Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • Come diventare giornalista? Sperimentando

    Come diventare giornalista? Sperimentando

    Una domanda che mi fanno spesso e che non ha risposte giuste

    Se cerchi sul web “come diventare giornalista” le risposte che trovi sono figlie di un altro tempo. Sono vecchie, hanno modelli professionali che non esistono più. Il mondo dei media e la professione del giornalista hanno fondamenti che non reggono più alla velocità del cambiamento. Come diventare giornalista è una domanda che non ha risposte adeguate. Ho deciso di mettere qui la mia, proprio poco prima delle vacanze di Natale e poco prima di alcuni fondamentali cambiamenti nella mia professione di giornalista.

    Come diventare giornalista? Vivendo delle esperienze sulla propria pelle

    Sono un giornalista. Resterò un giornalista. Invece di rispondere alla domanda “come diventare giornalista” ho dovuto rispondere, pochi anni fa, alla domanda “come restare un giornalista”. La risposta che mi sono dato è: vivendo esperienze nuove. Ho studiato il mobile journalism, l’ho fatto mio. Ho cambiato strumenti lavorando solo con lo smartphone. Nel mio percorso ho conosciuto molte persone e cambiato il bacino dei miei clienti. Ho sperimentato talmente tante cose e fatto talmente tanti errori che non riesco nemmeno a contarli.

    Vivendo i cambiamenti e deragliando costantemente dai binari sui quali avevo messo il trenino della mia carriera nei 25 anni precedenti, ho trovato la strada giusta. Ho trovato nuove piattaforme, nuovi clienti, nuovi prodotti, nuovi servizi. L’ho fatto solo sperimentando, vivendo esperienze sulla mia pelle. Mi sono tagliato, mi sono sporcato le mani, sono sceso da tutti i piedistalli sui quali ero. Ho divulgato il giornalismo in un modo nuovo, ho spaccato luoghi comuni. Ho aiutato professionisti, aziende, attività a rilanciarsi. Con uno smartphone.

    Il giornalista che sono diventato

    Se devo rispondere alla domanda “come diventare giornalista” potrei dire, “diventando uno sperimentatore, un produttore di contenuti, un costruttore di relazioni tra i media e il pubblico, un mediatore sociale”. Sono diventato così. Faccio esperimenti con cadenza quasi giornaliera. Produco contenuti con il criterio e la deontologia del giornalista per chiunque. E ovunque. Creo connessioni, processi nuovi di lavoro, mediazioni della realtà. Non smetto di essere giornalista nemmeno sui social network. Non sparo opinioni, diffondo cose utili: per capire la realtà, per interpretare il futuro.

    Come diventare giornalista? Con Algoritmo Umano e col coraggio

    Nel 2020 ho scritto un libro di cui fra poco saprai. Nel 2020 ho creato Algoritmo Umano. Cos’è? La mia interfaccia digitale con il pubblico, la casa sul web del mio lavoro. Se mi vuoi leggere, passi da lì. Se mi vuoi ingaggiare passi da lì. Quello è il posto del mio lavoro e segue il progetto di una completa digitalizzazione della mia figura professionale. Ho avuto il coraggio di cambiare il limite della mia professione di giornalista e ho fatto cose che possono tranquillamente essere considerate oltraggiose dai più.

    Lo dico, mi autodenuncio e rispondo a tutti quelli che chiedono “come diventare giornalista” al web. Si diventa giornalisti sperimentando, anche cose come queste. Se clicchi su questo link troverai il mio shop di Facebook. L’ho fatto anche su Instagram. Si tratta di sperimentazione e sono ben sicuro che non venderò la mia professionalità sui social di Menlo Park dall’oggi al domani. Però è conoscenza, è novità, è interazione. Si tratta di una sperimentazione che non può non esserci nel mio lavoro di produttore di contenuti e sviluppatore di messaggi di comunicazione. Il 2021 del mio essere giornalista si presenta molto bene. Sappi che scriverò tutto quello che succede.

    Leggi anche – Il giornalista?Non conosce il suo business.

