Tag: editing

  • Musk e il suo algoritmo ti insegnano qualcosa

    Musk e il suo algoritmo ti insegnano qualcosa

    Mai sentito parlare dell’algoritmo di Musk? Dovresti conoscerlo, dammi retta.

    Ho letto con voracità la biografia di Elon Musk di Walter Iaacson: un libro che ti consiglio. L’ho letto perché volevo capirci di più su un personaggio che sta condizionando, nel male e nel bene, la nostra epoca e la tecnologia che ci circonda. L’autore racconta davvero con maestria un’icona del nostro tempo e un uomo dalle mille sfaccettature. Racconta anche il modo di pensare e di agire dell’uomo e dell’imprenditore Musk, un modo che ti fa imparare alcune cose.

    Non voglio discutere gli aspetti che riguardano la persona, non è questo il posto e il caso. Voglio, invece, soffermarmi sul suo modo di pensare l’impresa e i processi industriali.

    Una forza distruttiva che… serve

    Isaacson riassume la filosofia di lavoro di Musk in un pezzo del libro che affronta la costruzione delle sue giga fabbriche, come le chiama lui. Parlo di impianti industriali come quello della Tesla a Freemont, negli Stati Uniti. C’è un passaggio che riassume una specie di algoritmo che lui mette in campo quando deve costruire i processi industriali. Prendo un pezzettino del libro e te lo metto qui in un elenco per punti.

    • ⁠ ⁠Mettete in dubbio ogni requisito. Ognuno di essi dovrebbe avere il nome della persona che l’ha richiesto. Non dovreste mai accettare un requisito proveniente da un reparto come «il reparto legale» o «il reparto sicurezza». Dovete conoscere il nome della persona in carne e ossa che ha richiesto quel requisito. Poi dovreste metterlo in dubbio, non importa quanto quella persona sia in gamba. I requisiti provenienti dalle persone in gamba sono i più pericolosi, perché la gente è meno incline a metterli in dubbio. Fatelo sempre, anche se il requisito è venuto da me. Poi rendete i requisiti meno stupidi. 
    • Eliminate tutte le parti o i processi che potete. Potreste doverli aggiungere di nuovo più avanti. Anzi, se finite per non riaggiungerne almeno il 10 per cento, non ne avevate eliminati abbastanza.
    • Semplificate e ottimizzate. Questo deve venire dopo il punto numero 2. Un errore comune è semplificare e ottimizzare una parte o un processo che non dovrebbe nemmeno esistere. 
    • Accelerate il tempo di ciclo. Ogni processo può essere velocizzato. Ma fatelo solo dopo aver seguito i primi tre passi. Nella fabbrica di Tesla, ho erroneamente passato un sacco di tempo ad accelerare processi che in seguito ho capito si sarebbero dovuti eliminare. 
    • Automatizzate. Questo è l’ultimo passo. Il grosso errore in Nevada e a Fremont è stato che ho cominciato automatizzando ogni passaggio. Avremmo dovuto aspettare fino a dopo aver messo in dubbio tutti i requisiti, eliminato parti e processi, e rimosso tutti gli errori.

    La versione utile per te

    Questo algoritmo non centra, sembra, con la vita di un libero professionista o con un lavoratore che voglia riqualificarsi e… invece è proprio un piano operativo che può aiutarti.

    Quando l’ho letto la prima volta ho pensato: “Ok, ma a me interessa?”. Ero dubbioso. Eppure giorno dopo giorno queste frasi mi sono ritornate in testa e ho cominciato a pensare: “Vero! L’ho fatto anche io!”. Ora te lo rispiego per punti.

