Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Content creator: il mio prossimo mestiere

    Content creator: il mio prossimo mestiere

    Non sono un content creator, ma lo voglio diventare.

    Al limite questo lavoro ho cercato di farlo fare a qualcuno trasferendogli le conoscenze che ho sulla content creation con device mobili. Ho deciso di cambiare radicalmente: voglio diventare anche io un content creator. Di contenuti ne ho prodotti molti, per altri, ma i miei sono sempre stati confinati a tempi residuali delle mie giornate e sono stati pubblicati in modi e formati approssimativi. Insomma, io che ho insegnato come si fanno i contenuti sono sempre stato un “calzolaio con le scarpe rotte” per quanto riguarda i miei video, i miei podcast, i miei testi, le mie foto, i miei audio. Ecco, adesso basta.

    Content creator con la pancia a 50 anni

    Voglio fare il content creator anche col corpaccione, la facciona, i denti brutti e i pochi capelli in testa. Già, perché penso che alla mia età non si debba essere belli, se si compare in video, ma bravi. Iniziare questo percorso a oltre 50 anni è un’operazione sfidante, ma questa sfida, sinceramente, mi piace moltissimo. Il motivo che c’è dietro è chiaro: ho accumulato talmente tanta conoscenza che penso sia arrivato il momento di farla diventare fruttuosa anche per me, non solo per gli altri.

    I primi format

    I miei primi format, i miei primi video su Youtube sono iniziati, ma prima voglio raccontarti, per punti, quali sono i miei obiettivi:

    • Voglio produrre in proprio molti dei corsi che ho erogato. Ho tanto materiale e desidero sfruttarne le potenzialità di business.
    • Desidero finalmente creare una comunità attorno a questi argomenti.
    • Desidero verificare le potenzialità di tutte le piattaforme digitali che permettono la proposta al pubblico di prodotti editoriali.
    • Il mio obiettivo dei prossimi anni, più che diventare un content creator, è diventare editore di me stesso. Voglio vedere se ci riesco e come ci riesco in termini economici.

    Tutte cose che non ho mai fatto

    Creare una comunità, sviluppare una strategia digitale e social, diventare content creator sono tutte cose che ho studiato per anni e di cui conosco ogni virgola, ma che non ho mai messo in campo per me. Tutte queste cose sono una sfida che voglio affrontare in modo definitivo per creare una base economica che supporti il mio lavoro e la mia crescita professionale. I mondi che riguardano i media e la comunicazione stanno cambiando velocemente e l’idea di mettermi a spiegare in modo semplice le cose che succedono mi affascina molto. Anche l’idea di diventare un producer mi sconfinfera parecchio. Sul mondo della mia cultura (il mobile), sul mio strumento (lo smartphone), sull’intelligenza artificiale, sul metaverso, sui contenuti, sulle app, sugli hardware utili al lavoro e ai progetti, sull’evoluzione di questi mondi c’è molto da dire.

    Un content creator che non c’è

    Devo fare molte cose prima di considerarmi un content creator appena decente. Devo crearmi uno stile, devo pensare alla grafica, creare una sigla, sviluppare dei formati, pensare a progetti editoriali, a calendari editoriali, a un piano social consistente, organizzato e costante. Però mi sembra di aver individuato che, nel panorama di chi parla di tecnologia, di media, di contenuti, di hardware e software mobile, di applicativi che ci aiutano a stare meglio, non c’è quel content creator che voglio diventare.

    Di cosa ti parlo? Ti parlo di quel tipo di divulgatore che spiega facilmente il senso e l’uso che si può fare della tecnologia per migliorare lavoro, vita e progetti. Vorrei che questa nuova sfida si inserisse in quell’arte di seminare di cui ti ho parlato qualche giorno fa in questo articolo. Certo, ci vorrà tempo prima che io diventi bravo come Casey Neistat, il mio Youtuber preferito. Clicca qui se vuoi vedere di che fenomeno si tratta.

    Un percorso sotto gli occhi di tutti

    Ok, dette le premesse e chiariti gli obiettivi, posso anche dirti che questa strada da content creator la intraprenderò in modo molto trasparente. Non voglio celare alcunché e non voglio farmi prendere dalla sindrome del perfettino. Pubblicherò molto, naturalmente lavorando sulla qualità del contenuto. Senza nascondere imprecisioni o cambiamenti, evoluzioni e precisazioni. Di stile, di immagini, di linguaggio.

