Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Mobile journalism: il mojo deve farsi un pubblico

    Mobile journalism: il mojo deve farsi un pubblico

    Mobile journalism è anche questione di pubblico.

    Una volta il giornalista, di qualsiasi medium, scriveva una notizia e aveva risolto. Se era un buon lavoro, se aveva i giusti criteri, il nostro era a posto. Bastava così. Oggi no. Il producer di contenuti, se vuole avere più peso quando vende, in un mercato devastato come quello del giornalismo, deve coltivarsi un pubblico, sia personale, sia sul prodotto che vuole vendere.

    Apro una parentesi e racconto subito un caso. E’ quello del collega Goffredo D’Onofrio, giornalista che ha un’agenzia che puoi trovare qui e che, all’inizio di gennaio, ha tenuto una lezione per un corso di formazione professionale sulla creazione di comunità e di pubblico, quindi di interesse, attorno a un prodotto visivo realizzato da lui. Prima di raccontarne i concetti, gentilmente concessi dallo stesso Goffredo a questo blog, preciso che quando ha parlato della necessità di seguire i prodotti realizzati con un lavoro via social di creazione del pubblico è stato subissato di critiche dagli astanti.

    Della difesa non c’era bisogno

    A colpi di deontologia e di puritanesimo, Goffredo è stato criticato in pubblico, al culmine di una sua prolusione che ho considerato come uno dei momenti in cui ho imparato di più sul futuro di questa professione negli ultimi tempi. Ho guardato, basito, la scena, evitando di difenderlo perché non ne aveva assoluto bisogno: le sue argomentazioni e la sua professionalità erano talmente chiare….

    Eppure i paludati giornalisti che erano lì, indignati dalla possibilità di doversi sbattere a cercare un consenso e un pubblico, hanno berciato sacre motivazioni recitando la parte dei puri di cuore, di quelli che non si sporcano le mani. Forse seduti sul comodo scranno di un contratto, hanno proprio rappresentato davanti a me la categoria che balla nella sala delle feste del Titanic, mentre la barca va dritta verso l’iceberg. Quella scena mi ha dato la motivazione di scrivere questo post e di fare questo video che vedi qui sotto, incentrato proprio sul caso vissuto e raccontato da D’Onofrio.

    Sul caso del documentario “Una storia Semplice”, del quale puoi vedere il trailer qui, D’Onofrio, prima di essere interrotto dai dinosauri, ha tenuto una lezione cui ho partecipato e che raccontava il lavoro di community management che aveva svolto, con i colleghi, per creare interesse attorno al lavoro che stava facendo.

    Un lavoro complicato e verticale, che è andato a intercettare, concetto per concetto, le comunità che potevano essere interessate al lavoro, aumentando di fatto l’autorevolezza dello stesso e creando una curiosità tale, attorno al fenomeno, da risultare di interesse per molti mezzi di comunicazione. Mobile journalismNon conosco la fine di questo prodotto sotto il profilo economico, ma sono assolutamente convinto che l’agenzia di Goffredo abbia tratto cospicui e meritati vantaggi economici diretti e indiretti dal lavoro di creazione del pubblico. Pensando di farti cosa gradita ti metto qui il link della presentazione di Goffredo, invitandoti a studiarla e a leggere anche questo link dal sito della sua agenzia.

    [012017] Odg_pdf [012017] Odg_pdf

    Un documento da studiare per il quale ringrazio il collega. La creazione di un pubblico per un prodotto è un must per chi voglia aumentare l’autorevolezza e l’appeal economico del proprio lavoro. Una volta creato il coinvolgimento, infatti, sarà possibile, per il producer, vantare due possibili imputazioni di pagamento per il proprio lavoro. Potrà essere venduto, infatti, il proprio sforzo realizzativo, ma anche il proprio pubblico. Un pubblico che, tranquillamente, si può creare lavorando con lo smartphone. E’ il mojo, bellezza.

  • Video mobile: la Francia si muove verso il mobile journalism

    Video mobile: la Francia si muove verso il mobile journalism

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    Il video mobile transalpino è a Video Mobile 2017.

