Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Mobile Journalism: cenni storici sulla materia fluida

    Mobile Journalism: cenni storici sulla materia fluida

    Mobile Journalism: una rivoluzione che parte dagli uomini

    Lo so che vorresti che parlassi di app e di truccaglie per fare il mobile journalism: te lo prometto, lo farò quanto prima. Non voglio, tuttavia, rinunciare troppo presto all’approccio culturale di questa materia. Dopo aver provato a dare una definizione e a definire un elemento molto importante per il lavoro del mojo, il pubblico, desidero far due chiacchiere sulla storia di questa filosofia professionale che sta cambiando le professioni visive. E’ una storia quasi (o forse senza quasi) ventennale, ma è diventata realtà soltanto dal 2007, 2008. Parla di uomini, di teste, di cuori e di persone che hanno voluto cambiare il corso degli eventi con quello che avevano in tasca: il telefonino.

    In principio era lo Smart Journalism

    Mobile Journalism: the father of mojo, Michael Rosenblum
    Michael Rosenblum (www.rosenblumtv.com)

    Se il mojo ha un padre, il padre è Michael Rosenblum. Newyorkese doc, Rosemblum ha lavorato per trent’anni nel campo del videogiornalismo con l’obiettivo di ridurne la pesantezza e di renderlo smarcato, veloce, leggero. A guardare il suo CV internazionale vengono i brividi, visto che è uno che ha completamente reinventato il modo di fare videogiornalismo negli Stati Uniti, non in Italia, dove sarebbe stato un filino più facile. Già 20 anni fa ha fracassato modi e metodi con cui nella grande mela si usava fare news in tv quando la New York Times company gli ha dato il compito di fare NYTV.

    La sua filosofia? Eccola ben riassunta in un pezzo del New York Times, dal quale, nel tempo si è staccato per lavorare con colossi che si chiamano CBS o BBC (di cui ha fatto la transizione totale verso il VJ), ma anche per fondare la Rosenblum TV, Current TV (assieme ad Al Gore). Insomma, nel tempo Rosenblum ha puntato tutto sul dimagrimento delle strutture della TV e dei suoi costi, quasi se la sentisse che quel carrozzone che è un grande broadcast, fatto nello stesso pesante modo in ogni angolo del mondo, era pronto a scoppiare. Con questa filosofia è diventato il padre mondiale del Video Giornalismo e dei Video Giornalisti, ma è letteralmente esploso quando tra le sue mani è passato un iPhone 4. Con il gadget più venduto del mondo ha costruito un impero che è partito da Rosenblum TV ed è arrivato a VJ. E’ anche il tipetto che ha guidato la transizione verso il mojo e il video journalism della mitica Voice of America, agenzia di news governativa degli Stati Uniti, attiva dalla seconda guerra mondiale.

    Un giorno dissero a Glen: “Go to NY”. E fu mojo…

    Mobile journalism: il re è Glen Mulcahy
    The King of Mojo: Glen Mulcahy (www.twitter.com)

    Siamo più o meno nel 2002 e Glen Mulcahy, un giornalista di RTE, viene chiamato dal capo che brandisce dei biglietti aerei per NY. “Vai a New York e studia il VJ di Rosenblum”, gli disse il boss. Lui si imbarca e ne ritorna con un pacco di informazioni tale che a RTE decidono di cominciare a trasformare tutti in Video Giornalisti. Lui, però, trainer di vocazione oltre che cronistaccio, fa di più. Mentre supervisionava il lavoro di altri cronisti, comincia a girare un pezzo con un iPhone e lo manda in emissione senza dire niente. Piglia un collega e gli chiede di fare lo stesso. Nessuno in regia a Dublino nota la differenza e, quando si presenta davanti al capo redattore per dirgli la verità, la reazione è quella di una bomba. “Quel pezzo e quel pezzo l’ho fatto con l’iPhone”, disse candido. Fu il Quarantotto, visto che la cosa pigliava in mezzo molte categorie diverse tra le professionalità presenti nella rete di stato irlandese.