    Non voglio che i miei contenuti video ti sembrino finti e costruiti. Voglio che ti appaiano veri, magari anche un po’ grezzi, ma veri. Devono uscire dai miei giorni, avere le mie parole, la mia faccia, il mio modo di raccontarti le cose. Devono dirti cose utili a rischio di dirti cose banali, ma devono anche raccontarti il vero senso di tutta questa tecnologia che ci circonda e che può davvero cambiarci la vita in meglio… ma anche in peggio.

    Mi viene un po’ da ridere perché mi trovo brutto e vecchio, ma ho tante cose da dirti. Che fai vieni con me? Da grande farò il content creator: comincio da qui.

    La prima puntata di AI Essentials, la mia prima “prova” da content creator.
  • Giornalisti: il cambiamento vola, a noi pilotarlo

    Giornalisti: il cambiamento vola, a noi pilotarlo

    La professione del giornalista sta cambiando in modo violentissimo e decisivo.

    E io non voglio stare a guardare, ma mettermi al volante di questa rivoluzione.

    La trasformazione del mondo del giornalismo e i nuovi strumenti a disposizione della categoria: saranno i temi dell’incontro organizzato a Livorno, in occasione dei 60 anni di Odg Toscana, cui sono stato invitato per un intervento sul futuro di questo mestiere e sulle armi per interpretarlo a dovere e con piena espressione e soddisfazione. Anche in tempi rivoluzionari come quelli che stiamo attraversando con l’arrivo nel nostro lavoro e nelle nostre vite dell’intelligenza artificiale.

    Un convegno interessante

    60 anni dell’Ordine dei giornalisti. L’evoluzione del giornalismo e i nuovi strumenti della professione” questo il titolo dell’appuntamento, valido per la formazione professionale, che si terrà il 20 aprile 2023  nella Sala Consiliare C. Ciampi della Provincia di Livorno, in Piazza del Municipio 4, a Livorno, a partire dalle ore 10.00. Un modo. per me per guardare in faccia tanti colleghi giornalisti, per capire come si sentono, come stanno e da che parte guardano per trovare il loro futuro.

    Ti trascrivo in questo articolo gli appunti, il canovaccio, il percorso del mio intervento, confidando che possa aprire a te e a tanti altri giornalisti scenari di un domani sostenibile e praticabile.

    Il mio speech

    Partirò da questi presupposti. 

    Sono stufo della narrativa sul giornalismo italiano e sui giornalisti italiani. Sono arcistufo di sentire un racconto di questa professione che è imperniato, immerso, permeato, incastrato nella parola crisi. Crisi del settore, crisi dei giornali crisi della professione, crisi dei media, crisi dei lettori, crisi degli spettatori, crisi degli ascoltatori. Sono stufo di vedere questa profonda mancanza di percezione del futuro che annebbia talmente tanto le menti di tutti i protagonisti del nostro mondo lavorativo. Sono stufo perché è vero che la crisi esiste, ma è stata moltiplicata nei suoi devastanti effetti dal totale disarmo con il quale la nostra categoria ha vissuto la rivoluzione tecnologica in atto negli ultimi anni. Ci siamo fatti travolgere da ogni sorta di social media coso si presentasse sull’uscio della porta di qualsiasi editore e ci siamo fatti… sostituire.

    Basta.

    Dico basta perché non c’è mai stata un’epoca così sfidante, complicata e affascinante per fare i giornalisti e non ci sono mai state tante possibilità di fare questo mestiere alla grande, con piena espressione e con soddisfazione economica. 

    Basta problemi, ecco le sfide

    Il problema (che poi non è un problema perché è un affascinante sfida) è che noi giornalisti ci siamo suicidati reagendo al cambiamento necessario della nostra professione con terrore e paura, in modo difensivo, conservativo, disperato e disperante. Abbiamo fatto catenaccio cercando di restare seduti su quel seggiolino da corridoio, quell’apparenza di professione, che ci ha lasciato il treno in corsa dei cambiamenti tecnologici. 

    Il problema è che anche quella malferma sedia si sta sradicando dalla parete e la mano che la sradica si chiama Intelligenza Artificiale, altro argomento che mi fa letteralmente uscire dai gangheri per come viene trattato e usato nel nostro mondo lavorativo.

    Il problema è che veniamo da una crisi di senso e di identità che ha completamente devastato percezione, accesso, vita, sviluppo e persino pensioni dei giornalisti. Una crisi tale da non farci più vedere le opportunità che abbiamo. 

