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  • Mobile Journalism: cenni storici sulla materia fluida

    Mobile Journalism: cenni storici sulla materia fluida

    Mobile Journalism: una rivoluzione che parte dagli uomini

    Lo so che vorresti che parlassi di app e di truccaglie per fare il mobile journalism: te lo prometto, lo farò quanto prima. Non voglio, tuttavia, rinunciare troppo presto all’approccio culturale di questa materia. Dopo aver provato a dare una definizione e a definire un elemento molto importante per il lavoro del mojo, il pubblico, desidero far due chiacchiere sulla storia di questa filosofia professionale che sta cambiando le professioni visive. E’ una storia quasi (o forse senza quasi) ventennale, ma è diventata realtà soltanto dal 2007, 2008. Parla di uomini, di teste, di cuori e di persone che hanno voluto cambiare il corso degli eventi con quello che avevano in tasca: il telefonino.

    In principio era lo Smart Journalism

    Mobile Journalism: the father of mojo, Michael Rosenblum
    Michael Rosenblum (www.rosenblumtv.com)

    Se il mojo ha un padre, il padre è Michael Rosenblum. Newyorkese doc, Rosemblum ha lavorato per trent’anni nel campo del videogiornalismo con l’obiettivo di ridurne la pesantezza e di renderlo smarcato, veloce, leggero. A guardare il suo CV internazionale vengono i brividi, visto che è uno che ha completamente reinventato il modo di fare videogiornalismo negli Stati Uniti, non in Italia, dove sarebbe stato un filino più facile. Già 20 anni fa ha fracassato modi e metodi con cui nella grande mela si usava fare news in tv quando la New York Times company gli ha dato il compito di fare NYTV.

    La sua filosofia? Eccola ben riassunta in un pezzo del New York Times, dal quale, nel tempo si è staccato per lavorare con colossi che si chiamano CBS o BBC (di cui ha fatto la transizione totale verso il VJ), ma anche per fondare la Rosenblum TV, Current TV (assieme ad Al Gore). Insomma, nel tempo Rosenblum ha puntato tutto sul dimagrimento delle strutture della TV e dei suoi costi, quasi se la sentisse che quel carrozzone che è un grande broadcast, fatto nello stesso pesante modo in ogni angolo del mondo, era pronto a scoppiare. Con questa filosofia è diventato il padre mondiale del Video Giornalismo e dei Video Giornalisti, ma è letteralmente esploso quando tra le sue mani è passato un iPhone 4. Con il gadget più venduto del mondo ha costruito un impero che è partito da Rosenblum TV ed è arrivato a VJ. E’ anche il tipetto che ha guidato la transizione verso il mojo e il video journalism della mitica Voice of America, agenzia di news governativa degli Stati Uniti, attiva dalla seconda guerra mondiale.

    Un giorno dissero a Glen: “Go to NY”. E fu mojo…

    Mobile journalism: il re è Glen Mulcahy
    The King of Mojo: Glen Mulcahy (www.twitter.com)

    Siamo più o meno nel 2002 e Glen Mulcahy, un giornalista di RTE, viene chiamato dal capo che brandisce dei biglietti aerei per NY. “Vai a New York e studia il VJ di Rosenblum”, gli disse il boss. Lui si imbarca e ne ritorna con un pacco di informazioni tale che a RTE decidono di cominciare a trasformare tutti in Video Giornalisti. Lui, però, trainer di vocazione oltre che cronistaccio, fa di più. Mentre supervisionava il lavoro di altri cronisti, comincia a girare un pezzo con un iPhone e lo manda in emissione senza dire niente. Piglia un collega e gli chiede di fare lo stesso. Nessuno in regia a Dublino nota la differenza e, quando si presenta davanti al capo redattore per dirgli la verità, la reazione è quella di una bomba. “Quel pezzo e quel pezzo l’ho fatto con l’iPhone”, disse candido. Fu il Quarantotto, visto che la cosa pigliava in mezzo molte categorie diverse tra le professionalità presenti nella rete di stato irlandese.

    Da quel momento in poi Mulcahy (che nemmeno so esattamente come si pronuncia, ma presto lo chiederò al diretto interessato) si mette al lavoro per risolvere le questioni interne e avviare la rivoluzione, rivoluzione che esporta come trainer in giro per il mondo, perfino verso la ricettivissima Al Jaazera che ora conta una cinquantina di cronisti mojo nella sua redazione, tutti allenati da Glen. Nel 2015 l’idea di creare MojoCon, la Mobile Journalism World Conference che, grazie al lavoro di Glen e del suo staff, è diventata il punto di riferimento mondiale del mobile journalism e che si avvia, come ho spiegato in questo pezzo del blog, all’edizione numero tre. Un lavoro durato 5 anni che vide la luce nel 2015 con il primo evento all’Aviva Stadium di Dublino, sotto l’egida della RTE che ne è la padrona di casa. Se vuoi vedere di più clicca qui.