    Da quel momento in poi Mulcahy (che nemmeno so esattamente come si pronuncia, ma presto lo chiederò al diretto interessato) si mette al lavoro per risolvere le questioni interne e avviare la rivoluzione, rivoluzione che esporta come trainer in giro per il mondo, perfino verso la ricettivissima Al Jaazera che ora conta una cinquantina di cronisti mojo nella sua redazione, tutti allenati da Glen. Nel 2015 l’idea di creare MojoCon, la Mobile Journalism World Conference che, grazie al lavoro di Glen e del suo staff, è diventata il punto di riferimento mondiale del mobile journalism e che si avvia, come ho spiegato in questo pezzo del blog, all’edizione numero tre. Un lavoro durato 5 anni che vide la luce nel 2015 con il primo evento all’Aviva Stadium di Dublino, sotto l’egida della RTE che ne è la padrona di casa. Se vuoi vedere di più clicca qui.

    Nel frattempo giù sotto…

    Uno dei padri del mobile journalism: Ivo Burum
    Ivo Burum (credit www.smartmojo.com)

    Intanto down under si forma Ivo Burum, croato di Ragusa trapiantato a Melbourne. Con la sua Burum Media, Ivo è stato il pioniere di una delle correnti principali del mojo, quella che parte dagli User Generated Content per fare storie, format e documentari. Una carriera folgorante la sua, dedicata, soprattutto alla didattica. Il professiore della Deakin University di Burwood, nello stato di Victoria, ha, infatti, messo su carta il più importante manuale di mobile journalism a livello mondiale o perlomeno il più diffuso, assieme al collega Stephen Quinn, ora professore alla  Kristiania University College in Norvegia. Particolare la specializzazione di Quinn, nella quale ha potuto prendere a piene mani il vantaggio di essere un mojo: è un giornalista specializzato in.. vino, un ambasciatore della cultura enologica nel mondo, con seguitissime rubriche perfino su China Daily. Quinn è un prolifico divulgatore anche del mojo, come si può evincere dalla sua bio che puoi trovare qui. Su questa asse tra i due è nato questo: MOJO, The Mobile Journalism Handbook: How to Make Broadcast Videos with an iPhone or iPad.

    In Asia c’è Yusuf Omar dell’Hindustan Times.

    Mobile journalism: Yusuf Omar
    Yusuf Omar (credit www.yusufomar.com)

    La storia del mobile journalism, quindi è recente ed è fatta di persone che, come disse Glen Mulcahy aprendo Mojocon nel 2015, “hanno voluto abbattere i confini” e creare un nuovo linguaggio giornalistico internazionale. Uno di quelli che ha spaccato tutto è Yusuf Omar, mobile editor dell’Hindustan Times. Pluripiemiato e pazzo scatenato, talmente matto da fare il suo primo reportage mojo andando a piedi da Durban a Damasco, Yusuf sta realizzando l’impresa di organizzare la più grande redazione mojo della terra. Si tratta di quella dell’Hindustan Times, dotata di 750 mojo che vanno in giro per la città a raccontare storie e a trovare notizie con la tecnica del Facebook Live, con i video a 360 gradi, con Snapchat e altre diavolerie del genere.

    Oggi Yusuf Omar è un apprezzato speaker di questa disciplina, chiamato in tutto il mondo a tenere lezioni. Vive a Dehli, ma è nato a Londra e ha studiato in Sudafrica, facendo anche l’inviato di guerra e firmando diverse inchieste al limite o oltre il limite dei confini possibili. E’ uno che col solo smartphone addosso ha coperto live le proteste verso Zuma, i funerali di Mandela, la guerra in Siria, l’emergenza Ebola. Ha un’azienda che puoi trovare a questo sito. Non ci crederai, ma è un millennial, nato nel febbraio del 1989. Qui in Italia, i millennial come lui fanno la muffa non pagati in qualche redazione. Questa, tuttavia, è un’altra storia.

    Ora ci sono paesi come il Marocco, la Tunisia, il Bostwana e tante altre economie in crescita che stanno investendo sul mojo. E in Italia? Buona parte della storia è ancora da scrivere.

  • Facebook lancia app TV: resisterà solo il mojo

    Facebook lancia app TV: resisterà solo il mojo

    Facebook si mangia il mercato dei video.

