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  • Vita a 5G: la partenza è… surreale

    Vita a 5G: la partenza è… surreale

    Da qualche giorno ho la connessione 5G nel mio nuovo iPhone 12.

    Ho cambiato la mia tecnologia cellulare per fare un salto in avanti dentro quell’eldorado che aziende e commentatori dipingono come un nuovo futuro che cambierà tutto. Come divulgatore della mobile content creation e dell’uso consapevole dello smartphone credo di fare un buon servizio se mi addentro nei nuovi modi di vivere il rapporto con la tecnologia mobile all’interno dei giorni normali di vita. Ebbene, la partenza è stata surreale, una specie di presa di coscienza, con tanto di prove, che il tanto decantato 5G non esiste. Lo avevo già scritto su Algoritmo Umano, ma ora ho le prove per poterlo dire.

    Il primo aggancio al 5g

    Ecco i miei primi test di connessione sulla linea di Tim

    Ricorderò per un po’ la data del 14 novembre 2020 come una data importante. Ho comprato un iPhone 12, il primo iPhone 5G, il quale mi ha dato fin dal primo aggancio alla rete un segnale di quinta generazione. Elettrizzato, ho subito tentato uno speed test, ricevendone un’indicazione imbarazzante, ma commettendo anche un errore. L’errore è che l’ho fatto dentro casa mia. Dovevo ricordarmi che il 5G viene rallentato di molto dal cemento. Quando sono uscito di casa la cosa è leggermente cambiata. Preciso che il test di cui parlo è quello in fondo e i successivi sono a salire. Il secondo è un test del Wi-Fi si casa mia e quello successivo è un altro test in casa. Facciamo così diciamo che non valgono date le condizioni in cui ho svolto le prime prove di questa connessione. Poi, però, sono uscito.

    La passeggiata lunare

    Durante una camminata il giorno successivo mi sono fermato a fare altri test dopo un primo approccio decente al 5G avuto il 14 novembre alle 20.37. Domenica 15 novembre 2020 ho testato la connessione fermandomi in un punto in cui avevo 5 tacche e 5G segnato sul telefono e ho scoperto solo dopo che era un 4G. Lo si vede dai test delle 12.05 e delle 12.06. Questo è successo perché l’iPhone è settato su “5G Auto” e non su ”5G on”. Cosa vuol dire? Semplice: vuol dire che ha una funzione che dà al telefono las possibilità di usare il 5G solo quando questo non consuma troppo la batteria (la Auto, appunto). Ok, va bene. Quindi il 5G c’è, ma la tua batteria viene ciucciata al volo, tanto che la Apple ferma la cosa dandoti una funzione “usala pure, ma con cura”. L’operatore telefonico in questione, poi, maschera il segnale 4G mettendoti il simbolino 5G, anche quando non c’è.

    5G e il valore aggiunto che non c’è

    Alla fine è arrivato, in via Imbriani a Milano, il primo assaggio di 5G. Ultimo test per 200 mega e spiccioli in download, 30 in upload. Se compari, dalla foto, il primo test della lista, quello di cui parlo, con quello precedente (quindi il secondo della lista), capirai che il valore aggiunto non c’è. Il 5G massimo che ho trovato si è rivelato uguale al 4G che già pago al mio operatore. Dico subito che la mia vita a 5G è appena iniziata e che per mesi ne parlerò in articoli, video e pezzi sul sito. Farò anche altri test in altri posti della città.

    Tuttavia va chiarito subito che c’è una specie di tradimento nei confronti dei clienti che viene perpetrato dai telefonici e dai produttori di smartphone. Come ho spiegato nell’articolo di Algoritmo Umano in Italia non ci sono antenne stand alone (cioè basate solo sulla tecnologia 5G), ma solo antenne miste tra 4G e 5G. In Italia i telefonini che ci sono non hanno modem interni 5G, ma misti. Il tradimento di cui parlo, quindi, è legato al fatto che il simbolino 5G che compare nasconde una linea 4G nella gran parte delle volte. Questo i consumatori dovrebbero saperlo.

    Ci vorrebbe più chiarezza

    Il centro del problema è questo: la chiarezza. La rete di connessione a 5G è una promessa non mantenuta e questo si dovrebbe sapere. La verità è che le telefoniche stanno costruendo la rete con spese enormi in tutto il mondo. Per questo cercano di vendere il servizio accelerando le reti 4G, ma senza dirlo apertamente. Hanno bisogno di soldi per continuare a far crescere la copertura prima che questa raggiunga i livelli da 1 giga in download che sono i livelli reclamizzati (ma non garantiti dai contratti telefonici). Quei soldi glieli dai tu se ti attacchi al 5G adesso.

