Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Personal branding, netbranding e giornalismo: facciamo chiarezza

    Personal branding, netbranding e giornalismo: facciamo chiarezza

    STO STUDIANDO, COME TE. In questo blog parlo di due cose: #sharingjournalism e #sharingdaddy. Sono i miei due progetti, le cose che studio tutti i giorni. In un post recente, questo, ho parlato di netbranding come di uno strumento necessario per i giornalisti. Studiando sul web mi sono accorto che netbranding e personal branding sono pane quotidiano nei media stranieri, mentre da noi non se ne parla. Siccome in questo blog voglio condividere il mio know how sul giornalismo e suoi suoi modi, penso sia il caso di fare chiarezza.

    PERSONALITA’ ONLINE. I giornalisti possono diventare personalità online, per la loro competenza nei campi specifici del loro lavoro o per la loro qualità. Nel processo di disintermediazione dei passaggi tra notizia e lettore, possono anche diventare un punto di riferimento diretto, per questi ultimi, con le notizie stesse, con i reportage e i movimenti della società che interessano chi legge, chi cerca sapere. Quest’ultimo è un passaggio che risulta molto utile al cronista stesso per potersi creare un profilo professionale specifico che risulti appealing per chi compra i suoi contenuti e un pubblico diretto che può rappresentare un seguito tangibile e misurabile che aumenta il “fascino” di quanto dal professionista stesso viene prodotto. Per dirla alla casalinga di Voghera: se un giornalista ha una ottima personalità online, ha molti follower, chi acquista il suo lavoro sarà più invogliato a farlo perché sa che ha già un pubblico “incorporato”. Per questo motivo il personal branding è un aspetto assolutamente necessario per la nuova professione giornalistica.

    ejoAGLI EDITORI ITALIANI PIACE POCO. Gli editori del nostro paese in particolare, ma anche al resto degli editori, piace poco. Questo straordinario articolo dell’European Journalistic Observatory lo conferma. Il personal branding giornalistico è un fenomeno in verticale ascesa, ma non viene “aiutato” da chi edita, anzi il contrario. Spesso i giornalisti incorrono in problematiche professionali a causa di semplici post di social media che, magari, si discostano anche di poco dall’opinione imperante del medium per cui lavorano. Tuttavia vi è un movimento, iniziato negli Usa, per cui i giornalisti con ottimo seguito social, si distaccano dalle redazioni di grandi giornali per creare progetti editoriali basati sulla loro personalità online. E’ il caso di Ezra Klein che lasciò il WashPost per lavorare a una sua iniziativa già nel 2014. E’ un business rischioso, come suggeriva Michaell Wolff in questo articolo nel 2014 esaminando con grande attenzione i numeri di questo fenomeno. Però rivela una tendenza che ha avuto casi di successo come quello di Arianna Huffington e che ha insegnato una cosa importante: il personal branding è necessario per i giornalisti. Agli editori italiani non piace perché sviluppano una sorta di possesso del giornalista che deve sottostare alle regole e ai dettami social della testata. Chi fra i giornalisti italiani ha un grande seguito internet ce l’ha per merito preponderante della testata stessa, non per la competenza diretta che ha o per la personalità seria e coerente che mostra. E’ una delle ramificazioni del rapporto distorto giornalisti-editori italiani che non tiene conto del fatto che, acquistare l’individualità professionale di un giornalista seguito, aumenterebbe il seguito della testata, se solo non si riducesse la stessa a una velina del giornale o della tv o del sito per cui lavora.

    IL PERCORSO GIUSTO. Insomma, se il personal branding del cronista fosse valorizzato per quello che è, il giornalista potrebbe portare la sua piccola o grande fetta di pubblico dentro il giornale che acquista i suoi contenuti o che lo assume. Se il giornalista fosse, invece, bloccato nella direzione contraria, cioè quella di diventare soltanto veicolo dei contenuti che produce per una testata, il risultato sarebbe la perdita di audience del giornalista stesso e il mancato guadagno di lettori o spettatori “importati” per la testata. Questo percorso, quello della costruzione di una personalità giornalistica individuale, è un passo in avanti importantissimo per la carriera del giornalista e va difeso. Per capire meglio la situazione sono esplicativi questo post e questa ricerca.

  • Perché il netbranding può cambiare la vita dei giornalisti

    Perché il netbranding può cambiare la vita dei giornalisti

    NETBRANDING, QUESTO SCONOSCIUTO. Sto studiando da qualche tempo le tendenze delle carriere dei giornalisti, freelance e non: non passa giorno che non scopra cose fondamentali su quello che la categoria (compreso me) sta sbagliando. Un esempio? I giornalisti italiani, siano freelance o contrattualizzati, non conoscono il netbranding: un’assurdità, ti spiego il perché.

