Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Riflessioni davanti al cadavere del giornalismo italiano

    Riflessioni davanti al cadavere del giornalismo italiano

    Il giornalismo visto da un treno.

    Scrivo su un treno. Quando scrivo su un treno mi sento più protetto. Non so perché, sarà che il movimento sembra portarsi via le parole che, fuggendo, mi fanno meno male. Però è un’impressione, lo so, una chimera.

    Forse non te ne frega, ma lo scrivo lo stesso.

    Le parole che scrivo in queste righe, infatti, fanno male anche sul treno, segnano dentro, tirano stiletti al cuore. Voglio riflettere con te sul futuro del giornalismo italiano e sul presente del giornalismo altrove.

    Perché altrove il giornalismo è vivo, qui il giornalismo è morto.

    Premetto subito: forse della mia visione delle cose non te ne fregherà un beneamato, ma voglio mettere giù questi appunti, fare queste fotografie della situazione, raccontare questi fatti e fare queste riflessioni, affinché vadano agli atti della mia modesta vita, ma raccontino anche che io mi batterò sempre perché le cose non rimangano come sono. Sarà pure una battaglia persa, ma la combatto in ogni caso. Quindi o ti saluto qui o spero che tu possa continuare a leggere usque ad fundum.

    Una strana telefonata e la ghigliottina.

    Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata con un collega che adoro. Abbiamo condiviso notti e speranze, delusioni e frustrazioni, sogni e bellissime storie raccontate. Parlando (e abbiamo parlato di tutto, visto che lui è uno dei pochissimi che mi ha seguito nella mia seconda vita lavorativa) ho tagliato una frase che è risuonata come una ghigliottina sulle speranze di chi fa il mio lavoro, almeno dentro questi confini nazionali.

    La categoria dei giornalisti.

    Stavo parlando dei giornalisti e ho definito la categoria così: “La categoria dei giornalisti – gli ho detto -si divide in due sottocategorie. Una è quella degli stronzi e, come sai, è ben frequentata. Gli stronzi sono tanti, ovunque, in ogni categoria. L’altra, tuttavia, è quella dei devastati. Devastati perché non riescono nemmeno a respirare (figuriamoci a pensare) se sono fuori sulla strada, visto che per guadagnare un onorario da fame devono trottare dalle 9 alle 22 senza riposo o contezza che qualcuno paghi le loro fatture. Devastati se sono dentro le redazioni perché chi ha il culo al caldo è troppo impegnato a salvarselo per fare il mestiere del giornalista nel frattempo”. La sua risposta: “Hai ragione”.

    Se sei un direttore, poi…

    Pochi giorni dopo ho parlato anche con un direttore di testata. L’ho visto tirarsi in volto quando mi ha raccontato da quanti anni e per quante volte il suo editore gli ha bocciato qualsiasi iniziativa editoriale. Ho preferito non chiedergli, invece, quante volte frequentano il suo ufficio gli scagnozzi della pubblicità. Avevo paura di quello che mi avrebbe risposto. L’ho visto stanco di non sapere dove va la sua testata, cosa può fare o non può fare. L’ho visto stanco di non capire che futuro avrà.

    “Pronto? Parlo col giornale Pincopallo?”

    Poi è successo altro. Per alcune iniziative del mio progetto ho contattato le redazioni di un giornale e di un sito. Volevo raccontare il mio lavoro e dire che avrei, nel giro di pochi giorni, tenuto un evento a pagamento. La risposta? Praticamente all’istante mi è stato fatto capire che se volevo che si pubblicasse qualcosa sul giornale (o sul sito) dovevo passare dalla pubblicità. Non mi era mai capitato di sentirmelo dire apertamente, senza poi discutere del fatto che 1) quella che stavo proponendo era una notizia, perché era la prima volta in assoluto che si teneva un evento di quel genere nel territorio di quelle testate; 2) Non ci ho praticamente guadagnato nulla vista la montagna di ore che mi sono occorse per prepararlo. Figurati se avevo soldi per pubblicizzarlo. La prossima volta chiamo direttamente la concessionaria, visto che il giornale lo fanno loro. Quando facevo il giornalista non sapevo nemmeno dove fossero gli uffici della pubblicità.

    I marchettifici e la pubblicità degli influencer.