    Sono passati poco più di due giorni dalla notizia che puoi leggere in questo articolo del Wall Street Journal e ancora non noto sussulti italiani. Eppure dovrebbero essercene, perché l’annuncio rischia di ribaltare completamente il mercato del broadcast mondiale. Di cosa si tratta? Del fatto che il social network di Zuckerberg ha annunciato che presto rilascerà un’applicazione tv nella quale si potranno vedere i video dei propri amici, dei personaggi che si seguono e, insomma, tutto il flusso visuale che ora scorre nelle nostre timeline. Ci sarà piena integrazione con le smart tv e un flow di contenuti che ridefinirà il nostro uso della televisione, ma soprattutto il tuo e mio modo di fare giornalismo visuale o, perfino, comunicazione visuale. Da qualche tempo a questa parte l’ingresso di Facebook nel mondo del video è stato dirompente e, in questi giorni, si sta materializzando quello che potrebbe essere l’inizio della fine per la televisione come la intendiamo. Basta mettere vicino i fatti accaduti per capirlo.

    In principio era una domandina

    In principio quella domandina, “A cosa stai pensando?” era il mantra. Adesso è vecchissima, superata dalla filosofia di Zuck che vuole rendere sociale qualsiasi frame della vita dei 7 miliardi di umani sulla terra. Si sono susseguiti i video, la diretta, i flussi dei canali televisivi, ma, di recente è successo ben altro. 7

    Sto parlando del rilascio di una versione di Messenger che prevede videomessaggi, della partenza dell’audio appena vi mettete a guardare in orizzontale i video, dell’acquisizione di formati video verticali e, soprattutto, dell’annuncio fatto martedì. Sto parlando di quello, appunto, del rilascio di una specifica applicazione Tv per convogliare sulle smart television che sono ormai alla portata di tutti, il fiume di frame che ci inonda ogni giorno.

    Ormai la gran parte del mondo occidentale vede video molto più dal social che dalla televisione ed è per questo motivo che il prode Mark ha varato l’ingresso del suo gingillo d’oro, il quale peraltro è già il secondo distributore mondiale di video nel web dopo Google, nel mondo del broadcasting. Lo ha fatto, come al solito, rinnovando il mezzo di condivisione, ma aprendo anche alla possibilità, già dichiarata come passo successivo, di mettere le mani sugli “advertising dollars” delle TV.

    Il mondo della TV dovrà cambiare

    Il mondo della Tv, di conseguenza, dovrà cambiare, se non vuole rimanere inghiottito dal mostro Facebook. Si dovrà alleare, mandando flussi in diretta anche attraverso il social di Menlo Park. Già lo fa, ma c’è da scommetersi che FB, dopo aver pagato alcuni media in giro per il mondo per mandare in dirette facebook dei propri contenuti (fra questi Repubblica), metterà mano al portafoglio anche per portarsi in casa le major tv.

    Se le tv non  si muoveranno verso questo nuovo canale c’è da credere che la fine, per loro, si possa avvicinare, almeno per il modello mastodontico che hanno in quanto a business. Oltretutto le caratteristiche della App Tv andranno verso una capacità responsiva elevata creando una timeline visuale conformata secondo gli interessi dell’iscritto a Facebook che la voglia usare. C’è un’altra questione aperta

    E il giornalismo a ruota, anzi prima…

    Se la tv dovrà cambiare, medesima sorte tocca al giornalismo. Più in particolare modo parlo del giornalismo dei freelance o dei producer, insomma, dei mobile journalist. Facebook, infatti, promette di inserire  nel feed di video i contenuti preferiti dall’utilizzatore. Fra questi avranno pieno diritto di cittadinanza anche quelli che il mobile journalist, il freelance producer, deciderà di pubblicare sui suoi canali. Non ho fonti certe in tale senso, ma non ti dico una baggianata se penso che Facebook, nelle sue mosse accessorie a questra rivoluzione, potrà mettere anche un sistema di monetizzazione dei video con delle revenue sharing sull’advertising.

    Seguendo il ragionamento, quindi, spero che cominci a tornarti il conto di quanto sia importante crearsi un pubblico, sia per i prodotti che si desidera vendere, sia per la propria professionalità. Esso, infatti, rappresenta il potenziale bacino d’utenza attivo, “ingaggiato” e interessato a quanto si produce. Da quel pubblico si può ottenere autorevolezza ulteriore, ma anche confronto, notizie e, infine, soldi. Uno dei mezzi può essere anche questa nuova app di Facebook per la Tv, un passo del social di Menlo Park che rappresenta, sicuramente, l’inizio della fine del mondo del boradcasting come lo conosciamo.

