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  • Giornalismo digitale: le redazioni sono pericolosamente indietro

    Giornalismo digitale: le redazioni sono pericolosamente indietro

    Giornalismo digitale: una fotografia abbastanza impietosa.

    Per fortuna l’Italia non è la “pecora nera” del ritardo della digitalizzazione delle newsroom di tutto il mondo, ma in ogni caso non c’è da stare allegri. A fare “lo stato dell’arte” del giornalismo digitale mondiale ci ha pensato in questo periodo l’International Center for Journalist, un’istituzione americana che dal 1984 sviluppa la cultura della professione giornalistica connessa all’innovazione.

    ICFJ ha collaborato con altri enti di livello internazionale come Georgetown University o la Knight Foundation, ma anche con grandi firme del mondo tecnologico come Google, Survey Monkey, Storyful o Twitter, per cercare di comprendere l’avanzamento verso la digitalizzazione completa delle newsroom di tutto il mondo. Pericolosa la fotografia che è uscita dal lavoro accademico. Una fotografia che tutti dovrebbero leggere e che parla di una situazione di resistenza quasi strutturale al cambiamento.

    Una prima assoluta.

    L’International Center for Journalists, organizzazione con sede a Washington e con collaborazioni strutturate come la Knight Foundation, ha realizzato una “prima assoluta” promuovendo la ricerca “The State of Technology in Global Newsroom”. L’obiettivo è stato cercare di comprendere, grazie a un board di ricercatori di primo livello, a che punto sia la trasformazione digitale del lavoro tuo e mio. Già che sono ringrazio subito la bravissima collega australiana Corinne Podger per avermi dato lo spunto e la possibilità di trovare questo documento che ha messo a nudo le resistenze di una professione al futuro.

    Nelle 77 pagine della survey l’ICFJ tratteggia un mondo in cui, tanto per dirne alcune, nelle newsroom solo il 5% ha degli studi tecnici alle spalle, mentre il 2% viene assunto prendendolo dal mondo del digitale. Solo l’1% degli addetti nelle newsroom è un analytics editor, mentre è particolare anche la percentuale dei manager delle newsroom che sono per il 64% preparati sotto il profilo digitale, contro il solo 45% della forza lavoro dei giornalisti che dirigono. Insomma, di digital ne sanno più i capoccia di quelli che dovrebbero essere gli interpreti del giornalismo digitale.

    Parliamo di fake? Parliamone dai..

    Ecco la cosa davvero brutta o, perlomeno, quella che a me sembra la peggiore di tutte. Dalle indagini statistiche svolte per “The State of Technology in Global Newsroom” pare che solo l’11% usi dei tool di verifica delle notizie fra tutti i giornalisti sentiti per l’indagine. Assurdo, ma vero. Vogliamo parlare di fake news? Facciamolo dai, però prima raccontiamo questa percentuale..

    L’eredità di Tom e Liebe…

    Il documento è l’ultima frontiera per fotografare il cambiamento delle newsroom che sta avvenendo con lentezza e con un filo di malavoglia, se non addirittura di desiderio di non procedere verso il futuro. Una situazione assurda per una professione che viene giornalmente ridimensionata e ridicolizzata dalla velocità con la quale cambia il mondo che le gira intorno. E’ un documento di valore eccezionale, una ricerca che fa riflettere molto e, probabilmente, è il lavoro più coraggioso dell’istituzione nata nel 1984 in un ufficetto dal desiderio dei coniugi giornalisti Tom e Liebe Winship.

    Lui pluripremiato Pulitzer del Boston Globe, lei titolare della famosissima rubrica “ask Beth”, alla fine della loro carriera hanno deciso che la loro missione era condividere la cultura del giornalismo in tutto il mondo. In 33 anni hanno fatto i “disastri” entrando in contatto con 100 mila professionisti di questo settore in 180 diversi paesi. Ecco, comunque, lo strepitoso lavoro di cui ti ho parlato e che ti dovresti “bere” al volo. Buona lettura.

    The State of Technology in Global Newsroom.

  • Mobile journalism: scende in campo la Thomson Foundation

    Mobile journalism: scende in campo la Thomson Foundation

    Thomson Foundation e mojo: tutto il sapere è online.