    Giornalismo: riflessioni sul futuro

  • Il giornalista? Non conosce il suo business

    Il giornalista? Non conosce il suo business

    Essere un giornalista oggi in Italia è molto difficile

    Si tratta di una professione devastata da una crisi senza fine e minata da alcune mancanze molto gravi all’interno del sistema. Il giornalista italiano oggi guadagna molto poco, lavorando un numero di ore abnorme, in un’industria che sta completamente fallendo il rinnovamento e il cambiamento dei modelli con cui si propongono nuovi media. I motivi della crisi sono molti: culturali, finanziari, politici, tecnici. Concentrando l’attenzione sulla preparazione del giornalista, però, continua a saltarmi agli occhi un pensiero. Si tratta di una specie di bug, di falla nel sistema di preparazione e formazione dei professionisti di questo mestiere.

    Il giornalista è in una situazione grave

    I percorsi attraverso i quali si diventa giornalista sono caratterizzati dalla completa assenza di possibilità di imparare l’economia, il management, la gestione di un business e tutti quegli elementi che possono far migliorare la condizione professionale. Ne ho già parlato in questo articolo e in uno precedente. Si tratta di un tema che ritorna perché è uno dei modi in cui, personalmente, ho abbattuto e ricostruito completamente la mia figura di giornalista. Sapere di business, di gestione delle risorse, di marketing, di vendita e di controllo di gestione è determinante per cambiare il proprio modello di lavoro e renderlo redditizio. Il giornalista italiano di oggi, però, non riesce a tirarsi fuori dal gorgo delle routine cui he abituato da decenni e non ha alcuno strumento per formarsi.

    Le scuole vecchie, le redazioni che ti stritolano

    Per il giornalista sapere di business vuol dire avere la possibilità di calare le sue dinamiche di lavoro e di produzione del contenuto nella realtà nuova dell’ecosistema dei media. Invece è ancora stritolato dalle redazioni e dai capi che telefonano dicendo: “Fammi 30 righe”. Se un giovane vuol fare una scuola di giornalismo, appena apre la porta di quelle aule si accorge che qualcosa non torna. Quello che trova, infatti, è una formazione accademica da quotidiano degli anni ’90 o da radio-televisione modello infotainement. Niente sul freelancing, niente sull’auto imprenditorialità del giornalista, niente sulla vendita del contenuto. Il vuoto sul personal branding, sulla proposizione della propria professionalità al mercato, sulla creazione di nuovi prodotti. Niente: il giornalista è quello che fa il pezzo, poi un altro, poi un altro, poi un altro. Una specie di cottimista della parola o dell’immagine.

    La formazione inutile

    Se vado sulla piattaforma Sigef, quella della formazione professionale del mio mestiere, rimango spesso basito. Mi basta digitare parole come “business” “freelance” “autoimprenditorialità” per restare di pietra. Fra i corsi dell’Ordine dei giornalisti i risultati sono “0” in tutti e tre i casi. C’è qualcosina sul business, interpretato come cultura aziendale e non del professionista, a pagamento. La formazione che abbiamo a disposizione è raramente utile alla vita e allo sviluppo della carriera del giornalista. Va detto.

    Me lo ha fatto capire l’iPhone

    Qualche giorno fa ho fatto questa diretta streaming su una notizia che, a mio avviso, cambierà per sempre il mondo del giornalismo e della produzione televisiva.

    La diretta dal mio canale Youtube

    Il prossimo aggiornamento del sistema operativo dell’iPhone farà in modo che questo possa produrre video con il sistema PAL, quello di tutte le televisioni europee. A me è venuto subito da pensare alla possibilità di ricominciare a vendere contenuti alle tv italiane. Ho subito pensato alla possibilità di sviluppare ancora il mio business. Preciso una cosa: i video con gli smartphone li faccio da anni per ogni tipo di tv. La differenza sostanziale è che potendoli fare in PAL dalla camera nativa (24,97 frame per secondo) i prossimi saranno più facili da gestire tecnicamente per qualsiasi televisione. Meno passaggi tecnici, più possibilità di vendita.

