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  • Mobile Journalism: la parola chiave è il mindset

    Mobile Journalism: la parola chiave è il mindset

    Mobile Journalism: la chiave è il settaggio della mente.

    Per comprendere fino in fondo le potenzialità del mobile journalism c’è una parola chiave da mandare a memoria: si tratta del mindset. Abbiamo visto che le fasi della produzione di un contenuto mojo hanno regole precise e precise dinamiche. C’è un filo rosso che le accomuna tutte ed è il settaggio mentale nel quale il giornalista si deve mettere per avere il massimo da quello che fa. Quando si costruisce la borsa degli attrezzi hai visto che gli acquisti vanno mirati a seconda delle proprie esigenze. Quando sei sul campo, invece, ci sono precise tecniche per le inquadrature, precise indicazioni per il montaggio, precise direttive per lo storage e il delivery. Il linguaggio e la grammatica visiva sono diversi, così come sono diverse perfino le tecniche per trovare una storia, per tirar fuori dall’enorme flusso di notizie che ci massacra ogni giorno un diamante da vendere.

    Il pensiero laterale, sempre.

    Anche nei modi in cui si scovano le storie bisogna cambiare mindset. Osservare i lati del fiume di news è utile, così come lo è l’esercizio che ho fatto oggi pomeriggio andando a Tempo di Libri, la fiera dell’Editoria italiana in scena a Rho fino a domenica. In fiere ed eventi grandi come quelli la marea di storie laterali si trova negli stand più piccoli o nelle sale più sperdute, là dove è possibile fare gli incontri più interessanti che poi nascondono la possibilità di arrivare a immagini molto interessanti.  Investire su quegli eventi è sempre un’ottima idea per la quantità di spunti che questi possono dare in una volta sola. Si incontra, si chiede un appuntamento per fare un’intervista, raccontare la storia. Poi si scheda il contatto, ci si scrive un paio di note sulla possibile “sceneggiatura” da sviluppare e si va al successivo “incrocio”, alla successiva suggestione.

    La mente deve stare aperta.

    Il mojo deve rimanere attento e aperto e deve studiare, tutti i giorni. Le tecniche, l’hardware, i prodotti, le tendenze, la grammatica visuale. Tutto quello che attiene alla cultura mojo deve essere oggetto di una continua evoluzione, e di un’apertura mentale costante per vedere cosa sta succedendo attorno a te.

  • La fattura: problema e soluzione (provocatoria)

    La fattura: problema e soluzione (provocatoria)

    La fattura è il primo incubo del mojo italiano.

    Forse è l’incubo numero uno del giornalista indipendente. Non c’è che dire, se sei un mojo freelance il tuo problema, in Italia, non è fare grandi cose, big news o tutto quello che accidenti ti viene in mente di fare. Il tuo problema è farti pagare: emettere la fattura contestualmente al pagamento. E’ così nel mondo dei professionisti, degli outsourcer, anche delle piccole imprese che fanno outsourcing.

    Fattura: questa sconosciuta quando si tratta di pagare.
    Fattura: questa sconosciuta quando si tratta di pagare. (Pixabay)

    Visto che in questo blog io parlo a te mojo freelance, ti racconto una cosa che riguarda il tuo mondo e ti provoco con una soluzione (che, se non ho sbagliato nelle mie ricerche prima di questo pezzo, non si può adottare). La cosa che ti riguarda è la fattura, insomma, quella cosa, quel pezzo di carta con la marca da bollo da 2 euro, il quale va da te al tuo cliente al tuo cliente e per il quale (se si chiama fattura) il tuo cliente DEVE PAGARE SUBITO. Tuttavia non è così. Tuttavia la realtà italiana è che la fattura diventa chimera anche quando è uscita dal tuo pc ed è volata tra le mani di chi ti ha chiesto di fare un lavoro. Sì, vero, potremmo aprire una serie di lamentazioni sul costume italiano di pagare (anche gli imprenditori subiscono questo) a babbo morto. Potremmo anche giustamente discettare sul fatto che il freelance, a lavoro eseguito e accettato, o pubblicato, deve essere pagato perché non è uno strano animale che si ciba di aria. Però ho deciso che voglio parlare d’altro, rispetto a questo incubo del mojo italiano.

