già scritto in questo pezzo qui già qualche tempo fa. Si tratta di un articolo un filo datato, ma utile. Prima di schiacciare il tasto live devi essere in pieno controllo di molte cose ed essere consapevole di tutti gli strumenti che hai a disposizione. Le indicazioni di base te le fornisce Facebook in questa landing page sull’argomento, ma se vuoi avere delle indicazioni sui tipi di format da proporre per il tuo social network live, beh, puoi guardare anche questa pagina qui.

    Per sapere di più su come essere format nei social network live, ho deciso, tuttavia, di interpellare gli amici Sumaiya e Yusuf Omar del progetto HashtagOurStories. Loro due sono un format, con questo progetto strepitoso. Specialmente Sumaiya, in una diretta per la Thomson Foundation, ha regalato alcuni consigli molto importanti sull’impostazione di un Facebook Live, consigli che ha riassunto in una slide che mi sono fatto gentilmente girare.

    social network live

    Credo che il centro delle cose sia tutto qui, in questi titoli.

    Se scorri i punti di questo riassunto della slide usata da Sumaiya troverai tutto quello che serve per andare in diretta con un criterio. Oltretutto se pensi a quello che c’è scritto, beh, molto ti risulterà, diciamo, giustificato, quasi ovvio. E’ altrettanto chiaro, però, che devi andare live sui social network quando hai davvero qualcosa di formattato tra le mani. Deve essere importante il luogo, importante e precisa la titolazione, minuziosa e capillare la diffusione della trasmissione per ingaggiare più persone possibile, deve esserci una storia da raccontare, un personaggio da intervistare o un evento da far vedere.

    Il luogo conta perché è metà racconto.

    Lo schedule deve essere attento al pubblico che vuoi raggiungere, l’inquadratura ben allestita e, quando possibile, orizzontale e fornita di un buon audio. L’idea delle immagini da mostrare deve fare anche rima con una esperienza da condividere, con un posto da far vedere per il quale la sola visione possa essere qualcosa di emozionante. Sarà banale, ma se faccio un live dal mio bagno o da Piazza Duomo a Milano penso che il secondo sia più “stimolante” del primo. Ricordalo. Devi saperti ripresentare più volte, rispiegando a chi si mette in contatto a metà trasmissione il motivo di quel live, ma devi anche saper intrattenere rapporti con chi ti guarda e commenta. Magari accorpando le risposte in un momento di interazione poi continuando il tuo live. Certamente, però, non commentare quello che ti viene scritto è negativo, molto. Bisogna, però, saperlo fare senza interrompersi mille volte.

    Tempo, suspense e contenuto interessante.

    Un’ altra cosa da fare? Essere prudente nelle informazioni, nelle dichiarazioni, perfino nei movimenti. Devi anche saper creare suspense per tenere il più possibile ingaggiati i tuoi spettatori. Sinceramente il web è pieno di dirette senza nessun motivo con gente che sta in una specie di acquario e saluta chi si collega… Ecco, quello magari lasciamolo agli Youtuber di gaming…

    Il tempo è il tuo alleato principale e se tiri 10 minuti, con cambi di passo, magari con testi, con video registrati inseriti nel live o con altre truccaglie per cambiare il ritmo della tua trasmissione la strada del successo si aprirà più facilmente. Comunque la cosa più importante resta il rapporto tra luogo e contenuto che sia di qualità: il resto è contorno.

    Eccoti la bibbia del genere, se hai bisogno di un punto di riferimento.

    Content is king, quindi, un’altra volta. Se, tuttavia, hai bisogno di una vera e propria bibbia che ti introduca ai segreti del mondo del live, ti consiglio questo libro di Peter Stewart, uscito nel novembre del 2017. Si intitola “The Live-Streaming Handbook: How to create live video for social media on your phone and desktop” ed è un vero capolavoro per chi voglia conoscere tutto su questo mondo così particolare e importante per il presente e il futuro del nostro lavoro. 

