Tag: mobile journalism

  • Il mio viaggio mojo a Merida

    Il mio viaggio mojo a Merida

    Un contenuto particolare per un viaggio particolare.

    Questo contenuto parte dalla app di WordPress e si giova di un nuovo formato. Si tratta di un articolo che parte dalle stories. Sì, hai letto bene. WordPress sta tentando di fondere i linguaggi della produzione di contenuti digitali statica, quella che si fa per il computer per intenderci, con quelli della produzione mobile. Un passaggio davvero storico che fonderà i due mondi, quello “fermo” e quello in movimento, per avvicinare di più i siti al concetto di esperienza e di interazione virtuale di valore.

    Un incontro speciale

    Sono stato a Merida, regione dell’Extremadura non lontano dal Portogallo, perché sono stato invitato a sostenere una lezione sullo smartphone e sulla possibilità di creare un progetto auto imprenditoriale. Un incontro davvero intenso che aveva una parte plenaria e dei laboratori. Ho incontrato decine di colleghi e di studenti spagnoli, cercando di far capire loro che lo smartphone non è solo l’arma per creare contenuto, ma è anche l’arma per progettare il futuro.

    Brutta figura evitata

    Il mio discorso pubblico è passato e sono passati i suoi concetti e gli strumenti per avere nuove visioni professionali.

    Brutta figura evitata.

    Nel laboratorio, invece, ho affrontato il mondo dell’audio e dello smartphone dai social audio ai podcast. Ho dispensato dritte, consigli, suggestioni, suggerimenti su come pensarsi protagonisti della propria vita professionale, su come essere amministratori delegati della Me Corporation con la sola forza di uno smartphone tra le mani.

    La velocità del viaggio mojo della Spagna

    Ho incontrato splendidi colleghi come Urbano Garcia, Montserrat Rigall e Alfonso Perez Caneiro. Ho visto che sono leader veri di un movimento che patisce i suoi problemi (contrasti con chi non vuole cambiare), ma che fa questo viaggio nella mutazione del giornalismo più velocemente rispetto all’Italia. Ho visto un’energia pronta a esplodere che deve arrivare anche qui.

    Il viaggio continua

    Tornando a casa ho pensato che il viaggio deve continuare e deve essere più veloce. Aggiungo anche che deve partire dal basso. Sperimentare come sto facendo in questo istante con questo contenuto nuovo è una delle cose da fare per far capire che si può fare. Con i fatti. Raccontare esperienze e progetti riusciti è un’altra delle cose da fare. Creare e diffondere cultura, pensare fuori dalla scatola ed essere aperti all’ascolto é il senso di questo viaggio. Per questo motivo ho anche messo su questo sito là chat di Messenger. Tu fai domande, io prima o poi ti rispondo.

    Nei prossimi mesi succederanno delle cose. Arriveranno cambiamenti sia sulla mia figura professionale sia nella mia casa digitale: Algoritmo Umano. Stai pronto che andiamo lontano.

  • Il mobile journalism nel 2021 diventerà grande

    Il mobile journalism nel 2021 diventerà grande

    Il giornalismo in mobilità, o mobile journalism, entra in un anno davvero rivoluzionario.

    Probabilmente quello che abbiamo appena iniziato a vivere sarà un anno di forte discontinuità rispetto al passato di questa nuova cultura del fare giornalismo con smartphone e tablet. Il mobile journalism, infatti, si appresta a vivere due rivoluzioni in un anno e a cambiare pelle definitivamente. È probabile, oltretutto, che grazie a questi due cambiamenti in arrivo, il mobile journalism diventi semplicemente journalism. Già, il giornalismo. Un giornalismo finalmente moderno.

    Nel mobile journalism entra il personal computer

    Ho divulgato il mobile journalism in molti ambiti. Università, corsi, scuole, aziende. Ho sempre separato il linguaggio giornalistico e il flusso di lavoro che creano smartphone e tablet rispetto ad altri macchinari come il personal computer. Ho sempre detto che il linguaggio creato dai telefonini e dalle loro immagini, ma anche dall’esperienza di montaggio sui device portatili era un linguaggio diverso rispetto a quello che si sperimenta montando un video in una situazione statica, davanti a un pc potente e a un grande display.

    Tuttavia, alla fine del 2020, è successa una cosa che cambia per sempre gli equilibri di questa materia.