    Ehi, ti dico in un orecchio un’ultima cosetta. Esaminando alcuni strani movimenti di Facebook per un’inchiesta, mi sono imbattuto in una diretta della partita Real Madrid-Napoli di Champions League, completamente illegale. Ecco, questo apre un fronte: quello dei diritti televisivi. Visto dal mio modesto punto di osservazione penso che il passaggio di Facebook ad aggredire le Tv andrà a toccare anche quel tasto: come si gestiranno i diritti sugli eventi come le partite di calcio, le quali muovono miliardi in tutto il mondo? Credo che in qualche stanza dei bottoni di più di qualche tv siano sul preoccupato andante.

  • Mobile journalism: il mojo deve farsi un pubblico

    Mobile journalism: il mojo deve farsi un pubblico

    Mobile journalism è anche questione di pubblico.

    Una volta il giornalista, di qualsiasi medium, scriveva una notizia e aveva risolto. Se era un buon lavoro, se aveva i giusti criteri, il nostro era a posto. Bastava così. Oggi no. Il producer di contenuti, se vuole avere più peso quando vende, in un mercato devastato come quello del giornalismo, deve coltivarsi un pubblico, sia personale, sia sul prodotto che vuole vendere.

    Apro una parentesi e racconto subito un caso. E’ quello del collega Goffredo D’Onofrio, giornalista che ha un’agenzia che puoi trovare qui e che, all’inizio di gennaio, ha tenuto una lezione per un corso di formazione professionale sulla creazione di comunità e di pubblico, quindi di interesse, attorno a un prodotto visivo realizzato da lui. Prima di raccontarne i concetti, gentilmente concessi dallo stesso Goffredo a questo blog, preciso che quando ha parlato della necessità di seguire i prodotti realizzati con un lavoro via social di creazione del pubblico è stato subissato di critiche dagli astanti.

    Della difesa non c’era bisogno

    A colpi di deontologia e di puritanesimo, Goffredo è stato criticato in pubblico, al culmine di una sua prolusione che ho considerato come uno dei momenti in cui ho imparato di più sul futuro di questa professione negli ultimi tempi. Ho guardato, basito, la scena, evitando di difenderlo perché non ne aveva assoluto bisogno: le sue argomentazioni e la sua professionalità erano talmente chiare….

    Eppure i paludati giornalisti che erano lì, indignati dalla possibilità di doversi sbattere a cercare un consenso e un pubblico, hanno berciato sacre motivazioni recitando la parte dei puri di cuore, di quelli che non si sporcano le mani. Forse seduti sul comodo scranno di un contratto, hanno proprio rappresentato davanti a me la categoria che balla nella sala delle feste del Titanic, mentre la barca va dritta verso l’iceberg. Quella scena mi ha dato la motivazione di scrivere questo post e di fare questo video che vedi qui sotto, incentrato proprio sul caso vissuto e raccontato da D’Onofrio.

    Sul caso del documentario “Una storia Semplice”, del quale puoi vedere il trailer qui, D’Onofrio, prima di essere interrotto dai dinosauri, ha tenuto una lezione cui ho partecipato e che raccontava il lavoro di community management che aveva svolto, con i colleghi, per creare interesse attorno al lavoro che stava facendo.

    Un lavoro complicato e verticale, che è andato a intercettare, concetto per concetto, le comunità che potevano essere interessate al lavoro, aumentando di fatto l’autorevolezza dello stesso e creando una curiosità tale, attorno al fenomeno, da risultare di interesse per molti mezzi di comunicazione. Mobile journalismNon conosco la fine di questo prodotto sotto il profilo economico, ma sono assolutamente convinto che l’agenzia di Goffredo abbia tratto cospicui e meritati vantaggi economici diretti e indiretti dal lavoro di creazione del pubblico. Pensando di farti cosa gradita ti metto qui il link della presentazione di Goffredo, invitandoti a studiarla e a leggere anche questo link dal sito della sua agenzia.

    [012017] Odg_pdf [012017] Odg_pdf

    Un documento da studiare per il quale ringrazio il collega. La creazione di un pubblico per un prodotto è un must per chi voglia aumentare l’autorevolezza e l’appeal economico del proprio lavoro. Una volta creato il coinvolgimento, infatti, sarà possibile, per il producer, vantare due possibili imputazioni di pagamento per il proprio lavoro. Potrà essere venduto, infatti, il proprio sforzo realizzativo, ma anche il proprio pubblico. Un pubblico che, tranquillamente, si può creare lavorando con lo smartphone. E’ il mojo, bellezza.