    Perché fare il giornalista oggi è difficilissimo e bellissimo. E’ più difficile e più bello rispetto a qualsiasi epoca del passato 

    Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ha complicato il mestiere, ma anche in un’epoca nella quale la tecnologia può anche permetterci di fare qualsiasi cosa. Possiamo interpretare la nostra professione in una varietà di modi completamente innovativa e creare nuovi modelli, nuove produzioni, nuove committenze, nuovi mercati con la potenzialità enorme di riuscire a disintermediare il ruolo dell’editore e di raggiiungere (potenzialmente) un pubblico sterminato. Possiamo creare una tv senza avere una telecamera, una radio senza avere un ripetitore, possiamo vendere un prodotto editoriale giornalistico senza dover avere un medium che lo compri. Possiamo, ma il problema è un altro: vogliamo? 

    Cambiare la prospettiva dei giornalisti

    Si, vogliamo. Adesso la smetto con il linguaggio al negativo e comincio a dire: sì, vogliamo. Vogliamo abbracciare il cambiamento e giocare in contropiede dopo aver fatto catenaccio per anni. Dobbiamo cambiare prospettiva…

    e sapere che…

    Della nostra legge professionale resta ben poco. E’ da riscrivere in modo completo, totale definitivo, strutturale, ma… 

    Il valore di un solo articolo può reggere il futuro

    Resta immutato il valore di un articolo, il numero 2. Con tutto quello che comporta. Leggiamolo, fa sempre molto bene: 

    E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti / osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori

    Nel 2022 il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti mi ha chiesto di creare due corsi. Uno di questi era sulla nuova professionalità del giornalista. Ho chiesto ai responsabili se potevo partire da una nuova definizione di giornalista e loro mi hanno dato assenso. Ecco quello che ho scritto: 

    In un ecosistema dei media in costante cambiamento

    “Il giornalista oggi è un produttore di contenuti multimediali per l’informazione o per la formazione. Esercita il suo ruolo con la professionalità specifica della costruzione del contenuto, ma anche con le sue competenze di mediazione sociale, sorrette dai valori e dai principi richiamati dall’articolo 2 della Legge sull’Ordinamento della professione giornalistica (l.1963/69). Gestisce attraverso questi valori la costante conversazione che il sistema dei media e della comunicazione impongono grazie alla compresenza di molti canali digitali di interazione con il pubblico. Interpreta la sua professione per qualunque cliente richieda la sua professionalità con l’obbligo intrinseco di creare un un patto di trasparenza e fiducia nei confronti del pubblico verso il quale il committente vuole dirigere i contenuti creati dal professionista del giornalismo”

    L’articolo due c’azzecca ancora, avrebbe detto l’Antonio Di Pietro dei tempi di Mani Pulite. 

    Il resto di questa legge, tuttavia, è travolto dal tempo. Dobbiamo saperlo, come dobbiamo sapere che il futuro del giornalista si gioca nella distanza tra l’uomo e l’intelligenza artificiale.ù

    I giornalisti e l’intelligenza artificiale

    L’intelligenza artificiale è una rivoluzione degna di quella di Gutenberg, ma va capita. Il garante bene ha fatto a bloccarla (anche se si può raggiungere facilmente dal mio telefonino) per mettere tutti in guardia sugli aspetti controversi di gestione dei dati personali da parte di questi nuovi algoritmi generativi.  

    Tuttavia il nostro lavoro sarà anzi, viene già in questo momento rivoluzionato dall’AI. L’intelligenza artificiale entra nel mio percorso professionale ogni giorno. Ogni giorno, tanto per dirne una. L’intelligenza artificiale travolgerà definitivamente modelli, flussi di lavoro, cambiera i media, cambierà il pubblico. Cambierà i giornalisti, ma a patto che noi si riesca a rimanere questa volta al centro della rivoluzione tecnologics

    Il giornalista arretrerà molto presto rispetto alle fasi produttive di un contenuto, si allontanerà dalla tastiera e da quella macchina da righe o video a cottimo che sono i media di oggi. Molte cose saranno eseguite dagli algoritmi generativi di cui oggi stiamo vedendo i bagliori e stiamo capendo i problemi. 

    Questo non vuol dire un giornalista che sarà meno giornalista. Già, perché diventerà meno produttore del contenuto e più progettista del contenuto. Dovrà sapere quando usare o non usare l’intelligenza artificiale. 

    E quando l’AI sarà al lavoro per suo conto lui potrà fare molte cose che da tempo non fa più: verificare le fonti dell’AI stessa, incrociare i dati, leggere i dati, mettere insieme i benedetti puntini, progettare il contenuto in tutte le sue parti e nel suo sviluppo. 