    • Mettete in dubbio ogni requisito. Vuol dire questo. Quando vuoi far crescere la tua carriera metti in dubbio tutto quello che hai fatto nel tuo lavoro e come lo hai fatto fino a ora. Comincerai a capire, ti insegna Musk, cosa tenere e cosa cambiare, dove investire e dove lasciar perdere.
    • Eliminate tutte le parti o i processi che potete. Quello che sai fare lo puoi fare in un tempo minore e meglio se elimini tutte le dispersioni di energia e di tempo. Ti assicuro: ne hai molte, potresti guadagnare un sacco di spazio e di tempo per ripartire.
    • Semplificate e ottimizzate. Cerca di essere semplice quando lavori e “spacchetta le cose”. Ti faccio un esempio. Quando creo un video cerco di lavorare ricordandomi questo: con un video ho anche un audio, delle foto e un testo a disposizione. Come usarli tutti quanti?
    • Accelerate il tempo di ciclo. Musk parla di processi industriali, ma anche nel tuo lavoro ci sono. Pensa alle fasi di sviluppo del tuo lavoro e togli tutto quello che non è importante per avere un buon risultato. Aiutati con la tecnologia per fare in 10 minuti quello che fino a ieri facevi in 30.
    • Automatizzate. Se c’è un’operazione meccanica che può fare la tecnologia al posto tuo (naturalmente verificandone il risultato)… falla fare a lei e tu pensa ad altro.

    L’algoritmo di Musk ti insegna a essere…

    Ti insegna a essere essenziale: ecco quello che ti dice Musk. Rompi tutti gli schemi che hai adottato finora e liberati del superfluo. Vedrai cosa succede. La mia vita è cambiata quando mi sono tolto dalle spalle oggetti, pesi, modelli, categorie, tipi, modi, trasformando tutto in una vita essenziale. So sempre meglio quello che è importante e quello che non lo è. Dai, dacci dentro, usa anche tu l’algoritmo di Musk.

    Leggi anche Vita da freelance, l’arte del rilancio

  • Il contenuto non è democratico

    Il contenuto non è democratico

    Se il contenuto è re (e lo ha già detto qualcuno), il re non è democratico.

    Sono in Friuli e fa un freddo cane. Son qui per affari di famiglia. Sono momenti nei quali penso a quello che devo fare, ma anche a quello che voglio scrivere. Mentre faccio commissioni o sposto scatoloni, mi iniziano a girare nella testa parole che si mettono a posto e danzano una danza sempre più regolare. Attorno a una cosa che ho saputo, attorno a una che ho visto o vissuto. Su una cosa che ho pensato. Si chiama produzione del contenuto. A me viene in modo istintivo e il mio piano di social e contenuti mensili finisce spesso a essere sbeffeggiato dalla mia realtà incipiente.

    Il contenuto chiede rispetto

    La riflessione che faccio oggi è una riflessione che parte da un’esperienza più volte vissuta. Io vivo di contenuto, vivo di parole e immagini, vivo di creatività “direzionata” se è vero che devo trasformare in contenuti i progetti, i pensieri e le parole dei miei clienti. Però per i contenuti ci vuole rispetto.

    Allora ho pensato a questo giro di parole attorno al contenuto. Il contenuto chiede rispetto perché il contenuto sei tu. Se produci i contenuti per raccontarti o raccontare i tuoi percorsi, quello che mostri al pubblico deve essere progettato in modo serio, deve dare valore agli altri, essere utile, di ispirazione o di riflessione, ma va preso per quello che è. Nessuno può permettersi di discuterne la forma, è pretestuoso attaccarsi a una virgola per discutere il senso di quello che dici, fai vedere o fai sentire.

    Ci possono stare i rilievi sulle imprecisioni, sui refusi, sugli errori strumentali. Non ci può stare la discussione sul senso che attacchi il contenuto per tirarlo giù. Se quello è il tuo quadro, chi lo osserva non può obiettare che hai messo le tue pennellate nel posto sbagliato. Può invece, dire, non mi piace. Può non essere d’accordo. Può recepire un messaggio diverso da quello che avevi intenzione di dare tu.

    Se il contenuto è per un tuo cliente

    Anche in questo caso, per il contenuto che crei tu e che deve interpretare i desiderata di una persona o un’azienda che te lo ha chiesto, il contenuto non si può prestare allo sbrandellamento dei non mi piace e dei “mai io me lo immaginavo…”.

    Il contenuto che crei per terzi, parte dai terzi. Se quello che ritorna tra le loro mani è divergente rispetto a ciò che pensavano non è tuo il fallo. E’ loro. Perché finita la parte di concetto per allestire un contenuto, beh, lì entri in campo tu. Tu con la tua poca o tanta cultura, tu col tuo vissuto, tu coi tuoi pensieri. Chi ti ha chiesto un contenuto si suppone (se non lo ha fatto, male) che abbia letto e visto prima i tuoi contenuti. E sia venuto da te perché te vuole.