    Questo è solo un esempio per far capire come ogni innovazione può nascondere un’opportunità professionale. Ogni app, ogni nuovo modo di proporre un servizio vecchio, ogni nuova piattaforma, ogni nuovo format, ogni nuovo hardware con il quale produciamo un contenuto può essere una strada da percorrere per un giornalista. Una strada che migliora il presente e costruisce un futuro diverso, mio caro giornalista.

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  • Giornalismo, riflessioni sul futuro

    Giornalismo, riflessioni sul futuro

    Vivo di giornalismo da quasi trent’anni e ho visto questo mestiere cambiare.

    In questo periodo il mio percorso professionale è stato caratterizzato da molti cambiamenti, da repentine evoluzioni, ma al centro è sempre rimasto il giornalismo. Già, il mio maledetto mestiere, quello che talvolta odio, ma che voglio continuare a fare fino all’ultimo respiro. Osservo il giornalismo e vivo il giornalismo da sempre, ma mai come in questi giorni l’ho trovato in condizioni gravi, almeno nel mio paese. In modo molto chiaro, tuttavia, osservo che ci sono grandi opportunità davanti a noi, opportunità che intendo cogliere.

    Giornalismo e formazione

    Ho frequentato per qualche anno il mondo della formazione nell’ambito del giornalismo. Un’avventura fantastica che mi ha portato a conoscere centinaia di giovani giornalisti. Lì ho trovati tutti energici, coraggiosi, visionari. Lì ho visti, però, immersi in un sistema di apprendimento vecchio, stantio. Basato su concetti di media come “giornale”, “televisione” radio. Media che non esistono più. L’opportunità da cogliere in questo campo è rivedere il concetto stesso di giornalismo e adattarlo al tempo. Il giornalismo è una conversazione, come sostiene il professor Anthony Adornato. Ecco, bisogna formare una generazione di giornalisti che sappiano dialogare con il proprio pubblico. Anche rivedere la parola medium sarà importante. Ora i media sono creatori e gestori di comunità, le quali vanno servite senza dimenticarsi dei principi del giornalismo. Gli studenti di questa disciplina lo sanno? I loro docenti glielo stanno insegnando? Credo di no. Poi bisogna raccontare la verità ai giovani che vogliono fare questo mestiere. Devono crearsi un business, devono essere un brand.

    Giornalismo e business

    Ti spiego quello che sto sviluppando nella mia carriera. Sto cambiando committenti, modelli di lavoro, pubblico, destinatari dei miei contenuti. Non sto cambiando il mio giornalismo. Sto modificando il modo di intenderlo e sto sviluppando tutti i percorsi necessari per fare in modo che il mio giornalismo sia un business e mi dia, sempre di più, il giusto compenso. Nuovi clienti, nuovi contenuti, nuovi formati, al centro sempre la professione. Su piattaforme diverse, per audience differenti. Il giornalista deve considerarsi un businessman che ha l’obiettivo di vendere i suoi contenuti nel modo più professionale e imprenditoriale possibile. Per questo motivo, nella prima parte del 2020 ho creato Algoritmo Umano.

    Homepage – Algoritmo Umano

    Riflettere su come sarà l’economia è un esercizio molto difficile. Algoritmo Umano ci proverà in questa sezione, seguendo due direttive …

    La vetrina della gioielleria

    Algoritmo Umano è la vetrina del mio giornalismo. Per avere un mio contenuto, un mio prodotto, un mio servizio o la mia consulenza, bisogna passare da lì. Si tratta di un laboratorio, della vetrina della gioielleria: Se ogni giornalista avesse il suo negozio virtuale, ogni giornalista potrebbe da quelle colonne ottenere due vantaggi. Il primo: potrebbe creare un formidabile battage di interesse verso quello che sta facendo. Il secondo: con pochi accorgimenti potrebbe creare un’importante interfaccia di pagamento per dare correttezza al rapporto coi committenti. Della serie: vuoi i miei contenuti? Ok, vai sulla piattaforma, magari ne guardi un’anticipazione, poi paghi, poi te li consegno.