    Nel frattempo giù sotto…

    Uno dei padri del mobile journalism: Ivo Burum
    Ivo Burum (credit www.smartmojo.com)

    Intanto down under si forma Ivo Burum, croato di Ragusa trapiantato a Melbourne. Con la sua Burum Media, Ivo è stato il pioniere di una delle correnti principali del mojo, quella che parte dagli User Generated Content per fare storie, format e documentari. Una carriera folgorante la sua, dedicata, soprattutto alla didattica. Il professiore della Deakin University di Burwood, nello stato di Victoria, ha, infatti, messo su carta il più importante manuale di mobile journalism a livello mondiale o perlomeno il più diffuso, assieme al collega Stephen Quinn, ora professore alla  Kristiania University College in Norvegia. Particolare la specializzazione di Quinn, nella quale ha potuto prendere a piene mani il vantaggio di essere un mojo: è un giornalista specializzato in.. vino, un ambasciatore della cultura enologica nel mondo, con seguitissime rubriche perfino su China Daily. Quinn è un prolifico divulgatore anche del mojo, come si può evincere dalla sua bio che puoi trovare qui. Su questa asse tra i due è nato questo: MOJO, The Mobile Journalism Handbook: How to Make Broadcast Videos with an iPhone or iPad.

    In Asia c’è Yusuf Omar dell’Hindustan Times.

    Mobile journalism: Yusuf Omar
    Yusuf Omar (credit www.yusufomar.com)

    La storia del mobile journalism, quindi è recente ed è fatta di persone che, come disse Glen Mulcahy aprendo Mojocon nel 2015, “hanno voluto abbattere i confini” e creare un nuovo linguaggio giornalistico internazionale. Uno di quelli che ha spaccato tutto è Yusuf Omar, mobile editor dell’Hindustan Times. Pluripiemiato e pazzo scatenato, talmente matto da fare il suo primo reportage mojo andando a piedi da Durban a Damasco, Yusuf sta realizzando l’impresa di organizzare la più grande redazione mojo della terra. Si tratta di quella dell’Hindustan Times, dotata di 750 mojo che vanno in giro per la città a raccontare storie e a trovare notizie con la tecnica del Facebook Live, con i video a 360 gradi, con Snapchat e altre diavolerie del genere.

    Oggi Yusuf Omar è un apprezzato speaker di questa disciplina, chiamato in tutto il mondo a tenere lezioni. Vive a Dehli, ma è nato a Londra e ha studiato in Sudafrica, facendo anche l’inviato di guerra e firmando diverse inchieste al limite o oltre il limite dei confini possibili. E’ uno che col solo smartphone addosso ha coperto live le proteste verso Zuma, i funerali di Mandela, la guerra in Siria, l’emergenza Ebola. Ha un’azienda che puoi trovare a questo sito. Non ci crederai, ma è un millennial, nato nel febbraio del 1989. Qui in Italia, i millennial come lui fanno la muffa non pagati in qualche redazione. Questa, tuttavia, è un’altra storia.

    Ora ci sono paesi come il Marocco, la Tunisia, il Bostwana e tante altre economie in crescita che stanno investendo sul mojo. E in Italia? Buona parte della storia è ancora da scrivere.

  • Mobile journalism: il kit pronto per l’uso (con filosofia)

    Mobile journalism: il kit pronto per l’uso (con filosofia)

    Il Mobile journalism ci deve stare addosso.

    Vedo crescere anche attorno a me l’interesse per il mobile journalism, allora comincio con questo post a entrare nello specifico. Vuoi sapere qual è il kit perfetto per il mobile journalist? Ecco alcune informazioni necessarie a orientarsi nel  mobile partendo dai “ferri del mestiere”.

    Mobile journalism: ecco il pezzo determinante, l'iphone
    Mobile journalism: ecco il pezzo determinante, l'iphone Mobile journalism: ecco il pezzo determinante, l’iphone

    Faccio una premessa: ognuno ha il suo kit, ognuno ha la sua maniera di essere mojo. Per “salvarmi” dalla partigianeria, per lasciare aperta ogni strada, passo l’incombenza di darti le dritte necessarie all’allestimento del miglior kit possibile per il mobile journalism al mio “filosofo” di riferimento. Sto parlando del giornalista australiano Ivo Burum, di cui ho già parlato in questo articolo qui e che rappresenta per me il massimo della sintesi accademica del mojo.