    Allora deve fare a fidarsi. Sapere che il contenuto che produrrai è il meglio della tua creatività, ma che non può sedersi al volante della tua macchina creativa, perché lì ci sei e resti seduto tu. Può rilevare errori, imprecisioni, cose non convenienti al suo progetto, ma non può dire “non mi piace”. Il contenuto non è democratico perché il contenuto sei tu e quel tuo modo di trasformare il vissuto, l’ascolto, lo studio, l’osservazione, l’emozione, il sentimento, in contenuto è solo tuo.

  • Mobile journalism alla Lumsa: inizia uno splendido viaggio

    Mobile journalism alla Lumsa: inizia uno splendido viaggio

    Le mie università.

    Quando ho iniziato questo progetto, dopo 26 anni di esperienza da giornalista, ho subito pensato che il mobile journalism doveva avere una dignità di cultura. Per averla doveva essere accolto nelle aule delle università. È stato così: importantissimi atenei come la Iulm di Milano o l’Università di Pavia, mi hanno accolto tra i docenti delle loro scuole di perfezionamento, management e comunicazione. Ho avuto l’onore di servire straordinari e appassionati studenti e ho provato la grande emozione di vederli agire in brevissimo tempo con gli strumenti del mojo, con risultati sorprendenti.  Sono stato, lo scorso anno, anche ospite della scuola di giornalismo della Lumsa, invitato a tenere una lezione mojo dal collega Andrea  Iannuzzi

    Il progetto è andato oltre.

    Ho incontrato tanta gente, ho fatto molti corsi ed eventi pubblici, ho partecipato alle più importanti manifestazioni internazionali sulla materia e sono stato attore co-protagonista di Mojo Italia, il primo evento italiano dedicato al mobile journalism. Nel frattempo ho continuato il lavoro per far approdare il mojo anche dentro una casa specificamente giornalistica. La prima Scuola di Giornalismo riconosciuta dall’Ordine che ha deciso di aprire le porte alla materia è stata proprio la Lumsa, per il suo master biennale. Il progetto, quindi, è andato oltre e domani approderà nell’aula del master romano. Grazie a Carlo Chianura, responsabile del master, a Gianluca Cicinelli e ad Andrea Iannuzzi, la Lumsa ha varato un corso di 12 ore per i suoi studenti del biennio 2018-2020, facendo entrare ufficialmente il mojo nel piano di studi e nell’offerta formativa che i giovani giornalisti avranno a disposizione. 

    L’opportunità di condividere l’esperienza con l’amico Piro

    Ls cosa più bella di questo corso storico, il primo in una scuola di giornalismo italiana, è che condividerò l’esperienza di insegnamento con il collega Nico Piro che sta portando avanti con me la costruzione della cultura mojo in Italia. Un amico, un collega, un interprete del mojo molto diverso da me. Questa coppia di docenti darà agli studenti una visione molto ampia della disciplina, arricchendo notevolmente la loro “valigia”. Insomma, sono felice di poter dire che il mojo è approdato alle scuole di giornalismo italiane,  ma posso confermare che le notizie di tal genere non sono finite. #Staytuned

  • Via a Premiere Rush e Adobe diventa mobile

    Via a Premiere Rush e Adobe diventa mobile

    Fino a ieri era Project Rush oggi è Premiere Rush: rivoluzione mojo in vista

    Su questo blog e in diretta, per i miei Patron, ho parlato più di una volta di quella app realizzata da Adobe che fino a ieri si chiamava Project Rush, ma oggi ha cambiato nome. In diretta dagli Stati Uniti, infatti, la Adobe, nel suo annuale keynote “Adobe Max” ha presentato ufficialmente (e messo in commercio) la sua app per il montaggio “mobile” multipiattaforma ribattezzandola ufficialmente Premiere Rush CC. Durante l’evento è stata tenuta tra le ultime novità ed è stata presentata con grande passione sul palco losangelino della conferenza che ha come eloquente claim “The Nex Generation of Creativity”. Impattante la scena, e impattante anche il cambiamento che la più grande firma mondiale del software per creativi ha impresso alla sua immagine con questo evento. 

    Una piattaforma per la creatività.