     

  • Giornalismo 2018: per vivere bisogna cambiare linguaggio

    Giornalismo 2018: per vivere bisogna cambiare linguaggio

    [fusion_builder_container hundred_percent=”no” equal_height_columns=”no” menu_anchor=”” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” class=”” id=”” background_color=”” background_image=”” background_position=”center center” background_repeat=”no-repeat” fade=”no” background_parallax=”none” parallax_speed=”0.3″ video_mp4=”” video_webm=”” video_ogv=”” video_url=”” video_aspect_ratio=”16:9″ video_loop=”yes” video_mute=”yes” overlay_color=”” video_preview_image=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” padding_top=”” padding_bottom=”” padding_left=”” padding_right=””][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ layout=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” border_position=”all” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”small-visibility,medium-visibility,large-visibility” center_content=”no” last=”no” min_height=”” hover_type=”none” link=””][fusion_text]

    Giornalismo 2018: per dare una mano cambierò nuovamente mezzi e modi.

    In questi giorni, nella penombra del mio piccolo studio, sto progettando il prossimo anno di lavoro. Lo sto progettando nei concetti, nei viaggi, nei miraggi, nei progetti e nei linguaggi. Questo 2017 è stato un anno bellissimo e ha avuto il pregio di essere un anno pionieristico. Spero di aver costruito una community interessata a questa materia e a quello che sarà il giornalismo nel 2018 e negli anni a venire. Strano, ma siamo di fronte a un cambiamento di epoca, nel quale, però, i giornalisti, specialmente italiani, stanno recitando per la massima parte il ruolo delle vittime, invece che quello dei protagonisti. Per questo motivo, nel 2018, in questo progetto in cui al centro c’è la mobile content creation e tutte le sue sfumature e ai lati l’innovazione, il mio obiettivo numero uno sarà cambiare il linguaggio, pur rimanendo nell’ambito del giornalismo.

    Ormai il giornalismo può e deve essere ovunque.

    Non comprendo più i confini di un medium e la sua necessità di esistere in quanto mezzo oppure in base al suo passato o magari in base ai poteri economici che possiede. Accetto la sfida che il giornalismo debba essere ovunque e non dentro i confini di un paradigma che ha perso peso, onestà e potenza come quello dei media come oggi li conosciamo. Nel giornalismo targato 2018 non possono esserci confini, modelli, linguaggi che siano giusti e linguaggi, confini e giornalismi sbagliati.

    Nel giornalismo 2018 posso ritenere di essere un punto di riferimento da cui si fa direttamente quando si vuole sapere qualcosa di nuovo sul mobile journalism. Ho una nicchia, una specificità e un parco dove rappresentare un porto cui approdare. Per questo motivo, nel giornalismo 2018, non credo che si possa ancora parlare di giornali buoni e giornali sbagliati, di tv buone e cattive. Il linguaggio del giornalismo deve raggiungere il lettore ovunque. Nemmeno soltanto su Snapchat o su qualche social. Il giornalismo 2018 sarà un tweet, uno snap, una storia, un reportage, ma anche dei moments, un percorso visuale, un’esperienza umana, un trasferimento di emozione. una moltiplicazione di punti di vista.

    Da una moltiplicazione di linguaggi a una moltiplicazione di modelli di business.

    Il mio guru di giornalismo Michael Rosenblum, che sia il 2018 o il 2052, dice sembre una cosa: “No money, no good journalism”. Allora il giornalismo 2018 è un giornalismo che va pagato, per farlo andare verso la metamorfosi. Un giornalismo che deve sperimentare modelli senza editori, linguaggi senza verità preconfezionate. Il tg? Forma morta. Il quotidiano? Nessuno capisce dove va. Però ci sono modelli che funzionano e che bisogna avere il coraggio di proporre al mercato. Il giornalismo 2018, per essere chiari, andrà fatto su qualsiasi mezzo e in qualsiasi modo possa rompere gli schemi. Tuttavia andrà anche pagato. Punto. Ora che non seguo più Salvini o i pedatori allo stadio, ora che non faccio servizi da tg da 1’40” non mi sento meno giornalista. Vedrete che nel 2018 mi allontanerò ancora da questo vecchiume, in un modo che non potrete dimenticare, ma non potrete non ritenere giornalismo. Tra l’altro totalmente mobile.

    Poi c’è il rivoluzionario Rosenblum che traccia un’altra strada.