    Ecco di cosa si tratta: la Apple ha presentato la prima linea di Mac portatili con il processore M1, prodotto internamente dalla casa di Cupertino. Per essere chiari ha progettato un cuore dei suoi pc, mettendolo nei primi tre esemplari della linea, il quale ha una architettura simile e una filosofia di costruzione praticamente identica ai processori che vengono montati su iPhone e iPad. Questo significa una cosa molto importante per il mobile journalism: per la prima volta, sui Mac portatili con quel processore, si possono utilizzare le app che si usano per smartphone e tablet della Mela Morsicata, anche sul personal computer portatile.

    Un accessorio mobile in più ed ecco perché lo dico ora

    Quei nuovi Mac portatili, quindi, sono da annoverare fra gli accessori del mobile journalism moderno. Da oggi. Il motivo è legato al sistema operativo che parla la lingua dei portatili, ma non solo. L’altra cosa sconvolgente di questo passaggio a nuovi processori dei personal computer è legata al rapporto tra questi nuovi pc, il loro processore la batteria. Ecco, i pc della Apple con questo nuovo processore, dalle prime indicazioni che ho ricevuto, riescono a durare senza carica per circa 20 ore continuate. Questo il secondo motivo determinante per l’entrata a pieno titolo dei portatili negli oggetti e negli accessori del mobile journalism. Un collega, sviluppatore di una grande app, mi ha parlato di 24 ore di uso continuato. Certo, ti prometto che testerò in prima persona la cosa, svenandomi con l’acquisto di uno di questi pezzi. Però il salto è un salto quantico.

    L’iPhone è diventato un mostro

    Il mercato degli smartphone è variegato e dominato dagli Android, ma il mobile journalism è sempre più legato agli iPhone. L’ultimo iPhone, il 12, è diventato un mostro in quanto a velocità di calcolo e capacità di produzione del contenuto visuale. Il processore A14 bionic e le sue 11 mila miliardi di operazioni al secondo, sono un salto in avanti nella realizzazione del contenuto video che è giusto fare per chi si occupa di produzione visuale. Poi ci sono le cose piccole e determinanti che cambiano il lavoro del giornalista. Finalmente può produrre immagini in PAL e ha il Dolby Vision. È l’unico al mondo ad averlo.

    L’iPhone e il sistema PAL, ecco le novità dal mio canale YouTube.

    Se il mobile journalism mangia il mondo dei personal computer

    Insomma, il mobile journalism del 2021 vivrà l’ingresso dei computer portatili nel suo mondo. Ti dico una cosa che ti tieni per te, anche perché per ora ho una fonte, ma ho bisogno di altre verifiche. Sembra che, visto questo cambiamento per il quale il linguaggio dei device mobili entra nel mondo dei computer Apple, la cosa non sia passata inosservata a Microsoft. Già, hai letto bene. Ho una fonte che parla di un possibile avvicinamento tra Microsoft e Google per far girare le app che girano su Android anche sui computer dell’azienda di Gates. Insomma, i computer si stanno unendo ai device mobili… con il linguaggio e i software di questi ultimi. Non il contrario. Una rivoluzione.

    Il secondo storico cambiamento

    Sono entrato da qualche tempo nel mondo della connessione cellulare di quinta generazione. Ne ho parlato qui. Si è trattato di un inizio un po’ surreale a causa dei primi approssimativi collegamenti e a causa del fatto che noi produttori di contenuti possiamo giovarci del 5G solo de l’upload diventerà più fluido e molto più performante di quello che è ora. Resta, tuttavia, l’idea netta che nel mobile journalism del 2021 il 5G possa essere un game changer. Ti spiego il motivo per cui lo penso, anzi i due motivi per cui lo penso. Il primo è che il miglioramento così netto della connessione porterà cambiamenti nel sistema dell’industria dei contenuti. Con una maggiore velocità di dati disponibile nel download aumenterà la voglia di contenuti dell’industria dei media e le opportunità di lavorare per farli. Se poi, secondo motivo, dovesse migliorare anche l’upload, allora la possibilità di lavorare meglio, più velocemente e di essere più efficienti e quindi più produttivi potrebbe alzarsi di molto. Con lei anche i margini operativi.