    Premiere Rush CC è stata svelata con tutti i particolari e presentata come la app che serve ai nuovi storyteller, quelli che vivono online tra il canale Youtube e il loro blog, quelli che montano ovunque e che passano l’esistenza “catturando” la vita che gli sta intorno. Insomma Project Rush, divenuta Premiere Rush, ha parlato proprio ai mojoer, aprendo tutta una serie di possibilità di enorme interesse per quello che riguarda l’editing dei contenuti video con il plus affascinante del poter cambiare strumento di lavoro in tempo reale, passando dall’iPhone all’iPad oppure facendo gestire da remoto nel cloud ulteriori avanzamenti del lavoro per poi rifinirlo ancora sulle device mobili. Questo può cambiare la filosofia e aumentare la capacità di interazione tra un luogo fisico come una redazione e i mobile journalist in giro per servizi. Ora che lo vedo nei miei device, posso dire che, nonostante io sia un “totalmojo” e abbia eliminato dal processo di produzione il pc, vedere Premiere Rush CC recapitare nel mio vecchio computer hp delle cose fatte con l’iPad alcuni secondi prima è un cambiamento che quasi mi sciocca.  Quasi come la strepitosa Youtuber Lill Singh che oggi ha fatto da madrina al prodotto. 

    Adobe si consegna alla mobilità e alla nuvola, tutta!

    Dopo questa serata non credo di esagerare se dico che il mobile journalism cambierà, così come tutta la mobile content creation. Intendiamoci, Premiere Rush non ha nemmeno lontanamente le qualità enormi e le caratteristiche che ha Luma Fusion, di Luma Touch. Però non posso dire che l’operazione di fare Premiere Rush non sia di quelle che cambiano la storia. Adobe ha fatto questa app perché la considera la punta di un progetto nel quale crede moltissimo. Quale? Quello che ha, di fatto consegnato tutto il futuro della più grande firma al mondo di software “creativo” alle parole “mobile” e “cloud”. Premiere Rush, infatti, ha rivelato tutte le sue potenzialità in quanto a flessibilità e velocità di esecuzione del montaggio video, ma i dirigenti e i creatori di Adobe che si sono alternati sul palco di Los Angeles hanno riempito la hall con concetti vicinissimi a una completa mobilization degli applicativi e dei software di Adobe. Insomma la company si è consegnata tutta al mobile… ed è solo all’inizio della transizione. 

    Premiere Rush e i suoi fratelli più grandi…

    Premiere Rush, infatti, è la testa di ponte del mondo Adobe per passare dal desktop alle device mobili, ma anche alcuni fra gli altri programmi di punta hanno fatto il salto definitivo. Photoshop 2019, per esempio, è stato presentato come il primo Photoshop completo per iPad e non più come una versione light per il tablet di casa Apple. Stessa cosa dicasi per Lightroom che ha mostrato tutta la sua potenza quando è stato fatto passare un file RAW da 41 mega tra un iPad in cui era stato fatto “virare” al bianco e nero, all’iPhone di chi stava facendo la dimostrazione, ma anche a un Samsung S9. La Adobe ha presentato anche Project Gemini per gli illustratori che è un’altra applicazione nativa per iPad e ha scatenato tutta la fantasia del suo Cloud dichiarando che diventerà una creativity platform senza confini, con Premiere Rush e i suoi fratelli più grandi. 

    Il futuro sembra non avere frontiere

    Sono stato abituato, per necessità, a presentarti il mondo del mobile journalism come diviso tra iOS e Android, avvicinabile dal PC o dai Mac. Due metà dell’universo, con un largo confine in mezzo. Questa sera, però, mi accordo che tutto sta cambiando se Adobe, per i creativi di tutto il mondo, mette a disposizione delle App disegnate per le device mobili e la potenza di una nuvola che fa in modo che tutte gli apparecchi siano sincronizzati per finalizzare il lavoro e facilitare un flusso a più mani sullo stesso contenuto. Il futuro è tracciato e a questa strada va aggiunta solo l’implementazione dei comandi vocali che già questa sera si è vista. Insomma Adobe ha cambiato il modo di pensare il mobile journalism con una app come Premiere Rush, ma anche con “miglioramenti” decisivi sui suoi prodotti classici visti in mobile come Photoshop e Lightroom. Poi è andta nel futuro con XD, app per il designing da mobile per siti e creazioni di app. Ora la risposta a Luma Touch per riportarsi avanti quattro passi come è sempre stata. 

    Il prezzo? Sono 10,49 euro al mese.