    Bisogna cambiare linguaggio nel giornalismo 2018. Ho visto tutto il lancio di questa iniziativa imprenditoriale che si chiama Brooklyn Tv e che è il primo esempio di local tv crowdfunded e crowdsourced del mondo (credo). Se non lo è beh, Michael è figo lo stesso. Comunque per un territorio da oltre 20 milioni di persone il nostro si è inventato la prima Local TV crowdsourced. I cittadini verranno formati per fare i mobile journalist e pagati per i servizi che fanno. Potranno, se non ho capito male, anche detenere quote della TV ed entrare nelle stanze dei bottoni. Vedremo quando andranno “onair”, ti terrò informato.

    Concludendo, nel 2018 inizio la trasformazione e la produzione di contenuti, con nuovi linguaggi e nuovi formati. I timidi test che ho fatto sono poca, pochissima cosa. Il tutto con l’obiettivo di puntare a nuovi luoghi e nuovi modi di fare giornalismo…. attenzione, attenzione… VENDIBILI!. Confrontiamoci, parliamoci, scanniamoci, ma lasciamo a terra qualsivoglia tipo di verità costituite. Qui di verità non ce n’è più. Il primo gennaio, io, ricomincio da zero questo progetto. Vieni con me?

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  • Giornalismo: con il mojo si moltiplicano i punti di vista

    Giornalismo: con il mojo si moltiplicano i punti di vista

    Giornalismo in carca di nuovo linguaggio.

    Io insegno mobile journalism, scrivo di mobile journalism, vivo di mobile journalism. Tutti i giorni che dio manda in terra metto le mani sulle potenzialità di questa nuova cultura della mobile content creation che cerco di incastonare nel mio modo di fare giornalismo. Parto da un dato di fatto: il giornalismo ripete in modo sistematico e, a questo punto della tecnologia, erroneo, schemi che ormai non fanno rima con i mezzi di comunicazione di oggi.  Vedo a ogni angolo delle mie ricerche di notizie o di informazioni, cliché della tv ripetuti sui siti, linguaggi sei social sdoganati sui giornali, format tv fotocopiati sul web, format del web riadattati alla tv. Una corsa matta e disperatissima alla ricerca del pubblico che cambia, della popolazione giovane, dei disillusi dalla tv che oggi sono tutti su Netflix.

    Nessuno sembra farsi la domanda giusta.

    Già, per quanto riguarda il nuovo giornalismo nessuno sembra farsi la domanda giusta che penso possa suonare più o meno così: come si può cambiare? Ho consumato centinaia e centinaia di ore a cercare, leggere, pensare a un nuovo modo di fare giornalismo anche per me. Non credo che la strada sia facile, perché vengo da lontano, ho una cultura vecchia e “costumi” oculari consolidati. Non credo sia facile anche perché i nuovi strumenti che provo sono molto distanti da me, quindi tutti da imparare e da vivere. Se non sono distanti dal mio giornalismo, sono magari “doppioni” del mio linguaggio visivo.

    Il messaggio di Yusuf Omar colpisce ancora.

    Detto con sincerità, ci sono pochissimi punti di riferimento che stanno cambiando il paradigma del futuro del giornalismo. Anche stasera non mi sposto molto da quelli che ho indicato qualche tempo fa in questo articolo. Tuttavia devo ancora una volta fare menzione dell’amico Yusuf Omar e del suo progetto HastaghOurStories. Yusuf è il solo al mondo che sta ribaltando tutti i linguaggi possibili e facendo del giornalismo moltiplicato dai diversi punti di vista una grande missione sociale. E’ un uomo in grado di cambiare il mondo e di dare voce al mondo con un telefonino e qualche altro aggeggio tipo un drone.

    Giornalismo multipoint: unica strada possibile.

    La moltiplicazione delle voci e dei punti di vista è la sola maniera per rinnovare il linguaggio del giornalismo che si è consegnato ai soldi e al potere. Per farlo Yusuf usa tecniche di wearable journalism, di mobile journalism, di drone journalism e mixa, facendo campo e controcampo di ogni notizia, messaggio, voce. Nella sua missione più sociale, invece, usa il mobile per dare voce a chi non ha voce: l’ho visto coi miei occhi andare a cercare gli homeless di San Francisco. Insomma, il giornalismo deve tornare a informare le persone mettendo una camera (o uno smartphone o una snap cam o degli spectacles o quello che vuoi tu) per far vedere la realtà da ogni angolazione.

    Io sono ancora ai primi test.