  • Video mobile: la Francia si muove verso il mobile journalism

    Video mobile: la Francia si muove verso il mobile journalism

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    Il video mobile transalpino è a Video Mobile 2017.

    Sta andando in scena in queste ore “Video Mobile 2017”, primo evento, promosso da Samsa, un’iniziativa sulla quale puoi trovare informazioni qui. I massimi esponenti del mojo francese, ma anche internazionale, si sono dati appuntamento oggi a Parigi, nel prestigioso proscenio dell’ambasciata di Romania, per dare vita a una conferenza-evento che ha sviluppato diversi temi del mondo del video mobile e ha regalato diversi spunti a chi l’ha voluta seguire attraverso il web. Dai saluti ai presenti di Glen Mulcahy, numero uno di MojoCon Ireland e ispiratore di Philippe Couve, fondatore dell’iniziativa, in poi si è visto un susseguirsi stimolante di spunti e riflessioni per il pubblico e per chi seguiva il flusso di informazioni sui social.

    Dopo una mattinata passata a fare l’introduzione a questo mondo, le relazioni e gli interventi si sono fatti più profondi con una disamina delle differenze tra mondo Android e mondo iOS, ma anche con alcuni casi di best practises nel mobile journalism raccontate da Catalina Albeanu di journalism.co.uk. Il centro della mattinata è andato ruotando attorno a quella che sembra una app evoluta e dirompente nel mercato delle applicazioni di editing per smartphone lato Apple.

    City Producer, un altro passo avanti

    Di cosa sto parlando? Sto parlando di City Producer, una app francese che ha le caratteristiche elencate qui. Pare un lavoro ben fatto, almeno a una prima lettura delle informazioni. Piste multiple sia di audio, sia di video, lavorazione dell’immagine, velocità d’esecuzione sono solo tre delle caratteristiche di questo novo prodotto sul mercato del montaggio via telefonini. E’ un prodotto ancora in fase di lancio e non disponibile al mercato per il momento, ma sul sito ci sono tutti gli aggiornamenti sul lavoro che i tecnici dell’azienda stanno svolgendo. Si parla di City Producer come un ecosistema di produzione che può integrarsi perfettamente con i sistemi di produzione di qualsiasi newsroom e fra le sue qualità più innovative spicca la possibilità di esportare in file assimilabili da Final Cut Pro.

    Le produzioni live

    Nel mondo del mobile journalism e del video mobile uno degli argomenti più trattati è il live. La seconda parte della mattinata, infatti. è stata dedicata alle produzioni in diretta e alle armi a disposizione dei giornalisti. Al centro del dibattito il contenuto, con l’esigenza, riscontrata da più parti, di realizzare contenuti peculiari per distinguersi dalla massa dei miliardi di video che vengono prodotti ogni giorno e sparati dalle piattaforme. Fra gli argomenti più interessanti anche per quelli che, come te e me, fanno i freelance, anche il cambiamento delle redazioni che stanno curvando sempre di più verso una formazione da “mojo first”.  Interessante a questo proposito l’intervista post-prolusione di Laurent Keller, direttore della televisione svizzera Leman Bleu. Eccola.

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    Leman Bleu è una delle televisioni che in Europa è diventata più “mobile” di tante altre. Keller lo dice, è soprattutto per motivi di leggerezza e di velocità, ma anche di potenzialità e di linguaggio che il suo broadcast è diventato mojo nella sua quasi totalità.

    La discesa verso il pomeriggio è stata resa più interessante da una prolusione di Alexis Delahousse, direttore di BMF Paris, una delle tv parigine più agili e veloci, autrice di diversi scoop giornalistici ai tempi dell’attentato di Charlie Hebdo e della strage del Bataclan. La chiusura della giornata avverrà verso le 18 con una riflessione sui video a 360 gradi e sulla loro modalità di produzione in seno al linguaggio giornalistico, con Thomas Seymat di Euronews  e Nicolas Becquet de l’Echo (Belgio). Fra gli interventi anche uno sull’essere freelance al tempo del mobile journalism, uno status professionale che viene definito come una grande opportunità: dappertutto, tranne in Italia.