    La Thomson Foundation, organizzazione inglese intitolata a Lord Roy Thomson, magnate anglocanadese dei media e storico padrone del The Times negli anni ’60, ha messo in campo una squadra imponente, in questi giorni, per monopolizzare l’attenzione dei giornalisti di tutto il mondo e convogliarla verso il mobile journalism. Il format? Quello dei corsi online, con una offerta che parla chiaramente di un pacchetto molto ricco, in grado di fornire preziosissimi strumenti per il futuro professionale.

    Il catalogo, che puoi trovare su questo link, è orientato al mojo, ma anche a tutti quegli ambiti che attengono direttamente alla produzione di contenuti in mobilità. Nei corsi della Thomson Foundation, infatti, si può trovare il guru del mojo internazionale Glen Mulcahy che sciorina la sua materia, ma parla anche di video a 360 gradi.  Oppure dei “teacher” come Chris Birkett, ex Telegraph e BBC, il quale introduce al giornalismo multipiattaforma.

    Un pacchetto di corsi da urlo.

    Le pagine della Thomson Foundation offrono davvero il meglio della preparazione mojo in questo momento. Mi attirano molto un paio di passaggi sul trust e sulla reputation, ma anche sull’engagement e sulle community da creare. Ricorderai, infatti, che da sempre penso che il giornalista debba coltivare con estrema attenzione il suo brand e la sua comunità di lettori: ebbene, questi corsi offrono il meglio per far crescere questi aspetti. Un altro dei punti centrali di questo programma didattico e quello di giornalismo multipiattaforma.

    Il motivo è semplice: la Thomson Foundation sa bene che i giornalisti ora si devono preparare a produrre contenuti da caricare su ogni tipo di pubblicazione. Per questo motivo “Journalism Across Multiple Platform” è uno degli snodi principali di questo pacchetto della Thomson: insegna come i lettori consumano le notizie sui vari siti social, per poi addentrarsi anche sulla produzione di contenuti adatti alle diverse tipologie di luoghi di pubblicazione.

    Si parla anche di Business.

    In questo bundle di corsi che si chiama TFJN, Thomson Foundation Journalism Now, si parla anche di affari sempre con Chris Birkett con il corso “The Business of Journalism: Creating a Brand & Building an Audience“. Capisci dal titolo che è un vero concentrato di indicazioni su come creare modelli di business vincenti per i mojoer e per i giornalisti di oggi. I quali devono essere brand, devono essere talmente riconoscibili nel loro campo dal divenire fonti dirette di informazione, senza l’intermediazione di un editore.

    Già che sono metto giù anche i prezzi: si va dai 350 dollari del corso tenuto da Glen Mulcahy sul mobile journalism fino ai corsi free. Aggiungo anche un paio di altre notizie che possono essere molto utili. Proprio direttamente dall’amico Glen è arrivato un codice sconto di lancio per i due corsi prodotti da lui che ha definito questa avventura come “molto impegnativa, ma importantissima, visto il valore che la Thomson sta dando al mojo”. Si tratta di “mojolaunch50Glen” che abbasserà al 50% le tariffe dei due percorsi firmati Mulcahy.

    La Thomson Foundation guarda oltre.

    C’è un altro modo interessante per regalarsi questi corsi da sogno: se uno riesce a completare efficacemente due dei tre corsi Free contrassegnati con la sigla JN01, JN02 o JN07, avrà libero accesso a un corso a pagamento a scelta. Insomma ragazzo, fatti un mazzo così e studia i corsi gratis. Poi fai quello di Mulcahy: ci siamo capiti?

    Buono studio con la Thomson Foundation, una istituzione che guarda molto lontano e vede molto bene.

  • Siamo tutti videomaker ed è ora di capirlo

    Siamo tutti videomaker ed è ora di capirlo

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    Videomaker “vil razza dannata”.

    Nell’ultimo post ti ho raccontato cosa sia il mobile videomaking e che opportunità può sviluppare per tutti noi, in qualsiasi mondo, in qualsiasi aspetto della nostra vita. Se non lo hai letto fai un giro qui e poi torna, che voglio spiegarti il motivo per cui sei assolutamente preparato per fare il videomaker e forse, semplicemente, nessuno te lo ha ancora spiegato come si deve. Io e il collega Fabio Ranfi, vulcanico direttore di MilanoAllNews e seconda anima della casa del mobile journalism milanese, ne abbiamo parlato a lungo e abbiamo fatto molte riflessioni ad alta voce, seguendo le riflessioni fatte da uno dei padri del mobile journalism mondiale, Michael Rosenblum.