    LA DISINTERMEDIAZIONE. Parto da lontano. Parto dalla definizione della parola disintermediazione. E’ questa: “La disintermediazione è il fenomeno di riduzione dei flussi intermediati. Composto dal prefisso latino e greco “dis” che indica tradizionalmente ciò che viene separato, la parola indica ogni processo di rimozione della figura dell’, ossia colui che ha la funzione di intercedere tra due o più attori sociali per facilitare il raggiungimento di un accordo”. Ok, senti, è la definizione di Wikipedia e non è il massimo, ma da verifiche risulta abbastanza fedele. Perché parto da lì? Il motivo è semplice: la tecnologia ha permesso ai giornalisti di diventare produttori indipendenti di contenuti togliendo tra loro e il lettore i mediatori. Di chi sto parlando? Degli editori, spurii o puri, che comprano le notizie e le pubblicano. Questo grazie alle varie piattaforme sociali di pubblicazione diretta (che peraltro sono delle mostruose macchine da soldi esse stesse). Però mai come in questo momento, se un giornalista, ripeto, freelance o no, vuole costruirsi un pubblico con quello che produce, lo può fare in modo efficace.

    I SOCIAL MEDIA MANAGER: SI, MA POI? Nella giungla di chi lavora sui social ci sono molti tipi di figure, tutte importanti e valide. In questo post, tuttavia, voglio chiedermi quale sia, in quel mondo, il ruolo del giornalista. Analizzo il paradigma italiano medio per porre poi un quesito. I giornalisti presenti sui social sono principalmente di 3 tipi: in massima parte ci sono degli smanettoni senza piano editoriale definito, in misura minore ci sono delle figure di riferimento che acquisiscono notorietà e quindi autorevolezza (non qualitativa) grazie alle testate per cui lavorano. In misura ancora minore, ci sono giornalisti che hanno un pubblico selezionato perché lavorano coerentemente sul piano editoriale di quello che spacciano coi social.

    UN PUBBLICO REALE DI UNA PERSONA REALE. Io, per esempio, sono ancora un neofita del campo, ma sto lavorando per dare qualità a quello che pubblico sui miei profili sociali, di modo che, chi desidera seguirmi come stai facendo tu, sappia che sui miei canali può trovare determinati argomenti, ma non altri. Per questo motivo, valorizzando il ruolo di mediatore sociale del giornalista, penso che i cronisti debbano arrivare oltre il social media management e costruirsi un pubblico (piccolo o grande) che sappia esattamente chi sono, che carriera hanno, in cosa sono esperti e in cosa non lo sono. Quindi nel mondo social posso provare a buttare lì che ci siano i social media manager e, dopo, i giornalisti, i quali devono creare un’autorevolezza digitale sulla base di quello che sono veramente, indipendentemente dalle loro opinioni (spesso buttate a caso) sul terremoto di Amatrice o sul FertilityDay.

    net-brandingC’E’ BISOGNO DI NETBRANDING. Questo campo lo sto scoprendo ora e vorrei lo scoprissi anche tu. Riccardo Scandellari e Rudy Bandiera sono i principali esponenti della corrente che va oltre il social media management e comincia a parlare di vera e propria vita digitale professionale e umana. Questi due libri “Le 42 leggi universali del Digital Carisma” e “Afferma la tua identità con il NET BRANDING” sono due capisaldi di quella profilazione della carriera digitale che potrebbe e dovrebbe essere un must del giornalista, sia freelance o sotto contratto. Il motivo è semplice: entrambi danno indicazioni operative, di studio, di comportamento e bibliografiche sulle modalità con cui si costruisce una personalità digitale. Tutti i cronisti dovrebbero averla, tutti dovrebbero coltivarla. Vanno entrambi oltre il social media management per fondere tutto, tramite i vari social e i vari canali di espressione del giornalista, nella una creazione di una coerente, positiva e autorevole personalità digitale. Essi sorpassano i canoni religiosi del social media management indicando come in una vita digitale coerente ci possa essere spazio per il racconto personale che aumenta la friendship nei confronti di chi segue, aumentandone anche la fiducia. Spesso, invece, i social media manager professano la creazione di una maschera digitale che non è rispondente alla persona reale.digital-carisma-rudy-bandiera-copertina-675x1024 Ecco, per questa coerenza e per questa cura della persona, questo tipo di orientamento è quello che sposo personalmente. Ci sono anche altri libri scritti da loro sull’argomento, ma te li segnalerò solo quando avrò finito di leggerli.

    INFINE ECCO I QUATTRO CAVALIERI. Per stare al passo con Netbranding, almeno in Italia, ti suggerisco di seguirli su Twitter. Ecco i loro quattro  account, da seguire con accuratezza per trarne il maggiore vantaggio possibile per la tua carriera di giornalista freelance. Alla fine metto anche un account di una collega che conosco e che mi è amica, la quale ha fatto del vero netbranding diventando una figura di riferimento per il suo mondo, mai corrotto con altri pareri o altre escursioni improvvisate. Si tratta della giornalista Mariella Caruso, splendida collega siciliana trapiantata a Milano che parla di spettacoli, di cucina, di turismo, di Sicilia e di alcune altre cose meravigliose. Se la segui sai chi è, sai di cosa è esperta, sai cosa fa e di cosa si occupa, di cosa, quindi, può trattare con grande sapienza e coerenza professionale, maturata in decenni di carriera.