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  • Journalism app: Luma Fusion vs Kinemaster

    Journalism app: Luma Fusion vs Kinemaster

    App e giornalismo: una rivoluzione è in atto.

    In queste ore il mondo del mobile journalism sta discutendo animatamente di un item piuttosto importante: la battaglia tra le due app di editing più famose e più complete del mercato. Ecco qualche dritta per capire meglio cosa sta succedendo e come orientarsi se vuoi risolvere definitivamente il problema del gap tra il fare il montaggio su pc o su mobile. Prima di tutto sgomberiamo il campo da dubbi: questo gap non esiste più, almeno per la maggior parte delle esigenze del videomaker mobile. Il totalmojo, quindi, ha ora tutti gli strumenti per esistere. Le due journalism app, infatti, hanno chiuso il gap che esisteva tra i due tipi di montaggio con una serie di caratteristiche e di possibilità operative che mettono anche i mobile journalist in grado di produrre contenuti chiusi “pro” dal campo e in mobilità

    Total mojo alla riscossa nel mobile journalism

    Spesso mi viene chiesta questa o quella dritta per completare il proprio mojo kit, ma voglio dirti una cosa. Non è questo che fa la differenza, ma è vedere come evolve il mercato e quali strumenti regala (a  costi infinitamente più bassi rispetto al mondo dell’editing e del producing classico) per pareggiare la professionalità mobile con quella statica. Per questo motivo ho deciso di iniziare a scrivere sugli strumenti del mobile journalism (e farò anche tutorial) non prediligendo le caratteristiche tecniche dei prodotti che un mojo deve usare, ma le novità e le informazioni che  servono per restare al passo con le innovazioni, spendere meno e lavorare meglio. Per questo comincio dalle app di editing, proprio perché al di là delle stesse app è il movimento che c’è attorno che è davvero rivoluzionario.

    Luma Fusion ha fatto il primo passo

    Il rilascio dell’applicazione Luma Fusion, dell’azienda Luma Touch, è stato un vero e proprio Natale per tutti i mojoers. Luma Touch è una software agency che, se non sbaglio, fa base a Londra e che è nata dall’esperienza di Terri Morgan e Chris Demiris, due tipetti niente male di cui potete trovare la bio qui. Si sono staccati dal team di produzione di Pinnacle Studio, un’altra app che ha fatto la storia dell’editing in mobilità. Multiple piste video, multiple piste audio, regolazione del volume e degli effetti, transizioni e titoli a piacere, registrazione del voice over nella ultima versione rilasciata.

    Luma Fusion è un Premiere in piccolo, con tutte le possibilità del fratello maggiore per computer o mac. Ecco un tutorial di buon livello, almeno per le features principali, un tutorial di Eliot Fitzroy, autore anche di un video manuale per il montaggio con Luma Fusion che potete trovare qui. Siccome ritengo l’amico Fitz (dai, si fa per ridere) un’autorevole voce sull’argomento ti raccomando la visione.

    Ha sparigliato le carte della contesa

    Luma Touch, con questa app, ha sparigliato le carte del mercato dell’editing in mobilità, facendo alzare cori di giubilo per tutti i mojoers mondiali del mondo Apple. E’ la prima del mercato a essere salita a livello di un programma di montaggio professionale. Questo ha scatenato una vera rivoluzione, tra l’altro a un prezzo al quale si può acquistare al massimo una licenza da un paio di mesi di Adobe Premiere Pro (40 euro). Con questa cifra siete ok per tutto il tempo che volete. Naturalmente la cosa non poteva passare inosservata ai concorrenti dell’app di Demiris e Morgan. Infatti si è mossa anche Kinemaster

    Il mondo android e la banda di Kine

    Kinemaster è sviluppato da Nexstreaming, una software company con varie ramificazioni e una struttura worldwide assolutamente più imponente della banda di incursori di Luma Fusion. La madre di Kinemaster e la sua banda  stanno a Seoul e il core business è lo sviluppo di software di streaming ed editing per apparecchi mobili e per televisioni. Sono un gruppo grande e strutturato, la cui visione, come dice il Ceo Il-Taek Lim nel suo messaggio sul sito, è sviluppare “benessere per l’umanità attraverso il software per apparecchi mobili e altri tipi di device non riconducibili a un pc.