    Per 10,49 euro mensili Premiere Rush è una app che penso sia il caso di avere per quella grande potenza della condivisione del lavoro via cloud che sbaraglia il campo delle applicazioni di montaggio mobile. Ti dirò che ho acquistato subito l’abbonamento, ma resto certo che Luma Fusion è assolutamente inarrivabile e presto pareggerà il conto anche per quanto riguarda il lavoro in cloud.

  • Montaggio su Android: l’esperienza degli spagnoli di Videona

    Montaggio su Android: l’esperienza degli spagnoli di Videona

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    A Madrid ho incontrato i ragazzi di Videona: ecco dalle loro parole cosa vuol dire sfidare il mercato del montaggio su Android.

    Ecco gli outsider di ViMojo.

    Sono in vacanza a Madrid. Ok, lo so, non dovrei rompere le scatole con dei nuovi post, ma ti devo confessare che scrivere mi fa stare bene anche quando non lavoro. Lo faccio perché amo farlo, così come amo perdermi nelle città straniere che visito, specialmente se è per la prima volta, magari facendo diventare reali amicizie virtuali della community mojo. Questo giro, nella capitale spagnola, sono stato a trovare dei ragazzi di Videona, la start up iberica che con l’applicazione ViMojo si sta ritagliando un ruolo di rispetto nel mondo dei programmi di montaggio su Android.

    Una sfida affascinante.

    In un mercato dominato dall’applicazione Kinemaster, l’esperienza di ViMojo è una sfida affascinante. Ho provato già qualche tempo fa la app e la prova la puoi vedere qui sotto. Si tratta di un buon starting point per chi voglia fare montaggio su Android. Ha un buon ambiente per filmare, un ambiente basico per montare in lineare e poche soluzioni di grafica per favorire l’aspetto del montaggio veloce e lineare con obiettivo di andare a pubblicazione in modo veloce.

    Nella mia visita ho incontrato i due fondatori.

    Si tratta di Pablo Fernandez Maquieira e di Iago Fdez Cedron, due professionisti del digitale e due visionari. Ho fatto con loro una lunga chiacchierata e ho trovato che ha un grande senso il percorso “basic” della loro applicazione. Il motivo? Ha una missione molto interessante, rivelata da Pablo nella chiacchierata che vedi qui sotto. “L’obiettivo che vogliamo raggiungere con ViMojo è semplice – ha rivelato il giovane professionista della start up che è ospitata a Campus Madrid – ed è quello di far imparare a tutti la scrittura del linguaggio video”. Boom, questa frase mi è risuonata nella testa per ore e rappresenta bene VimoJo e le sue potenzialità, potenzialità che cercherò di aiutare a rivelare al mondo visto che sono stato “nominato” dai ragazzi Advisor della applicazione. Potenzialità che i ragazzi stanno tentando di esprimere anche nell’ambiente iOS, nonostante la concentrazione dei loro sviluppatori sia tutta focalizzata sul lato Android.

    Mi hanno regalato 10 codici di licenza gratuita.

    A questo proposito i primi 10 che si metteranno in contatto con me riceveranno, se sono del mondo Android in particolare modo, 10 codici di licenza di questa app. Si, hai letto bene, di licenza gratuita. Fatti sotto.

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  • Il montaggio lineare: linguaggio di vita e di mojo

    Il montaggio lineare: linguaggio di vita e di mojo

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    Montaggio Lineare, questo sconosciuto.

    Dai, te lo confesso, di montaggio lineare ne so poco. Però ci sto mettendo mano e mi rendo conto che è un metodo che produce un linguaggio visuale, produce dei video, che sono come lo sguardo che i nostri occhi danno alla vita reale. Per questo motivo è molto mojo ed è molto importante avere padronanza di tutti i fondamentali del montaggio lineare e dei punti di vista che questo costringe a coltivare. Il montaggio lineare è la realtà raccontata con la stessa successione cronologica e non può sfuggire da questo senso di marcia temporale e dall’uso dei tagli e dell’audio direttamente conseguente a chiudere lo sviluppo nello spazio e nel tempo di un’azione.

    E’ il più importante linguaggio di editing per il mobile journalism.