    Sta andando in scena in queste ore “Video Mobile 2017”, primo evento, promosso da Samsa, un’iniziativa sulla quale puoi trovare informazioni qui. I massimi esponenti del mojo francese, ma anche internazionale, si sono dati appuntamento oggi a Parigi, nel prestigioso proscenio dell’ambasciata di Romania, per dare vita a una conferenza-evento che ha sviluppato diversi temi del mondo del video mobile e ha regalato diversi spunti a chi l’ha voluta seguire attraverso il web. Dai saluti ai presenti di Glen Mulcahy, numero uno di MojoCon Ireland e ispiratore di Philippe Couve, fondatore dell’iniziativa, in poi si è visto un susseguirsi stimolante di spunti e riflessioni per il pubblico e per chi seguiva il flusso di informazioni sui social.

    Dopo una mattinata passata a fare l’introduzione a questo mondo, le relazioni e gli interventi si sono fatti più profondi con una disamina delle differenze tra mondo Android e mondo iOS, ma anche con alcuni casi di best practises nel mobile journalism raccontate da Catalina Albeanu di journalism.co.uk. Il centro della mattinata è andato ruotando attorno a quella che sembra una app evoluta e dirompente nel mercato delle applicazioni di editing per smartphone lato Apple.

    City Producer, un altro passo avanti

    Di cosa sto parlando? Sto parlando di City Producer, una app francese che ha le caratteristiche elencate qui. Pare un lavoro ben fatto, almeno a una prima lettura delle informazioni. Piste multiple sia di audio, sia di video, lavorazione dell’immagine, velocità d’esecuzione sono solo tre delle caratteristiche di questo novo prodotto sul mercato del montaggio via telefonini. E’ un prodotto ancora in fase di lancio e non disponibile al mercato per il momento, ma sul sito ci sono tutti gli aggiornamenti sul lavoro che i tecnici dell’azienda stanno svolgendo. Si parla di City Producer come un ecosistema di produzione che può integrarsi perfettamente con i sistemi di produzione di qualsiasi newsroom e fra le sue qualità più innovative spicca la possibilità di esportare in file assimilabili da Final Cut Pro.

    Le produzioni live

    Nel mondo del mobile journalism e del video mobile uno degli argomenti più trattati è il live. La seconda parte della mattinata, infatti. è stata dedicata alle produzioni in diretta e alle armi a disposizione dei giornalisti. Al centro del dibattito il contenuto, con l’esigenza, riscontrata da più parti, di realizzare contenuti peculiari per distinguersi dalla massa dei miliardi di video che vengono prodotti ogni giorno e sparati dalle piattaforme. Fra gli argomenti più interessanti anche per quelli che, come te e me, fanno i freelance, anche il cambiamento delle redazioni che stanno curvando sempre di più verso una formazione da “mojo first”.  Interessante a questo proposito l’intervista post-prolusione di Laurent Keller, direttore della televisione svizzera Leman Bleu. Eccola.

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    Leman Bleu è una delle televisioni che in Europa è diventata più “mobile” di tante altre. Keller lo dice, è soprattutto per motivi di leggerezza e di velocità, ma anche di potenzialità e di linguaggio che il suo broadcast è diventato mojo nella sua quasi totalità.

    La discesa verso il pomeriggio è stata resa più interessante da una prolusione di Alexis Delahousse, direttore di BMF Paris, una delle tv parigine più agili e veloci, autrice di diversi scoop giornalistici ai tempi dell’attentato di Charlie Hebdo e della strage del Bataclan. La chiusura della giornata avverrà verso le 18 con una riflessione sui video a 360 gradi e sulla loro modalità di produzione in seno al linguaggio giornalistico, con Thomas Seymat di Euronews  e Nicolas Becquet de l’Echo (Belgio). Fra gli interventi anche uno sull’essere freelance al tempo del mobile journalism, uno status professionale che viene definito come una grande opportunità: dappertutto, tranne in Italia.

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  • Journalism app: Luma Fusion vs Kinemaster

    Journalism app: Luma Fusion vs Kinemaster

    App e giornalismo: una rivoluzione è in atto.