    Ho avuto sentori di questa puzza anche altrove, ma mi limito a pensare che è prima il caso di toccare con mano la maleodorante trasformazione dei giornali in posti nei quali la pubblicità decide che cosa si scrive in modo definitivo e ultimativo. Ti farò sapere. Intanto prego te e altri di non venire a farmi la morale sulla pubblicità dei blogger o degli influencer perché quella è chiaro a tutti cosa sia. Per questo è meno stronza. Tutto alla luce del sole: la marchetta ha il bollino: lo vedi, se vuoi continui, se vuoi cambi pagina o stoppi il video. È semplice la differenza: il giornalista che chiede di passare alla concessionaria è una prostituta italiana, quello che fa sponsored post è una prostituta di Amsterdam. In vetrina, curata, controllata, con il cartello della non positività all’HIV fuori dalla porta.

    Il lampo di Yusuf.

    Un giorno mi telefona A. e mi dice “Oh Facco (lui mi chiama così) ma hai visto cosa ha fatto il tuo amico Yusuf Omar?”. Trasecolo: Yusuf è un amico, ma è anche uno su cui ho scritto testi, come puoi vedere da questo articolo. “Cosa ha combinato?”. E lui: “Ha appena lasciato la CNN. Dopo 7 settimane… dice che se ne va in giro per il mondo”. Quando ho capito ho avuto un brivido gelido lungo la schiena. Uno dei più visionari giornalisti del mondo ha mollato una delle più importanti televisioni del mondo per due motivi: 1) Perché stavano tentando di ingabbiarlo (e questo motivo ce lo metto io e lui non me lo confermerà mai; 2) Per andare in giro per il mondo a insegnare a comunità di stati emergenti a usare il Mobile Journalism per far sentire la propria voce al di là di qualsiasi editore, giornale, sito, tv.

    Il prossimo miliardo.

    Yusuf e sua moglie Sumaiya gireranno 20 nazioni realizzando incontri e workshop sul mojo e io ho voluto chiedere perché a Yusuf: “Perché ci siamo accorti – mi ha detto personalmente – che i media mainstream perdono troppe storie. Sono omologati, schiacciati, uguali. Fuori dai soliti circuiti c’è un mondo di storie che nessuno racconta e che noi vogliamo far raccontare ai protagonisti stessi, facendo a meno dei media, con la loro voce, grazie al mojo. Storie vere, magari prese da più di un telefono, da più di una angolazione, storie che aiutino le comunità a uscire allo scoperto”. Non so se te l’ho già detto, ma è semplice: Yusuf sta andando dove c’è il prossimo miliardo di utilizzatori di internet, il quale non digiterà un carattere, ma parlerà e vorrà ascoltare la voce del mondo tramite contenuti multimediali. Si tratta, tra l’altro, di un miliardo di utilizzatori del web di paesi emergenti.

    Mentre il cadavere del giornalismo imputridisce, c’è chi va verso un altro pianeta. Il progetto di Yusuf e Sumaiya Omar è www.hashtagourstories.com. Il futuro è li. Io vado: vieni?

  • Siamo tutti videomaker ed è ora di capirlo

    Siamo tutti videomaker ed è ora di capirlo

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    Videomaker “vil razza dannata”.

    Nell’ultimo post ti ho raccontato cosa sia il mobile videomaking e che opportunità può sviluppare per tutti noi, in qualsiasi mondo, in qualsiasi aspetto della nostra vita. Se non lo hai letto fai un giro qui e poi torna, che voglio spiegarti il motivo per cui sei assolutamente preparato per fare il videomaker e forse, semplicemente, nessuno te lo ha ancora spiegato come si deve. Io e il collega Fabio Ranfi, vulcanico direttore di MilanoAllNews e seconda anima della casa del mobile journalism milanese, ne abbiamo parlato a lungo e abbiamo fatto molte riflessioni ad alta voce, seguendo le riflessioni fatte da uno dei padri del mobile journalism mondiale, Michael Rosenblum.

    Abbiamo fatto migliaia di ore di scuola.