    Giornalismo e pagamenti

    Il giornalismo del futuro passa, quindi, dalla necessità di recuperare correttezza tra il conferimento dell’opera dell’ingegno e il pagamento del lavoro. Se il giornalismo ha un futuro questo futuro sarà garantito solo da un patto giornalisti-committenti che riporti al centro la qualità dei contenuti. I modelli di pubblicità della prima era di Internet stanno boccheggiando, di conseguenza i prodotti editoriali a base di click hanno sempre meno senso. In questo vuoto c’è lo spazio per ritornare a parlare del contenuto come prodotto di qualità da vendere (e di conseguenza da pagare adeguatamente).

    Questione di innovazione

    Il giornalismo ha già iniziato il suo cambiamento incontrando l’Intelligenza Artificiale. Nel suo libro Newsmakers, l’innovatore e giornalista Francesco Marconi parla di questo binomio come di un momento che dovrà rinnovare il modo con il quale una notizia viene creata e il modo in cui questa si relaziona alla sua audience. Questo significa che arriveremo in poco tempo alla piena responsività dei media alle persone che li leggono. Il giornalismo italiano è pronto a questo? Si trasformerà il modello economico dell’industria dei media che vivrà una contrazione dei costi e una forte tentazione ad automatizzarsi.

    Il giornalismo (italiano e non) deve essere pronto a fare una cosa specifica. In redazioni completamente rinnovate dallo smartworking, le quali diverranno centri di controllo tecnologico e di pensiero critico, la AI muterà il modo di fare giornalismo, aiutando la parte tecnica e di disamina dei dati per lasciare ai cronisti il tempo dell’analisi e del pensiero per poter allestire nuove tipologie di prodotti editoriali. In questo ecosistema rinnovato nasceranno nuove figure della professione giornalistica. Dobbiamo progettarle e definirle ora. Altrimenti sarà troppo tardi.

  • Azienda: se il tuo brand vale più di un giornale

    Azienda: se il tuo brand vale più di un giornale

    Ho creato, con il mio smartphone, molti contenuti per le imprese private, ma in questi ultimi tempi ho capito che sta succedendo qualcosa di importante nel mondo delle aziende, nel mondo dei brand. Un cambiamento che fa diventare ancora più importante il contenuto di informazione e l’ingresso nell’ecosistema dei media per qualsiasi attività. Ecco a cosa mi riferisco.

    (altro…)
  • Mojofest 2020 sta facendo la storia dei media

    Mojofest 2020 sta facendo la storia dei media

    Mobile content creation: tutto cambia. Ancora.

    Mojofest ritorna anche nel 2020 e questa è una notizia. A Galway nel 2019 ci si era lasciati con un arrivederci che sembrava un addio, ma Glen Mulcahy e il suo team sono riusciti a fare un vero miracolo. In questo periodo molto difficile dal punto di vista economico hanno trovato una solida partnership con l’evento inglese Media Production and Technology Show e hanno incastonato Mojofest in questa manifestazione che rappresenta un eccellente punto di incontro per l’industria dei media in Inghilterra (e oltre). Andrà in scena il 13 e il 14 maggio 2020 all’Olympia Theatre con ingresso gratuito per la due giorni. La fiera, famosa come MPS nel territorio inglese, è organizzata dalla rivista Media Business Insights e conterrà anche il meglio della industria della mobile content creation che arriva da Mojofest. Questa confluenza è un evidente segnale che la storia sta per cambiare. Il motivo? Te lo spiego subito.

    Mobile Content Creation e Broadcasting: alla pari.

    La parte di Mojofest di questo evento avrà anche numerosi workshop a pagamento in un probabile terzo giorno di accesso alla venue dell’Olympia. Ah, a proposito: se volete il vostro ingresso registratevi qui. In gennaio Mulcahy e i suoi comunicheranno il calendario e si potrà acquistare il biglietto per i seminari sul sito di Mojofest. Mulcahy è riuscito nell’impresa storica di far valere il mojo e la sua community alla pari dell’industria della tv e di metterle insieme, sullo stesso piano. Londra, infatti, è un posto dove si sta sperimentando da tempo l’integrazione tra mobile journalism e broadcasting e l’evento di maggio sarà un acceleratore di questo processo di dialogo, finalmente alla pari.

    Complimenti a Glen.