    L’editing in mobilità per i professionisti, quindi, non sembra essere un core vero e proprio di Nexstreaming che, però, ha affrontato il mercato consumer dei Video Editor proprio con la sua app Kinemaster. Il percorso è stato diverso, perché i coreani hanno messo in circolo nel mondo android una app free, con acquisti in app per le ulteriori feature, in grado di eseguire funzioni elementari gratuitamente.

    Poi si sono accorti di Luma Fusion e hanno iniziato a salire i gradini della scala dei video editor professionali. Il modello di business, quindi, parte da una app gratuita, ma arriva a un prezzo (per la versione pro definitiva) che è attorno ai 40 euro… annui. Questo la squalifica rispetto alla rivale, ma insomma è una scelta che resta nei confini del praticabile, del possibile. Ecco un video che mostra le principali qualità dell’applicazione che può essere tranquillamente utilizzata per il mojo

    Kinemaster entra in iOs

    Te lo confesso un’altra volta: non sono per il robottino. Tuttavia le piste multiple, gli effetti, le transizioni, la titolazione e gli accessori importanti per editare in modo professionale qualsiasi tipo di video ci sono tutti anche in kinemaster. C’è un di più in questa grande battaglia. Kinemaster ha risposto alla mossa di Luma Touch entrando nel mercato iOS con una versione beta della sua app che dovrebbe essere disponibile nei prosimi tempi e della quale molti stanno parlando nel mondo dei mojoers e dei trainer di questa nuova filosofia.  Kinemaster per Android, quindi, è la numero uno del mercato del Robottino, ma ora sta bussando alla porta del mondo Apple. Il risultato di questa guerra? Un abbassamento dei prezzi e un miglioramento delle features possibili. Con tutto vantaggio del lavoro di un mojo come te.

  • Mobile journalism e Ces 2017: tutti gli occhi sui video a 360

    Mobile journalism e Ces 2017: tutti gli occhi sui video a 360

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    Mobile journalism e Ces di Las Vegas: binomio vincente, ma…

    Il mondo della tecnologia si è appena lasciato alle spalle il Ces 2017, il Consumer Electronic Show di Las Vegas. Si tratta di uno degli eventi più importanti del mondo per quanto riguarda le novità dell’elettronica e della tecnologia di consumo, mondo che interessa direttamente il mobile journalism per quanto riguarda le novità delle device elettroniche con cui il mojo si trova a lavorare tutti i giorni. Ces e Mojo è un binomio che, di solito, rivela novità vincenti, ma in questa edizione non si sono registrati momenti che cambiano autenticamente le regole del gioco. Poche news dal comparto telefoni e tablet, dalla produzione dei principali harwdare di lavoro per il mobile journalism, in una fiera dell’elettronica dominata dalle auto a guida autonoma e dalle ultime uscite del mercato degli schermi e delle televisioni.

    Le uniche luci? Sui video a 360 gradi, su AR e VR

    Il mercato dei telefonini è in un momento di sospensione dopo l’uscita del 7 fra gli iPhone (a proposito auguri per i 10 anni) e dopo la tempesta che si è abbattuta su Samsung con il Note 7 e le sue esplosioni. Molto probabilmente i produttori di telefonini aspettano di fare la battaglia dell’anno al Mobile World Congress che andrà in scena dal 27 febbraio al 2 marzo del 2017 e sul quale puoi sapere tutto se ti colleghi a questo sito. L’unica novità impattante sul mercato l’ha mostrata Asus rivelando il suo Zenfone AR che è il primo telefonino che supporta contemporaneamente AR e VR. Più in particolare questa device del produttore taiwanese, è in grado di supportare il visore di Google DayDream di realtà aumentata e con la app Tango, progetto di Mountain Wiew sulla Augmented Reality. In particolare su Tango Zenfone AR si pone come il secondo telefonino capace di supportare Tango dopo il Lenovo Phab 2 Pro e il principale strumento per il visore della realtà aumentata DayDream, sviluppato sempre da Google. Sui progetti Tango e DayDream puoi informarti cliccando qui e qui.