    Il mobile journalism del 2021 diventerà journalism

    Pandemia permettendo, il 2021 del mobile journalism potrebbe rivedere gli eventi internazionali come Mojofest. Quello che sembra chiaro è che, specialmente dopo il 2020 nel quale molti processi di creazione del contenuto video sono diventati mobile anche in grandi catene tv, dovrebbe continuare la fusione tra il mobile journalism e la produzione giornalistica multimediale moderna. Viene da pensare che l’espressione mobile journalism sia pronta nel 2021 a diventare solo journalism. Giornalismo moderno. Su questo blog ne parlerò molto nell’anno che è appena iniziato. Con la prospettiva di aiutare soprattutto la platea dei giornalisti liberi professionisti a trovare un miglioramento della condizione professionale e delle loro prospettive.

    Leggi ancheIl giornalista? Non conosce il suo business

  • Mobile Journalism e aziende: note utili per un percorso

    Mobile Journalism e aziende: note utili per un percorso

    Mobile Journalism: le imprese scoprono un tesoro.

    Sono in viaggio per produrre dei video su una serie di imprese legate a un progetto di valorizzazione di un brand della grande distribuzione alimentare. Un patrimonio italiano di grande eccellenza, un tesoro che va raccontato. Per questo ora serve più che mai il mobile journalism come elemento di storytelling da incastonare nel progetto di immagine e comunicazione di qualsiasi realtà di impresa. Lo smartphone è uno strumento di produzione del contenuto di impareggiabile valore. Ecco perché

    Lo smartphone è veloce.

    I criteri del mobile journalism e le sue modalità produttive sono facili e veloci. Viene quasi da dire che un produttore di contenuti è davvero un megafono in tempo reale della storia, dei progetti e dei sogni di un’impresa. Lavorare con il mobile journalism dentro l’azienda è veloce, per la facilità di piazzare le attrezzature per interviste e immagini e per l’amichevolezza che il piccolo telefonino ispira in chi viene coinvolto nel racconto. Lo smartphone è rapido a piazzarsi e rapido a eseguire le immagini, rapido a gestire il montaggio, rapido a facilitare la pubblicazione.

    Lo smartphone è piccolo.

    Qui nelle Langhe ho visitato piccole aziende creatrici di straordinari prodotti alimentari basati su prodotti della terra eccellenti. Queste aziende sono a conduzione famigliare, hanno ambienti stretti e devono rispettare disposizioni sanitarie ancora più rigide. Questo complica per operazioni per un giornalista o un produttore di contenuti che si introduca nella realtà che deve raccontare. Ecco, la cosa si annulla con il mobile journalism. Smartphone alla mano si può entrare nel cuore delle storie e delle aziende. Con la facilità, poi, che lo smarpthone regala anche nella gestione dei siti, tutto diventa più fluido e meno invasivo nei confronti delle persone che stanno lavorando. Lo smartphone è piccolo e non si vede, non invade il campo.

    Lo smartphone scioglie le parole

    Lo smartphone e le tecniche del mobile journalism, per aziende e brand, aiutano il produttore dei contenuti a scogliere le parole di chi racconta. Mi sono trovato davanti imprenditori dediti al loro lavoro e poco adusi alle telecamere. Ebbene si sono sciolti tutti davanti al piccolo aggeggio, facendomi entrare nei segreti nella loro storia. Parole sciolte, parole in libertà che, con il combinato disposto delle immagini vicine di cui è cassa e lo smartphone, hanno dato un risultato smarcato, grezzo, vero. Il mobile journalism è, detto molto sinceramente e con franchezza, è un facilitatore dell’interazione tra il produttore e il protagonista delle storie.

    Lo smartphone, insomma, è uno strumento di racconto e di interazione tra l’azienda e il pubblico, il mobile journalism è la cultura da usare per valorizzare il risultato e produrre contenuti di brand che siano la spina dorsale di un innovativo progetto di immagine e racconto di un’impresa. Anche della tua.

    Questo articolo è stato scritto con l’iPad presso la paradisiaca Agricola Brandini nelle Langhe. Info su www.agricolabrandini.it.

    Leggi anche – Comunicazione aziendale, come migliorarla con lo smartphone

  • Il mobile journalism è morto

    Il mobile journalism è morto

    Mi chiedono spesso di raccontare cos’è il mobile journalism. Bene: ora posso dire cos’era il mobile journalism. Già, hai letto bene: ho scritto cos’era.