    Pensare all’esperienza di uso che passando da un testo a un video, da un audio a una foto dovrà fare il lettore. Insomma, l’AI se capita guidata governata può farci tornare al centro del nostro lavoro che è proprio quello dell’articolo 2 della legge professionale. 

    Cambiare linguaggi, guidare gli strumenti

    Cambieremo linguaggi perché saremo giornalisti scrivendo prompt non scrivendo frasi. Modificheremo i media perché ci avviamo ai media responsivi che riconosceranno ogni lettore e gli daranno le informazioni che gli servono. Cambieremo dimensione perché presto progetteremo e realizzeremo contenuti immersivi per il metaverso che è ancora li che aspetta che ci avviciniamo. Lavoreremo creando contenuti in un team che prevedrà anche tanti tecnici, ma non potrà fare a meno dei giornalisti. 

    Dobbiamo infine sapere Che il giornalista per essere libero deve saper rispettare i suoi valori, ma anche stare sul mercato. Essere capace di capire le evoluzioni della tecnologia e degli strumenti, gestirsi come un imprenditore (e magari anche un editore) di se stesso e cambiare modelli, produzioni, piattaforme e committenti (è una favola che abbiano bisogno di giornalisti solo i media, c’è un mondo là fuori da questa bolla che è ampiamente scoppiata)

    Che il giornalista deve saper dire di no, prima di dire di si. 

    Che il giornalista deve avere a che fare con il futuro dell’informazione e possederlo prima che arrivi.

    Una promessa e un abbraccio all’art.2

    Dobbiamo continuare a parlare di intelligenza artificiale e vi faccio una promessa. Il prossimo che usa l’intelligenza artificiale come minaccia e parla solo degli inquietanti lati negativi avrà il mirino delle mie parole puntato addosso. Il prossimo che trovo sulla mia strada intento a definire l’Intelligenza Artificiale come una trovata tecnologica in grdo di sostituire i giornalisti sarà mio nemico. Lo giuro. Ecco perché chi parla in un certo modo di AI mi fa uscire di senno: non è una falce per licenziare un altro po’ di giornalisti, è il nostro miglior alleato. Cerchiamo di ficcarcelo in testa e di conoscerlo, usarlo, gestirne l’entrata ragionevole e utile nella nostra realtà lavorativa, prima che qualcuno decida davvero di usarlo per eliminare definitivamente i giornalisti dalla faccia della terra.

    E’ un grande periodo di sfide, dobbiamo abbracciarle e vincere tenendoci stretto quel benedetto articolo due.

  • Guardare in faccia i giornalisti

    Guardare in faccia i giornalisti

    Giornalisti, vil razza dannata, verrebbe da dire.

    Sta iniziando un periodo interessante per me e te lo voglio raccontare. Ho in mente alcuni cambiamenti per la mia attività e per il mio laboratorio e, per realizzarli, ho bisogno di studio, preparazione, progettazione e… di un’altra cosa. Ho bisogno di guardare in faccia chi segue il mio lavoro, i miei partner, i miei clienti, la mia comunità.

    Non ti preoccupare, non mi sento chissà chi, ma ho un piccolo pubblico che ha fatto in modo che il mio lavoro avesse un senso, un perché. Ora che ho intenzione di far crescere Algoritmo Umano, il mio laboratorio di progettazione, produzione e formazione imperniato sulla mobile content creation, ho bisogno di capire come e per capirlo ho bisogno di fare delle domande al mio pubblico. Un pubblico rappresentato in buona parte da giornalisti.

    I giornalisti sono una vil razza dannata perché si stanno condannando da soli a non avere futuro. Voglio sapere perché e come posso evitare questa cosa. Per farlo ho bisogno di guardare in faccia i giornalisti, di guardarne in faccia molti. Ho bisogno di parlare con loro, di stare con loro.

    Un appuntamento interessante

    L’Ordine dei Giornalisti della Toscana mi ha fatto un regalo. Mi ha invitato a chiudere il convegno 60 anni dell’Ordine dei giornalisti. L’evoluzione del giornalismo e i nuovi strumenti della professione il 20 aprile 2023 a Livorno. Lo trovo un appuntamento interessante per i temi, per i relatori (tranne me) e per l’opportunità che mi darà. Sto parlando del fatto che potrò guardare in faccia i giornalisti, i colleghi e vedere come si sentono, cosa provano, come ragionano sul loro presente e sul loro futuro.