    Il download è utile ai ricchi, l’upload ai poveri

    C’è un altro punto. Il download è utile ai grandi gruppi tecnologici, ai giganti dello streaming, alle mega aziende dei social e dell’intrattenimento. L’upload, invece sarebbe utile a noi poveretti. Perchè? Esempio pratico. Con il download veloce e stabile posso al massimo guardare un video in 4k o ricevere un contenuto. Si tratta della missione di chi ci dà cose da guardare tutto il giorno…

    Con l’upload, invece, potrei mandare i miei video al mio cliente in tempo reale. Potrei mandare il documento importante al mio collega, mandare la foto importante alla mamma di mio figlio. Potrei giovarmi io della velocità della rete per trasferire contenuti e file alle persone in relazione con me. Ecco: perché è così lento? Perché, anche cercando sul web non si trovano dati certi sul l’upload a 5G?

    Un altro modo per farci restare passivi

    Il 5G, quindi, si presenta, almeno per ora, come un altro modo per restare passivi. Già, perché quello che promette (e per ora non mantiene) è legato alla possibilità di fruire contenuti come ricevitori, non a trasmettere contenuti come produttori. Per questo motivo è comparso oggi un articolo su “La Repubblica” che dice che, secondo uno studio, le aziende italiane snobbano il 5G. Semplice, perché non possono usarlo a loro vantaggio. Per convincerti guarda la foto dei miei test sotto la voce “Upload”. Sono nettamente inferiori a quelli della fibra ottica. Per questo non sono utili. La mia vita a 5G è appena cominciata e per ora è surreale: una promessa non mantenuta e un plus inutile. Col tempo ti racconterò i cambiamenti, ma se hai esperienze e vuoi dirmi la tua, ne sarei felice. Basta un commento qui sotto.

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    Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è ,mojo

    Image by ADMC from Pixabay

  • Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è mojo

    Gigabit society, editori e giornalisti: il futuro è mojo

     


    Gigabit Society in arrivo.

    Con l’arrivo della connessione mobile di quinta generazione, il 5G di cui ho già parlato in questo pezzo, la società che conosciamo diventerà la Gigabit Society. Cambierà tutto, cambierà anche il mondo dei media. Se sei un editore e capiti qui, specialmente se hai una tv, siediti, mettiti comodo, che ti dico una cosa. Fai parte del sindacato? Mettiti ancora più comodo che dobbiamo parlare. Sei un giornalista? Diventa un mobile journalist che ti conviene. Questione di sopravvivenza.

    Quando ho visto questo documento, non ci credevo.

    Mojocon 2017, la Mobile Journalism World Conference cui ho preso parte dal 4 al 6 maggio, è iniziata con una keynote di Richard Swinford, Head of Telecommunications, Information, Media & Entertainment (TIME) Practice, UK, di Arthur D. Little, uno dei più grandi studi mondiali di consulenza. Al centro le caratteristiche della Gigabit Society, la società che vivremo tutti quando avremo a disposizione il 5G.

    Il suo discorso è partito dallo studio commissionato da Vodafone alla sua azienda per descrivere e disegnare in modo particolareggiato il nuovo tessuto sociale che la connessione superveloce in mobilità potrà regalare. Il motivo per cui si è aperta così la Mobile Journalism Conference è semplice: dentro questa nuova società i media avranno una configurazione completamente diversa, in tutti i loro aspetti. Produzione, distribuzione, fruizione, canali, ecosistema. Tutto irrimediabilmente diverso.

    Prenditi tempo per leggere.

    Non so se hai abbastanza tempo per leggere questo report di Richard Swinford,  Camille Demyttenaere ed Eric Stok. Se non ce l’hai trovalo. Sinceramente ti conviene. Cambieranno trasporti, conoscenza, medicina, agricoltura, industria, commercio, finanza, scuola. La Internet of Things diventerà cosa comune.

    Cambieranno i media, perché si vivrà in un ecosistema in grado di bypassare completamente il dinosauro rappresentato dal broadcasting televisivo classico, partendo da produzioni in mobilità e arrivando a fruitori in grado di vedere, tramite le loro device, contenuti in 4k o in realtà aumentata.