    Il mobile journalism era questo: era quella cultura professionale che interpretava la produzione di contenuti multimediali di carattere editoriale per il giornalismo o la comunicazione corporate realizzati con il solo ausilio di apparecchiature di produzione, lavorazione e codificazione rappresentate dallo smartphone o dagli strumenti di ripresa e produzione che possono avere con lo stesso interazione diretta via plug and play o tramite collegamento bluetooth o wi-fi. Il tutto al fine di poter realizzare contenuti dallo storytelling unico (anche immersivo) e di poter procedere alla consegna o alla pubblicazione diretta in mobilità totale. L’esperienza di creazione del risultato finale si intende vissuta su apparecchi mobili per facilitare il processo di trasformazione dei linguaggi giornalistici ed editoriali multimediali al fine di risultare efficaci per una fruizione del contenuto da schermi mobili.

    Provocazione? Sì, provocazione, ma non troppo. Il mobile journalism e la mobile content creation, in 12 anni di storia (i primi vagiti del movimento iniziarono a Londra nel 2007) sono diventati grandi. Dai primi esperimenti del mojo lab della Reuters fino a oggi, la qualità, la tecnologia, il linguaggio e la diffusione di questa cultura, hanno creato un fenomeno mondiale.

    Contro le resistenze e contro il potere delle antenne satellitari e della tv broadcasting, il mobile journalism ha iniziato a “infettare” i processi produttivi di ogni redazione ai quattro angoli del pianeta, con delle punte di eccellenza dall’Irlanda all’India, dalla Svezia all’Australia. Le app, i supporti, i microfoni, le lenti, gli smartphone (sempre più potenti e dotati “fotograficamente”) hanno poi fatto il resto, creando un’ecosistema nel quale il mojo è il linguaggio di produzione delle storie e delle news che poi viaggiano sul web e arrivano alle nostre device mobili.

    Lo smartphone al centro del mondo.

    Il mondo è quindi diventato un posto che si informa, si lega, si fidanza, si sposa, si separa, nasce (e qualche volta si uccide) attraverso lo smartphone. Ora il telefonino è la porta attraverso la quale guardiamo il mondo. Per questo motivo penso sia ora, per il mobile journalism come tecnica e come corrente professionale, di andare in pensione. Già, il mobile journalism è morto, perché questa cultura che ha al centro lo smartphone e si esprime nei più svariati campi (il pluripremiato regista Steven Soderbergh ha già licenziato 2 film fatti con gli iPhone) si è smarcata dalle redazioni e dalla community dei nerd della materia.

    Il mindset che cambia le cose.

    Ormai essere mojo è un mindset che abbraccia molti prodotti della creazione e che rappresenta la radice del cambiamento del mondo dei media. La dittatura della televisione sta finendo e con lei quella delle telecamere. Sta iniziando l’era del video preso dalla realtà anche per il racconto di una notizia, di una storia, di un prodotto, di un servizio. La realtà entra più facilmente attraverso lo smartphone con il quale si spacca la barriera dell’hardware che intimidisce per entrare più vicino alle storie. Molto più vicino. Se contiamo che sta nascendo anche una generazione di piccoli microfoni senza fili, beh, la nuova grammatica del video (che è la nostra nuova lettera scritta) diventa realtà.

    Un nuovo strumento di scrittura

    “Lo smartphone è la nostra penna”, mi ha riferito durante un viaggio di studio a Londra Hosam El Nagar, direttore dell’innovazione di Thomson Foundation, una delle istituzioni che più si impegna nel diffondere il mobile journalism. “E’ la penna del nostro tempo e noi dobbiamo saper scrivere bene con questa penna – ha continuato – Il mobile journalism, quindi, è la cultura che ci serve per scrivere, per fare bene il racconto visuale di quello che ci circonda. Già, perché ormai vogliamo farlo tutti. Ormai fare video non è solo per giornalisti. E’ per tutti”. Ecco perché il mobile journalism è morto, perché in questo mondo ci sono 3 miliardi di potenziali mojoer che vogliono raccontare una storia. Qualunque essa sia.

    Il giornalismo: un mondo arretrato in una crisi profonda.

    L’espressione mobile content creation giustifica meglio l’importanza di questa cultura. Per tutti, non solo per i media. Ci sono app per filmare, app per montare, app per fare grafiche e animazioni, programi che possono lavorare in cloud, microfoni e lenti professionali: c’è tutto il materiale necessario per fare qualsiasi cosa con lo smartphone. Qualsiasi cosa. Dall’inizio… alla pubblicazione.