    In queste ore il mondo del mobile journalism sta discutendo animatamente di un item piuttosto importante: la battaglia tra le due app di editing più famose e più complete del mercato. Ecco qualche dritta per capire meglio cosa sta succedendo e come orientarsi se vuoi risolvere definitivamente il problema del gap tra il fare il montaggio su pc o su mobile. Prima di tutto sgomberiamo il campo da dubbi: questo gap non esiste più, almeno per la maggior parte delle esigenze del videomaker mobile. Il totalmojo, quindi, ha ora tutti gli strumenti per esistere. Le due journalism app, infatti, hanno chiuso il gap che esisteva tra i due tipi di montaggio con una serie di caratteristiche e di possibilità operative che mettono anche i mobile journalist in grado di produrre contenuti chiusi “pro” dal campo e in mobilità

    Total mojo alla riscossa nel mobile journalism

    Spesso mi viene chiesta questa o quella dritta per completare il proprio mojo kit, ma voglio dirti una cosa. Non è questo che fa la differenza, ma è vedere come evolve il mercato e quali strumenti regala (a  costi infinitamente più bassi rispetto al mondo dell’editing e del producing classico) per pareggiare la professionalità mobile con quella statica. Per questo motivo ho deciso di iniziare a scrivere sugli strumenti del mobile journalism (e farò anche tutorial) non prediligendo le caratteristiche tecniche dei prodotti che un mojo deve usare, ma le novità e le informazioni che  servono per restare al passo con le innovazioni, spendere meno e lavorare meglio. Per questo comincio dalle app di editing, proprio perché al di là delle stesse app è il movimento che c’è attorno che è davvero rivoluzionario.

    Luma Fusion ha fatto il primo passo

    Il rilascio dell’applicazione Luma Fusion, dell’azienda Luma Touch, è stato un vero e proprio Natale per tutti i mojoers. Luma Touch è una software agency che, se non sbaglio, fa base a Londra e che è nata dall’esperienza di Terri Morgan e Chris Demiris, due tipetti niente male di cui potete trovare la bio qui. Si sono staccati dal team di produzione di Pinnacle Studio, un’altra app che ha fatto la storia dell’editing in mobilità. Multiple piste video, multiple piste audio, regolazione del volume e degli effetti, transizioni e titoli a piacere, registrazione del voice over nella ultima versione rilasciata.

    Luma Fusion è un Premiere in piccolo, con tutte le possibilità del fratello maggiore per computer o mac. Ecco un tutorial di buon livello, almeno per le features principali, un tutorial di Eliot Fitzroy, autore anche di un video manuale per il montaggio con Luma Fusion che potete trovare qui. Siccome ritengo l’amico Fitz (dai, si fa per ridere) un’autorevole voce sull’argomento ti raccomando la visione.

    Ha sparigliato le carte della contesa

    Luma Touch, con questa app, ha sparigliato le carte del mercato dell’editing in mobilità, facendo alzare cori di giubilo per tutti i mojoers mondiali del mondo Apple. E’ la prima del mercato a essere salita a livello di un programma di montaggio professionale. Questo ha scatenato una vera rivoluzione, tra l’altro a un prezzo al quale si può acquistare al massimo una licenza da un paio di mesi di Adobe Premiere Pro (40 euro). Con questa cifra siete ok per tutto il tempo che volete. Naturalmente la cosa non poteva passare inosservata ai concorrenti dell’app di Demiris e Morgan. Infatti si è mossa anche Kinemaster

    Il mondo android e la banda di Kine

    Kinemaster è sviluppato da Nexstreaming, una software company con varie ramificazioni e una struttura worldwide assolutamente più imponente della banda di incursori di Luma Fusion. La madre di Kinemaster e la sua banda  stanno a Seoul e il core business è lo sviluppo di software di streaming ed editing per apparecchi mobili e per televisioni. Sono un gruppo grande e strutturato, la cui visione, come dice il Ceo Il-Taek Lim nel suo messaggio sul sito, è sviluppare “benessere per l’umanità attraverso il software per apparecchi mobili e altri tipi di device non riconducibili a un pc.

    L’editing in mobilità per i professionisti, quindi, non sembra essere un core vero e proprio di Nexstreaming che, però, ha affrontato il mercato consumer dei Video Editor proprio con la sua app Kinemaster. Il percorso è stato diverso, perché i coreani hanno messo in circolo nel mondo android una app free, con acquisti in app per le ulteriori feature, in grado di eseguire funzioni elementari gratuitamente.