    Abbiamo fatto migliaia di ore di scuola.

    Il giornalista americano, infatti, sottolinea nel suo libro “iPhone Millionaire” che per decenni siamo stati davanti a uno schermo a guardare inquadrature e che, per questo, sappiamo distinguere benissimo quello che è buono da quello che non lo è. I tg che abbiamo visto, i telefilm che abbiamo seguito, le interviste che abbiamo guardato, i documentari, i film, i reality, gli speciali. E oggi i video sui social, sui siti, i tweet, gli snap. Abbiamo la capacità di sapere cosa fare per far un buon video, ma ci manca lo studio della grammatica e del linguaggio, del software adatto e dell’hardware.

    Per questo motivo alla nostra “preparazione” naturale, dobbiamo aggiungere la cultura e le informazioni del mobile videomaking, in modo da far diventare “redditizio” e “attivo” tutto quel patrimonio di conoscenze che giace inutilizzato nel nostro cervello.

    Non basta aver “subito” tutte quelle migliaia di ore di scuola, bisogna “attivarle” con il mobile videomaking. Insomma, siamo tutti videomaker e ancora non ce ne siamo accorti proprio per bene, ma se sei qui sei sulla strada buona, almeno tu, per rendertene conto in modo definitivo e per usare a tuo vantaggio questa opportunità.

    Le riflessioni del Ranfi.

    Il buon Fabio Ranfi ha riflettuto sull’argomento da par suo sul suo blog. Ecco che cosa è uscito dalla sua penna mojo e dalla competenza con la quale ha tirato fuori e messo “nero su bianco” i dati sul turbine di video che ci girano intorno tutti i giorni.

     

    Fabio Ranfi

    Sei miliardi di ore al mese. Sono le ore di filmati che ogni mese nel mondo vengono viste tramite YouTube. Quattrocento sono, invece, le ore che vengono caricate ogni minuto sempre sul popolare Social Media. YouTube è sicuramente il più grande distributore di “contenuti video” al mondo, ma è da ben prima del suo arrivo che abbiamo iniziato il nostro corso “inconscio” di videomaker.


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  • Video con lo smartphone: è solo questo il mobile videomaking?

    Video con lo smartphone: è solo questo il mobile videomaking?

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    Fare video con lo smartphone: una necessità impellente.

    L’altro giorno sono stato a fare una gita in Svizzera e, a un certo punto, mi è caduta la marmitta della macchina sulla strada. Un gran baccano, un clangore pazzesco, la macchina che rallenta in un punto un po’ problematico e io che guardo nello specchietto retrovisore e… sorrido. Perché? Oddio, prima di sorridere ho pensato anche una cosa un po’ volgare (una cosa tipo “Cazzo filmi”), poi ho sorriso. Il motivo? Dietro di me, una ragazza, dentro una macchina, riprendeva la scena della mia macchina con la marmitta a terra che faceva scintille. Riprendeva la scena con il telefono e in verticale.

    Insomma, il gesto di riprendere un fatto che ci accade davanti è diventato un comportamento ancestrale, quasi un riflesso. Il gesto di riprenderlo in verticale, beh, anche quello è, diciamo un riflesso condizionato dall’uso che facciamo del telefono. Ti tiro una riga: fare video con lo smartphone è un nostro linguaggio comune ed è un modo di comunicare in rapida crescita in tutti i campi. Per questo va allenato, se non altro per mettere il cellulare in orizzontale quando si riprende (anche perché non credo che metterai la tv o il pc in verticale per guardarli.

    Il video (e l’audio) stanno mandando in pensione la tastiera.

    Se non te ne sei già accorto (forse si, se leggi queste righe), te lo sottolineo io: il video e l’audio (ma ci metto dentro pure la foto) sono i due (tre) tipi di comunicazione più importanti di questo nosto periodo. Non scriviamo più, nemmeno sulla tastiera. Tendiamo, comunque, a riprendere immagini in movimento appena possiamo (come quando ci casca una marmitta nella macchina davanti) o a mandare foto per un saluto o audio se il concetto che dovremmo scrivere supera le 20-30 parole.