    Il giornalista americano, infatti, sottolinea nel suo libro “iPhone Millionaire” che per decenni siamo stati davanti a uno schermo a guardare inquadrature e che, per questo, sappiamo distinguere benissimo quello che è buono da quello che non lo è. I tg che abbiamo visto, i telefilm che abbiamo seguito, le interviste che abbiamo guardato, i documentari, i film, i reality, gli speciali. E oggi i video sui social, sui siti, i tweet, gli snap. Abbiamo la capacità di sapere cosa fare per far un buon video, ma ci manca lo studio della grammatica e del linguaggio, del software adatto e dell’hardware.

    Per questo motivo alla nostra “preparazione” naturale, dobbiamo aggiungere la cultura e le informazioni del mobile videomaking, in modo da far diventare “redditizio” e “attivo” tutto quel patrimonio di conoscenze che giace inutilizzato nel nostro cervello.

    Non basta aver “subito” tutte quelle migliaia di ore di scuola, bisogna “attivarle” con il mobile videomaking. Insomma, siamo tutti videomaker e ancora non ce ne siamo accorti proprio per bene, ma se sei qui sei sulla strada buona, almeno tu, per rendertene conto in modo definitivo e per usare a tuo vantaggio questa opportunità.

    Le riflessioni del Ranfi.

    Il buon Fabio Ranfi ha riflettuto sull’argomento da par suo sul suo blog. Ecco che cosa è uscito dalla sua penna mojo e dalla competenza con la quale ha tirato fuori e messo “nero su bianco” i dati sul turbine di video che ci girano intorno tutti i giorni.

     

    Fabio Ranfi

    Sei miliardi di ore al mese. Sono le ore di filmati che ogni mese nel mondo vengono viste tramite YouTube. Quattrocento sono, invece, le ore che vengono caricate ogni minuto sempre sul popolare Social Media. YouTube è sicuramente il più grande distributore di “contenuti video” al mondo, ma è da ben prima del suo arrivo che abbiamo iniziato il nostro corso “inconscio” di videomaker.


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  • Video con lo smartphone: è solo questo il mobile videomaking?

    Video con lo smartphone: è solo questo il mobile videomaking?

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    Fare video con lo smartphone: una necessità impellente.

    L’altro giorno sono stato a fare una gita in Svizzera e, a un certo punto, mi è caduta la marmitta della macchina sulla strada. Un gran baccano, un clangore pazzesco, la macchina che rallenta in un punto un po’ problematico e io che guardo nello specchietto retrovisore e… sorrido. Perché? Oddio, prima di sorridere ho pensato anche una cosa un po’ volgare (una cosa tipo “Cazzo filmi”), poi ho sorriso. Il motivo? Dietro di me, una ragazza, dentro una macchina, riprendeva la scena della mia macchina con la marmitta a terra che faceva scintille. Riprendeva la scena con il telefono e in verticale.

    Insomma, il gesto di riprendere un fatto che ci accade davanti è diventato un comportamento ancestrale, quasi un riflesso. Il gesto di riprenderlo in verticale, beh, anche quello è, diciamo un riflesso condizionato dall’uso che facciamo del telefono. Ti tiro una riga: fare video con lo smartphone è un nostro linguaggio comune ed è un modo di comunicare in rapida crescita in tutti i campi. Per questo va allenato, se non altro per mettere il cellulare in orizzontale quando si riprende (anche perché non credo che metterai la tv o il pc in verticale per guardarli.

    Il video (e l’audio) stanno mandando in pensione la tastiera.

    Se non te ne sei già accorto (forse si, se leggi queste righe), te lo sottolineo io: il video e l’audio (ma ci metto dentro pure la foto) sono i due (tre) tipi di comunicazione più importanti di questo nosto periodo. Non scriviamo più, nemmeno sulla tastiera. Tendiamo, comunque, a riprendere immagini in movimento appena possiamo (come quando ci casca una marmitta nella macchina davanti) o a mandare foto per un saluto o audio se il concetto che dovremmo scrivere supera le 20-30 parole.

    Le giovani generazioni, poi, hanno smesso di digitare, tra faccine del cavolo e abbreviazioni, anche una singola lettera. Meglio un video, meglio uno snap, meglio un audio, meglio una gif. Insomma, il video e l’audio stanno mandando in pensione la tastiera. Il linguaggio video, poi, ci viene in soccorso quando dobbiamo sapere una cosa, imparare una cosa, vedere una cosa. Non ti convince il ragionamento? Ti metto qui un link del WSJ che ti farà cambiare idea: il paludato giornale di NY ha già messo giù, con dovizia di dati, un report sul fatto che il prossimo miliardo di utilizzatori di internet non digiterà più una lettera e comunicherà solo con audio e video.