    Certo, non è il linguaggio visuale che abbiamo imparato a conoscere nelle redazioni o in tv dove l’accompagnamento con le coperture di voci a supporto della storia ha fatto allontanare i video dal logico susseguirsi di fatti e di eventi. In questo senso si vede ben poco nei siti di informazione italiani o nelle tv che non sia NON lineare. Anzi, il montaggio lineare viene considerato come qualcosa di inferiore rispetto al montaggio asincrono, quasi di basico. Eh, c’è un problemino, però: il montaggio lineare è il montaggio con il quale ci scorre davanti la vita. Quindi?

    Roba da totalmojo.

    E’ con il montaggio lineare che crei storie che abbiano un ritmo parallelo alla vita che ci piomba nello smartphone. I video così sono i pezzi del nostro racconto, delle notizie, del nostro modo di essere storyteller che, poi, devono essere piazzati sul mercato. Il montaggio lineare e quel vedere e vivere anche la fase di produzione delle immagini come un flusso, magari alternato tra campi stretti e larghi, nel quale io, per raccontare una storia devo solo seguirla e fare due cose. Sapere quando schiacciare “Rec”, sapere quando schiacciare “Stop”. Il montaggio lineare, di conseguenza è l’apriscatole per aprire il vaso di pandora del proprio stile di montaggio. Se non ti confronti con quello non sei ancora dentro il mondo del mobile journalism fino al collo.

    Il montaggio lineare ti regala due possibilità.

    Il montaggio lineare ti regala sue possibilità. La prima è quella di prepararti e, come ho già scritto in questo post qui, la cosa è molto importante se sei un mojoer. La facilità della traccia, specialmente se a sviluppo cronologico, ti permette di sapere bene, quando sei sul campol, cosa devi riprendere e come. La seconda è che il montaggio lineare ti dona la possibilità di inciampare….

    Già sto parlando proprio di quello: imbattersi, scontrarti. Solo se stai seguendo un montaggio lineare e sei su una strada di Bristol, in Inghilterra, nella quale stai raccontando la storia di un quartiere che chiude una vita per far giocare i bambini una volta alla settimana, puoi accorgerti con facilità di questo, di quello di cui si è accorto il genio del mobile journalist Dougal Shaw. Preciso che lui non ha fatto un montaggio lineare, ma nel servizio precedente a quello che vedi, che ha provocato questo, la linearità della sua storia ha fatto in modo che potesse prendersi anche il tempo per ascoltare, col cuore e con le immagini, quest’altra.

    Sono praticamente certo (e mi baso su una trentina d’anni di lavoro scarsi) che un montaggio non lineare avrebbe tenuto occupata la testa di Dousgal in modo sufficiente a fargli ciccare questa storia. O forse avrebbe, di fatto complicato la sua possibilità.

    Lineare come la vita, impreciso come i nostri giorni.

    Ho cominciato (dovresti farlo anche tu) a pensare che il montaggio classico imparato e anche insegnato ai mojoer in questo primo anno vada completamente ripensato. Io devo ricominciare da zero a pensare al montaggio. Il nostro linguaggio video è quello del film, ma quello che vediamo non è un film, è la realtà. Quindi ragazzo, te lo dico: mi sono sbagliato…

    Nel cinema degli anni ’50 si faceva così.

    Dai, no, scherzi a parte, il montaggio asincrono e gli strumenti per farlo in mobile che ho insegnato in questo anno passato sono gli strumenti principali con cui lavorano i colleghi giornalisti e con cui rispondono alle esigenze dei loro clienti. Mi sono, però messo in discussione quando ho visto come sta cambiando il nostro modo di fruire certi contenuti, anche di base.

    Li vediamo dal cellulare e non abbiamo bisogno di essere presi per il culo da una replica in piccolo del linguaggio video da tg. Abbiamo bisogno di verità. Abbiamo bisogno di quella linearità che vediamo con gli occhi tutti i giorni e quella imprecisione che nei nostri giorni è la normalità. Con l’overload di comunicazione che riceviamo, infatti, la vita di sottopone a continui riadattamenti e a modificazioni dei programmi. Inciampi, imprevisti e sorprese che solo la cronologicità del racconto video con montaggio lineare può regalare. D’altronde, se ci pensi, anche con il cinema era così, quando si lavorava in pellicola. Monta così. d’ora in poi: lineare e impreciso. Nei prossimi post ti dirò qualcosa anche sugli strumenti.

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