    Poi si sono accorti di Luma Fusion e hanno iniziato a salire i gradini della scala dei video editor professionali. Il modello di business, quindi, parte da una app gratuita, ma arriva a un prezzo (per la versione pro definitiva) che è attorno ai 40 euro… annui. Questo la squalifica rispetto alla rivale, ma insomma è una scelta che resta nei confini del praticabile, del possibile. Ecco un video che mostra le principali qualità dell’applicazione che può essere tranquillamente utilizzata per il mojo

    Kinemaster entra in iOs

    Te lo confesso un’altra volta: non sono per il robottino. Tuttavia le piste multiple, gli effetti, le transizioni, la titolazione e gli accessori importanti per editare in modo professionale qualsiasi tipo di video ci sono tutti anche in kinemaster. C’è un di più in questa grande battaglia. Kinemaster ha risposto alla mossa di Luma Touch entrando nel mercato iOS con una versione beta della sua app che dovrebbe essere disponibile nei prosimi tempi e della quale molti stanno parlando nel mondo dei mojoers e dei trainer di questa nuova filosofia.  Kinemaster per Android, quindi, è la numero uno del mercato del Robottino, ma ora sta bussando alla porta del mondo Apple. Il risultato di questa guerra? Un abbassamento dei prezzi e un miglioramento delle features possibili. Con tutto vantaggio del lavoro di un mojo come te.

  • Mobile journalism e Ces 2017: tutti gli occhi sui video a 360

    Mobile journalism e Ces 2017: tutti gli occhi sui video a 360

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    Mobile journalism e Ces di Las Vegas: binomio vincente, ma…

    Il mondo della tecnologia si è appena lasciato alle spalle il Ces 2017, il Consumer Electronic Show di Las Vegas. Si tratta di uno degli eventi più importanti del mondo per quanto riguarda le novità dell’elettronica e della tecnologia di consumo, mondo che interessa direttamente il mobile journalism per quanto riguarda le novità delle device elettroniche con cui il mojo si trova a lavorare tutti i giorni. Ces e Mojo è un binomio che, di solito, rivela novità vincenti, ma in questa edizione non si sono registrati momenti che cambiano autenticamente le regole del gioco. Poche news dal comparto telefoni e tablet, dalla produzione dei principali harwdare di lavoro per il mobile journalism, in una fiera dell’elettronica dominata dalle auto a guida autonoma e dalle ultime uscite del mercato degli schermi e delle televisioni.

    Le uniche luci? Sui video a 360 gradi, su AR e VR

    Il mercato dei telefonini è in un momento di sospensione dopo l’uscita del 7 fra gli iPhone (a proposito auguri per i 10 anni) e dopo la tempesta che si è abbattuta su Samsung con il Note 7 e le sue esplosioni. Molto probabilmente i produttori di telefonini aspettano di fare la battaglia dell’anno al Mobile World Congress che andrà in scena dal 27 febbraio al 2 marzo del 2017 e sul quale puoi sapere tutto se ti colleghi a questo sito. L’unica novità impattante sul mercato l’ha mostrata Asus rivelando il suo Zenfone AR che è il primo telefonino che supporta contemporaneamente AR e VR. Più in particolare questa device del produttore taiwanese, è in grado di supportare il visore di Google DayDream di realtà aumentata e con la app Tango, progetto di Mountain Wiew sulla Augmented Reality. In particolare su Tango Zenfone AR si pone come il secondo telefonino capace di supportare Tango dopo il Lenovo Phab 2 Pro e il principale strumento per il visore della realtà aumentata DayDream, sviluppato sempre da Google. Sui progetti Tango e DayDream puoi informarti cliccando qui e qui.