    Seguendo un punto di riferimento come Yusuf ho deciso di procedere con tre campi nuovi rispetto al giornalismo classico. Il primo è quello del giornalismo immersivo, sul quale ho fatto già qualche mese fa i primi test, il secondo è quello del wereable journalism, il terzo è quello del drone journalism. Sto provando, sto testando, sto iniziando a imparare una grammatica che è sconosciuta anche ai massimi esperti, come quella dei video a 360 gradi. Anche il wereable journalism, per dirla papale papale, il giornalismo fatto con le camere che si mettono addosso, può avere un grande sviluppo, aldilà dei clichet soliti del giornalismo investigativo.

    Può essere fatto anche semplicemente per far capire diversi punti di vista. A me è capitato di provalo e di capirlo mettendo una camera portabile sul petto di mio figlio di 5 anni. Questo risultato è un test, ma pensa se dovessi pensarlo in chiave giornalistica per far comprendere tutti i passaggi del vivere civile o di una città nei quali essere basso come un bambino di 5 anni è faticoso. Scopriremmo insieme, io e te, che mettersi addosso una camera è far cambiare a tutti punto di vista. Ritornando al centro del giornalismo. Vuoi scommettere?

     

  • Il mobile journalism? Semplice e in continuo cambiamento

    Il mobile journalism? Semplice e in continuo cambiamento

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    Le indicazioni di una settimana di corsi di mobile journalism.

    La scorsa settimana ho affrontato per la prima volta l’esperienza di una docenza di livello universitario presso i Master della Iulm concernenti il mondo del “Beauty e del Wellness” e l’ambito professionale della “Food and Wine Communication“. Cosa è successo? Il finimondo naturalmente… in senso buono, un finimondo concluso con uno splendido minicorso base di mobile journalism nella community di Italianmojo, esattamente l’ultimo del 2017.

    Quello che ho visto negli occhi degli altri.

    Ti confesso: ero emozionato prima di cominciare questa esperienza, essendo completamente novizio della docenza. Niente, in pochi minuti mi sono sentito parte delle mie classi, gestendo didattica ed errori di “gioventù” (si, dai, almeno come professore sono giovane :-)) con estrema naturalezza. Ho attraversato la storia, la grammatica visuale, l’hardware, il software, il filming, l’editing, iMovie, Kinemaster, i trucchi e l’essenza di questa nuova materia con un obiettivo, sperando di raggiungerlo. Vuoi sapere qual era? Volevo che tutto sembrasse semplice. Volevo che le persone che avevo di fronte sentissero arrivare il “calore” di questa nuova cultura, la sua vicinanza e la sua immediata fruibilità, prima delle disquisizioni tecniche o di grammatica visuale. Volevo che il mobile journalism che stavo insegnando fosse semplice.

    Quello che ho visto negli occhi delle oltre 50 persone che ho incontrato nei tre giorni di insegnamento è che sono riuscito a trasmettere questo valore, quello della semplicità del mobile journalism. L’ho visto nelle giovani studentesse del mondo del beauty, nel mondo più variegato che si interessa della cucina e del vino, ma anche nel mondo dei professionisti del giornalismo che sono venuti a Italianmojo sabato. Giornalisti di esperienza o comunicatori di vaglia, studentesse del mondo della bellezza o cultori della comunicazione del mondo del vino: tutti hanno recepito la semplicità di questa materia.

    Correzioni del colore e gimbal? No, pure mojo.

    Il mobile journalism che ho cercato e cerco di diffondere è puro e tende solo a far esprimere al massimo le potenzialità dello smartphone all’atto della produzione dei contenuti editoriali che sono utili alla professionalità di chi lo interpreta. Non sono andato dentro i tecnicismi, non ho “violentato” il mobile facendolo diventare un nuovo tipo di videomaking, ma un filo più sfigato. Il mobile journalism è e resta un linguaggio unico, differente, con i suoi enormi punti di valore e i suoi limiti strutturali. Renderlo criptico con potenti soluzioni tecniche e con importanti hardware di correzione dei limiti che ha la macchina, mi sembra un esercizio di una assurdità enorme. Insomma, mojo tecnico? No, pure mojo. Io vado da quella parte…