    Per le foto panoramiche, per i video e per la parte delle immagini in generale Zenfone AR, previsto in uscita nel Q2 del 2017, mette in campo delle potenzialità molto elevate e il sistema operativo Nougat Android 7.0. Le caratteristiche tecniche sono impressionanti. Eccole:

    • 5.7″ Super AMOLED display, 515ppi
    • Snapdragon 821 chipset: Quad-Core (2×2.35 GHz Kryo & 2×1.6GHz Kryo) CPU, Adreno 530 GPU
    • 4/8GB RAM
    • 32/64/128/256GB of built-in storage, expandable via the microSD card slot
    • 23MP main camera; OIS (4-axis), depth & motion track sensors, 2160p video capture, 8MP selfie camera
    • 3300mAh removable battery, QuickCharge 3.0

    Le micro SD compatibili con Zenfone AR possono aumentare la memoria fino a 2000 Giga, caratteristica molto importante per il mobile journalism. Veloce anche il processore e impressionante anche la dotazione di Ram che può arrivare a 8 giga con  tutto quello che questo significa nella produzione dei video. Certa, quindi, la resa quando si opera con kinemaster per l’editing. Ecco, comunque, una veloce prova dal Ces che mostra alcune caratteristiche come la possibilità di fare foto a 360 gradi.

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    Il charger che ti salva

    Per chi lavora sul campo il vero problema è la carica delle device. Ecco che a salvare tutti arriva Omnicharge, la “bestiola” che è in grado di ricaricare contemporaneamente telefono, tablet e pc (casomai serva). Si tratta di un power bank dotato di 20400mAh con spine di ogni genere per tutte le esigenze e un adattatore  100W AC/DC. Con un prodotto del genere, acquistabile da questa campagna indiegogo, non dovrebbero più esserci problemi per la giornata intera on field di chi fa mobile journalism e non mette mai il sedere sulla scrivania. Un game changer del lavoro mio e tuo che ti permette di non abbandonare mai il campo mentre stai lavorando.

    I video a 360 gradi, vero topic del CES 2017

    Mobile JournalismIl vero campo di interesse per chi fa mobile journalism al CES di Las Vegas è stato il mondo delle camere a 360 gradi e affini. La notizia che ha spostato gli equilibri del campo è stata quella del produttore cinese Insta360 che ha lanciato la sua partnership con Periscope per i live a 360 gradi. Da alcuni giorni, infatti, una selezionata membership di utenti della applicazione di live della compagnia del cinguettio, Twitter, può produrre, tramite il download di una versione aggiornata, ma beta, video live panoramici da qualsiasi posto.

    Insta360 è il primo partner di Periscope e ha “vinto” la possibilità di far andare l’applicazione live in diretta in modo automatico, senza settaggi o software di streaming. Si attacca la camera al telefonino, si apre Periscope e via. Questa mossa ha cambiato le regole del gioco nel mercato, soprattutto per quanto riguarda il mobile journalism che si era orientato, fino a questi giorni, sul live di Facebook. Se vuoi far parte della membership ecco la lista cui iscriversi (spero tu sia più fortunato di me perché io non ho avuto risposta).

    In conseguenza di queste mosse del mercato i produttori di videocamere a 360 hanno “sganciato” all’esposizione alcuni pezzi interessanti di hardware. Insta360 ha portato il suo top di gamma che è la Pro, camera che permette video a 360 e 360 3D con acquisizione da 6 telecamere e dai microfoni integrati o da un mic esterno. La qualità è 8k e le specifiche tecniche sono visibili in questo link. In assenza di novità dai big della tecnologia si sono fatti sentire gli outsider come Sphericam che ha messo in mostra la sua Sphericam2 le cui caratteristiche sono leggibili a questo link. Qualità a 4k con 60 frame per secondo, con la possibilità di fare foto a 360° in qualità RAW, il massimo del file fotografico. Importante il prezzo di entrambe, circa 3000 dollari, ma va detto che si tratta, in entrambi i casi, di un prodotto top tra quelli accessibili nel mercato consumer.

    Un mondo, quello dei video a 360 gradi, che interessa in modo diretto i mojoers e li proietta in un futuro prossimo nel quale il contenuto giornalistico potrà e dovrà svilupparsi anche con questo tipo di tecnica. La materia affascina, come passo successivo rispetto al mobile journalism classico, ma si prende anche la briga di far discutere per le sue implicazioni etiche. Certamente i video a 360 gradi aprono nuovi linguaggi e nuove possibilità di produzioni (e quindi di guadagni per freelance spiantati come me e te), ma pongono il problema dell’autorizzazione alla ripresa perché la visione a 360 gradi permette di catturare anche le immagini di chi, altrimenti, sarebbe fuori dal campo di un obiettivo normale.

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