    Per le foto panoramiche, per i video e per la parte delle immagini in generale Zenfone AR, previsto in uscita nel Q2 del 2017, mette in campo delle potenzialità molto elevate e il sistema operativo Nougat Android 7.0. Le caratteristiche tecniche sono impressionanti. Eccole:

    • 5.7″ Super AMOLED display, 515ppi
    • Snapdragon 821 chipset: Quad-Core (2×2.35 GHz Kryo & 2×1.6GHz Kryo) CPU, Adreno 530 GPU
    • 4/8GB RAM
    • 32/64/128/256GB of built-in storage, expandable via the microSD card slot
    • 23MP main camera; OIS (4-axis), depth & motion track sensors, 2160p video capture, 8MP selfie camera
    • 3300mAh removable battery, QuickCharge 3.0

    Le micro SD compatibili con Zenfone AR possono aumentare la memoria fino a 2000 Giga, caratteristica molto importante per il mobile journalism. Veloce anche il processore e impressionante anche la dotazione di Ram che può arrivare a 8 giga con  tutto quello che questo significa nella produzione dei video. Certa, quindi, la resa quando si opera con kinemaster per l’editing. Ecco, comunque, una veloce prova dal Ces che mostra alcune caratteristiche come la possibilità di fare foto a 360 gradi.

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    Il charger che ti salva

    Per chi lavora sul campo il vero problema è la carica delle device. Ecco che a salvare tutti arriva Omnicharge, la “bestiola” che è in grado di ricaricare contemporaneamente telefono, tablet e pc (casomai serva). Si tratta di un power bank dotato di 20400mAh con spine di ogni genere per tutte le esigenze e un adattatore  100W AC/DC. Con un prodotto del genere, acquistabile da questa campagna indiegogo, non dovrebbero più esserci problemi per la giornata intera on field di chi fa mobile journalism e non mette mai il sedere sulla scrivania. Un game changer del lavoro mio e tuo che ti permette di non abbandonare mai il campo mentre stai lavorando.

    I video a 360 gradi, vero topic del CES 2017

    Mobile JournalismIl vero campo di interesse per chi fa mobile journalism al CES di Las Vegas è stato il mondo delle camere a 360 gradi e affini. La notizia che ha spostato gli equilibri del campo è stata quella del produttore cinese Insta360 che ha lanciato la sua partnership con Periscope per i live a 360 gradi. Da alcuni giorni, infatti, una selezionata membership di utenti della applicazione di live della compagnia del cinguettio, Twitter, può produrre, tramite il download di una versione aggiornata, ma beta, video live panoramici da qualsiasi posto.

    Insta360 è il primo partner di Periscope e ha “vinto” la possibilità di far andare l’applicazione live in diretta in modo automatico, senza settaggi o software di streaming. Si attacca la camera al telefonino, si apre Periscope e via. Questa mossa ha cambiato le regole del gioco nel mercato, soprattutto per quanto riguarda il mobile journalism che si era orientato, fino a questi giorni, sul live di Facebook. Se vuoi far parte della membership ecco la lista cui iscriversi (spero tu sia più fortunato di me perché io non ho avuto risposta).

    In conseguenza di queste mosse del mercato i produttori di videocamere a 360 hanno “sganciato” all’esposizione alcuni pezzi interessanti di hardware. Insta360 ha portato il suo top di gamma che è la Pro, camera che permette video a 360 e 360 3D con acquisizione da 6 telecamere e dai microfoni integrati o da un mic esterno. La qualità è 8k e le specifiche tecniche sono visibili in questo link. In assenza di novità dai big della tecnologia si sono fatti sentire gli outsider come Sphericam che ha messo in mostra la sua Sphericam2 le cui caratteristiche sono leggibili a questo link. Qualità a 4k con 60 frame per secondo, con la possibilità di fare foto a 360° in qualità RAW, il massimo del file fotografico. Importante il prezzo di entrambe, circa 3000 dollari, ma va detto che si tratta, in entrambi i casi, di un prodotto top tra quelli accessibili nel mercato consumer.

    Un mondo, quello dei video a 360 gradi, che interessa in modo diretto i mojoers e li proietta in un futuro prossimo nel quale il contenuto giornalistico potrà e dovrà svilupparsi anche con questo tipo di tecnica. La materia affascina, come passo successivo rispetto al mobile journalism classico, ma si prende anche la briga di far discutere per le sue implicazioni etiche. Certamente i video a 360 gradi aprono nuovi linguaggi e nuove possibilità di produzioni (e quindi di guadagni per freelance spiantati come me e te), ma pongono il problema dell’autorizzazione alla ripresa perché la visione a 360 gradi permette di catturare anche le immagini di chi, altrimenti, sarebbe fuori dal campo di un obiettivo normale.