    Vai a pagina 19 del report per comprendere meglio quali saranno le potenzialità del 5G  nei media, di un 5G che avrà la velocità da 1 a 20 giga al secondo, che potrà far lavorare alla stessa velocità 1 milione di oggetti connessi in un 1km quadrato, che potrà essere fruita anche a 500 km orari in movimento, che avrà una latenza inferiore al millisecondo.

    Ecosistema senza editori?

    Si trasferiranno in un secondo video da un giga, in una manciata di secondi film visibili in 4k senza tempo di attesa. In questo nuovo mondo gli editori non potranno non ridiscutere il loro ruolo. Ci sarà un ecosistema che, dalla produzione al delivery potrebbe anche fare a meno di loro. Ne parla apertamente Glen Mulcahy, capo di Mojocon in questa intervista che ha rilasciato a me qualche giorno fa.

    Dal proprio telefonino, passando per le piattaforme come Youtube e Vimeo, già in grado di consegnare streaming in 4k, si arriverà ai fruitori dei video senza passaggio intermedio dalla tv. Almeno che questi attori dell’editoria non si siedano con i produttori di contenuti e con le piattaforme. C’è da ricodificare il mondo dell’informazione. La rivoluzione è impossibile da fermare, bisogna salirci sopra e cercare di guidarla in modo inclusivo, mettendosi tutti in discussione e dandosi nuovi traguardi. Insieme.

    Messaggio a Ordine e Sindacato.

    Se sei dell’Ordine o se sei del sindacato, della FNSI, scaricati questo report e pensaci su. Tutto deve cambiare, a partire dalla parola stessa, giornalista, vecchia come il cucù. Lo dice Michael Rosemblum, il padre del videogiornalismo mondiale: il giornalismo è morto, perché si è suicidato. Se non si attrezza per la società a 5G non risorge…

    Per questo gli attori del giornalismo italiano, Ordine e Sindacato, devono accorgersi della situazione e mettere gli editori di fronte a un fatto. Devono ridiscutere tutta la realtà dell’industria giornalistica nazionale. Non c’è possibilità alternativa. Se non quella di diventare un paese assolutamente periferico e decadente rispetto alla rivoluzione mondiale del mondo dei media. D’altronde se CNN e Al Jazeera, tanto per dirne due, hanno iniziato a salire su questo toro imbizzarrito del cambiamento, un motivo ci deve essere. Ecco, aspetto la Rai, Mediaset, La7, il Corriere, la Repubblica. Vi prego, prendete il mojo per le corna. Altrimenti vi disarcionerà.

     

  • Mobile World Congress fra 5G, super slow motion e due big

    Mobile World Congress fra 5G, super slow motion e due big

    Mobile World Congress: un’edizione interessante.

    Quella che si chiude il 2 marzo del 2017 a Barcellona è un’edizione del Mobile World Congress assolutamente interessante per chi fa mobile journalism e mobile videomaking. All’appuntamento europeo della tecnologia mobile, dopo il Ces di Las Vegas sotto tono, si sono scatenate almeno un paio di compagnie, la LG e la Huawei, ma sono state portate alla luce alcune novità che possono cambiare il gioco del mobile journalism per sempre. Ecco di cosa si tratta.

    Il 5G sta arrivando

    Il momento in cui il mojo diventerà un linguaggio predominante della produzione giornalistica è, praticamente, domani mattina. L’International Telcommunication Union (ITU), l’ente mondiale che si occupa della regolamentazione delle telecomunicazioni ha messo le carte sul tavolo per quanto riguarda la prossima generazione di connessione internet mobile e ha fatto vedere molto chiaramente di che cosa sarà fatto il nostro futuro.

    Il 5G, secondo la GSMA, associazione che unisce le più grandi aziende della telefonia mobile, la quale ha diffuso a Barcellona uno studio dal titolo eloquente “The 5G era: Age of boundless connectivity and intelligent automation”, avrà caratteristiche stravolgenti rispetto alla velocità di connessione telefonica a internet che abbiamo ora. Le promesse sono quelle di  10 Gbit/s  che, detta in soldoni, faranno andare la nostra possibilità di condividere file su internet a una velocità centinaia di volte superiore a quella dell’odierno 4G (200 volte più veloce garantite).