    Diventa automatico pensare che il problema del mobile journalism sia continuare a far giri attorno al… journalism, anche perché io per primo, nel mio progetto di divulgazione di questa cultura, sto saggiando tutti i giorni le difficoltà del cambiare dall’interno un mondo arretrato e in crisi profonda come quello del giornalismo.

    Ben inteso: critico questo mondo, ma non ho alcuna intenzione di uscire dal giornalismo. Lo voglio cambiare e non avrò requie fino a quando non lo avrò fatto.

    Un nuovo linguaggio per cambiare.

    La mobile content creation è l’apertura di inquadratura del mobile journalism che non può continuare a evitare il confronto con il cambiamento dei media. La mobile content creation è lo strumento del cambiamento dei media, ma attorno allo smartphone (finalmente) si sta sviluppando una vera e propria mobile media economy. In questa epoca, infatti, assistiamo a una grave crisi del giornalismo (in generale, ma italiano in particolare), ma anche al fiorire di una serie di possibilità tecniche per realizzare contenuti che mai avremmo pensato di poter toccare con le mani.

    Ogni giornalista può sviluppare il suo business proprio grazie al mojo.

    Ogni giornalista o comunicatore può essere producer di con tenuti di livello professionale con un equipaggiamento sotto i 1000 euro e delle app che costano poche decine di euro. E quindi? E quindi nessuno le usa… perché non si conoscono le potenzialità di quell’aggeggio che abbiamo in tasca. Bisogna, invece, pensare che ci sono una serie di strumenti, oltre a quelli di produzione, che permettono di creare valore economico dal proprio lavoro.

    Anche nei media lo smartphone è al centro e sta facendo nascere qualcosa di nuovo.

    Quando parlo di strumenti di lavoro e di creazione di ricchezza per i produttori di contenuti parlo di marketplace, di lavoro richiesto ed eseguito da remoto, di produzioni creative sponsorizzate, di microcrowdfunding, di progetti editoriali creati autonomamente, di piattaforme di vendita diretta dei contenuti, ma anche di nuovi modelli di business.

    Già, se lo smartphone è il nostro mezzo di informazione principale allora vale la pena di pensare che si è già creato un mondo di media business (non solo rappresentato dai big della tecnologia) che ruota attorno al telefono, come punto di partenza e di arrivo del percorso della news. Non sto parlando di citizen journalism o di social, di influencer o di yotuber, sto parlando di tutta quella generazione di nuove app e di nuovi centri di informazione che stanno dando valore ai propri lettori, alle proprie comunità, ai propri “member” con un’interazione diretta e biunivoca. La quale ruota attorno allo smartphone.

    Le nuove esperienze editoriali

    Le esperienze sono molte: Quartz, The Skimm, Tortoise. Segnati questi nomi (e per il resto segui il mio lavoro perché sarà basato su questi argomenti per molto tempo). Vuoi sapere cosa sono? Sono delle newsroom che hanno sviluppato app così avveniristiche da rappresentare un valore importante che arriva giornalmente negli smartphone di chi si abbona.

    Hanno sviluppato interazioni con una vera community di riferimento che si sivluppa in un circolo virtuoso di informazioni, di cultura e di visione del mondo, con lo smartphone al centro. Ricevendo il prodotto giornalistico e contribuendo al prodotto giornalistico, il lettore-attore di questo nuovo modo di fare i media si trova dentro un ecosistema nel quale conta. Conta la sua voce, conta quello che sceglie e che riceve nel telefono, ma anche quello che dice ai suoi media che hanno veri e propri canali dedicati di conversazione con il “member”. Per questo vuole pagare.

    Mobile media economy.

    Sta nascendo una mobile media economy che dà valore economico alla conversazione e che rende attivo, finalmente, il lettore-attore delle news. E’ finito il mondo dei media che ci rendono passivi o limitati a qualche like o commento. E’ iniziato il mondo del lettore interattivo nel processo di produzione della notizia e della fruizione. E tutto questo è mobile.