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  • Mobile Journalism: la definizione di una nuova filosofia

    Mobile Journalism: la definizione di una nuova filosofia

    Il Mobile Journalism, centro della rivoluzione.

    Definire il mojo, o mobile journalism, pensavo fosse facile. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché è il fulcro di una rivoluzione digitale che si consuma minuto dopo minuto nel mondo del giornalismo e dell’editoria,  ma non ha confini chiaramente definiti. Per farmi chiarezza nella testa e farla anche a te (spero) ho deciso di raggruppare in un post alcune linee concettuali che definiscono questa materia che studio da anni e che non smette mai di cambiarmi sotto le mani. Mi aiuteranno i maestri come Ivo Burum che nel suo “MOJO: The Mobile Journalism Handbook” ha iniziato a precisare l’essenza del mojo definendo prima due categorie, gli User Generated Content e le User Generated Stories.

    Mobile Journalism: quante volte abbiamo fatto questo gesto?
    Pixabay

    I primi sono quello che più o meno tutti conoscono come Citize Journalism perché si tratta di contenuti non editati e pubblicati dai testimoni di un fatto. Già, parliamo dei video su Youtube o su Facebook o su qualche altro social, caratterizzati dal non avere il filtro della professionalità giornalistica (o di altro genere) atto a costruire una storia. Jay Rosen, uno degli accademici più importanti della materia, definisce il CJ in questo modo: “Citizen journalism è quando la gente, in altri tempi detta pubblico, usa gli strumenti della stampa che sono in suo possesso per informarsi l’uno con l’altro”. Le UGS, invece, sono contenuti editati, costruiti e pubblicati in forma di storia e presuppongono una conoscenza e un uso degli strumenti di editing.  Il mobile journalism resta al centro di queste due categorie perché può essere utile per mettere insieme gli UGC oppure può essere il modo per far salire a valore alto di pubblicabilità le UGS.

    Elementi di una definizione di mobile journalism

    Cerco di sintetizzarti qui una definizione di mobile journalism che arriva da tutte le pubblicazioni lette sulla materia, ma anche da tutto il flusso di commenti, blog, letture, post, update che leggo quotidianamente da anni. Ecco i punti attraverso i quali è possibile riconoscere il mobile journalism e cominiciare a comprenderne i confini:

    1. Il Mojo è prodotto interamente con device mobili. Questo, secondo Ivo Burum, costituisce elemento distintivo per un nuovo modo di raccontare un evento ed è una modalità produttiva del contenuto che impone un nuovo tipo di racconto per immagini e audio.
    2. Questo tipo di giornalismo è anche quello che racconta attraverso le piattaforme sociali lo sviluppo di un evento in forma di storia. Eccone un brillante esempio della redazione online di Der Spiegel.
    3. Il mobile journalism è anche quella disciplina che, attraverso la conoscenza dell’hardware e del software necessario, codifica e realizza modelli di contenuti live formattati e diffusi per mezzo delle più diverse piattaforme. Sono considerati mobile i collegamenti live attraverso servizi di streaming televisivo, ma anche video in diretta di Facebook, Periscope, Youtube e altre tipologie di piattaforme di diffusione sociale.
    4. E’ mobile journalism tutto l’insieme di regole, modalità, azioni, operazioni che permettono di creare un contenuto multimediale dal campo sul quale avviene una notizia.
    5. Sono due gli orientamenti della post-produzione per la costruzione di una User Generated Story che abbia gli elementi del Mobile Journalism: il montaggio con le device mobili stesse, attraverso app di editing che hanno raggiunto livelli eccellenti in questi ultimi giorni, oppure il passaggio del materiale prodotto dall’apparecchio mobile sul computer.
    6. Il mobile journalism è crossing in quanto a sistemi operativi. Il lavoro, può essere svolto sia da apparecchi Android, sia da iOS. Il secondo sistema operativo è semplicemente più utilizzato e più popolato di soluzioni professionali per l’editing e per la produzione di contenuti rispetto al primo.
    7. Una delle finalità principali del mobile journalism è sveltire i tempi di realizzazione dei contenuti e snellirne i costi, per recuperare il valore della prestazione professionale del giornalista e per favorire il flusso dell’informazione nell’era di internet.
    8. Il mobile journalism è anche una filosofia professionale che intende far diventare, nell’epoca di internet, i giornalisti singoli fonti credibili di notizie grazie all’interazione diretta con il proprio pubblico e alla disintermediazione del ruolo dell’editorie dei contenuti del professionista stesso.
    9. Il mojo può essere  interpretato con qualsiasi apparecchio mobile facilmente accessibile a qualsiasi consumatore: dagli smartphone ai tablet, dalle handycam alle sportcam.
    10. Il mojo è quella disciplina che sta guidando la rivoluzione della comunicazione mobile per due aspetti principali: la connettività e la produzione mobile oriented dei contenuti che dallo scorso ottobre, sul web, vengono guardati più da apparecchi portatili che da computer statici.