    Glem Mulcahy, fondatore della comunità mondiale dei mojo, è stato magistrale nell’operazione di alleggerimento dei costi e di moltiplicazione delle opportunità. Davvero un’operazione fenomenale da parte di chi ha capito, così come è per Philippe Couve e per la sua La Vidéo Mobile, che se si voleva un futuro per la mobile content creation ci si doveva aprire all’innovazione nel mondo dei media. Già, perché in fondo, noi siamo quelli che stanno cambiando l’industria dei media. E se ne sono accorti in molti .

  • Caro giornalista, hai bisogno di un business model

    Caro giornalista, hai bisogno di un business model

    I miei contatti con il mondo accademico e con il mondo dell’Ordine dei Giornalisti si sono diradati.

    Non sto qui a spiegarne le ragioni, anche perché non desidero proprio fare polemica. Tuttavia ti dico che ho visto di tutto. Ho visto soprattutto che ai giornalisti manca anche la più minima cognizione di quello che vuol dire l’espressione business model. Riflettendo proprio sui business model mi sono ricordato che ne avevo parlato molto tempo fa. Puoi vedere il mio articolo qui. Il presente, invece, mi porta a pensare che stiano aumentando le possibilità di crearsi in modo autonomo una carriera, ma non ci sono, sul mercato del lavoro giornalistico attori in grado di cogliere le occasioni.

    I giornali sono morti che camminano.

    Ho visto un’infografica di Prima Comunicazione che ha ben visualizzato il dramma nel quale versano i giornali italiani, in costante emorragia di copie. Questo è lo stato dell’arte e in fondo all’abisso ci sono i giornalisti, obbligati a diventare dei paria intoccabili pagati 5 euro a pezzo (se va bene) per fare i loro pezzi. Questa condizione li ha completamente bloccati nell’operazione di ridefinizione della carriera, degli strumenti, dei committenti e delle piattaforme dove poter fare il lavoro che amano. Come se non bastasse la tecnologia li ha completamente travolti lasciandoli prigionieri del romantico passato della loro processione. Buona ultima è arrivata l’accademia, la quale di business model manco si sogna di parlare. La tv, poi, arranca battendo la coda come un capitone in una pescheria, ricicciando le produzioni broadcast super costose dentro delle app che sono minestroni di contenuti.

    Il business model, però, è necessario.

    Ora le opportunità si stanno moltiplicando. Fioriscono le piattaforme di pubblicazione, con particolare riferimento all’audio e al podcasting. Diminuiscono i costi per poter fare in autonomia produzioni complicatissime (dirette multicamera, registrazioni multicamera, video in 4K), mutano i posti dove c’è esigenza di un giornalista (aziende, enti, istituzioni, personaggi pubblici e potrei stare qui a dirne ancora di più), cambiano le tipologie di prodotti, si creano le community gestite direttamente da giornalisti, ma anche i progetti di interazione (i vecchi eventi) nei quali un giornalista può essere serenamente quel tipo di racconto e di storytelling che crea un interesse per il quale il pubblico vuole pagare. Per sapere, per sentirsi parte di una community, per incidere. Per contare ancora qualcosa. Per sviluppare tutto questo il giornalista che si propone sul mercato ha bisogno di un business model. Analisi del mercato, analisi dei costi, portafogli di prodotti, format di prova, previsioni dei ricavi. Il business model, insomma è necessario…

    Ma perché?

    Il business model è come la strada del proprio percorso personale che non ti fa deflettere dall’obiettivo e non ti fa cedere a condizionamenti che arrivano dal passato. Se, banalmente, non lo usi, quel clientuccio che ti chiede un favore non ti pagherà quello che meriti e quello che può sostenere i tuoi costi e la tua vita. “Ma sì, dai, stai due minuti a scrivere questo testo”: questa è la classica frase trappola che se hai un business model davanti non riuscirai ad accettare. Perché davanti hai i numeri e quelli ti dicono chiaramente che, se accetti la 50 euro di straforo, lavori gratis. Ecco perché il business model serve… eccome se serve. Ti lascio con una domanda: non è che il fatto che non venga insegnato, percepito, ritenuto importante, è frutto di un piano preciso? Aspetto commenti….