    Nei media italiani non si vede l’ombra di tutto questo rinnovamento e ci si ostina a considerare mobile un quotidiano online che si riesce a leggere da smartphone. Anche il mio blog si legge benissimo da smartphone, ma è tutto fuorché nuovo. Viviamo in un paese i cui media sono in uno stato di arretratezza culturale tale da far dubitare che ne possano mai uscire, ma abbiamo anche un mare di telefonini a disposizione e un terreno su cui potremmo far crescere una nuova mobile media economy. Insomma, il mobile journalism con le sue piccole o grandi comunità, vive un momento adolescenziale, un momento in cui non sa cosa farà da grande.

    Potrebbe anche morire senza lasciare traccia.

    L’unica strada ragionevole è il percorso che parte dall’uso professionale dello smartphone per produrre contenuti, allo sviluppo di progetti personali e professionali attinenti a questo linguaggio, fino alla produzione di nuovi media “mobile” che riano reale valore ai loro lettori-membri. Tra l’altro cerchiamo di tener conto anche di questo: lo smartphone è alla fine dei suoi giorni. Sarà meglio cominciare la rivoluzione nell’uso del mobile, prima che ci sparisca da sotto al naso, sostituito da chissà quale diavoleria da indossare.

    Un appello

    Concludo con un appello: vedo la community nazionale e internazionale attraversata da difficoltà di rapporti, da prevalere di interessi personali. Per parte mia non parteciperò a questo giochino di chi si assume la paternità del mobile journalism o di chi crede di avere la verità in tasca. Continuerò a essere in contatto con tutti coloro che vorranno avere un’interazione con me e una visione coerente e consistente sul cambiamento del mondo del giornalismo.

    Se vogliamo continuare a considerare il mobile journalism come una soluzione B, come un giochino o come una soluzione che costa meno, possiamo farlo. Possiamo anche dire che il mobile journalism è filmare con lo smartphone e montare con final cut. Possiamo anche ossequiare questo o quel produttore di smartphone o quel produttore di app o di hardware. Perderemo la possibilità di continuare a mettere insieme i pezzi di questa cultura di cambiamento del giornalismo. Io non ci sto e vado avanti. Voglio modificare linguaggi, posti, strumenti e meccanismi della mia professione. E tu?

    Ci stai?

    P. Grazie a Nick Garnett per aver scritto per primo della morte del mojo. Lui aveva ragione e io torto.

  • Mobile journalism? Facciamo media innovation

    Mobile journalism? Facciamo media innovation

    Media innovation. Questa espressione mi frulla in testa da quando sono tornato da Parigi.

    La crescita della community e della cultura del mobile journalism e della mobile content creation deve passare da una nuova dimensione. La dimensione della media innovation. La materia sulla quale mi sono messo a lavorare è viva ed è il sangue che corre nelle vene dell’innovazione nel mondo dei media. L’interazione tra i media e i lettori, o gli spettatori, è cambiata e se cerchi bene l’oggetto che l’ha fatta cambiare, scopri facilmente che è lo smartphone. E quindi? Quindi la mobile content creation è il linguaggio con cui si creano i contenuti per il nuovo ecosistema dei media con il quale facciamo i conti tutti i giorni. Il mojo, per farla breve, è quel settore del giornalismo e della produzione che sta rinnovando il mondo dei media. Per questo la nostra, la mia, la tua dimensione mojo deve essere aumentata fino ad assumere un’altra fisionomia. Insomma, è il momento di fare media innovation.

    Stiamo guidando verso il futuro o stiamo guidando il futuro?

    Allora, telefono in mano, stiamo reinventando il futuro del giornalismo e dei media e stiamo solo aspettando che l’era della televisione dia gli ultimi colpi di coda. Il mojo, la mobile content creation, sono gli elementi che guidano il futuro dello sviluppo del mondo dei media. Con un telefonino in mano si può creare un intero modello di business profittevole e scalabile di un medium di nuova generazione. Sto studiando ormai da tempo le dinamiche di sviluppo della carriera grazie allo smartphone e alle tecniche della mobile content creation. La produzione di contenuti mojo libera interazioni con piattaforme sociali, marketplace, servizi di creazione di media e quanto altro è necessario per sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi nel mondo della comunicazione. E nuovi media.

    Il faro Yusuf: il miglior giornalista del mondo.