    E’ un trainer e un produttore multimediale di Brisbane che ha realizzato documentari con la sola forza delle device mobili, ma è anche colui che ha messo su carta nella maniera migliore l’intera filosofia di questo orientamento professionale che, a livello internazionale, sta godendo di crescente successo.

    Alcune cose su Ivo le puoi trovare qui, mentre il suo Kit 101 lo puoi vedere svelato nel video qui sotto.

    Il punto di partenza? Ognuno ha il suo

    Questo è un punto di partenza ed è piuttosto datato, ma quello che ti consiglio è crearti un modo di stare informato e capire, sviluppando anche un budget di investimento di partenza, quale sia il tuo vero obiettivo da mojo. Se vendi news, magari hai bisogno di ottimi microfoni e te ne freghi del treppiede, hai bisogno di un gimbal (qui nel video non c’è) ma potresti fare a meno delle lenti aggiuntive. Ogni mojo ha il suo kit vuol dire questo: non esiste un manuale delle Giovani Marmotte su come si debba allestire la perfetta borsa degli strumenti. Tutto dipende da chi sei, che lavoro fai, cosa vendi per campare da mojo freelance.

    Burum, infatti,  nei suoi scritti, parla di filosofia raccontando i segreti del mobile journalism. Certo, se lo può permettere, essendo un innovatore di livello mondiale, ma indica una strada che è chiarissima per arrivare al risultato cui vuoi arrivare tu: camparci. Già, perché in molti sparano stronzate sul mojo, ma in pochi ti dicono come camparci. Qualche volta mi stupisco di come colleghi mi vengano vicino a chiedermi cosa uso per interviste doppie, quale microfono mezzo fucile  ho comprato o come faccio editing dei miei pezzi. Beh: è tutto sul web. Segui questo blog e ti dirò tutto, senza freni e senza remore.

    La differenza sta nel pensiero

    La differenza è nel pensiero e Burum, in questo video, ti dà alcuni consigli che fanno capire quasi tutto. Se sei un mojo non c’entra il cellulare che hai in mano, c’entra come pensi il pezzo che devi fare per restare, proprio grazie al cellulare, quattro passi avanti agli altri che stanno accendendo le telecamere quando tu hai finito. Ecco le domande che fa Burum e, quindi, quelle che ti devi fare tu.

    Non ti basta? Ti aggiungo un altro elemento video di valutazione, mettendoti a disposizione una chiacchierata sull’argomento di Glen Mulcahy, specialista di livello mondiale della materia e fondatore di Mojocon. L’ex RTE parla di attitudine e ha ragione da vendere. Credevi di venire su questo post a fare la lista delle cose da comprare per diventare un mojo? Beh, sbagliato. Sei tu che devi dirti, prima di tutto, voglio essere un mojo e poi farlo con qualsiasi cosa. In Italia siamo a uno stato di disperazione tale, sull’argomento, che non ho più nemmeno le lacrime per piangere. Su argomenti come le tools, i modi di lavorare, le dirette facebook, eccetera, ci sono discreti interpreti e alcune buone voci, ma non ne ho ancora trovata una che ti dica “come camparci” in un panorama che vede i mojo come fumo negli occhi.

    Glen Mulcahy, the king of mojo.

    Progetti didattici e nuove frontiere.

    Ho ricevuto nei giorni scorsi i primi contatti da colleghi interessati all’argomento e le prime provocazioni sulla possibilità di fare corsi in Italia sul mojo. Ho subito risposto in modo affermativo, ma ti anticipo che ho anche iniziato a percorrere una via accademica per lo sviluppo di questa cultura. Il mojo dovrebbe andare dritto nelle scuole di giornalismo, per esempio per questa ragione che si può leggere in questo articolo di glen. Il 2021 è dietro l’angolo, volevo dirtelo dopo che hai letto questo pezzo. Ebbene, le risposte delle istituzioni giornalistiche sono state tutt’altro che lusinghiere (mi riferisco all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia che non ha ancora risposto alle mie sollecitazioni datate settembre). Diverso l’atteggiamento avuto da un istituto universitario molto all’avanguardia. Per adesso non ti rivelo di cosa si tratta.

    Nel frattempo ho deciso di muovermi da solo e sviluppare  un progetto didattico che porterò all’attenzione degli attori che lo possano far fruttare. Voglio, però, coinvolgerti. Vorresti un corso avanzato, specifico, multimediale, sul mobile journalism, sui suoi tools sì, ma anche e soprattutto sui suoi linguaggi produttivi, sul brand personale, sulla creazione di un pubblico e sui suoi modi di essere venduto per creare ricchezza? Se la risposta è si, fatti sentire: contattami, scrivimi, chiedimi l’amicizia. Il mio primo passo è creare un gruppo sull’Italian way of mojo. Vediamo dove arriva questo viaggio.

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