    Mojo è “fai con quel che hai”

    Quello che più rappresenta la potenzialità innovativa del mobile journalism per gli operatori dell’informazione è, tuttavia, la sua facilità d’accesso per quanto riguarda gli strumenti. Mojo sei con quel che hai, si ostinano a ripetere i guru di questa nuova filosofia. Personalmente io sono un integralista e tutti i miei studi personali si stanno orientando a un mobile journalism start to end, senza mai passare al computer. Per questo motivo ciò che ho scritto al punto nove è, per me, quasi blasfemo: il mojo io lo faccio con il telefonino e il tablet senza mai passare dal pc. Tuttavia le forme spurie sono comunque un fattore di arricchimento della professionalità di ogni mojo il quale deve trovare i suoi strumenti operativi per raccontare il mondo con il suo modo di essere mojo. Questo contribuirà indubbiamente a costruire una personalità giornalistica peculiare che si distinguerà meglio nell’indistinto mare del mercato del lavoro giornalistico, dove prevale l’omologazione sia nei contenuti che nei modi.

    Ti lascio con un piccolo regalo per il 2017, vale a dire la playlist della BBC Academy sulla produzione di video con gli smartphone. Buona visione.

  • La fattura: problema e soluzione (provocatoria)

    La fattura: problema e soluzione (provocatoria)

    La fattura è il primo incubo del mojo italiano.

    Forse è l’incubo numero uno del giornalista indipendente. Non c’è che dire, se sei un mojo freelance il tuo problema, in Italia, non è fare grandi cose, big news o tutto quello che accidenti ti viene in mente di fare. Il tuo problema è farti pagare: emettere la fattura contestualmente al pagamento. E’ così nel mondo dei professionisti, degli outsourcer, anche delle piccole imprese che fanno outsourcing.

    Fattura: questa sconosciuta quando si tratta di pagare.
    Fattura: questa sconosciuta quando si tratta di pagare. (Pixabay)

    Visto che in questo blog io parlo a te mojo freelance, ti racconto una cosa che riguarda il tuo mondo e ti provoco con una soluzione (che, se non ho sbagliato nelle mie ricerche prima di questo pezzo, non si può adottare). La cosa che ti riguarda è la fattura, insomma, quella cosa, quel pezzo di carta con la marca da bollo da 2 euro, il quale va da te al tuo cliente al tuo cliente e per il quale (se si chiama fattura) il tuo cliente DEVE PAGARE SUBITO. Tuttavia non è così. Tuttavia la realtà italiana è che la fattura diventa chimera anche quando è uscita dal tuo pc ed è volata tra le mani di chi ti ha chiesto di fare un lavoro. Sì, vero, potremmo aprire una serie di lamentazioni sul costume italiano di pagare (anche gli imprenditori subiscono questo) a babbo morto. Potremmo anche giustamente discettare sul fatto che il freelance, a lavoro eseguito e accettato, o pubblicato, deve essere pagato perché non è uno strano animale che si ciba di aria. Però ho deciso che voglio parlare d’altro, rispetto a questo incubo del mojo italiano.

    Il dovere di parlare prima di fattura

    Certo, mi piacerebbe poter parlare soltanto di tecnica del mojo o delle ultime novità che riguardano il mondo del giornalismo, però mi sono sentito in obbligo di procedere prima con questo post per non fare finta (come del resto fanno in molti sul web) di essere nel mondo dei sogni. Il ruolo di Alice nel paese delle meraviglie lo lascio ad altri e, prima di continuare il discorso sulla tecnica e sugli strumenti del mojo, ho deciso di affrontare il problema dei pagamenti e di proporre una soluzione a tutti gli attori che dovrebbero risolvere questo malcostume.