    Ecco: guarderai per decenni, ma se fossi tu a produrre?

    Starai per decenni davanti a uno schermo a guardare dei video, ma pensa a come potrebbe cambiare la tua vita e il tuo lavoro se potessi diventare tu produttore. Si, sto parlando del fatto che potresti diventare serenamente un videomaker e aiutare il tuo capo, migliorare la tua azienda, presentare un tuo nuovo prodotto, raccontare un’ingiustizia subita o semplicemente per mandare gli auguri di buon compleanno a mamma. Lo strumento per farlo? Il tuo smartphone. La disciplina da imparare per farlo? Il mobile videomaking, appunto. Cos’è? E’ il mobile journalism, disciplina e cultura di cui parlo da mesi su queste colonne, aperta a tutti.

    D’altronde viviamo nell’epoca in cui tutti possono essere giornalisti, grazie alle piattaforme sociali e alla possibilità potenziale di arrivare a miliardi di persone. Perché, quindi, non approfittarne per metterlo nel motore di qualsiasi azione? Ecco il motivo per cui, nel progetto di Italianmojo, abbiamo deciso di iniziare i nostri progetti di corsi creando una versione di base del mobile journalism che potesse rappresentare uno strumento utile e immediatamente utilizzabile per qualsiasi professionalità e qualsiasi necessità.

    Ma che diavolo è, quindi, questo movi?

    Il mobile videomaking, quindi, è quella disciplina che fa apprendere modi, tecniche, operazioni e informazioni necessarie  a creare video con lo smartphone per i più svariati usi. Cosa c’è al centro? Un concetto molto semplice: siamo tutti storyteller, siamo tutti uomini con una storia da raccontare. Se si apprendono correttamente le basi del racconto per immagini, gli strumenti necessari, le operazioni di base per l’editing, beh, si diventa immediatamente operativi per la creazione di un contenuto multimediale video (ma anche audio) di qualità professionale.

    Pensaci veramente, fermati un istante: potresti aiutare il tuo capo per la dichiarazione pubblica da mettere sul sito, potresti valorizzare i tuoi prodotti con un video, iniziare a fare un blog di ricette di torte, fare una dichiarazione d’amore al tuo moroso o morosa. Ti si aprirebbero le praterie di possibilità che un linguaggio video codificato e professionale possono dare. Ieri sera ho fatto sull’argomento un paio di riflessioni in diretta con i lettori della mia fanpage. Te le metto qui sotto, magari aiutano.

     

    Sei uno studente? Buttati.

    La presenza di un giovane studente al mio primo corso mi ha colpito molto. Ognuno ha il suo mobile videomaking, i motivi per cui lo vuole imparare, i suoi obiettivi. La cosa importante è questa: il movi si adatta a non viceversa. Per questo motivo, quando il giovane studente, alla mia domanda “Perché sei venuto?” mi ha risposto “Perché indipendentemente dai miei studi, questo linguaggio sarà determinante per il mio futuro”. Beh, applausi. Se sei studente, quindi, buttati senza se e senza ma.

    Nei prossimi giorni il team di Italianmojo e MilanoAllNews riprenderà i corsi. Il primo appuntamento è previsto a Udine ed è organizzato in collaborazione con lo spazio Mantica 26 della dottoressa Francesca Vittorio.  Per aprire un vero e proprio gruppo friulano su questa materia mi sono rivolto a Meet Up che puoi trovare qui, mentre per iscriversi al corso a Udine il prossimo 2 settembre la via è questa.