    Si tratta di un primo passo di una nuova stagione nella quale punto a consolidare quello che ho fatto per l’innovazione della professione giornalistica in questi anni. Voglio parlare con un sacco di colleghi, di quelli che ogni giorno combattono per esercitare degnamente questa professione. Spero che siano loro a indicarmi la strada per rinnovare il mio lavoro e Algoritmo Umano. Se sei a Livorno il 20 aprile vediamoci, ti devo parlare.

  • Il terrore dell’Intelligenza Artificiale

    Il terrore dell’Intelligenza Artificiale

    Il mondo dell’intelligenza artificiale terrorizza chi produce il contenuto.

    Anzi, più in particolare, terrorizza i giornalisti. Già, proprio quella categoria professionale che dovrebbe essere più felice dell’arrivo al pubblico di questa tecnologia. Ti spiegherò questa affermazione, ma ora fammi mettere in ordine le idee. Ti racconto un paio di cose.

    Guardare negli occhi i colleghi

    Da alcuni mesi ho l’occasione di incontrare i colleghi grazie ai corsi di formazione che l’Ordine dei giornalisti della Toscana mi fa tenere sulle mie materie con la modalità online. Ogni volta mi trovo davanti una cinquantina di volti pieni di fatica, ma anche di energia. Il 18 marzo 2023 ho introdotto per la prima volta gli strumenti di intelligenza artificiale in un corso di podcasting in mobilità e ho dovuto subito sgombrare il campo in merito alle mie idee riguardo all’uso che il giornalista (o in generale chi produce contenuti per l’informazione) deve fare dell’intelligenza artificiale.

    Un’idea semplice sull’intelligenza artificiale

    L’intelligenza artificiale è una rivoluzione. Agli inizi, ma lo è. Si tratta di una tecnologia che cambierà per sempre il nostro approccio con le macchine e quindi anche con la produzione del contenuto. Ma che cos’è in realtà?

    Semplice: è uno strumento

    Uno strumento. Come una macchina da scrivere quando le macchine da scrivere non c’erano. Come internet, quando internet non c’era. L’Intelligenza Artificiale è un’innovazione che cambia un’epoca, ma è e resta strumento. Detto questo mi viene facile dirti con che spirito ho cominciato a studiare questo “aggeggio” e con che spirito ho cominciato a utilizzarlo. Semplice: con l’idea di capire come funziona (e sono agli inizi) e di comprendere dove, come e quando poterlo utilizzare per migliorare il mio lavoro (e magari anche la mia vita, già che ci sono). Il tutto stando sempre al centro dell’evoluzione del mio modo di lavorare. Non sotto, non sopra. Al centro. Mi spiego.

    Il futuro del giornalismo e dei contenuti

    Tanti anni fa ho fatto un corso alla Lumsa di mobile journalism. Credo fosse il primo in Italia. Entrato in aula ho chiesto ai ragazzi dove si giocasse il futuro del giornalismo. Mi hanno risposto in maniera variopinta, ma nessuno ha centrato il problema: si gioca nella distanza tra il professionista e l’intelligenza artificiale. Il giornalista di domani (e forse già di oggi) dovrà fare un passo indietro rispetto alla tastiera e a quelle fasi meccaniche della produzione del contenuto.

    Ma avrà una grande possibilità in più: potrà ritornare a pensare. Potrà verificare i dati, le fonti, potrà progettare l’esperienza di lettura o di visione del contenuto, potrà tornare a vedere una notizia nell’insieme. Semplice il motivo: l’intelligenza artificiale farà le attività meccaniche al posto suo. Per questo dico: magari non picchieremo sulla tastiera rischiando refusi a ogni passo, ma potremo ritornare a pensare. Mi sembra una novità strepitosa.

    Intelligenza artificiale: un’arma per terrorizzare

    Tornando al corso, ho sentito i colleghi terrorizzati dall’arrivo dell’AI nel mondo del giornalismo. Mi ha fatto impressione. Una in particolare ha riferito di essere stata a un corso di formazione nel quale si parlava di intelligenza artificiale nel senso di una minaccia per il nostro lavoro. I due estratti dal libro “Newsmakers” di Francesco Marconi, il massimo esperto del rapporto giornalismo-intelligenza artificiale (a mio modesto avviso), dicono bene che il terrore è ingiustificato.