    Il dovere di parlare prima di fattura

    Certo, mi piacerebbe poter parlare soltanto di tecnica del mojo o delle ultime novità che riguardano il mondo del giornalismo, però mi sono sentito in obbligo di procedere prima con questo post per non fare finta (come del resto fanno in molti sul web) di essere nel mondo dei sogni. Il ruolo di Alice nel paese delle meraviglie lo lascio ad altri e, prima di continuare il discorso sulla tecnica e sugli strumenti del mojo, ho deciso di affrontare il problema dei pagamenti e di proporre una soluzione a tutti gli attori che dovrebbero risolvere questo malcostume.

    Per risolverlo alla fonte bisognerebbe semplicemente essere civili e pagare quanto spetta al freelance, bisognerebbe solo rispettare la legge. Tuttavia ho lavorato anche a soluzioni differenti di cui voglio parlare cercando di provocare un dibattito, sperando che qualcuno raccolga il pensiero.

    La soluzione? E’ Satispay (o simili)

    Non credo si possa ancora fare, ma penso che manchi mezzo centimetro al poterlo fare. Quindi parliamone. Il professionista del giornalismo, il libero professionista, ma anche l’outsourcer, spesso eseguono lavori di piccolo cabotaggio o di piccolo prezzo per molti clienti diversi. Specialmente se si parla di freelance nell’accezione più vera del termine, voglio dire se il suo autentico datore di lavoro è la notizia, la notizia buona, da vendere a chiunque. Spesso, quindi, l’attore piccolo del mercato si trova a emettere fatture di basso cabotaggio e a guardarle mentre si disperdono negli uffici amministrativi dell’azienda editoriale cui ha venduto il suo contenuto. Il destino potrebbe essere diverso grazie ad app come Satispay sulla quale puoi sapere tutto guardando qui.

    Dal sito dell’applicazione, creata e sviluppata in Italia, traggo solo questa frase per spiegare meglio il ragionamento: “Satispay è un sistema di pagamento indipendente dai circuiti tradizionali, che ti permette di scambiare denaro con gli amici e di pagare nei negozi convenzionati, fisici e online, tramite un’applicazione disponibile per iPhone, Android e Windows Phone”. Il Corriere parlava così del mondo del trasferimento di denaro via smartphone già nel 2015: leggi qui. Tutti i segreti di questa applicazione tutta nostrana li puoi leggere qui. Oppure puoi esaminare uno dei concorrenti della start up fintech italiana guardando Jiffy. Insomma una app collegata al tuo conto in banca può mandare o ricevere denaro all’istante. Ecco la soluzione.

    Sto parlando troppo presto

    Sono in anticipo rispetto ai tempi, almeno a quanto credo di aver capito. Il motivo per cui te lo dico è legato alla scelta di queste app di rivolgersi al mercato dei privati o dei commercianti e non a un mercato simile a quello che potrebbe essere il tuo, vale a dire quello dei professionisti che operano per le aziende. La piattaforma, il concetto, c’è ed è rodato, visto che si tratta di un’evoluzione del mitico Paypal. Dico di più, lo stesso Paypal potrebbe essere parte di un discorso che vuole arrivare a questo tipo di scenario: il professionista (o la piccola azienda di outsourcing) emette fattura, poi si reca nell’ufficio amministrativo dell’azienda cliente che ha un account Satispay (o simili) in un cellulare aziendale, collegato a un IBAN aziendale. Con questo tipo di “incontro” lo scambio fattura vs pagamento può essere fatto all’istante. Dico di più: il professionista (o la microagenzia), per un trattamento tipo questo, potrebbero fare il 15% di sconto senza rimetterci. All’azienda la transazione costerebbe molto meno di un qualsiasi bonifico (prezzo indicativo 2o cent contro 1,5 euro).

    Bisognerebbe parlarne tutti insieme

    Ora volo alto e rischio di essere preso per pirla, anche da te. Questo metodo di pagamento istantaneo della fattura potrebbe cambiare il mercato e far stare tutti meglio, ma lo so che è utopia. L’unica cosa che posso dire è che dovrebbero parlarne le istituzioni coinvolte, insieme: l’Ordine dei Giornalisti, la Fieg, gli attori di questo mercato tipo Satispay, le banche. D’altronde se il mondo di questo lavoro sta cambiando è dovere di chi scrive le regole farlo cambiare seguendo i tempi.

    Ok, adesso mi sveglio e torno alla realtà. Solo che al prossimo raduno di mojo dovrò spiegare in che guai si trovano, a farsi pagare, i freelance italiani. E non so come fare.

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