    Per risolverlo alla fonte bisognerebbe semplicemente essere civili e pagare quanto spetta al freelance, bisognerebbe solo rispettare la legge. Tuttavia ho lavorato anche a soluzioni differenti di cui voglio parlare cercando di provocare un dibattito, sperando che qualcuno raccolga il pensiero.

    La soluzione? E’ Satispay (o simili)

    Non credo si possa ancora fare, ma penso che manchi mezzo centimetro al poterlo fare. Quindi parliamone. Il professionista del giornalismo, il libero professionista, ma anche l’outsourcer, spesso eseguono lavori di piccolo cabotaggio o di piccolo prezzo per molti clienti diversi. Specialmente se si parla di freelance nell’accezione più vera del termine, voglio dire se il suo autentico datore di lavoro è la notizia, la notizia buona, da vendere a chiunque. Spesso, quindi, l’attore piccolo del mercato si trova a emettere fatture di basso cabotaggio e a guardarle mentre si disperdono negli uffici amministrativi dell’azienda editoriale cui ha venduto il suo contenuto. Il destino potrebbe essere diverso grazie ad app come Satispay sulla quale puoi sapere tutto guardando qui.

    Dal sito dell’applicazione, creata e sviluppata in Italia, traggo solo questa frase per spiegare meglio il ragionamento: “Satispay è un sistema di pagamento indipendente dai circuiti tradizionali, che ti permette di scambiare denaro con gli amici e di pagare nei negozi convenzionati, fisici e online, tramite un’applicazione disponibile per iPhone, Android e Windows Phone”. Il Corriere parlava così del mondo del trasferimento di denaro via smartphone già nel 2015: leggi qui. Tutti i segreti di questa applicazione tutta nostrana li puoi leggere qui. Oppure puoi esaminare uno dei concorrenti della start up fintech italiana guardando Jiffy. Insomma una app collegata al tuo conto in banca può mandare o ricevere denaro all’istante. Ecco la soluzione.

    Sto parlando troppo presto

    Sono in anticipo rispetto ai tempi, almeno a quanto credo di aver capito. Il motivo per cui te lo dico è legato alla scelta di queste app di rivolgersi al mercato dei privati o dei commercianti e non a un mercato simile a quello che potrebbe essere il tuo, vale a dire quello dei professionisti che operano per le aziende. La piattaforma, il concetto, c’è ed è rodato, visto che si tratta di un’evoluzione del mitico Paypal. Dico di più, lo stesso Paypal potrebbe essere parte di un discorso che vuole arrivare a questo tipo di scenario: il professionista (o la piccola azienda di outsourcing) emette fattura, poi si reca nell’ufficio amministrativo dell’azienda cliente che ha un account Satispay (o simili) in un cellulare aziendale, collegato a un IBAN aziendale. Con questo tipo di “incontro” lo scambio fattura vs pagamento può essere fatto all’istante. Dico di più: il professionista (o la microagenzia), per un trattamento tipo questo, potrebbero fare il 15% di sconto senza rimetterci. All’azienda la transazione costerebbe molto meno di un qualsiasi bonifico (prezzo indicativo 2o cent contro 1,5 euro).

    Bisognerebbe parlarne tutti insieme

    Ora volo alto e rischio di essere preso per pirla, anche da te. Questo metodo di pagamento istantaneo della fattura potrebbe cambiare il mercato e far stare tutti meglio, ma lo so che è utopia. L’unica cosa che posso dire è che dovrebbero parlarne le istituzioni coinvolte, insieme: l’Ordine dei Giornalisti, la Fieg, gli attori di questo mercato tipo Satispay, le banche. D’altronde se il mondo di questo lavoro sta cambiando è dovere di chi scrive le regole farlo cambiare seguendo i tempi.

    Ok, adesso mi sveglio e torno alla realtà. Solo che al prossimo raduno di mojo dovrò spiegare in che guai si trovano, a farsi pagare, i freelance italiani. E non so come fare.