    Tuttavia mi sono messo a pensare a chi sta terrorizzando i giornalisti brandendo l’arma dell’AI come strumento capace di sostituire la professionalità dei colleghi. Naturalmente sto parlando degli editori in gran parte condizionati dallo scopo di diminuire i costi dell’industria dei media a vantaggio dei ricavi. Si tratta di un tranello dal quale i colleghi devono smarcarsi subito.

    Il tranello da evitare

    Come tirarsi fuori? Cambiando punto di vista. Sarà difficile, perché il giornalismo, specialmente quello italiano, è pervarso dalla retorica della sconfitta e della crisi e cadrà anche in questo buco. Il modo per evitare il tranello c’è ed è semplice: l’intelligenza artificiale bisogna conoscerla e utilizzarla, prima che ci travolga. Dobbiamo far capire a chi ci paga l’onorario che senza l’uomo e le sue capacità di interpretare la realtà e riconoscere le notizie non ci sarà futuro. Se gli editori italiani vogliono finire come quelli americani facciano pure. Cosa intendo? Intendo che i media statunitensi stanno utilizzando l’IA per fare contenuti in modo talmente smodato da far appiattire l’informazione verso il basso. Pensa che ora hanno anche il problema di pensare che fra i lettori degli articoli creati dall’AI c’è anche… l’AI. Come faranno a uscire da questo non senso? Con gli uomini e le donne che fanno giornalismo.

    Tirando le somme sull’AI

    Come al solito mi sono scelto la posizione più scomoda, ma te la dico chiaramente: combatterò con tutte le mie forze tutti coloro che usano l’intelligenza artificiale per terrorizzare i giornalisti, puntando alla loro “sostituzione” con delle stupide macchine. Difenderò, invece, l’uso dell’intelligenza artificiale come strumento per migliorare la qualità dell’informazione. Ne abbiamo veramente bisogno.

  • Il giornalismo non sa parlare

    Il giornalismo non sa parlare

    Sono arcistufo di sentir parlare del giornalismo in un certo modo.

    E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sono venuto qui. Questo luogo, per me, è un posto dove respirare, stare calmo, fare il punto e guardare l’orizzonte. Io vivo ancora di giornalismo, un mestiere che ho ricodificato praticamente da solo. Lo vivo in modo nuovo e durante i giorni che passo mi esprimo, mi diverto e lo esercito con onestà e prospettiva. Ho clienti diversi, modi diversi, strumenti diversi, ma sempre il giornalista faccio: racconto storie rispettando i miei valori e il pubblico cui si chiede di rivolgermi.

    Tutto nasce da una sera a cena

    Ho partecipato a una cena con i colleghi di Nuova Informazione, straordinario gruppo di colleghi che fa sindacato in questo periodo così difficile. Parlare con loro mi arricchisce sempre, perché il nostro gruppo è un luogo nel quale si discutono e si affrontano i problemi del giornalismo. Senza sconti. Tutti quanti stiamo tentando di trovare nuove strade e nuove definizioni del giornalismo che possano dare a questa professione un futuro diverso dal pessimo presente. Nella discussione è emerso un fatto chiaro. Il giornalismo non sa parlare di se, non sa descriversi, non sa spiegarsi e raccontarsi.

    Il giornalismo e una malattia grave

    Il motivo per cui il giornalismo non riesce a ridefinirsi è semplice: perché non sa definirsi. Il giornalismo si racconta per gossip o per notizie negative. Il giornalismo è vittima del tentato suicidio che ogni giorno tenta chi lo descrive come un mondo disfatto, come un lavoro morto, come un orpello da eliminare il prima possibile. Lo fanno gli stessi giornalisti che alimentano, quando parlano del giornalismo, una narrativa fatta di parole negative, di possibilità annullate, di approccio alla professione approssimativo, di mercato del lavoro inesistente, di sfruttamento, di precariato, di abusivato. Quelli che ti ho appena elencato sono aspetti veri del mondo del giornalismo italiano in questo momento.

    Però non sono gli unici.

    Parlare del giornalismo come di un mondo devastato e raccontarlo banalizzando le categorie dei giornalisti in ‘quelli che hanno il culo al caldo’ (e presto verranno segati) e ‘quelli che fanno la fame’, è un autolesionistico tentativo di uccidere quel che resta del giornalismo. La conseguenza di questa retorica è far trasparire un disfacimento totale, tirar giù quei pochi mattoni rimasti del muro della credibilità dei giornalisti, senza ottenere effetto.