    Le giovani generazioni, poi, hanno smesso di digitare, tra faccine del cavolo e abbreviazioni, anche una singola lettera. Meglio un video, meglio uno snap, meglio un audio, meglio una gif. Insomma, il video e l’audio stanno mandando in pensione la tastiera. Il linguaggio video, poi, ci viene in soccorso quando dobbiamo sapere una cosa, imparare una cosa, vedere una cosa. Non ti convince il ragionamento? Ti metto qui un link del WSJ che ti farà cambiare idea: il paludato giornale di NY ha già messo giù, con dovizia di dati, un report sul fatto che il prossimo miliardo di utilizzatori di internet non digiterà più una lettera e comunicherà solo con audio e video.

    Ecco: guarderai per decenni, ma se fossi tu a produrre?

    Starai per decenni davanti a uno schermo a guardare dei video, ma pensa a come potrebbe cambiare la tua vita e il tuo lavoro se potessi diventare tu produttore. Si, sto parlando del fatto che potresti diventare serenamente un videomaker e aiutare il tuo capo, migliorare la tua azienda, presentare un tuo nuovo prodotto, raccontare un’ingiustizia subita o semplicemente per mandare gli auguri di buon compleanno a mamma. Lo strumento per farlo? Il tuo smartphone. La disciplina da imparare per farlo? Il mobile videomaking, appunto. Cos’è? E’ il mobile journalism, disciplina e cultura di cui parlo da mesi su queste colonne, aperta a tutti.

    D’altronde viviamo nell’epoca in cui tutti possono essere giornalisti, grazie alle piattaforme sociali e alla possibilità potenziale di arrivare a miliardi di persone. Perché, quindi, non approfittarne per metterlo nel motore di qualsiasi azione? Ecco il motivo per cui, nel progetto di Italianmojo, abbiamo deciso di iniziare i nostri progetti di corsi creando una versione di base del mobile journalism che potesse rappresentare uno strumento utile e immediatamente utilizzabile per qualsiasi professionalità e qualsiasi necessità.

    Ma che diavolo è, quindi, questo movi?

    Il mobile videomaking, quindi, è quella disciplina che fa apprendere modi, tecniche, operazioni e informazioni necessarie  a creare video con lo smartphone per i più svariati usi. Cosa c’è al centro? Un concetto molto semplice: siamo tutti storyteller, siamo tutti uomini con una storia da raccontare. Se si apprendono correttamente le basi del racconto per immagini, gli strumenti necessari, le operazioni di base per l’editing, beh, si diventa immediatamente operativi per la creazione di un contenuto multimediale video (ma anche audio) di qualità professionale.

    Pensaci veramente, fermati un istante: potresti aiutare il tuo capo per la dichiarazione pubblica da mettere sul sito, potresti valorizzare i tuoi prodotti con un video, iniziare a fare un blog di ricette di torte, fare una dichiarazione d’amore al tuo moroso o morosa. Ti si aprirebbero le praterie di possibilità che un linguaggio video codificato e professionale possono dare. Ieri sera ho fatto sull’argomento un paio di riflessioni in diretta con i lettori della mia fanpage. Te le metto qui sotto, magari aiutano.

     

    Sei uno studente? Buttati.

    La presenza di un giovane studente al mio primo corso mi ha colpito molto. Ognuno ha il suo mobile videomaking, i motivi per cui lo vuole imparare, i suoi obiettivi. La cosa importante è questa: il movi si adatta a non viceversa. Per questo motivo, quando il giovane studente, alla mia domanda “Perché sei venuto?” mi ha risposto “Perché indipendentemente dai miei studi, questo linguaggio sarà determinante per il mio futuro”. Beh, applausi. Se sei studente, quindi, buttati senza se e senza ma.

    Nei prossimi giorni il team di Italianmojo e MilanoAllNews riprenderà i corsi. Il primo appuntamento è previsto a Udine ed è organizzato in collaborazione con lo spazio Mantica 26 della dottoressa Francesca Vittorio.  Per aprire un vero e proprio gruppo friulano su questa materia mi sono rivolto a Meet Up che puoi trovare qui, mentre per iscriversi al corso a Udine il prossimo 2 settembre la via è questa.

    Per quanto riguarda il gruppo di Milano, ricominceremo la nostra attività con un incontro il 15 settembre, mentre i primi corsi saranno il 17 settembre e il 30 settembre prossimi. Come si vede dal Meet Up, il quale ha superato i 50 membri, la comunità milanese dei mojo (o movi) è molto viva e già avanti nel suo processo di crescita. Quella udinese, invece, spero cresca con le prime iniziative.
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  • I 10 buoni motivi per passare al mobile videomaking

    I 10 buoni motivi per passare al mobile videomaking

    Mobile videomaking: un’arma in più per tutti.