    Per quanto riguarda il gruppo di Milano, ricominceremo la nostra attività con un incontro il 15 settembre, mentre i primi corsi saranno il 17 settembre e il 30 settembre prossimi. Come si vede dal Meet Up, il quale ha superato i 50 membri, la comunità milanese dei mojo (o movi) è molto viva e già avanti nel suo processo di crescita. Quella udinese, invece, spero cresca con le prime iniziative.
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  • Selfie stick? No, iKlip Grip Pro: treppiede coi controfiocchi

    Selfie stick? No, iKlip Grip Pro: treppiede coi controfiocchi

    Quei momenti in cui vorresti un diavolo di selfie stick

    Forse a quell’Indro Montanelli, ritratto nella foto seduto fuori dalla porta del Palazzo a picchiettare sulla sua Lettera 22 non serviva un treppiede. A chi fa mobile journalism ne serve almeno uno (se non due) per essere operativi quando si è sul campo. Se poco c’è da dire sulla questione supporto per immagini ferme (ce ne sono di tutti i generi e di tutti i prezzi, ma io consiglio roba cinese da poco che non ti ammazzi se lo dimentichi in giro), un discorso di altro livello si deve fare per il treppiede da tavolo. Per un motivo semplicissimo: è un oggetto che sviluppa più funzioni necessarie nel momento in cui si “scopre” una storia e non si è adeguatamente attrezzati per realizzarla al volo, ma si deve.

    Spiego meglio: ci sono istanti, magici, nei quali, sbatti contro una storia e non sei adeguato a prenderla. Ti manca il microfono, magari le lenti, un handheld per le immagini di copertura, il treppiede per prendere un’intervista. Come fai per coglierla ugualmente? Uno solo il rimedio, devi girare sempre armato, ma di armi leggere… In quegli istanti (a me ne sono capitati due perfino a Casargo, paese sperduto dell’Alta Valsassina) pure un selfie stick si trasforma in una nave stellare multifunzione per far decollare la tua storia. Per quello bisogna averne uno, magari telescopico, ma molto più utile è un treppiede, anzi il treppiede coi controfiocchi…

    Ecco un vero “coltellino svizzero”.

    Alcuni fra i mojoer più importanti del mondo dicono che il telefonino è lo “Swiss army knife” dei giornalisti, ma a mio avviso lo è anche il mitico iKlip Grip Pro, prodotto dell’italianissima iK Multimedia (davvero geniale questa company modenese). Si tratta di un prodotto che associa la funzione del treppiede, a quella dell’Handheld, a quella del treppiede telescopico e del selfie stick. Insomma cerchi un selfie stick e trovi uno di quei tesori che trasforma il tuo nomento di smarrimento (oddio la storia mi sfugge) in un momento in cui sguaini la spada e la fai. Ecco le varie funzioni in una galleria foto.

    Non credo serva spiegare cose ulteriori, anche se due chiacchiere sul mitico aggeggio, diventato per me un oggetto indispensabile, le ho fatte sulla mia fanpage nella diretta che puoi ritrovare a questo link. Credo, invece, che sia il caso di mettere definitivamente questo aggeggio nei must have della borsa del mojoer, con una grande controindicazione che rivolgo, come appello, alla iK Multimedia.

    Il grosso lato negativo: il materiale.

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    Comprendo che l’iKlip Grip Pro sia un oggetto fatto per chi cerca un selfie stick e si ritrova tra le mani un coltellino svizzero multifunzione, ma se all’azienda sta a cuore l’opinione dei mojoer, voglio dire che l’unico grosso neo di questo oggetto che è importante per il lavoro dei giornalisti mobili è il materiale. Questo attrezzo, infatti, consegna stabilmente l’impressione di essere troppo leggero e di non assicurare adeguatamente lo smartphone alla sua struttura.

    Nell’uso da treppiede telescopico, poi, subisce ogni sussulto e spostamento rischiando la caduta. Certo, ci sono “precauzioni” facilmente adottabili che assicurano una buona dinamica di lavoro ugualmente, ma sicuramente preferirei concentrarmi sull’inquadratura sicuro al 100% dell’efficienza dello strumento, invece che tenere una mano sul treppiede per paura che cada. Non succede, ma anche l’impressione conta. Per cui per iKlip Grip Pro tanti plus e un minus. Lo puoi acquistare, per ora, solo negli Apple Store o a questo link qui 

  • Ricerca sul Mobile Journalism: da Oxford arriva “Closer to the story”

    Ricerca sul Mobile Journalism: da Oxford arriva “Closer to the story”

    Ricerca sul Mobile Journalism: il mojo arriva più vicino.