    Il giornalismo è vivo e lotta insieme a noi

    Da anni vado dicendo ai colleghi che il giornalismo è vivo. Le possibilità tecnologiche, l’intelligenza artificiale da abbracciare, le sfide della comprensione del presente, le possibilità di essere editori di se stessi, i nuovi mercati del giornalismo, fanno di questo mestiere un mestiere molto sfidante, ma anche molto affascinante. Il giornalismo è vivo e lotta insieme a noi. Però bisogna assolutamente smettere di descriverlo con quel linguaggio che lo rappresenta come un mondo di privilegiati nascosti nelle redazioni e un mondo di precari che in redazione sperano di entrarci per pararsi il culo (per un po’, visto che le redazioni muoiono come le mosche).

    Cambiare linguaggio e parlare con un linguaggio nuovo

    Pretendere di fare il giornalismo e di essere giornalisti come lo si era 30 anni fa è pura utopia. Svegliarsi dal coma, buttare le parole al negativo per creare un nuovo vocabolario del giornalismo è un imperativo che tutti dovrebbero cogliere. I precari non sono tutti i giornalisti: te lo dico. I precari sono coloro che svolgono un lavoro dipendente senza che questo gli venga riconosciuto.

    Fra i lavoratori autonomi non ci sono solo persone che sperano di essere assunte. Ci sono fior fior di liberi professionisti che mandano avanti attività e progetti innovativi con spirito imprenditoriale e interpretando a dovere la nuova professione. Ci sono molte figure professionali eccezionali, molte professionalità complesse e moderne. Ecco, se cominciamo a dare il valore e il linguaggio che merita alla libera professione giornalistica contribuiremo a ridefinirne i confini e a farla uscire da quell’immagine di mondo fatto di personaggi devastati con la manina fuori per chiedere la carità. Immagine che lo stesso linguaggio del giornalismo quando parla di giornalismo, ha costruito.

    La battaglia vera da fare per il giornalismo.

    Il libero professionista del giornalismo vale l’avvocato. Vale il notaio e il commercialista. E’ una libera professione determinante per la società. Se cominciamo cambiando il linguaggio e la narrativa quando parliamo di giornalismo, beh, questo comincerà a far percepire a tutti un cambiamento.

    Costringerà le nostre istituzioni professionali e le istituzioni politiche ad accorgersi che non è questione soltanto di equo compenso, ma è questione di difesa di una delle professioni più importanti della società dover stabilire delle regole. Su quanto vengono pagati i giornalisti, su come vengono pagati. Su come viene valutata la loro professione. Questa è la vera battaglia da fare per il giornalismo e il vero solco sul quale mettere le richieste alle istituzioni necessarie a ridefinire i doveri, ma anche i diritti del giornalista di oggi e di domani.

    Non abbiamo bisogno di elemosina. Abbiamo bisogno di ridefinire doveri, diritti e tutele del giornalista. Adesso.

  • Ordine dei Giornalisti e formazione: un sasso nello stagno

    Ordine dei Giornalisti e formazione: un sasso nello stagno

    L’Ordine dei giornalisti è un’istituzione in cui credo.

    La professione giornalistica in Italia non è mai stata così vituperata e sbrindellata da una crisi profondissima e da un attacco su più fronti che la sta rendendo inutile, ma non ho intenzione di fare l’ennesimo ragionamento su questo stato dell’arte. Ho intenzione di raccontarti una storia, una magia. Ho deciso di passare queste ultime ore del 2021 a scriverti di quello che sta succedendo, ormai da giorni, nella mia posta elettronica e di un sasso che ho gettato nello stagno (perché di acqua ferma si trattava) del mondo della formazione per i giornalisti. Lo faccio perché credo nell’Ordine dei Giornalisti e ho avuto la prova che questa mia fede è ben ripagata. E forse l’hai avuta anche tu.

    Due video-corsi che si chiamano futuro

    Ho vissuto una splendida esperienza nel mondo della formazione e dell’Ordine dei Giornalisti. Te la racconto. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti mi ha chiesto di realizzare i contenuti per due corsi che si chiamano, più o meno, “Fondamenti e strumenti del giornalismo in mobilità” e “Concetti e strumenti per una nuova professionalità del giornalista”. Due materie mie, ma non ti voglio raccontare di me. Ti voglio dire che questi corsi sono nati dalla volontà dell’Ordine e dalle persone lungimiranti che lo compongono, a partire dal Presidente Carlo Bartoli e dal consigliere Andrea Ferro che mi ha chiesto di realizzarli e mi ha seguito in ogni passo, lasciandomi assoluta libertà didattica e di testi, anche nei passaggi che potevano essere dirompenti o pericolosi.