    Faccio solo un paio di considerazioni su questo ragionamento a rafforzamento del concetto che il mobile journalism è la casa del rinnovamento dei media in generale. Sto seguendo da un paio di settimane il corso gratuito di mobile journalism tenuto da Yusuf Omar, il media innovator che rappresenta un punto di riferimento nel panorama dei nuovi linguaggi mondiali della produzione di format innovativi (e anche di business, sebbene ci sia un distinguo da fare). Nel corso che tiene in questo momento online e che puoi trovare qui, per il Knight Center della University of Texas, sta mostrando coi fatti di essere il giornalista che, in questo momento, detta i tempi e i temi del futuro. Non ci credi? Libero di farlo. Io però una guardata la darei.

    Spiego il motivo per cui ho sparato questa sentenza. Le modalità di ricerca, sviluppo, creatività, produzione, post-produzione e pubblicazione del suo format, Hashtag our Stories, sono completamente diverse da qualsiasi linguaggio passato. La sua penetrazione nei confronti dei nuovi settori del pubblico (quelli che non leggono il giornale e quelli che non hanno la tv) è sorprendente. Il rispetto dei canoni irrinunciabili del giornalismo, però, è totale.

    Resta da costruire la profittabilità del business.

    Il distinguo di cui ti ho parlato poco sopra, per l’iniziativa dell’amico Yusuf, è la scalabilità del business e la distribuzione della ricchezza creata dal valore aggiunto del suo incredibile format liquido che è in uno, nessuno, centomila luoghi. Da quello che ho potuto comprendere HOS è sostenuto da dinamiche indirette (Yusuf si finanzia coi corsi) o da istituzioni che donano. Però, se ci pensi, comincia ad indicare una via per il rinnovamento del mercato dei media che è una strada maestra se si vuole avere un futuro. Hai qualche idea di cosa si tratti? Si tratta di questo: il giornalismo è una conversazione. Qualcosa si fa più chiaro? Vado ancora più nello specifico perchè forse è il caso di dirti proprio in modo esplicito su cosa si sta costruendo una nuova maniera di fare il giornalismo e i media. Una cosetta da niente, una cosetta della quale i media italiani non sanno niente.

    Il valore economico della conversazione.

    Ora, purtoppo, viviamo in un mondo che continua a buttare sul mercato media replicanti il modello, visto, rivisto e stravisto, di una produzione offerta, al massimo customizzabile, di un medium creato in un luogo di realizzazione, una redazione, e consegnato al mercato su varie piattaforme. In questi giorni, invece, ho conosciuto modelli di media che stanno sviluppando due concetti che sono facilmente realizzabili con lo smartphone. Come prima cosa creano una community con l’obiettivo di servirla. Il secondo obiettivo, invece, è di creare una specie di generazione controllata dagli utenti degli argomenti dei quali si vuole che il nuovo medium parli o approfondisca.

    Il caso Tortoise

    Un esempio su tutti? Lo sconvolgente caso di Tortoise, la newsroom inglese che ha inventato un modo nuovo di fare informazione. Questo mezzo di comunicazione è un ponte che fa conversare lettori e produttori delle notizie in un flusso continuo di informazione, stravolgendo completamente il ruolo, sommariamente passivo, dei lettori-spettatori dei media conosciuti fino a questo momento. Viene chiara, quindi, l’idea che nel nuovo mondo dei media si vuole dare valore economico alla conversazione. Ed evidentemente ci si riesce. Chi non vorrebbe leggere un giornale che parla delle cose che gli stanno veramente a cuore? Ultima nota: Tortoise ha rallentato il ritmo delle notizie per darle verificate, approfondite, scritte bene. Solo per questo sono dei geni, ma anche per molto molto altro. Cominciamo a fare media innovation imparando? Sarà il caso.

  • Start Up Mojo: Streamix, da Milano a Baires per il live dei sogni

    Start Up Mojo: Streamix, da Milano a Baires per il live dei sogni

    Il mobile journalism è anche un mondo di meravigliose start up

    In questi anni di frequentazione del mondo mojo ho conosciuto anche moltissime meravigliose start up mojo che stanno creando software, app e hardware per far diventare la cultura e la disciplina della mobile content creation il linguaggio universale della creatività professionale per il mondo dei media e dell’editoria. Sono company generalmente piccole e create da persone visionarie e aperte, cordiali e disposte alla condivisione di cultura e di opportunità. Ho deciso di iniziare a raccontarle, nell’ottica di poter dare loro la visibilità che meritano e nell’ottica di poter svelare un mondo di uomini e donne straordinari, impegnati a realizzare i sogni di migliaia e migliaia di creatori di contenuti, grazie ai loro strumenti. 