    Il mobile journalism sta destando sempre maggiore interesse a livello accademico, ma faccio subito una precisazione: molto in giro per il mondo, molto poco in Italia. Agli inizi di luglio, a firma Panu Karhunen, giovane e talentuoso mobile journalist finlandese, è uscita una ricerca molto dettagliata sull’efficacia del mobile journalism nella costruzione di reportage di news e di MOS, Man on street. Promossa dall’Università di Oxford, nell’ambito di una Reuters Institute Fellowship, sponsorizzata dalla finlandese Helsingin Sanomat Foundation, la research è un lavoro straordinariamente interessante sulla materia in generale e sulla sua “penetrazione” nella notizia in particolare.

    Un patrimonio di grande importanza.

    Karhunen è andato in profondità nell’argomento, intervistando i più grandi interpreti della storia del mojo (più uno scappato di casa, me!) e regalando alla cultura del mojo un lavoro che deve diventare patrimonio di tutti i mobile journalist. Panu mi ha molto gentilmente girato una copia di questo documento, in pieno spirito di condivisione del sapere, cosa che si fa d’abitudine nella community internazionale dei mobile journalist, ma non in Italia.

     Ecco il documento.

    Leggilo, condividilo, se sei uno studente di giornalismo portalo al tuo professore e chiedi di parlare di questa materia. Io sto divulgando la materia in italiano, ma non ho “orti” da tenere: la cultura del mobile journalism è di tutti e chi vuole capire capisca. Guarda qui sotto per goderti il lavoro di Panu Karhunen. Buono studio.

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  • Brand journalism: raccontare i sogni è davvero Speciale

    Brand journalism: raccontare i sogni è davvero Speciale

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    Brand Journalism: si parla di un marchio e del suo sogno.

    Uno dei campi nei quali il mobile journalism può rappresentare un linguaggio peculiare e un’opportunità importante per chi lo pratica è quello del Brand Journalism. In questi mesi sto vivendo un’esperienza professionale di grande soddisfazione con il designer Gianni Speciale e la sua “firma” di esclusivissime biciclette artigianali realizzate in legno. Gioielli unici, “diamanti” a due ruote, se vogliamo facilissimi da raccontare. Il motivo? Sono emozionanti e il brand journalism, nuova tendenza delle pubbliche relazioni delle aziende, quello racconta: l’emozione. L’emozione che si prova ad avere quel determinato prodotto, a vestire quel capo, a pedalare quella due ruote.

    Con il team di Speciale abbiamo deciso di partire raccontando il “daydream”, il percorso, il sogno a occhi aperti di un artigiano che ha oltrepassato i confini della sua stessa natura per diventare un vero designer.  In grado di creare delle bici talmente belle da essere considerate un oggetto da esposizione. Ecco l’inizio della nostra nuova immagine digitale, prodotto tutto con tecniche di mobile journalism.

     

     

    Questione di valori.

    Il brand journalism è uno dei nuovi sbocchi professionali per il giornalismo perché è dai giornalisti che va sviluppato. Ormai il consumatore è attivo, informato, preciso, esigente e veloce nell’arrivare al punto. L’azienda, di conseguenza, che vuole proporsi in modo efficace sul mercato, deve diventare una produttrice di contenuti che abbiano dignità di notizia. News che possano regalare informazioni inedite ed esatte a chi, potenzialmente, vuole acquistare un bene, specialmente se di “super lusso” come quello nel video. Per questo il brand journalism è questione di valore e di valori. I quali vanno amministrati secondo la deontologia professionale dei giornalisti e secondo l’onestà del codice deontologico dei giornalisti (ammesso esista ancora, scusami la battutaccia).

    Qui ci trovi il mio mojo.

    Non c’è dubbio che ho cercato di dare la mia impronta a questo video. Con un ragionamento semplice: gli effetti sono pochi, le inquadrature semplici e intense. Come quella della foto in testa a questo articol. Foto che ritrae il designer che “si abbraccia” proprio mentre, nel suo discorso, dice le parole “l’abbraccio del manubrio”. Non voglio tirarmela, ma voglio farti un esempio: il mobile journalism è il solo linguaggio delle professioni visive che possa darti questo tipo di immagini pensate. Ad alta qualità concettuale e con un prezzo contenuto. Questo è tutto il mio mojo, anzi questo penso che sia il mojo. La possibilità di raccontare un’emozione con un video pensato “frame per frame”, con un attrezzatura semplice e con un tempo dimezzato rispetto al consueto tempo di esecuzione di un lavoro del genere. Brand journalism e mojo: binomio vincente.

     

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