    La connessione sarà stabilissima grazie al fatto che una cella potrà servire un milione di apparecchi collegati ogni chilometro quadrato e si potrà utilizzare anche mentre ci si sposta fino a una velocità di 500 km orari. Ti potrai scordare, quindi, quegli allucinanti viaggi sul Milano-Roma in cui ci metti 15 minuti a mandare una mail. Sempre che tu ci riesca. I video in 4k ultra hd, la Internet of things, tutta una serie di processi di automazione delle industrie e una definitiva entrata nella nostra vita delle auto senza guidatore diventeranno realtà.

    Ti mando tutto in tempo reale

    Il tutto con una latenza nell’ordine dei millisecondi. Tanto per essere chiari, per latenza si intende “il tempo impiegato da uno o più pacchetti ICMP a raggiungere un altro computer o server in rete (sia essa Internet o LAN)”, come recita Wikipedia. Quindi, sempre per dirtela in soldoni, trasferimento di un giga di video in pochi istanti. Ti piace come idea, caro il mio mojoer? Le aziende del 5G prevedono di mettere a disposizione di 1,1 miliardi di connessioni la rete nuova entro il 2025. Già nel 2020, tuttavia, dovrebbe entrare massivamente sul mercato. A Barcellona è uscita la notizia che Verizon testerà il 5G in 11 città degli Stati Uniti già quest’anno. Lo riporta la Reuters.

    Aggeggi 5G e telefonini con effetti “wow”

    A Barcellona, per passare dalla rete ai cellulari, alcune case hanno messo in mostra aggeggi che ragionano già in 5g come i modem della Qualcomm della gamma  Snapdragon X50. E’ il primo passo per un futuro che è vicinissimo e che vede il primo step nel 2020 con gli attori italiani del mercato quasi tutti indietro tranne Tim. Nelle sale della fiera, tuttavia, hanno tenuto banco alcuni aggeggi che possono cambiare il modo di lavorare per chi fa il mobile journalism o il mobile video making.

    Il primo di questi, dotato di vero effetto wow che può far cascare in adorazione qualsiasi mojoer, è il nuovo Sony Xperia XZ Premium. Il gigante giapponese ha fatto vedere su un solo prototipo in tutto lo stand l’effetto Super Slow Motion a 960 fps. Guarda attentamente questo video, che mostra anche come l’apparato ottico del telefonino in questione abbia anche una funzione di cattura predittiva (già hai capito bene, prima del tuo click) per farti prendere la foto migliore.

    La dotazione hardware comprende anche un processore octa core Snapdragon 835, 4 GB di RAM e 64 GB di memoria flash UFS, espandibili con schede microSD fino a 256 GB. La connettività è garantita dai moduli WiFi 802.11ac, Bluetooth 5.0, GPS, NFC e LTE Cat. 16 (download fino a 1 Gbps, già qui, per intenderci, siamo a un poì di più che 4G). Lo smartphone supporta anche le tecnologie WiFi Miracast, DLNA e Google Cast. La batteria da 3.230 mAh supporta la ricarica rapida Quick Charge 3.0. L’ottica è un fenomenale 19 megapixel con sistema Motion Eye  il quale prevede l’uso di memoria DRAM. La frontale è da 13 mega e diventa perfetta per piani americani e live col telefonino.

    Il G6, aggeggino mica male

    Anche la LG si è impegnata, sebbene tutti, nei corridoi del MWC, parlassero del grande assente, il Samsung S8, il quale verrà presentato il 29 marzo con un evento dedicato a New York. Il player coreano ha messo giù tutti i suoi assi per riscattare la non brillantissima performance del G5. Ecco la presentazione ufficiale.

    La cosa più importante, a parte le caratteristiche tecniche, è la nuova rivoluzionaria proporzione dello schermo 18/9, quindi 2/1. Perfetta per il multitasking, ma anche per la ripresa delle immagini, un vero gamechanger per la possibilità di fare video, pane quotidiano per il mojoer. Così, per fare i fighi, farà lo scanner dell’iride… Per una dettagliata recensione puoi andare qui

    Leica dual camera, una libidine.

    La Huawei ha lanciato il P10, ponendo una particolare attenzione all’ottica, comparto che per il mobile journalism è determinante. Il sensore monocromatico da 20 megapixel e un sensore RGB da 12 megapixel, sfruttando la tecnologia sviluppata da Huawei e Leica, smazzano foto perfette in qualsiasi condizione. Il prezzo tra i 679 euro e gli 829 per il P10 Plus (ancora più dotato nel comparto ottico) fanno del gingillo griffato Huawei un prodotto interessante anche per chi lavora da mojoer nel mondo Android, ma non vuole svenarsi per avere un telefonino “pro” in quanto a immagini.