    Ho fatto “all-in”

    Nel lavoro per realizzarli ho fatto “all-in”, come al tavolo da poker quando senti che la mano è giusta. Tuttavia va notato che ho potuto fare quello che ho fatto solo grazie al lavoro e alla stima che i consiglieri mi hanno dato. Ho tirato il sasso nello stagno della formazione perché la volontà di cambiamento del Consiglio ha fatto in modo che io lo potessi fare. Poi ci sono altre donne e altri uomini che mi hanno aiutato a creare i presupposti di questo lavoro, a partire dai colleghi di Nuova Informazione che mi hanno insegnato cose determinanti per fare in modo che potessi fare quello che ho fatto

    Ho lavorato su quei corsi nel mese di marzo, sono andati in linea nel mese di giugno, sulla piattaforma Formazione Giornalisti. E lì è successo l’incredibile.

    Una marea di colleghi

    Lentamente, ma in modo costante, la mia mail è stata invasa da messaggi di ringraziamento, da storie bellissime di colleghi fantastici, da umanità preziose che hanno rialzato la testa guardando davanti. Da lì il sasso nello stagno gettato dallo stesso Ordine dei Giornalisti nell’acqua ferma della formazione professionale ha iniziato a fare cerchi concentrici che sono arrivati lontanissimo. Dalla Sicilia a Bologna, da Udine a Torino, da Bergamo a Lecce. Gli iscritti a quei due corsi? Una marea di colleghi. Non sto a dirti i numeri, che peraltro conosco. Te ne dico solo uno: quei due corsi sono stati fatti da, più o meno, il 20-25% dei giornalisti italiani attivi. Un’enormità della quale sono onorato. I messaggi verso di me? A star bassi, oltre 200. Te ne faccio leggere uno di un collega che non ho il bene di conoscere.

    Ho cercato di rispondere a tutti, spero di esserci riuscito, tra telefonate, mail whatsapp, messenger. Quello che desidero farti sapere, caro collega, cara collega, è che ho letto tutti i messaggi e li ho tenuti con me. Sono il senso di quello che ho fatto, di quello che abbiamo fatto.

    Ordine dei giornalisti, ora ascoltali

    Dopo quel messaggio che hai appena letto, qui sopra, ho iniziato a pensare una cosa: non posso fermarmi qui. Sono arrivato qui grazie a Carlo Bartoli, Andrea Ferro, a tutti i consiglieri, al Presidente dell’Ordine toscano Marchini che mi fa fare corsi mensilmente (a proposito, sto preparando cose nuove), al consigliere regionale toscano Andrea Giannattasio, alla preziosa Sara Cenni, ai colleghi tutor dei miei corsi e a tutti quelli che mi hanno seguito. Se una nuova formazione c’è è per merito di tutti loro, io sono solo uno strumento.

    L’effetto boomerang

    Tuttavia, caro Ordine dei giornalisti, ora ti devi impegnare ad ascoltare le migliaia di iscritti a quei corsi e i messaggi ricevuti dal sottoscritto. Creerò un dossier in merito, lo porteremo in giro, lo trasformeremo in un sistema. Insomma, io farò il mio, ma tu, caro Odg, devi continuare a fare quello che hai fatto. Devi continuare a dire e a dirci che un’altra professione è possibile e che un’altra formazione è possibile. Altrimenti avrai un terribile effetto boomerang. Quale? Beh, è presto detto. Tutti i messaggi, ma proprio tutti, hanno avuto questo tenore: “Ah, la formazione dell’Ordine era noiosa, inutile e pedante, ma poi sono arrivati questi corsi…”. Già, poi sono arrivate tutte le persone che hanno voluto cambiare la formazione dell’Ordine. E io con loro. Se non continui il cambiamento avrai migliaia di delusi in cambio.

    Allora chiudo questo 2022 con la constatazione di aver fatto la cosa più bella della mia carriera, quella che da un senso a tutto. Ma anche con l’idea che mai come in queste ore, il bello deve ancora venire, perché tante persone hanno voluto che fosse così.

    Non io, tante persone. Auguri a tutti, grazie a tutti e, soprattutto, grazie a loro.

    In fondo, ma non per minore importanza, grazie alla splendida Maria Letizia Mele senza la quale questi corsi non sarebbero mai nati.

    Leggi anche

    Sindacato giornalisti, ne abbiamo tutti bisogno