    Il mobile journalism è una filosofia nuova e in continuo cambiamento

    E quando parli di nuova filosofia o di nuova cultura, quello che devi fare se la studi è capirne quello che di buono può essere per te. Se la insegni, invece, la devi “girare” a chi la riceve con le chiavi in mano per aprire una porta che apre un mondo semplice e utile, chiaro ed efficace. Il mobile journalism è una filosofia nuova e un nuovo linguaggio, il quale fa rima con il cambiamento della prospettiva. Il mobile journalism è questione di storie da raccontare con l’agilità e la potenza del telefono, il quale non crea immagini che “replicano” il linguaggio della telecamera, ma ne fa nascere di nuove. Il linguaggio video del mobile è più vicino, più smarcato, più agile, più profondo, più intimo e più artigianale, se vogliamo curato. Sono molto felice di essere riuscito a farlo capire ai miei studenti. Ultima nota: il mobile journalism cambia tutti i giorni e trova nuove forme e nuovi hardware. Giovedì, con il prossimo articolo, ti racconto una esperienza diretta, un altro test sul campo che, per ora, puoi trovare sulla mia fanpage di Facebook.  Il mobile journalism è anche questione di punti di visione della realtà.

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  • Granovetter, il maestro dei mobile journalist per creare lavoro

    Granovetter, il maestro dei mobile journalist per creare lavoro

    Creare lavoro: il mojoer deve conoscere bene le dinamiche.

    Sono al termine di una giornata memorabile. Ho vissuto oggi il primo giorno ufficiale della mia seconda vita, quella del “prof”. L’ho vissuto da docente-testimone di un master in Management e Comunicazione del Beauty e del Wellness presso la Iulm. Un’ emozione vera e un primo passo molto importante dentro la formazione di livello accademico per la mobile content creation italiana.

    Sono qui che scrivo con ben poca energia, ma voglio rispettare la mia scadenza di pubblicazione di giovedì, anche se per un pelo. Lo voglio fare regalandoti un contributo a mio avviso determinante per la creazione di una carriera che non arresti mai la sua crescita. Lo faccio oggi perché emozionato dal fatto che questo nuovo compito mi è stato girato da uno di quelli che il sociologo americano Mark Granovetter chiama un “legame debole”. Spero di ringraziarlo adeguatamente ripagandolo della fiducia che ha riposto in me e anche consegnandoti questo documento di valore eccezionale.

    Mi hanno fatto rialzare i legami deboli.

    In questo documento spettacolare, Mark Granovetter, ancora operativo come professore di sociologia a Stanford, racconta come, per creare lavoro, siano decisivi i legami più esterni della propria sfera di conoscenze sociali, non certo quelli più vicini. In questa rivoluzione completa della mia vita (e ancor più in questa serata) posso affermare che sono stati proprio i link con persone conosciute da poco quelli che mi hanno dato linfa, lavoro, conoscenze, valore.

    Il motivo? Semplice. Per creare lavoro bisogna scambiare valore senza paura di poter perdere posizioni, senza alcun timore di venire “fregati”. Se infatti, ci sono predatori che possono “razziare” dei link che ci siamo costruiti, è evidente nei fatti che il coltivare legami di valore e dare prima di ricevere, è un’operazione che porta frutti diversi e duraturi del “fotti fotti” tipicamente italiano. In questo anno a me è capitato decine di volte. Per creare lavoro, insomma, bisogna fare leva sulla forza dei legami deboli. Dando valore, prima di riceverlo.

    Il fondatore della sociologia economica.

    Mark Granovetter non è un sociologo qualunque. E’ forse il più importante sociologo vivente e padre della sociologia economica. E’ un punto di riferimento anche di Rudy Bandiera, grande divulgatore dei legami via reti sociali. Nel suo lavoro più importante La forza dei legami deboli, il nostro teorizza che, per citare Wikipedia, “i soggetti inseriti in legami deboli, fatti cioè di conoscenze amicali non troppo strette, hanno più possibilità di accesso ad informazioni e quindi di potenziali posizioni lavorative di proprio interesse, rispetto a coloro che investono socialmente soltanto nei legami forti, cioè i familiari, i parenti e gli amici intimi”. Ecco come si crea lavoro: coltivando e scambiando valore con i legami deboli, con le relazioni più esterne rispetto alla propria sfera.

    Vuoi il regalo? Eccoti servito: buona lettura. LA FORZA DEI LEGAMI DEBOLI.