    Comincio da Milano e non potrebbe essere altrimenti.

    Io vivo a Milano e mi sembra doveroso cominciare da qui e da Streamix. Di cosa sto parlando? Di una start up creata nel capoluogo milanese da Sebastian Greco e Cristian Conedera, due sviluppatori argentini. Il prodotto è un software di emissione di un live via social tramite “camere” rappresentate da smartphone (sia iOS sia Android) che possono essere “invitate” alla trasmissione da ogni angolo del mondo. La regia è un browser online nel quale si ha il controllo delle fonti di immagini e di audio, ma si possono aggiungere anche elementi grafici come titoli e sotto pancia ma anche video pre-registrati o layout nel quale far entrare due diversi tipi di immagini provenienti da due telecamere diverse.

    Preciso subito che ho storto il naso quando ho saputo che l’utilizzo di questo sotfware-app si poteva governare, per quanto riguarda la regia, principalmente da un pc. Ho storto il naso perché sono un totalmojo. Però ho subito notato che, da parte degli sviluppatori, c’è una grande sensibilità per quanto riguarda l’uso in mobilità del loro strumento, allora mi sono deciso a “investire” il mio tempo nella conoscenza di questo strumento. E ho scoperto cose molto belle.

    Una natura votata al cliente

    Intanto ti dico subito che il browser di regia si può comandare anche da un tablet Android (e quando me lo hanno detto ho tirato un sospiro di sollievo). Poi aggiungo che i due creatori argentini hanno ferma intenzione di ascoltare le esigenze della produzione multimediale live dei mobile journalist per poter realizzare un’interfaccia per le dirette via social stabile, versatile, con tutti gli strumenti di grafica e titolazione professionale, ma gestibile da un “one man band”.

    Streamix, comunque, è un nucleo di straordinaria potenzialità che ha tutti i fondamentali a posto e deve solomigliorare la user experience di gestione delle varie entrate audio e dell’inserimento o disinserimento degli elementi grafici. Una caratteristica che affascina molto di questo mondo delle start up mojo è la natura votata al cliente. I creatori delle app e dei software che stanno cambiando il modo di fare giornalismo e contenuti nel mondo, sono tutti molto orientati ad ascoltare le comunità di utilizzatori che li sostengono. 

    Lo abbiamo visto con Instamic, azienda italiana creatrice del microfono minimo, l’ho riscontrato anche nel nucleo di sviluppatori italo-argentino di Streamix, app che è ancora in fase beta e che si sta piano piano rivelando al mercato. 

    La comunità mojo è democratica

    Le start up mojo, ma anche le compagnie più affermate di questo settore, hanno una grande sensibilità nei confronti del loro pubblico e, in modo molto democratico, ascoltano le esigenze del cliente. Non è infrequente veder rispondere direttamente i creatori se mandi una mail al support chiedendo spiegazioni. E’ così anche per Streamix che è il grande sogno di Cristian e Sebastian, che lavorano, tra l’altro separati da un oceano.

    Il primo, infatti, sta sviluppando il suo progetto da Baires, mentre Sebastian si occupa degli aspetti più legati alla finanza e allo sviluppo del business a Milano. Un’altra caratteristica molto bella di questi mojo creators di app, software e hardware è quella che li vede “simili” nello sviluppo delle loro companies. C’è un grande team, una grande visione, un grande percorso per la creazione dei codici che fanno nascere queste creature, ma spesso anche un lavoro in zone diverse, in case diverse, lontani. Collegati soltanto nella mente, nel cuore e nel cloud per sviluppare i propri sogni senza doversi, per forza, rinchiudere in un ufficio o spostare in un’altra città. 

    Racconterò di molte persone magnifiche.

    Inizio con Streamix un viaggio nelle aziende che stanno creando il sogno mojo, ma racconterò storie di persone magnifiche. Invito fin da ora tutti quelli che stanno lavorando in questo mondo, per vecchie e nuove iniziative a farsi sentire scrivendomi la loro storia e contattandomi per parlare della loro realtà alla mail francesco@francescofacchini.it. Sarà, per me, un piacere raccontare questo meraviglioso mondo delle start up mojo.