    Sto preparando il corso di mobile videomaking che farò il prossimo 8 luglio nei locali di MilanoAllNews. Man mano che avanzo con la conoscenza del mobile journalism e del mobile videomaking, mi rendo conto dell’importanza di questo linguaggio per tutti, sia a livello professionale, sia a livello personale. E quando dico tutti, penso proprio a tutti. Il motivo? Semplice: il linguaggio visivo sta diventando il mezzo principale di comunicazione per tutti, forse ancor di più rispetto alla parola scritta. In molte, moltissime situazioni della giornata, riceviamo informazioni, messaggi input sotto forma di linguaggio visuale e in altrettante situazioni dobbiamo essere noi a mandare messaggi video ad altri.

    E’ il caso di farlo… e per bene.

    Piccolo “nanetto”, come direbbe Nino Frassica per dire aneddoto. Sono andato con mia nipote al concerto di Radio Italia in Piazza Duomo.  Cerco di renderti l’idea, con una foto, dello spettacolo che mi sono trovato davanti.

    mobile videomaking

    Mi ha fatto impressione vedere in quante mani c’era un telefono, strumento di condivisione dell’emozione e delle cose positive di una vita. Telefonini che filmavano, in attesa di postare questa o quella canzone, questa o quella sensazione vissuta sui social o sui propri strumenti di vita digitale. Ognuno dei giovani che avevo davanti con un telefonino in mano potrebbe avere bisogno dei fondamenti del mobile videomaking. Anche soltanto per trasferire meglio le sue emozioni filmate. Figuriamoci per il lavoro o per lo studio.

    I 10 motivi buoni (e ti sfido a non riconoscerti almeno in uno)

    Ecco, quindi, una manciata di ottime ragioni per partecipare al primo corso di Mobile Videomaking al quale ti puoi iscrivere cliccando qui e seguendo la procedura di iscrizione al meet up con il contestuale pagamento della quota di partecipazione.

    1. Venendo al corso di mobile videomaking forse la smetterai di filmare in verticale (visto che il tuo computer e la televisione da cui guardi i video sono orizzontali). Se sei di quelli che preferiscono il formato verticale, almeno saprai come filmarlo e che grammatica usare.
    2. Se vieni al corso “movi” scoprirai come si fa un’inquadratura ferma e corretta per armonia delle linee o dei punti di fuga. Se sei buono ti diremo anche con quali supporti e con quali app farla perfetta.
    3. Se vieni a fare un giro al corso potrai sapere come mai Brunetta guarda sempre in camera e un intervistato quasi mai.
    4. Fai l’artigiano o il commerciante? Se vieni al corso di mobile videomaking potrai fare correttamente dei video di presentazione dei tuoi prodotti o dei tuoi servizi.
    5. La possibilità di sapere i fondamenti del videomaking col telefonino può dare opportunità di comunicazione di un brand o di un business con costi pari a zero.
    6. Se ti va di conoscere il mobile videomaking imparerai un linguaggio visivo che è diverso dal videomaking classico. Un linguaggio che può farti arrivare dove le normali telecamere non arrivano, ma non si sovrappone a quello dei professionisti classici dell’immagine. E’ semplicemente diverso.
    7. Se sei un videomaker e vuoi affrontare il mondo della ripresa con il telefonino per differenziare la tua offerta, questo è un modo per iniziare.
    8. Vuoi imparare un modo di pensare completamente smarcato e “out of the box” per creare ricchezza e lavoro? Vieni al corso di mobile videomaking. Non è una questione di telefonini, è una questione di cuore e di testa.
    9. Vuoi avermi come amico e spacciatore di consigli per sempre? Beh, vieni al corso di mobile videomaking e vedrai che ti faccio una sorpresa.
    10. Qualsiasi lavoro tu faccia potresti avere bisogno di un video fatto bene. Pensaci: un documento filmato, una presentazione, uno speech, una video intervista, un video che racconta un prodotto o un servizio, un video curriculum. Non è meglio imparare a farlo con l’aggeggio che hai già in tasca e che hai già pagato?

    Spero di averti convinto a fare l’iscrizione e spero di cuore di vederti ai nostri appuntamenti dei prossimi giorni.